Discussione:Chiesa di San Donato in Polverosa

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Storia della Chiesa - opuscolo parrocchiale per 820° anniversario della consacrazione[modifica wikitesto]

SAN DONATO IN POLVEROSA O ALLA TORRE

La chiesa di S. Donato ha attraversato con le sue vicende l'intero arco del nostro millennio. La leggenda ne pone la fondazione in un momento imprecisato prima del mille; la costruzione del monastero annesso sarebbe stata completata proprio nello stesso anno, sotto il vescovo Podo. Le prime notizie sulla sua esistenza dipendono da un privilegio emanato nel 1152 dall'imperatore Corrado da cui siamo informati sull'esistenza di un ospedale annesso alla struttura monastica. Una bolla di poco successiva di papa Anastasio IV ricorda come rettori dell'istituto i canonici Agostiniani della congregazione Portuense di Ravenna. Nel 1184 Federico Barbarossa emanava da Verona un rescritto con cui prendeva S. Donato ed i suoi canonici sotto la sua protezione, liberandoli da ogni giurisdizione sia laica che ecclesiastica e confermando loro una vasto patrimonio. lì giorno di 5. Giovanni Battista del 1187 Enrico VI, restituendo a Firenze la giurisdizione fuori dalle mura, che il padre Federico le aveva tolto nella discesa in città del 1185, segnava con ogni probabilità la definitiva appartenenza di S. Donato a Firenze ed alla sua diocesi. Nello stesso anno, il 2 ottobre 1187, Gerusalemme e il Santo Sepolcro erano caduti nelle mani del Saladino. lì papa Gregorio VIII e il successore Clemente XI bandirono la terza spedizione crociata e nelle varie province d'Occidente si tornò a predicare la croce per il riscatto dei luoghi Santi d'Oltremare. In questo contesto il 2 febbraio 1188 giunse a Firenze l'arcivescovo di Ravenna, Gerardo, con l'incarico di organizzare la raccolta di uomini e mezzi necessari all'impresa. lì luogo prescelto per l'adunata e la concessione delle croci fu S. Donato alla Torre. Coadiuvato da ben tre vescovi e da alcuni rappresentanti del Capitolo fiorentino, egli officiò una cerimonia di grande solennità, provvedendo congiuntamente alla consacrazione di tre altari della chiesa, il maggiore, dedicato a S. Donato, quello a nord alla Madonna, quello a sud a S. Tommaso di Canterbury. Una indulgenza di cinquanta giorni fu elargita a quanti si erano devotamente raccolti nella chiesa per l'evento. Al termine del rito il legato pontificio impose la croce sulle vesti di quanti si erano impegnati alla partenza per la Terrasanta, mentre il priore di San Donato, Bono, faceva dono al contingente fiorentino del vessillo di straordinaria bellezza che sventolava sulla chiesa. In ricordo di questi eventi il 2 febbraio divenne il giorno della commemorazione liturgica della dedicazione a 5. Donato. La data restò immutata fino al 1314, quando il vescovo Antonio d'Orso la spostò alla seconda domenica dopo Pasqua. Oggi la festa è stata ricondotta alla data originale. e La fine del periodo agostiniano a S.Donato venne decretata nella prima metà del XIII secolo dal vescovo Ardingo de' Foraboschi il quale, su delega papale, il 26 settembre 1239 assegnava monastero e chiesa agli Umiliati della Misericordia di San Michele in Alessandria. Si trattava di un ordine religioso di origine recente, la cui principale caratteristica era data dalla organizzazione comunitaria del lavoro di tessitura di robusti e grossolani pannilana, da loro poi detti "Umiliati", molto apprezzati sul mercato. Il monastero-laboratorio di S.Donato non era tuttavia il luogo ideale, sia perché lontano dalla città, sede dei commerci e della gran parte degli operai esterni, sia perché il ciclo di lavoro richiedeva grandi quantità d'acqua cui il vicino Terzolle non poteva sopperire. lì torrente Mugnone allora si gettava in Arno al ponte alla Carraia; successivamente a Porta al Prato; la sistemazione attuale è avvenuta in seguito. I religiosi cercarono così, con l'appoggio del potente cardinale Ottaviano degli Ubaldini, una sede più adatta alle loro necessità. La ottennero nel 1251 dal vescovo fiorentino Giovanni Mangiadori, che li immise nel popolo di Santa Lucia, prossimo al Prato del Comune, ove essi edificarono la chiesa di Ognissanti. Il 23 settembre di quello stesso anno il presule cittadino concedeva S. Donato ed i cinque poderi che ne costituivano il residuo patrimonio alle monache Agostiniane di S. Cristina a Decimo, fuori San Casciano, le quali chiedevano di trasferirsi in una sede più sicura e vicina alla città. Esse provvidero ad un restauro delle strutture dell'antico monastero grazie anche alla concessione di quaranta