Discussione:Filosofia della condivisione

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Con la recente crisi finanziaria, questo modello si sarebbe incagliato, incapace di funzionare come prima, non per fattori esterni ma per le sue stesse contraddizioni. Il mercato finanziario è crollato sotto il peso della speculazione delle principali banche d'affari, trascinando nella sua crisi le teorie neoliberiste e neoconservatrici che inneggiavano alla sua centralità assoluta. Il problema è che il mercato finanziario non alloca le risorse in maniera efficiente e non si autoregola. L'offerta e la domanda non si incontrano in uno stabile punto di equilibrio come vorrebbe la teoria liberista: al contrario il mercato speculativo si autoalimenta e si gonfia a dismisura e la speculazione amplifica da una parte i cicli di ottimismo e di euforia, dall'altra le cadute, le crisi e i crolli. Il punto di equilibrio di cui parlerebbero i sostenitori del neoliberismo esisterebbe, secondo i filosofi della condivisione, solamente nelle astratte formule matematiche.
Il problema risiederebbe nel fatto che l'economia reale è guidata dalla finanza, ma che la finanza è dominata dalla speculazione, e questa, lungi dal contribuire allo sviluppo dell'economia e dall'allocare le risorse e gli investimenti secondo criteri razionali ed efficienti, estrae risorse dal sistema economico (dai risparmiatori e dall'economia reale), lo devia, talvolta lo eccita, ma poi lo frena e, nel momento in cui scoppiano le crisi, blocca il sistema del credito e distrugge le capacità produttive.
La speculazione cerca costantemente profitti rapidi e molto superiori alla media grazie alla gestione rischiosa e azzardata dei soldi e dei risparmi in maniera irresponsabile, cioè senza che i finanzieri paghino in caso di disastro finanziario[1]. Più la speculazione guadagna profitti, più il sistema economico è povero e a rischio. Per questo motivo un numero crescente di filosofi ed economisti propone di fare emergere e abbattere la speculazione, per riportare la finanza dentro i suoi binari originari e farle riassumere il suo ruolo di motore di sviluppo al servizio dell'economia reale.
La recente crisi indicherebbe la necessità di ricostruire dalle fondamenta il sistema finanziario su basi nuove e più stabili, e di rifondare il sistema sia sul piano teorico che pratico. Per la filosofia della condivisione è indispensabile liberarsi al più presto del dogma del mercato e del capitalismo e cominciare a elaborare nuove fondamenta teoriche, realistiche e razionali. Non solo gli economisti liberisti non avrebbero previsto la crisi, ma quasi sempre la avrebbero addirittura peggiorata con ricette di deregolamentazione che avrebbero aggravato la malattia speculativa. Per questa corrente di pensiero diventa così necessario rifondare l'economia e cominciare a riconsiderarla come scienza aperta e plurale, ricollegandola alla storia, alla sociologia, alla morale, alla politica e alle altre scienze umane.
Lontani dal riconoscere l'esistenza di una sola e unica teoria economica sufficientemente esaustiva, in grado di spiegare tutti i fenomeni e suggerire delle ricette valide di fronte alla profondità della crisi attuale, la filosofia della condivisione ritiene indispensabile cominciare innanzitutto a riaprire il confronto sui diversi filoni teorici, come l'economia della conoscenza, l'economia dei beni comuni, l'economia ecologica, le teorie sulla complessità, l'economia della partecipazione, l'economia comportamentale, l'economia della felicità. Sono necessari nuovi paradigmi per umanizzare l'economia, coniugandola con valori importanti come la condivisione e l'altruismo. L'economia necessita di includere nella sua visione il benessere del mondo intero a partire dal rispetto e dalla tutela dell'ambiente e il benessere delle nuove generazioni, il cui futuro è seriamente compromesso da coloro che ricoprono posizioni di rilievo nella finanza e negli affari.

