Città d'Ombria
Città d'Ombria | |
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Mappa del sito archeologico nel 1864 | |
Civiltà | Liguri o Umbri - Bizantini |
Epoca | III-II secolo a.C. - VI-VII secolo |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Comune | Varsi |
Altitudine | 977 m s.l.m. |
Dimensioni | |
Superficie | 7 200 m² |
Scavi | |
Data scoperta | 1861 |
Archeologo | Alessandro Wolf |
Mappa di localizzazione | |
Città d'Ombria, nota anche come Castelliere d'Ombria e Città d'Umbrìa, è un sito archeologico fondato probabilmente tra il III e il II secolo a.C.[1] dai Liguri o dagli Umbri,[2] fortificato nel VI o VII secolo dai Bizantini,[3] che si trova a 977 m s.l.m.[4] alle pendici del monte Barigazzo nei pressi della frazione di Tosca, all'interno del comune di Varsi, in provincia di Parma.
Toponimo
[modifica | modifica wikitesto]L'origine del toponimo, al pari di quella del sito archeologico, non è ancora completamente chiara. Mentre nel caso in cui i fondatori della città fossero stati gli Umbri i dubbi svanirebbero immediatamente, più difficile sarebbe la spiegazione qualora l'insediamento fosse sorto per mano dei Liguri,[2] come oggi pare più probabile;[1] un'ipotesi ritenuta non troppo attendibile già dallo storico Bernardo Pallastrelli legherebbe il nome "Ombria" alla presunta origine ambrona dei Liguri, che sarebbe stata rivelata da Plutarco nelle Vite parallele.[5]
Scavi
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1861, sulla base delle Effemeridi, redatte nel 1832 dal conte Gianbattista Anguissola,[6] e delle Pitture delle Valli di Taro e Ceno, scritte in forma di epistola nel 1617 da Francesco Picinelli e Bernardo Landolo,[7] l'archeologo americano Alessandro Wolf intraprese una campagna di scavi accanto a un piccolo specchio d'acqua, ribattezzato Lago di Città, su un altopiano del monte Cravedosso, nei pressi della piccola frazione di Tosca; per 3 mesi, grazie ad alcuni finanziamenti privati, i lavori proseguirono, consentendo di portare alla luce i resti di una torre angolare e dell'adiacente cinta muraria dell'antica città.[8]
Negli anni seguenti gli studiosi cercarono di datare il sito archeologico, ma nessuno fu in grado di stabilire con certezza l'epoca delle rovine e la civiltà che le edificò; furono proposte molte ipotesi, tra cui quella del paletnologo Luigi Pigorini, incline a una datazione alto-medievale, rigettata dalla maggioranza degli storici;[3] furono considerate più verosimili le attribuzioni agli Umbri e ai Liguri. Mentre dei secondi la presenza nella zona è testimoniata grazie al rinvenimento nei secoli di alcuni insediamenti, per quanto riguarda i primi mancano tuttora le prove che ne certifichino qualsiasi contatto col territorio; tuttavia, la coesistenza dei due luoghi contigui di antica origine, Città d'Umbria e Tosca, indusse lo studioso Bernardo Pallastrelli a propendere per la prima ipotesi, in considerazione del legame che per alcuni secoli unì i Tusci agli Umbri. In entrambi i casi, gli storici ipotizzarono che la città sarebbe stata fondata quale avamposto fortificato a difesa del territorio dalle incursioni dei Celti oppure dei Romani, qualora fosse stata edificata in epoca più recente.[2]
Nel 1892 tentò invano di svelare il mistero dell'origine della città l'archeologo Giovanni Mariotti.[9] Nel 1950 fu intrapresa una nuova campagna di ricerche dal marchese Maurizio Corradi Cervi, che raccontò i risultati dei suoi studi nel suo diario, attribuendo ai Liguri la fondazione dell'insediamento.[1]
Altre indagini con l'ausilio di numerosi specialisti furono effettuate nel 2012 dalla Soprintendenza archeologica dell'Emilia-Romagna, consentendo di giungere a un risultato finalmente più affidabile; furono individuate due diverse fasi costruttive della città: la prima, risalente al III o II secolo a.C., sarebbe dovuta ai Liguri,[1] mentre la seconda, cui sarebbero da attribuire i resti ancora visibili all'interno del sito archeologico, ai Bizantini, che nel VI o VII secolo vi avrebbero eretto una struttura fortificata per difendersi dalle invasioni dei Goti o dei Longobardi.[3]
