Lezioni di commercio o sia d'economia civile
Lezioni di commercio o sia d'economia civile | |
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Titolo originale | Delle lezioni di commercio o sia d'economia civile da leggersi nella cattedra Interiana |
Frontespizio dell'opera (1769) | |
Autore | Antonio Genovesi |
1ª ed. originale | 1765 |
Genere | saggio |
Sottogenere | economia |
Lingua originale | italiano |
Lezioni di Commercio o sia d'Economia civile è un'opera a prevalente carattere economico dell'abate e filosofo Antonio Genovesi pubblicata nel 1765 a Napoli, "appresso i Fratelli Simone".
L'economia civile
[modifica | modifica wikitesto]Stanco di trattare temi filosofici e morali
«Io, che era cominciato a tediarmi di questi intrighi teologici e che cominciava ad avere in orrore studi si turbolenti, e spesso sanguinosi, feci di più: mi ripresi i miei manoscritti, e deliberai permanentemente di non pensare più a queste materie[1]»
Genovesi si dedicò infatti negli ultimi quindici anni della sua vita ai temi economici, etici e antropologici: in particolare questa opera raccoglie il suo pensiero economico sviluppato nel corso delle lezioni tenute dalla cattedra di economia a Napoli nel biennio 1757-58.
L'opera è dedicata al conte Gian Rinaldo Carli, di origine istriana, scrittore, economista, storico e numismatico italiano del tempo, quando questi era presidente del neo istituito "Supremo Consiglio di economia" e consigliere della nuova "Deputazione per gli studi nel ducato di Milano", con il compito di dirigere e coordinare l'economia lombarda.
L’intento dell’opera è quella di offrire una guida tramite i ministri ai sovrani sui temi riguardanti l'Economia, che va «spogliata dai pregiudizi e bassezze, e timori dei secoli barbari» così come hanno fatto grandi dotti «di questo luminoso secolo»[2]
Nella prima parte l'opera tratta dell’economia civile, con riferimento alle questioni italiane, mentre nella seconda affronta temi particolari.
Importante perché alla base dell'economia degli Stati è l'economia privata:
«[essa] è la prima Scienza che dovrebbero imparare i Padri di famiglia e massimamente quelli i quali più gran fondi posseggono ... [L'economia privata] comprende l'arte della coltivazione, l'arte pastorale in tutte le sue parti: la cura degli animali domestici, il commercio e tutta la prudenza della famiglia[3].»
Sull'esempio dei sapienti greci e latini dell'antichità, esperti delle virtù e delle arti, occorrono filosofi che possano offrire quelle conoscenze che formino e rendano grandi per ricchezza quelle agiate famiglie che, altrimenti, sono inevitabilmente destinate a decadere per i vizi e l'ignoranza.[4] I governatori della comunità, considerata come una famiglia allargata, non possono affidarsi per regolare la vita civile soltanto alla giurisprudenza, «l'arte del giusto e dell'ingiusto», ma anche all'economia e al commercio sulle quali si fondano le ricchezze del sovrano, la potenza delle nazioni e la «pubblica felicità»[5].
Il commercio, soddisfacendo i bisogni individuali e contemperando quelle due forze che convivono nell'individuo, l’interesse per sé e la solidarietà, assicura non solo la convivenza sociale ma anche la pace tra le nazioni:
«Il Commercio unisce le Nazioni con reciprochi interessi i quali non possono sussistere se non nella comune pace. Egli è il vero che non di rado la gelosia del guadagno e dell'imperio del mare arma le Nazioni e le porta alla guerra: ma l'interesse del Commercio in poco tempo le disarma[6].»
La società umana
[modifica | modifica wikitesto]Come l'uguaglianza tra gli uomini è assicurata dalla natura così anche i diritti devono essere gli stessi e uguali per tutti poiché essi derivano da Dio e quindi esigono, per legge divina, di essere rispettati.
L'uomo è un animale sociale non solo per un istinto naturale ma perché egli segue la pietà e la ragione di modo che si origini la pubblica felicità che può essere assicurata quando si formino le famiglie sottoposte all'imperio civile:
«Siccome nelle famiglie l'imperio domestico è di sua natura indiritto[7] alla reciproca conservazione e felicità tanto di chi comanda quanto di coloro a cui comanda: medesimamente il fine dell'imperio civile è la reciproca conservazione e felicità delle famiglie e del capo che le signoreggia. La famiglie costituiscono la forza del capo: e la forza del capo mantien le famiglie[8]»
Il pubblico imperio garantisce allora, la continuità politica, la comodità e la felicità e tali obiettivi sono tanto più raggiunti quanto più grande è il numero delle famiglie che compongono il corpo civile.[9]
Edizione
[modifica | modifica wikitesto]- Antonio Genovesi, Lezioni di commercio o sia d'economia civile, a spese Remondini di Venezia, 1769