Il capitalismo non appare inoltre il sistema più adatto per affrontare le questioni ecologiche. Gli attuali meccanismi di mercato privilegiano la ricerca del profitto a breve termine, senza considerare i costi che nel medio e lungo periodo devono e dovranno sopportare le generazioni presenti e future[2]. La somma di tante spinte egoistiche in competizione fra loro molto difficilmente può produrre un risultato positivo sul piano ecologico globale. L'ecologia richiederebbe un'economia basata sulla condivisione dei beni comuni – come l'aria, la terra, l'acqua, le risorse naturali, l'ambiente, la salute – piuttosto che un'economia fondata sulla proprietà privata e la competizione di mercato[3].
Attualmente l'inquinamento non costa nulla per le aziende che inquinano, ma costa invece molto alla collettività, in termini di peggioramento della salute pubblica, di spese per curare le malattie legate all'inquinamento e di spese di bonifica.

Il consumismo dilagante, oltre ad aver mercificato le relazioni umane riducendole a pure forme di scambio, ha compromesso gravemente il rapporto dell'uomo con la natura. La moltiplicazione dei beni economici, mentre ha dilatato enormemente la sfera dei bisogni, provocando asservimento e insoddisfazione, ha determinato l'espropriazione progressiva dei beni naturali e favorito l'avanzare di processi di inquinamento ambientale, con ricadute devastanti sulla vita e sulla salute dell'uomo. Nelle città, ai problemi dell'inquinamento si aggiunge poi quello legato all'esagerato grado di artificialità raggiunto dall'habitat urbano, che rischia di rimanere privo delle basi biologiche minime indispensabili alla sopravvivenza.
Diversi studiosi hanno però individuato la nascita di un forte interesse a ristabilire un rapporto tra la città e il mondo naturale, riportando all'interno dell'ambiente urbano non solo il verde estetico-ornamentale, ma anche il verde produttivo-agricolo degli orti, concepiti come importanti spazi di coesione. Grazie all'orticoltura urbana e periurbana è possibile una prima ricostruzione di reti sociali cittadine oggi sempre più deboli e fragili e il rilancio di economie locali che provvedono alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita sostenibili. La partecipazione dei cittadini alle attività agricole può essere di grande aiuto nell'indirizzare il discorso urbano verso questioni ambientali. Al costituirsi di contesti in grado di valorizzare le diverse competenze e capacità può unirsi il recupero di una dimensione agricola che favorisce l'instaurarsi di un rapporto pacifico con la terra, riconosciuta come fonte preziosa di sicurezza, nutrimento e sostegno[4].
La filosofia della condivisione valuta positivamente tutti quei progetti orientati alla realizzazione di orti cittadini sulla base di un sistema di principi e metodi gestionali condivisi, atti a favorire lo scambio di informazioni e conoscenze sulle buone pratiche di coltivazione. Vede nell'interesse crescente per l'orticoltura urbana l'affermazione di un modo di pensare e agire aperti alla vita e alle relazioni, che vuole emanciparsi dagli esiti dell'industrializzazione selvaggia, la quale ha spezzato il nostro rapporto con la terra. Il timore che sta infatti emergendo è quello di un'agricoltura ecologicamente nociva che il capitalismo impone in tutto il mondo: un'agricoltura che espelle i lavoratori, usa grandi quantità di energia soprattutto da fonti non-rinnovabili, saccheggia la biodiversità, inquina la biosfera.
Il successo dell'orticoltura urbana e periurbana è rivelatore del fatto che l'agricoltura sta cambiando volto, non è più solo produzione e trasformazione di prodotti, ma partecipa all'evoluzione dello spazio urbano accrescendo la qualità della vita: è gestore del territorio e delle risorse; è promotore di opportunità culturali, sociali e ricreative; è più attento alle richieste di famiglie che, coscienti della correlazione tra alimentazione e salute, preferiscono avere in tavola prodotti naturali, dalla provenienza certa e non contaminati[5].

«La civiltà umana dipende dall’ecologia terrestre, che tuttavia viene sfruttata letteralmente fino alla morte: secondo alcune stime, l’attività umana ha innalzato i tassi di estinzione di altre specie animali e vegetali di mille volte oltre i livelli normali. Nella corsa sfrenata a recintare il mondo naturale abbiamo distrutto il pianeta e, volendo prestar fede ai mormorii sommessi di molti studiosi del clima, potrebbe essere ormai troppo tardi per porre rimedio alla situazione. L’incessante perseguimento della crescita economica ha trasformato l’umanità in un fattore di estinzione, perché sottovalutiamo sistematicamente i servizi degli ecosistemi che tengono in vita la nostra Terra [6]»