giorni di indulgenza data dal vescovo a quanti avessero contribuito con offerte alle spese necessarie. Nel 1259 la badessa Maria e le sue monache per poter vivere in più stretta osservanza" chiesero e ottennero dal Papa Alessandro IV di adottare la regola cistercense che imponeva la clausura, accettando, salva la giurisdizione episcopale fiorentina, la dipendenza spirituale dall'abbazia di San Salvatore a Settimo. Per la cura spirituale delle monache e delle poche famiglie di contadini dei dintorni venne assegnato al monastero un rettore. lì pontefice Urbano IV poi provvide alla nomina di una nuova ba4essa, perchè riformasse la comunità secondo le nuove regole. La scelse tra le religiose del fiorente monastero lucchese di San Cerbone. Si chiamava Pellegrina: al suo abbaziato, iniziato tra il 1263 e il 1264, si deve una forte ripresa economica e fondiaria dell'istituto che divenne uno degli enti più ricordati nei lasciti testamentari dei fiorentini. Il trecento fu un secolo importante e travagliato per il monastero, toccato da eventi naturali e bellici che ne misero a dura prova sia la struttura sia il patrimonio. Nel 1308 si avviava la recinzione muraria che avrebbe racchiuso gli edifici e i terreni adiacenti tra l'attuale via di Novoli e via S.Donato, come testimonia il muro di ciottoli che corre parallelo al fianco nord della chiesa. Nel 1322 alle cistercensi di S. Donato, grazie alla buona fama di cui godevano, veniva affidata la cura di S. Maria Maddalena delle Convertite, ex prostitute redente ed avviate alla vita monastica, già sotto la custodia dei Vallombrosani. Alcune delle occupanti di quell'istituto furono trasferite da Borgo Pinti in 5. Donato e la vecchia Santa Maria Maddalena delle Convertite divenne una casa cistercense, Santa Maria Maddalena di Cestello, come voleva il parlato fiorentino (da cistercium , luogo di fondazione dei cistercensi). Questa filiazione, oltre a provocare un decadimento morale delle religiose, ingenerò anche una disdicevole mobilità di esse tra la casa madre e la sua dipendenza, in violazione alla normativa canonica sulla clausura degli istituti femminili e portò alla decisione, presa nel 1332, di trasferire la proprietà di Santa Maria Maddalena ai cistercensi di Settimo. Restò alle donne di 5. Donato solo il diritto di cercare asilo in Santa Maria Maddalena di Cestello in Borgo Pinti, quando tensioni militari mettevano in pericolo il loro monastero. Fra già successo nell'ottobre del 1325, quando la tempesta di Castruccio Castracani si era abbattuta con le sue devastazioni sulla parte occidentale della piana fiorentina. Alle numerose emergenze militari che a più riprese nel trecento recarono danni alle strutture ed ai beni del monastero si aggiunsero, dopo la carestia del 1346 ( di cui è testimonianza la grande croce commissionata a Bernardo Daddi, attualmente esposta alla galleria dell'Accademia), la grande moria del 1348 e le nefaste conseguenze delle guerre viscontee del 1351, che colmarono di eserciti e di accampamenti la pianura: era questo un tristo preludio alle violenze con cui le masnade inglesi e tedesche di Giovanni Acuto e di Anichino di Bongardo tornarono a infierire sul territorio di S.Donato col riaccendersi della guerra tra Firenze e Pisa (1362-64). Pur nell'incertezza di questo periodo le monache non trascurarono di continuare ad abbellire la loro chiesa, come dimostra il fatto che, tra la guerra pisana ed il ritorno dell'Acuto nel 1370, esse commissionarono al maestro della cappella Rinuccini in Santa Croce, Matteo di Pacino, una serie di affreschi: l1Annunciazione, il martirio di San Sebastiano, il San Giorgio che uccide il drago, le due mandorle dell'Assunzione e della Trinità nella lunetta dell'arco gotico del transetto sinistro. Il pittore eseguì le opere tra il 1365 ed il 1370. Pochi anni dopo, nel 1383, le Cistercensi fecero completare la serie di affreschi della parete sinistra della navata con l'imponente Adorazione dei Magi, dipinta da Cenni di Francesco di ser Cenni. lì grande affresco della nascita del Battista, che ora campeggia sulla parete interna della facciata, non ha trovato finora una paternità certa. Alla fine del secolo o ai primi del '400 esse commissionavano a Rossello di Jacopo Franchi le due alte figure dei Ss. Pietro e Paolo sulla parete sinistra e, negli stessi anni, un seguace della scuola di Nardo ed Jacopo di Cione eseguiva la tavola cuspidata a fondo oro che presenta la Madonna col Bambino fra otto santi e quattro angioli, dotata di gradino con Cristo in pietà fra la Vergine e S. Giovanni, ora a Cortona. Gli affreschi sono