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Arte Effimera da zero a tre di Bruno Sullo
1. L’ARTE EFFIMERA E LE SUE ARTICOLAZIONI
1.1. Il minimo comun denominatore dell’arte effimera
“Effimero” dal greco epì- ed emèra (“dell’arco di un giorno”) e “arte” (la radice ar- indica il “fare” nelle lingue indoeuropee): il massimo della volatilità e della concretezza, qualità apparentemente inconciliabili eppure capaci di individuare un rapporto non soltanto oppositivo1. Con il concetto di effimero è introdotta nell’arte una componente tradizionalmente ignorata o trasgredita, il tempo, inteso in senso fisico diretto (come lo intendeva Robert Whitman nel 19672 ), che, gettato nella fase costitutiva dell’opera d’arte, produce conseguenze notevoli: – aggiorna il concetto di arte al modello culturale che caratterizza la società contemporanea, basato sulla relatività e sulla transitorietà. – restituisce all’arte il suo significato di “fare”, negandole la qualificazione di essenza in favore della sua identificazione con l’esperienza nel suo prodursi (cfr. il concetto di art as experience di Dewey3 ): – produce un effetto di destabilizzazione sulla sensibilità “occidentale”4, e tende a esautorare il Sistema arte inteso come gestione di prodotti possedibili (e quindi commerciabili). In sintesi: l’arte effimera è quel complesso di esperienze che si mostrano con la presenza fisica dell’uomo e dei mezzi, sostituendo all’opera convenzionalmente intesa l’instabilità di atti, gesti, situazioni che non hanno pretese di durata e di consistenza materiale. Ai rischi di fallimento connessi a un tal tipo di azzardo fa da contraltare la libertà che emana da azioni affrancate da ogni limite di metodo e di contenuto, che per questo sono espressioni di un modello culturale di valore esistenziale generale.
1.2. I vari volti dell’effimero
Declinazione emblematica, dell’arte effimera è la performance. Questa è da vedere in ogni sua accezione e variante storica: arte del corpo (Body art, operazioni eseguite con il corpo e sul corpo per la riappropriazione di quello che può definirsi lo strumento primario di comunicazione, “sede del linguaggio originario”5); esecuzione di azioni proposte in quanto tale (provocatorie nella loro concavità semantica) ovvero come racconto (descrizione di eventi o parafrasi di idee); presentazione di situazioni o atteggiamenti (proposti in una fissità ieratica, drammatica o ironica). Anche l’installazione rientra nella sfera dell’effimero, poiché ha il requisito della durata limitata e si affida, come la performance, alla mul-timedialità. In realtà essa segna un recupero del “fatto” sul “fare”, presentando i risultati dell’azione formatrice; tuttavia, nel rivalutare la fisicità dell’opera, essa non perde il risalimento all’azione che ha prodotto il risultato: anzi è proprio a questo affida il suo senso di opera d’arte6. L’arte del video è, anch’essa, arte effimera, poiché l’opera (registrazione su supporto riproducibile di immagini, suoni, azioni) si rende visibile solo durante la riproduzione effettuata con dispositivi tecnici che rendono, sì, l’opera riproponibile e distribuibile, tuttavia la chiudono ogni volta che siano disattivati. Ciò si applica al video inteso esso stesso come opera, e non come documentazione di eventi ad esso esterni (ambiguità che ha pesato sulla sua definizione e collocazione artistica: si vedano le osservazioni di Dorfles7 e Barilli8 ). Comunque, all’arte effimera non è preclusa alcuna esperienza creativa e comunicativa, né l’utilizzo dei più diversi ed eterogenei materiali, strumenti e linguaggi, dall’azione scenica alla lettura interpretativa di testi, dalla fotografia alla musica (o al suono), dalla poesia al “segno visivo inteso in termini più o meno tradizionalmente tangibili”9.
1.3. Lo zero e il tre
In tutte le sue articolazioni l’arte effimera propone la sua libertà e il suo rigore, qualità che la indirizzano verso una rifondazione di valori-base, una sorta di grado zero dell’investigazione artistica. In questo tragitto essa abbandona l’antico sogno dell’immortalità, ma non rinuncia ad una vocazione di perfezione, che è l’utopia lucida che la sostiene. Così, coniugando l’anno della propria nascita (2003) con i valori simbolici del numero zero (segno di vuoto, ma anche di partenza) e del numero tre (espressione della perfetta proporzione), il Movimento indica, nel suo stesso nome Zerotre, le proprie aspirazioni e le strategie operative.