  1. ^ La crisi finanziaria è strettamente legata a quella alimentare ancora in corso. Quest'ultima affonda le radici in un sistema alimentare globale vulnerabile, divenuto disfunzionale a livello sociale, ambientale e finanziario. Come continuano a ripetere da tempo i filosofi della condivisione, il cibo è diventato un'altra merce soggetta a speculazione finanziaria. Il regime del commercio è al servizio di mercati predatori anziché delle necessità umane. L'agricoltura è diventata un modo industriale di accumulazione per le società anziché la base produttiva di un'offerta sostenibile di cibo buono e sano. I sistemi alimentari locali e nazionali sono stati sradicati senza pietà per fare spazio agli interessi di società globali. La terra, la manodopera, l'acqua e il patrimonio genetico del pianeta sono stati privatizzati e mercificati. Perfino la dieta è stata colonizzata dalle industrie agroalimentari nell'incessante caccia al profitto. Poiché sistema alimentare e sistema finanziario si sono sviluppati insieme, le due crisi sono inestricabilmente legate.
  2. ^ Molti autorevoli economisti ritengono che per risolvere gli attuali problemi della disuguaglianza (e soprattutto della povertà estrema in un mondo prospero come non mai) e dei beni che abbiamo in comune come l'ambiente, saranno necessarie istituzioni molto diverse dalle attuali, che porteranno l'umanità al di là dell'economia capitalista di mercato. Si veda per esempio il parere di alcuni Premi Nobel per l'economia come Amartya Sen in A. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2001.
  3. ^ Un numero sempre maggiore di scienziati ed economisti preoccupati per le attuali sorti del pianeta concorda nel ritenere assai vicino l'emergere della cosiddetta Terza rivoluzione industriale, organizzata intorno a energie rinnovabili distribuite, che si trovano ovunque e sono, per la maggior parte, gratuite: il sole, l'acqua, il vento, il calore geotermico, le biomasse, le onde e le maree oceaniche. Si prevede che queste energie disperse saranno sfruttate in milioni di siti locali, per essere poi accorpate e condivise con gli altri attraverso una rete intelligente, con l'obiettivo di ottenere livelli ottimali di energia e mantenere un'economia sostenibile ma ad alte prestazioni. Ovviamente, questo nuovo regime energetico "laterale" stabilirà il modello organizzativo delle infinite attività economiche che genererà. A sua volta, una rivoluzione industriale più distribuita e collaborativa porterà invariabilmente a una condivisione più distribuita della ricchezza generata. La transizione dai mercati alle reti porterà con sé un diverso orientamento delle attività economiche. La relazione oppositiva fra venditore e compratore non potrà che essere sostituita da una relazione collaborativa; l'interesse particolare cederà il passo all'interesse condiviso e l'informazione riservata sarà eclissata dalla nuova enfasi posta sulla trasparenza e sulla fiducia collettiva.
  4. ^ Mariella Bussolati, L'orto diffuso. Dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola, Orme Edizioni, Roma 2012.
  5. ^ Un aspetto importante che caratterizza il nuovo volto che l'agricoltura urbana sta assumendo è il legame con comunità virtuali, siti, blog, mappe interattive, gruppi, pagine e identità sui social network, grazie ai quali avviene un consistente scambio di informazioni, si affrontano problemi e si trovano soluzioni comuni riguardo ai metodi di coltivazione.
    La filosofia della condivisione sta studiando le sfide culturali create dall'interconnessione di pratiche sociali e tecnologie aperte e sicure. Ha ben chiara l'idea che le tecnologie dell'informazione nei prossimi anni dovranno essere focalizzate sul sociale e non solo sul capitale produttivo. Questo nuovo filone teorico, che si nutre dei contributi di esperti nei settori dell'informatica e delle nuove tecnologie, sa bene che è in atto un'evoluzione dello scenario socioeconomico che non investe solo l'ambito industriale e della produzione agricola, ma riguarda anche in modo più generale la cultura e le modalità attraverso cui accediamo alle informazioni.
    La filosofia della condivisione sa bene che le tecnologie digitali sono servite principalmente a costruire network sui quali si articolano attività sempre più integrate. Ma riconosce anche che, quando si parla di era digitale, l'interconnessione è una sorta di prolungamento, di amplificazione delle attività che l'uomo ha svolto con metodologie e strumenti tradizionali. Alla base di tutto ci sono relazioni umane, il contatto fisico, il confronto, aspetti della vita che le tecnologie digitali non sostituiscono. Il presupposto dell'interconnessione è la capacità e la volontà di vivere e lavorare assieme, di fare leva sul fattore umano. L'affermazione di una visione positiva e creativa dell'uomo fa parte di quel grande progetto di rivalutazione antropologica che è il cuore della filosofia della condivisione, la quale guarda all'interconnessione come a ciò che permette un confronto costante di idee e punti di vista, consente di condividere informazioni, di individuare soluzioni congiunte e di progettare nuove architetture produttive in vista del bene comune.
  6. ^ Raj Patel, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo, p.24-25