Rovine
[modifica | modifica wikitesto]La città si estende su una superficie pressoché trapezoidale di 7200 m2, di cui solo 160 finora identificati; tutti i ruderi rinvenuti appartengono molto probabilmente alla fase bizantina dell'insediamento.[3]
In corrispondenza dello spigolo occidentale si trovano i resti di una torre a base quadrata, di 8 m per lato, che emergevano di 1,5 m nel 1861,[10] mentre oggi, a causa dello stato di abbandono del sito, misurano solo circa 0,5 m di altezza.[3] Verso nord si estende per 50 m, oltre il varco di una delle antiche porte, un tratto delle mura esterne della città fortificata, realizzato in muratura regolare; al termine del rettifilo, la cinta devia ortogonalmente proseguendo per ulteriori 10 m con le stesse caratteristiche costruttive del tratto precedente, mentre per i restanti 35 m la parete è costituita da pietre sconnesse; più avanti non rimangono tracce della cinta, irrimediabilmente perduta. Verso sud-est, invece, si estende per 78 m un tratto di mura con andamento leggermente incurvato, che segue l'orografia del terreno; dopo alcuni metri dalla torre, la cinta è internamente suddivisa in 33 piccoli vani rettangolari,[11] che costituivano presumibilmente i sostegni dei camminamenti di ronda;[3] al termine la muratura si interrompe per la probabile presenza di un'altra porta cittadina, dopodiché la cinta riprende irregolarmente dirigendosi verso nord per circa 17 m, oltre i quali non rimangono ulteriori tracce. I tratti mancanti a nord ed est corrispondono al bordo esterno dell'altopiano, oltre il quale il versante improvvisamente scoscende verso valle.[12]
All'interno della città, dominata da numerosi esemplari secolari di faggi, il suolo ondulato è coperto da pietre sparse, probabilmente appartenenti alle antiche costruzioni; durante gli scavi ottocenteschi l'archeologo Alessandro Wolf rinvenne una grande buca della profondità di 8 m, praticata in epoca imprecisata probabilmente alla ricerca di tesori, ma non trovò alcun reperto degno di nota.[13] Anche le altre indagini riportarono alla luce scarsi manufatti,[1] ma le ricerche svolte nel 2012 dimostrarono la presenza, nei magazzini del Museo archeologico nazionale di Parma, di vari frammenti di ceramiche di produzione locale risalenti all'epoca alto-medievale, raccolti nel sito archeologico ma volutamente ignorati negli scavi passati per avvalorare la tesi della fondazione preromana.[3]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e Maria Luigia Pagliani, I resti di Ombrìa, su rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it. URL consultato il 18 ottobre 2016.
- ^ a b c Pallastrelli, pp. 35-56.
- ^ a b c d e f g Raffaela Castagno, Il mistero d'Umbrìa "città" e tesoro da leggenda, su parma.repubblica.it. URL consultato il 18 ottobre 2016.
- ^ Salvo, Canossini, p. 159.
- ^ Pallastrelli, pp. 41-42.
- ^ Pallastrelli, p. 10.
- ^ Pallastrelli, p. 20.
- ^ Pallastrelli, pp. 9-11.
- ^ Rugarli, pp. 342-345.
- ^ Pallastrelli, p. 12.
- ^ Pallastrelli, pp. 13-14.
- ^ Pallastrelli, pp. 13-15.
- ^ Pallastrelli, p. 15.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Manuela Catarsi, Giace sepolta la città d'Umbrìa. Il più gran tesor che al mondo sia, Parma, Toriazzi Editore, 2012.
- Bernardo Pallastrelli, La Città d'Umbria nell'Appennino Piacentino, Piacenza, Tip. A. del Majno, 1864.
- Vittorio Rugarli, La "Città d'Umbria" e la Mandragola, Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane, 1894.
- Marco Salvo, Daniele Canossini, Appennino ligure e tosco-emiliano, Milano, Touring Editore, 2003, ISBN 88-365-2775-2.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
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