2. I RIFERIMENTI STORICI
2.1. Gli inizi
Un movimento per l’arte effimera fondato nel 2003 apparirebbe velleitario se intendesse proporsi come creatore di una modalità fare arte mai percorsa prima, e se non fosse in grado di individuare riferimenti storici e culturali capaci di assicurargli identità e valore. Per non risalire a fenomeni troppo lontani nel tempo (e tra essi Dorfles cita10 gli antichi cerimoniali indiani, il Carro di Tespi, le Sacre Rappresentazioni, il Teatro giapponese del Nô), possono vedersi come precorritori dell’arte effimera Avanguardie storiche come il Futurismo (vedi le Serate futuriste), Dada, e quel Surrealismo che dei dadaisti aveva ereditati lo spirito beffardo e «il loro caratteristico cattivo gusto11 ». Il percorso dell’arte effimera si arricchisce, in seguito, dei contributi del Black Mountain College (nato nel 1933) e del lavoro innovativo di John Cage (si ricordi il suo Concerto del silenzio 1952) per la musica e di Merce Cunningham per la danza. Ancora nel decennio 50 esplode la creatività del gruppo Gutai, che realizza nel luglio del 1955 la sua Prima mostra all’aperto sfidando il sole di mezza estate nella pineta di Ashiya, e prosegue con eventi di grande forza che si estendono a tutto il decennio 60 e, dopo una pausa, negli anni 80. Shozo Shimamoto, a 76 anni, è tuttora ben vivo ed attivo.
2.2. La grande espansione
Il decennio 60 è caratterizzato da una grande esplosione dell’arte comportamentale. Nel 1959 Allan Kaprow realizza a New York il primo happening che prevedeva la partecipazione diretta del pubblico12 ; alcuni grandi artisti pop intraprendono la via dell’arte effimera, e tra essi si ricordano Oldemburg, Jim Dine, Robert Whitman (di quest’ultimo si sottolineano certe lucide considerazioni sull’impiego “fisico” del tempo in arte13 ). In Europa Cristo esegue i suoi primi impaccamenti, e contributi significativi sono offerti da Yves Klein e Piero Manzoni. Il 1962 è l’anno di nascita di Fluxus («Maciunas disse: “Fluxus sia” e quindi fu Fluxus sempre. Amen.»14 ), evento importante dell’arte effimera, e dell’arte in generale, per i suoi contributi di creatività, libertà, provocazione. Tra i protagonisti: Maciunas, Higgings, Knowlews, Nam June Paik, Petterson, Williams; in seguito altre personalità importanti, tra cui John Cage, Yoko Ono, Spoerri, Filliu, Beuys, Chiari. Il Movimento Zerotre si allaccia ai mille volti dell’effimero presenti in tutti i restanti anni 60 e poco oltre. Tra essi Beuys e il suo umanesimo integrale, e certe declinazioni “fredde”, come le installazioni crude di Kounellis e la celebre provocazione di De Dominicis (esibizione di un soggetto down alla Biennale di Venezia del 1972).
2.3. La riflessione concettuale
Il decennio 70 è caratterizzato dalla riflessione concettuale15 condotta fino alle sue estreme conseguenze da Kosuth (Art as idea as idea16), che investe ogni campo dell’arte . In questo decennio contributi alla costituzione di un background storico-culturale per l’arte effimera possono essere la teoria dei power fields di Vito Acconci, l’analisi dei rapporti tra pittura e azione di Dennis Oppenheim, la spinta orgiastico-liberatoria di Nitsch e della Scuola di Vienna, le sofferte operazioni sul (proprio) corpo di Gina Pane, la gestualità autosignificante di Meredith Monk, l’inesauribile energia vitale di Marina Abramovich, l’ambiguità esistenziale di Urs Lüthi, la ieraticità autocelebrativa e autoironica di Gilbert & George. Per altra via importanti sono stati, in Italia, la rassegna di video-recording di Bologna (1970), gli ambienti abitati di Patella, il messaggio corporeo di Job, gli enunciati ideologici di Vettor Pisani, fino alla ricognizione globale della mostra di Bologna (1977) di Renato Barilli.
2.4. Fino ad oggi
Riferimenti storici di un Movimento per l’arte effimera sono individuabili anche dopo gli anni 70, in una serie di proposte che hanno coperto tutto l’arco di tempo fino ad oggi, realizzate sia nel segno della continui-tà (ad esempio la persistenza di Fluxus per tutti gli anni 80 e 90), sia in una prospettiva di rinnovamento (vedi l’attività di artisti come Kaapor, Mauri, Colosimo, Olivera, Atkins ed altri). Substrato qualificante di un Movimento per l’arte effimera è anche costituito dalle iniziative organizzative di operatori e gruppi di lavoro. Tra queste si ricordano, perché molto vicine a Zerotre, gli appuntamenti internazionali di Perfomedia a cura di Emilio Morandi, gli incontri organizzati da Anna Boschi a Castel San Pietro Terme (Bologna), gli eventi “amodali” di Dino Sileoni, la sezione Effimero e arte del progetto “Il Labirinto” del Comune di Livorno (1992-93), l’attività promozionale de La Casa dell’Arte a Rosignano Marittimo, Livorno (nella cui sede, tra l’altro, è nato il Movimento Zerotre il 19 ottobre 2003), fino al recente Brain Academy Apartment di Emilio Morandi e Guglielmo di Mauro inserito nell’ambito della 50a Biennale di Venezia. Il rapido excursus eseguito sembra sufficiente a fissare le coordinate storiche, i caratteri e l’articolazione di un fenomeno artistico che possiede una sua tradizione consolidata ed una sua fisionomia nosologica, e che attende ancora un adeguato riconoscimento di ruolo oltre ad ulteriori interpretazioni e contributi da parte degli artisti. Sono gli scopi e le prospettive che il Movimento Zerotre per l’Arte Effimera vuole realizzare.