Famiglia e buona reciprocità[modifica wikitesto]

La filosofia della condivisione individua il superamento dell'homo oeconomicus e la valorizzazione di empatia, socialità, reciprocità, attraverso il dono come dimensione fondamentale e inalienabile della vita e della cultura. Il dono sincero di sé è anche il cuore del patto coniugale, che nasce dalla libertà ma ha la stringenza del vincolo: esso per fiorire e svilupparsi necessita di attenzione, cure e responsabilità. Istituto basilare per l'esistenza stessa della società, la famiglia è per questa corrente di pensiero un valore da difendere. Non vi sarebbe infatti campo migliore per educare l'uomo che la vita familiare, con i suoi rapporti vincolanti, gli adattamenti che richiede, i sacrifici e il servizio che impone, e le opportunità che offre alla piena espressione di ogni parte della natura umana. L'attenzione che la filosofia della condivisione pone nei riguardi della famiglia ha proprio a che fare con l'ethos su cui questa si fonda, che non è una contabilità, un modo di pensare legato allo scambio di mercato, ma la consapevolezza di ciò che della persona e tra le persone non è negoziabile: la dignità, il rispetto, l'accettazione dell'altro prima delle sue possibili prestazioni[1]. La cura e l'amore per la persona sono qui doni liberamente e reciprocamente elargiti, alieni cioè da quel calcolo utilitaristico che oggi domina incontrastato ogni aspetto della vita. La famiglia, che consiste e richiede un patto tra un uomo e una donna, sulla base di una reciproca e libera scelta e una relazione generativa, almeno come progetto, rappresenta il luogo privilegiato della condivisione di progetti, sogni e responsabilità, dove uomini e donne insieme si prendono cura della reciproca differenza. Essa evoca un orizzonte di vita comune che attiene al modo di stare al mondo e in essa l'uomo dà forma alla sua esistenza, la orienta lungo una via peculiare, accoglie e riconfigura quel dono ricevuto che è la vita stessa[2].

«Nella nostra cultura il senso dell'essere-sposi è stato soggetto non di rado a fraintendimenti. La riduzione principale si è avuta con la ricorrente equivalenza istituita tra matrimonio e contratto. Di qui l'idea che la sponsalità sia uno status giuridico e non anzitutto la qualità di una relazione oblativa sempre rinnovantesi. Nella logica della gratuità, invece, l'elemento primario è la scelta degli sposi di amarsi per sempre, riconoscendo l'uno nell'altro un valore originale ed insostituibile. Tale scelta si fa strada, giorno per giorno, nell'imparare ad essere-per-l'altro, in una dinamica relazionale fatta di stima, di dialogo, di progetti, di tensioni accettate e gestite insieme, di sessualità, di condivisione dell'intera esistenza. L'orientamento di ciascuno sta nel volere la felicità dell'altro a partire dalla sua libertà. La continuità nel tempo della scelta coniugale non è tanto l'ossequio ad un dovere morale o ad un contratto, quanto il rinnovarsi dell'amore per l'altro nel suo esser-proprio-così, ossia, in ultima istanza, nel suo mistero»