stati staccati dalla Soprintendenza nel 1965, ripuliti dalle soprapitture ottocentesche di Gaetano Bianchi, restaurati e riportati in sede nel 1968. I primi decenni del quattrocento videro il monastero di S. Donato, ora detto in Polverosa", inserito tra gli enti regolari presi di mira dalla riforma di Eugenio IV nel 1438. Ma pur nel variare dei loro direttori spirituali le monache riuscirono non solo ad evitare gli accorpamenti e le soppressioni che sconvolsero, nell' età eugeniana, il quadro fiorentino delle fondazioni religiose femminili, ma anche a continuare ad arricchire il patrimonio artistico del loro istituto affidando, sul volgere del secolo a Domenico e David del Ghirlandaio l'incarico di affrescare un cenacolo nel refettorio: opera andata danneggiata durante li assedio di Firenze del 1530 e poi distrutta nell'abbattimento del monastero per la costruzione della villa effettuato dai Demidoff. Sempre in questo torno di tempo venne eseguita una bella tavola a tempera, di scuola del Botticelli, che rappresenta una delicata Madonna con Gesù bambino, recentemente riportata alla venerazione dei fedeli di 5. Donato dalla canonica di S.Lorenzo. La crisi strutturale attraversata dal sistema monastico nel tardo quattrocento non risparmiò 5. Donato, ed ebbe ripercussioni anche sulla struttura delle cariche claustrali, a cominciare da quella abbaziale che veniva trasformata da vitalizia in triennale. • Con il cinquecento mediceo, grazie al favore del cardinale Giovanni, futuro papa Leone X, le donne di S. Donato riacquistavano la tranquillità economica necessaria per la cura del loro monastero: potevano così commissionare a Raffaellino del Garbo la tavola dell Annunciazione, da qualche anno ritornata nella nostra chiesa( si trovava al museo di S. Salvi). Ma nuove nubi tempestose si annunciavano all'orizzonte politico della terra di S. Giovanni, tornando a coinvolgere il monastero nelle turbolenze militari che culmineranno nel 1529 con l'assedio dell'esercito di Carlo V. Le monache prima che la tenaglia dell'assedio si chiudesse sgomberarono il monastero e si rifugiarono in S. Maria Maddalena di Cestello in Pinti . Nel febbraio dell'anno successivo la pianura ad ovest della città venne occupata da oltre duemila lanzi del conte Ludovico di Lodrone, che si acquartierarono in S. Donato, al riparo del suo solido muro di cinta. Nel giugno Stefano Colonna sceglieva quel settore per forzare il blocco e riaprire la strada per Prato e Pistoia che si erano liberate dalle armi spagnole. Lo scontro, combattuto con molto valore, non produsse i risultati sperati per il comportamento di Malatesta Baglioni: le forze fiorentine dovettero infatti contentarsi dì aver inflitto pesanti perdite agli avversari, senza riuscire a sconfiggerli. L'evento ebbe tuttavia vasta eco nella memoria cittadina, specie dopo che Giorgio Vasari e lo Stradano (una trentina di anni dopo), ne immortalarono il ricordo nella sala di Clemente VII in Palazzo Vecchio (l'attuale studio del Sindaco) fissando l'immagine di S. Donato circondato dagli accampamenti dei lanzi e quelle della "incamiciala" organizzata dal Colonna. Dopo queste tensioni, le religiose poterono rientrare nel loro monastero nel 1532, dove sarebbero rimaste fino al 1809, quando la soppressione degli enti religiosi imposta dal governo francese le costrinse ad abbandonare il loro chiostro secolare. Allontanatisi i pericoli, con la stabilità politica e la benevolenza del duca Alessandro de Medici, la fama e la consistenza patrimoniale dell'istituto tornarono a crescere, come dimostra l'aumento del numero delle "sagrate" - che in questo periodo superò le 200 unità, vantando oltre 40 converse - e il reclutamento sociale delle religiose, spesso provenienti dalle famiglie più notabili della città (Nardi, Pucci, Tornabuoni, da Castiglione , Carnesecchi etc.). A riprova del suo accresciuto prestigio, il monastero era prescelto nel 1565 ad ospitare fino alle nozze Giovanna d'Austria, promessa sposa di Francesco, figlio del Granduca Cosimo I. La rinascenza di S Donato ed il contemporaneo declino dei Cistercensi di Settimo, unitamente all'insorgere di problemi per il governo del monastero, dovevano far si che nel 1580 per giusta causa" esso tornasse sotto la giurisdizione e la cura del vescovo fiorentino. Nel seicento tra le religiose si registrano ancora donne provenienti da grandi casate fiorentine come una Compagni, una Ruspoli, una Villani, ultima rappresentante della famiglia di Giovanni, due Tornabuoni ed una de' Medici, che testimoniano e sostengono ancora il prestigio leggermente appannato