Nembo (cacciatorpediniere 1902): differenze tra le versioni

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Nembo
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Il Nembo è stato un cacciatorpediniere della Regia Marina.

Storia

Dopo pochi anni di servizio, nel 1909, l’unità, come del resto tutte le navi gemelle, fu sottoposta a radicali lavori di modifica: l’alimentazione delle caldaie, inizialmente a carbone, divenne a nafta, mentre l’armamento vide la sostituzione dei cannoni da 57 mm con 4 pezzi da 76/40, e dei quattro tubi lanciasiluri da 456 mm con altrettanti da 450 mm[1][2]. Anche la sagoma della nave fu profondamente modificata: dai due corti e tozzi fumaioli esistenti si passò a tre fumaioli di minori dimensioni e forma più snella[2].

Inquadrata nella IV Squadriglia Cacciatorpediniere (Turbine, Aquilone, Borea), la nave prese parte alla guerra italo-turca[3].

Il 17 aprile 1912 rimase danneggiato in seguito ad una collisione con il gemello Turbine, ma il giorno seguente poté partecipare, insieme al Turbine, agli incrociatori corazzati Vettor Pisani, Giuseppe Garibaldi, Varese e Francesco Ferruccio, all’incrociatore torpediniere Coatit ed alle torpediniere Climene, Procione, Perseo e Pegaso, al bombardamento dei forti ottomani di Gum-Galesch e Sed Ul Bahr, sullo stretto dei Dardanelli[3].

Il 4 maggio 1912 il Nembo ed il gemello Aquilone occuparono l’isola di Lipsos, nel futuro Dodecaneso[4].

Alle 4 antimeridiane del 14 luglio dello stesso anno salpò da Stampalia, insieme al gemello Borea ed all’incrociatore Vettor Pisani, per fornire appoggio alla formazione di torpediniere (Spica, Climene, Perseo, Astore e Centauro) destinata al forzamento dello stretto dei Dardanelli, che avvenne – ritardato causa il maltempo – quattro giorni più tardi, il 18 luglio[3].

Nel 1914-1916, a seguito di ulteriori modifiche, sulla nave furono installate le attrezzature necessarie a posare mine[2].

All’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale il Nembo era caposquadriglia della V Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Taranto, che formava unitamente ai gemelli Turbine, Borea, Espero ed Aquilone[5]. Comandava la nave il capitano di fregata Sorrentino[5].

Nell’ottobre 1916 il Nembo, insieme ai cacciatorpediniere Ascaro, Borea e Garibaldino ed a 4 torpediniere, fornì protezione ed appoggio alle unità – incrociatore corazzato Francesco Ferruccio e piroscafi Choising, Polcevera, Ausonia e Bulgaria – destinate allo sbarco ed all’occupazione di Santi Quaranta, in Albania[5]. Alle 5.15 del 2 ottobre quattro plotoni di marinai, un reparto di minatori ed uno da spiaggia del Ferruccio sbarcarono occupando rapidamente la località, dato che i 32 componenti il presidio greco non poterono che ritirarsi dopo aver protestato[5]. Dopo aver sbarcato un battaglione di fanteria ed uno squadrone di cavalleria, alle 16 del 2 ottobre i piroscafi salparono per Valona ove imbarcarono altre truppe; il 3 ottobre Polcevera ed Ausonia sbarcarono una batteria someggiata ed un secondo squadrone di cavalleria, ed il 4 l’operazione fu completata con lo sbarco, dal Choising e dal Bulgaria, di un altro battaglione di fanteria e di un terzo squadrone di cavalleria[5].

Il 16 ottobre 1916 il Nembo, al comando del capitano di corvetta Russo, lasciò Valona per scortare il piroscafo Bormida diretto a Santi Quaranta con truppe a bordo[5]. Tra Valona e Saseno il convoglio fu attaccato dal sommergibile austroungarico U 16: silurato, il Nembo affondò rapidamente spezzato in due, nel punto 40°08’ N e 19°30’ E[5][6]. Anche l’U 16 fu affondato durante lo scontro, sebbene la dinamica del suo affondamento non sia chiara: secondo alcune fonti il Nembo prima di affondare riuscì a speronare l’U-Boot[7][5], secondo altre fonti il sommergibile fu investito dallo scoppio delle bombe di profondità del Nembo, cadute in mare mentre la nave affondava[8], secondo altre affondò a seguito di una collisione con il Bormida (dell’equipaggio dell’U 16 morirono due uomini e 14 furono recuperati e fatti prigionieri da navi italiane)[6].

Su 55 uomini che formavano l’equipaggio del Nembo, 32 affondarono con la nave o scomparvero in mare (tra di essi il comandante Russo, il comandante in seconda, tenente di vascello Ceccarelli, ed il direttore di macchina, tenente del Genio Navale Meoli)[5]. I superstiti 23[5] furono recuperati da navi italiane o raggiunsero la costa a nuoto, come fece un gruppo di quattro naufraghi tra i quali il guardiamarina Ignazio Castrogiovanni, che rifiutarono di essere salvati da un’imbarcazione nemica (la scialuppa con i superstiti dell’U 16)[9][10].

Note

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