3. FINALITÀ E STRATEGIE
3.1. I valori dell’arte effimera
Il Movimento Zerotre è depositario dei valori collegati dell’arte effimera: accettazione positiva della transitorietà dell’evento artistico; inserimento nell’opera della componente tempo con il risalimento dal “fatto” al “fare”; acquisizione della multimedialità e della libertà e trasversalità delle poetiche; adesione consapevole al modello culturale contemporaneo basato sulla relatività; scambio di esperienze tra operatori di tutto il mondo al di là di ogni limitazione geo-politica e culturale. Sono valori positivi in senso antropologico e sociale, che il Movimento Zerotre si prefigge di sostenere e diffondere. In tale prospettiva esso intende presentare l’Arte Effimera a un ambito vasto ed articolato di destinatari e di interlocutori, e intervenire nel contesto dei vari eventi artistici con tutta la forza e la convinzione che derivano dalla consapevolezza della propria tradizione e della propria spinta innovativa.
3.2. Tre pilastri
Il contributo del Movimento Zerotre alla definizione di un sistema-arte aperto alla novità e alla variabilità, è basato su tre pilastri fondamentali. Il primo pilastro è il risalimento dal fatto al fare, con la carica di destabilizzazione che questo comporta. Il secondo pilastro è la libertà: questa si applica alle idee e ai messaggi dell’autore; ma anche alle modalità operative, alla scelta dei mezzi e dei materiali, all’uso dei linguaggi; ed infine, durante il lavoro, al rapporto con il pubblico che non è un semplice ricevitore dell’atto comunicativo. Il terzo pilastro è costituito dal valore delle opere: queste devono essere caratterizzate dalla proprietà, dal rigore, dall’armonia, insomma da una connotazione di professionalità intesa nel senso più ampio e produttivo del termine.
1. ANTONELLA CAPITANIO, Effimero e arte: l’arte come esperienza, presentazione in Catalogo di “Effimero e arte 2”, evento n. 7 del progetto “Il Labirinto” del Comune di Livorno. Livorno, Casa della Cultura, ottobre-novembre 1993.
2. ROBERT WHITMAN, in “Happening” a cura di M.l Kirby, New York, 1967: «Ciò che più mi interessa del teatro è l’impiego del tempo che esso richiede: Per me il tempo è qualcosa di materiale […]. Può essere utilizzato non diversamente dalla vernice, e dal gesso, o da qualsiasi altro materiale esistente in natura» (citato da E. LUCIE-SMITH, Arte Oggi. Dall’Espressionismo astratto agli anni 90, Milano, 1991).
3. JOHN DEWEY, Art as experience, New York, 1934 (traduz. italiana Firenze 1951).
4. RENATO BARILLI, Il video-recording, in “Marcatré” n. 4-5-6, maggio 1970.
5. RENATO BARILLI, La ripetizione differente, in “Informale Oggetto Comporta-mento”, Milano, 1979II, pp. 22 e segg.
6. BRUNO SULLO, La performance in quindici punti, presentazione dell’evento n. 3 del Progetto “Il Labirinto” del Comune di Livorno, Casa della Cultura, ottobre 1992.
7. GILLO DORFLES, Le ultime tendenze dell’arte d’oggi. Dall’Informale al Po-stmoderno, Milano, 1984VI, pp. 158 e segg.
8. RENATO BARILLI, La ripetizione differente, cit.
9. ANTONELLA CAPITANIO, Arte come esperienza, cit.
10. GILLO DORFLES, La body art, in “Arte moderna” a cura di Luigi Russolo, Mi-lano, 1975, vol. XIV, pp. 225 e segg.
11. MAURICE NADLAN, The history of Surrealism, New York, 1967, riportato da Edward Lucie-Smith, op. cit..
12. EDWARD LUCIE-SMITH, Arte oggi, cit..
13. ROBERT WHITMAN, in “Happening”, op. cit..
14. EMMETT WILLIAMS, Una Anti-storia di Fluxus, nel Catalogo della mostra “Fluxus S.P.Q.R.”, Galleria Fontanella Borghese, 1990.
15. RENATO BARILLI, Tra presenza ed assenza. Due modelli culturali in conflitto, Milano, 1974.
16. JOSEPH KOSUTH, L’arte dopo la filosofia. Il significato dell’arte concettuale, Genova, 1987.
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