Secondo la filosofia della condivisione, l'uomo moderno deve riscoprire nella famiglia l'etica del dono e della condivisione perché possa di nuovo concepire il legame con l'altro come costitutivo di sé, come fonte della sua realizzazione e non come una limitazione della sua espressione. Alla famiglia sarà sempre più richiesto di mettere a disposizione la qualità umana dei suoi rapporti come modello del vivere sociale. La dimensione umanizzante di questo soggetto sociale, capace di promuovere stili di vita orientati al pieno riconoscimento di ciascuno, si collega a quel "nuovo umanesimo della responsabilità"[3], che guarda alle dimensioni della nascita, della cura e dell'incontro come a fattori indispensabili per un ripensamento della società attuale: «Nel primo caso abbiamo l'arte e tutte le attività creative, nonché il lavoro quando è innovazione e produzione non distruttiva. Nel secondo caso troviamo invece le attività familiari, quelle educative e il lavoro stesso quando ha la fisionomia dei servizi e della manutenzione di strutture, luoghi e oggetti. Nel terzo caso possiamo riferirci alla vasta e multiforme vita di relazione degli esseri umani, comprese, ad esempio, l'esperienza religiosa e la conoscenza quando è intesa come scoperta e partecipazione alla complessità dell'essere»[4].
Mondo vitale alimentato dalla reciproca gratuità, la famiglia viene dunque concepita come portatrice di valori che, proiettati e applicati all'umanità, cambieranno il mondo di domani. Riconoscere, promuovere e servire la famiglia, in ultima analisi, può dunque tradursi in un autentico servizio all'intera società. Da qui l'importanza di far crescere una cultura del dono e della condivisione, che stabilisca il primato della persona sulla finanza, l'economia e i mercati finanziari e orienti nuovi comportamenti; una cultura che animi incisive politiche sociali e alimenti la formazione e l'educazione delle giovani generazioni in difesa della famiglia, che oggi si trova a vivere in condizioni di vita sempre più disagiate a causa «di un mercato che ha trasformato tutto e tutti in merce di scambio, generando un malessere generale che va ben oltre la crisi economica che stiamo attraversando»[5].

«La gratuità sponsale, nell'incontro del femminile e del maschile, è il simbolo di un'inclusività senza riserve, di un'accoglienza reciproca che moltiplica la capacità di amare e si apre oltre il rapporto a due. È il simbolo di comunione che ospita il mistero della maternità e della paternità»

Nonostante da più parti venga difesa l'idea che la famiglia non sia un «dato» che permanga inalterato nel tempo, ma sarebbe al contrario un «divenuto» storico, sociologico, culturale e che, di conseguenza, non si possa ricondurre l'istituzione familiare a un'unica definizione, come se essa rispecchiasse un'essenza naturale immutabile e metastorica, diversi interpreti della filosofia della condivisione tendono a rivalutare il modello tradizionale di famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna come esperienza «di coinvolgimento comunitario che impegna la vita nella reciprocità, nella condivisione, nella comunione»[6].
