Utente:EneriB/Sandbox2

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Fuoco sulla folla

Nel frattempo, altri rivoltosi si scontrarono con la polizia che aveva posizionato il grosso dei mezzi davanti al commissariato. Di fronte alla porta dell'edificio si apriva un vicolo, via Rosselli, controllato dalla polizia e, da qui, gli agenti lanciavano bombe lacrimogene e rilanciavano i sassi tirati dai dimostranti.

Dopo poco, ad un primo cenno di resa (con i fazzoletti bianchi) da parte dei poliziotti, seguì un'incursione armata verso la folla: i poliziotti spararono una serie di colpi ad altezza uomo, arrivando a ferire e colpire alcuni dei manifestanti tra cui Carmine Citro. La sparatoria, secondo chi la ordinò, doveva essere un massacro, una "carica definitiva", quella che avrebbe risolto lo scontro e che, invece, provocò l'ira dell'intera città. Per scappare da ciò, Celere e carabinieri fuggirono come poterono, alcuni persino a piedi per i campi, abbandonando caschi e manganelli.

A questo punto, la sommossa prese possesso di tutta la città e i manifestanti iniziarono ad incendiare edifici, come il municipio e il commissariato, e tutti i mezzi della polizia rimasti in circolazione.

Da ricordare fu il successivo tentativo di depistaggio della polizia stessa, dei giornali, della RAI e del Ministro dell'Interno, Franco Restivo, che cercarono di invertire l'ordine degli avvenimenti raccontando di "saccheggi e devastazioni" da parte della popolazione, prima delle inevitabili cariche della polizia.


Il bilancio della sommossa

Alla fine di questa prima sommossa, si poterono già evidenziare alcune preziose indicazioni come quelle riguardanti l'uso delle armi. Due furono i comportamenti delle forze dell'ordine: mentre al commissariato si sfiorò la strage sparando ad altezza d'uomo, alla stazione ferroviaria gli agenti si arresero senza sparare, che sembrava la scelta consigliabile in quella situazione. In realtà molti poliziotti, così almeno si percepì tra la popolazione, non si sarebbero fatti scrupoli ad ammazzare qualcuno dei manifestanti, se fossero stati certi di avere in seguito anche un minimo margine di impunità (come accaduto a Piazza del Popolo e in Via Rosselli). L'uso improprio e poco meditato delle armi apparve allora e appare oggi come un atto di pura sopraffazione. E' importante sottolineare anche ciò da cui scaturì la disfatta della Celere; il motivo apparente risiedette nel fatto che gli agenti si fossero trovati dinanzi ad una città pronta a combattere fino alla fine. In realtà la reazione inferocita della folla dopo gli spari della polizia poteva essere ben prevista in anticipo.

Mentre durante la mattinata venne messa in atto l'occupazione della stazione, nel pomeriggio venne organizzato un comizio unitario (dalla DC al PCI) al quale parteciparono sindacalisti e delegazioni comuniste, bloccato poi, anche quello, da un assalto da parte della folla che cacciò le autorità invocando a gran voce le dimissioni di tutto il consiglio comunale e dell'assemblea cittadina.

Arrivati a questo punto, la voce di una democrazia diretta popolare, che aveva maturato un rifiuto verso tutti e tutto, iniziava a farsi sentire.


Il giorno dei funerali

E' il Venerdì ad essere scelto dalla CGIL come portatore dei funerali e proclamatore dello sciopero Nazionale, un Venerdì immerso in un clima di tensione ed emotività che lasciava poco spazio allo spirito combattivo che, fino ad ora, aveva infiammato la folla. Tutta la città è in movimento per le "esequie solenni", e al passaggio delle bare si contrappongono i pianti delle donne alle imprecazioni degli uomini verso le autorità.

Più che un funerale, quel corteo appariva come una vera e propria manifestazione, tanto che si iniziava a fare strada negli animi di tutti il desiderio di farsi sentire, di alzare la voce. Fu un attimo: corteo fermo, la commozione cresce, silenzio.

Poi, solo un applauso. In un attimo è il caos.

Il chiasso si espande, come anche il panico: le donne scappano, ci si chiude in casa, la folla si sparpaglia. E di colpo la gente capisce che non poteva finire così, che Battipaglia aveva bisogno di una guida politica sicura.

Calche di gente si iniziano a raccogliere intorno ai luoghi principali della battaglia, intorno ai fiori che segnavano dove Carmine Citro era stato assassinato. Ma proprio in questo momento di consapevolezza e di necessità di un potere politicamente stabile, il "comitato battipagliese" - che aveva guidato in quei giorni la rivolta - scompare.

La polizia tenta in tutti i modi di calmare la situazione, chiedendo di evitare ogni forma illegale di protesta, mentre l'altoparlante piazzato ad un angolo della piazza chiede il rispetto del lutto cittadino.

Con la scomparsa dei capipopolo, sembrava essersi estinta anche l'ultima fiamma della sommossa.