Su questa linea[7] si muove per esempio il filosofo Roberto Mancini, che in Italia è un precursore indiscusso della filosofia della condivisione. Egli ha offerto negli anni numerosi contributi sui temi del dono, della gratuità e della condivisione come elementi di una cultura che custodisce in sé le fonti spirituali, culturali e motivazionali per dare corso a quel cambiamento di civiltà che costituisce la sola risposta adeguata alla crisi che tuttora arresta il cammino dell'umanità[8].
A partire da Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione (1996), Mancini porta avanti una riflessione personale che vede nella famiglia una forma di libera costruzione comunitaria dell'esistenza «dove si impara a condividere»[9] e la reciprocità sponsale non come fusione nell'indistinto né come mera complementarità, ma come comunione interpersonale. La sponsalità ha luogo nell'incontro di due esseri distinti e autonomi, non scaturisce dalla somma di due mezze-persone, ma dalla libera unione di due persone intere, la cui donazione vicendevole fa emergere l'identità di ciascuno. Il fatto che si tratti dell'unione di un uomo e di una donna costituisce, a suo giudizio, «il simbolo universale di una comunione che non sopprime le differenze né le irrigidisce nella divisione dei ruoli»[10]. La differenza sessuale non sarebbe semplicemente un accidente o un dato trascurabile, ma comporterebbe una storia, una prospettiva, un modo d'essere distinti, anche se inseparabili. Relativamente a questo, le due posizioni da evitare sarebbero, da un lato, una visione che annulla le differenze e, dall'altro, una concezione che le cristallizza negli stereotipi della tradizione sessista e maschilista. Una via alternativa a questi due estremi muove dal riconoscimento e dall'accettazione delle differenze stesse assumendole, nel contempo, in una dinamica comunicativa. Tratti peculiari come l'accoglienza, la tenerezza, la capacità di dare e di coltivare la vita, l'attenzione all'altro nella sua concretezza sono riconoscibili come appartenenti all'esperienza femminile, ma non come li penserebbe la nostra tradizione androcentrica, la quale (poco importa se ritenuti inferiori o complementari) li vede come separati rispetto ai tratti presunti della maschilità, come l'intraprendenza, il coraggio, la forza. Secondo Mancini, il «mondo» concepirebbe la differenza sessuale in senso esclusivo, così che la differenza biologica è estesa e spiritualizzata in categorie e atteggiamenti solo maschili o solo femminili: «Nella prospettiva della separazione e dell'antagonismo – ove l'identità della persona è sempre intesa come esclusiva e mai come inclusiva e comunicativa – queste risorse ed attitudini finiscono per diventare una gabbia cui ciascuno è destinato a seconda del proprio sesso. Invece, nella prospettiva relazionale della gratuità – in cui l'identità giunge a maturità nella comunicazione di ciò che si è – esse fioriscono e sono condivise come doni che possono reciprocamente essere fatti ed accolti, insegnati ed appresi»[11].

In La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola (2008), Mancini riflette sul fatto che la famiglia[12] sia oggi aggredita da una crisi che tocca i processi di formazione del tessuto stesso della società e che aggrava nel perdurare della mancanza di una vera alternativa tra individualismo e massificazione. Questa alternativa può avere luogo nelle molteplici forme dell'esistenza comunitaria aperta e nel suo stile di condivisione liberante e umanizzante: «È il modo del coinvolgimento solidale nella vita di altri, è lo stile della condivisione, è la scelta sistematica di assumere il criterio dei ragazzi di Don Milani, "I care": la vita comune, oltre il confine del mio essere individuale e anche della mia famiglia, mi sta a cuore e mi faccio carico delle sue esigenze e del suo valore. Attenzione alle relazioni e agli incontri, ascolto, dialogo, generosità, ospitalità, cura del bene comune, condivisione, corresponsabilità sono gli ingredienti essenziali dell'esistenza comunitaria aperta come stile di vita. Uno stile che poi potrà e dovrà concretizzarsi in istituzioni, tradizioni, luoghi, comunità specifiche. In un simile orizzonte singoli, famiglie di vario tipo, gruppi, associazioni, comunità, istituzioni – ciascuno per quanto gli è proprio – possono tutti liberamente concorrere a formare e a rigenerare un tessuto comunitario per la società»[13].
Non si tratta dunque di mera coesistenza, di contiguità spaziale, di collaborazione vantaggiosa e necessaria per sopravvivere. Elemento vitale più adeguato per l'umanizzazione di individui e collettività, l'esistenza comunitaria aperta è anzitutto un modo di esistere, che ha il suo nucleo propulsivo nella logica e nelle esperienze di quella che Mancini definisce buona reciprocità.
Vari equivoci si addensano sulla reciprocità, che viene per lo più scambiata con una simmetria di prestazioni, di ruolo, di scelte, di posizioni esistenziali: «Essa è irriducibile alla semplice simmetria di posizione – che prevede l'obbligo di uguaglianza in tutto tra i partner della relazione e la sua infinita ricostituzione –, alla mera simultaneità – due o più soggetti che fanno l'uno verso l'altro la medesima cosa nello stesso tempo –, alla complementarità – dove ognuno mette una parte che poi forma un'unica totalità, in una sorta di divisione dei compiti –, allo scambio commerciale – nel quale semmai ogni parte cerca un vantaggio sull'altra: lo sconto se compra, il profitto se vende –»[14]. L'equivoco che induce a rendere antagonisti reciprocità e comunità si supera quando si giunge nel coinvolgimento di ognuno nel cammino dell'altro in modo tale che ricevere, avere, ricomunicare ed essere insieme siano «una stessa dinamica fluida e onnilaterale»[15]. La reciprocità accade grazie alla pienezza della relazione, in cui ciascuno «è presenza viva e preziosa per l'altro e condivide liberamente, in misura variabile e imprevedibile, ciò che è, ciò che sente, ciò che sa, ciò che ha»[16].
La logica della buona reciprocità, che vive di gratuità e di libertà solidale, rappresenta dunque un modo di stare insieme nel quale ciascuno arriva a condividere ciò che è, il proprio modo d'essere, di sentire e di pensare, imparando nel contempo ad avere cura della relazione. Essa è «condivisione intersoggettiva del bene»[17] o «libera condivisione d'essere tra persone che sono, ognuna, trascendenza, ossia esseri unici e originali, consapevoli e deliberanti, liberi e capaci di amare anche sino a raggiungere un amore purificato da ombre, contraddizioni, violenze, ossia sino a vivere un amore generoso, creativo, fedele, misericordioso, come molte fedi attestano che sia l'amore di Dio»[18]. La buona reciprocità non va concepita come un modello teorico ottimale ma poco realistico; non chiede all'uomo di essere perfetto, invulnerabile o eroico, ma lo invita a immettere qualcosa di buono, qualcosa di suo nel circuito delle relazioni di cui partecipa. È una corrente qualitativa delle relazioni che, per quanto rimanga latente, ignorata o negata nei rapporti, accompagna il cammino dell'uomo ed è per lui una possibilità che attende di essere presa sul serio.
Mancini è però consapevole del fatto che un simile modello è oggi raro nelle situazioni quotidiane e che ciò è senza dubbio imputabile a una crisi dell'educazione su cui incide una cultura che ha accordato il primo posto al denaro e all'economia, facendo mancare uno spazio adeguato di riconoscimento al valore degli esseri umani[19]. È però nell'educazione che risiederebbe «la condizione concreta del realizzarsi e del rigenerarsi della buona reciprocità, la quale a sua volta costituisce il dinamismo fondamentale delle relazioni effettivamente educative»[20]. L'educazione è il terreno decisivo dell'attuazione del cambiamento che può portare l'uomo a un'indispensabile presa di distanza rispetto alla mentalità dominante, al paradigma economico vigente e, più radicalmente, rispetto alla convinzione che la civiltà del capitale e della competizione sia naturale, razionale e senza alternative: «Servono gruppi, comunità, associazioni, sindacati, partiti e istituzioni che siano lucidamente impegnati a coltivare una socialità cooperativa. Soggetti collettivi che, pur da angolature e con sensibilità anche molto diverse, convergano però su un'autentica visione della società, riguardandola come un'unica comunità umana, che respira e vive in stretta relazione d'interdipendenza con il mondo naturale, e non più come un gigantesco, insensato mercato»[21]. Entra così in gioco quel "nuovo umanesimo della responsabilità" che coniuga la riflessione teorica dell'uomo all'agire politico in senso ampio, la lucidità di lettura del reale all'impegno personale e collettivo, per «comprendere quale sia la parte che ciascuno può svolgere per cambiare le cose e scegliere responsabilmente di fare questa parte fino in fondo»[22].

  1. ^ Roberto Mancini, Senso e futuro della politica, Cittadella editrice, Assisi 2002, pp.158-161.
  2. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008.
  3. ^ Andrea Braggio, Raj Patel e il valore della cooperazione, articolo pubblicato il 25 agosto 2012 in Saddha.it.
  4. ^ Roberto Mancini, L'uomo e la comunità, Edizioni Qiqajon, Magnano 2004, p.73.
  5. ^ Gennaro Matino, Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2012, p.118.
  6. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, p.72.
  7. ^ Questa rivalutazione non pare essere dettata da alcun accanimento antistorico mirante a difendere la famiglia «naturale» da ogni minaccia di demitizzazione. Sembra piuttosto dipendere da convincimenti personali legati all'orientamento filosofico e religioso dei suoi interpreti. Nell'attuale fase di passaggio culturale che l'umanità sta vivendo, come in tutti i momenti di crisi, viene data più importanza agli ambiti originari della vita e il tema della famiglia, all'interno dello stesso dibattito politico, chiama in causa non solo analisi di tipo storico e sociologico, ma anche modelli di pensabilità teologica ed etica della famiglia. Ciò è particolarmente evidente se si tiene conto il momento storico attuale, in cui si assiste a un crescente disorientamento etico, senza che spesso emerga la capacità di decidere in prima persona e di assumersi criticamente e responsabilmente il rischio delle proprie scelte.
    Si tenga comunque in considerazione il fatto che a una certa omogeneità di vedute su un tema come la famiglia non corrisponde necessariamente un richiamarsi alle stesse riflessioni o a una stessa tradizione di pensiero. Il convergere delle posizioni su un tema specifico può benissimo rappresentare l'esito di percorsi ed esperienze che, per quanto affini, mantengono una loro singolarità e autonomia.
  8. ^ Per approfondimenti tematici e bibliografici in cui Mancini affronta la questione del dono, si vedano Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione, Cittadella editrice, Assisi 1996; Il dono del senso. Filosofia come ermeneutica, Cittadella editrice, Assisi 1999; Il silenzio, via verso la vita, Edizioni Qiqajon, Magnano 2002; L'uomo e la comunità, Edizioni Qiqajon, Magnano 2004; La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008; La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato, EMP, Padova 2011.
  9. ^ Roberto Mancini, Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione, Cittadella editrice, Assisi 1996, pp.52-60.
  10. ^ Ibidem, p.54.
  11. ^ Ibidem, p.55.
  12. ^ Come la vita di coppia, la scuola, il rapporto tra vecchie e nuove generazioni e i processi educativi.
  13. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, p.12.
  14. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, pp.13-14.
  15. ^ Roberto Mancini, L'uomo e la comunità, Edizioni Qiqajon, Magnano 2004, p.112.
  16. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, p.14.
  17. ^ Roberto Mancini, L'uomo e la comunità, Edizioni Qiqajon, Magnano 2004, p.113.
  18. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, p.15.
  19. ^ «La patologia che ritengo particolarmente pericolosa nelle dinamiche della mentalità oggi prevalente consiste nella credenza di massa per cui si prende per vero che la società sia un mercato globale e insuperabile, le cui ferree regole non ammettono deroghe per nessuno. In realtà la società ospita e conosce il mercato, ma non è affatto un mercato. Così come una scuola o una università, un ospedale o un municipio, un paese o il mondo intero hanno importanti aspetti economici nel loro funzionamento, ma non sono aziende […] Colpisce in particolare l'onnipotenza conferita al denaro – onorato nei molti suoi nomi: profitto, capitale, plusvalenze, rendite, investimenti, prodotto interno lordo e così via – che schiaccia i bisogni, i diritti, i doveri, le aspirazioni propriamente umane. La competizione generalizzata, lo sfruttamento, il proliferare delle schiavitù e delle povertà, la precarizzazione universale, i licenziamenti e la disoccupazione, la neutralizzazione delle energie delle nuove generazioni e la negazione del loro futuro, il ricatto contro chiunque tenti di seguire logiche alternative a quella del capitalismo assoluto, il moltiplicarsi delle sofferenze dell'umanità e della natura, la moltitudine dei morti causati dalla fame: questi sono i frutti velenosi del sistema economico dominante e della sua pretesa di costituire l'unica, ultima, insuperabile civiltà planetaria» (Roberto Mancini, La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato, EMP, Padova 2011, pp.6-7).
  20. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, p.22-23.
  21. ^ Roberto Mancini, La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato, EMP, Padova 2011, p.34.
  22. ^ Roberto Mancini, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Cittadella editrice, Assisi 2008, p.23.

Voce da controllare[modifica wikitesto]

La procedura di cancellazione di maggio 2020, pur ravvisando la presenza di contenuti rilevanti e ben referenziati, ha espresso diffusamente dei dubbi:

  • sulla selezione dei contenuti trattati: poiché la voce non descrive un corpus disciplinare omogeneo o sistematicamente organizzato, la valutazione sembra in qualche misura discrezionale;
  • sull'opportunità di mantenerla al titolo attuale, la cui diffusione non è sufficientemente attestata nelle fonti. Tra le proposte è emersa quella di uno spostamento a Critiche al neoliberismo ([@ Josef von Trotta])

Entrambi i problemi verrebbero risolti ove il concetto trattato venisse puntualmente circoscritto mediante il ricorso a fonti autorevoli, con un evidente credito nella comunità scientifica di riferimento. In mancanza delle fonti suddette lo spostamento a una voce dal titolo più chiaro e meno impegnativo potrebbe essere una soluzione cautelativa. --Nicolabel 10:33, 20 mag 2020 (CEST)[rispondi]