dell'istituzione: in questa età infatti, le bocche da nutrire nel monastero si erano ridotte a cento unità, compresi il cappellano ed i cinque fattori. Sempre in questo secolo il rispetto per l'organizzazione è più sentito e si trovano nel monastero lunghi inventari di beni mobili e immobili e lunghi elenchi di oggetti sacri in argento con indicazione dei donatori, principalmente monache in corsa per la carica di badessa. Assume importanza la “scrivana", perchè le decisioni amministrative delle riunioni capitolari hanno valore giuridico. Al Capitolo partecipano le sagrate" e le ”professe", non le “serventi". lì parere sul negozio si esprime votando con palla bianca per il si e con palla nera con il no. Da qui il detto “avere voce in capitolo". Anche la chiesa, già divisa in due parti (“chiesa di fuori " per il popolo e 'chiesa di dentro" per le "rinserrate') da un muro con grate e buca per la comunione sotto l'arco al termine della navata, subisce trasformazioni: gli affreschi vengono coperti, le more dipinte a finto marmo, l'altare sostituito con uno in legno dorato e arredato con tabernacolo, crocifisso e candelieri in argento. lì passaggio al settecento noti portò sostanziali cambiamenti nella vita del monastero, né troppe difficoltà si presentarono con la fine del granducato mediceo, quando il potere in Toscana passò ai Lorena. La rivoluzionaria politica dei nuovi principi nei confronti del latifondo, degli istituti religiosi regolari e dei loro privilegi normativi e fiscali, non minò la sopravvivenza di 5. Donato che, non offrendo appigli formali o sostanziali tali da giustificarne la soppressione, riuscì ad evitarla senza correre neppure il rischio di essere trasformato in un conservatorio. Le monache infatti accettarono la partecipazione di un “operaio" (una specie di sindaco revisore) alle riunioni capitolari, nonché le regole riguardanti l'igiene e la sepoltura imposte dai nuovi governati. Non vollero invece un cappellano inamovibile; volevano nominarlo o licenzialo a loro piacimento poiché era anche amministratore. Per questo S. Donato non fu soppresso, ma perse la giurisdizione parrocchiale nel gennaio del 1779 e la cura d'anime venne trasferita in S. Jacopino, come ancora ricorda una lapide conservata presso quella chiesa. La decisione comportò anche l'obbligo per le monache di accollarsi le spese per il trasferimento della parrocchia e il mantenimento del parroco, oltre alle spese per la manutenzione di S. Donato. L'aggravio economico ebbe pesanti ripercussioni sulla stabilità dell'istituto. Nel 1797 l'arcivescovo Antonio Martini trasferì il monastero e parte del popolo di S.Donato dalla giurisdizione di S. Jacopino a quella di S.Maria a Novoli. Con l'occupazione francese nell' ottocento la Toscana conobbe una nuova fase di soppressioni e di espropri degli enti ecclesiastici. Nel 1808 anche le donne di S. Donato furono costrette ad abbandonare il loro antico monastero ed a far ritorno ciascuna alla propria famiglia o ad Lino dei sei conventi femminili conservati in Toscana per accogliere le religiose mandate in pensione. I prospetti dell'indagine condotta dai solerti funzionari governativi preposti all'esproprio mostrano che il monastero possedeva ancora 21 poderi per un totale di 118,5 ettari, vantando un credito complessivo di Lire 228.503 e rendite per Lire 8.455, con debiti per Lire 2780. Gli espropri colpirono anche gli immobili e i terreni all'interno della recinzione, ma nessuno si fece avanti per acquistare chiesa e monastero. Così con la restaurazione ed il ritorno, nel 1815, di Ferdinando III, il monastero venne assegnato ai Francescani di Santa Croce cui furono consegnate le opere d'arte provenienti da S. Donato Esse vennero poi incamerate dallo stato italiano all'atto della soppressione sabauda del 1870, in quanto appartenenti ad una chiesa non più officiata. lì complesso, lasciato in abbandono, fu acquistato, tra il 1825 ed 1827, da Nicola Demidoff il quale incaricò l'architetto Silvestri della realizzazione di una grande villa neoclassica che si sovrappose completamente alle antiche strutture monastiche cori esclusione della chiesa. Morto Nicola nel 1828, il figlio Anatolio continuò l'opera, completando infine negli anni '40 il grande edificio a forma di H, chiuso verso nord dalla chiesa con il campanile superstite, fatta eccezione dell'abside semicircolare che fu abbattuto per fare posto alla parte terminale del braccio superiore destro della villa. Nel 1840 Anatolio sposava Matilde di Gerolamo Bonaparte, ottenendo da Leopoldo lì il titolo di Principe di S. Donato. La villa, trasformata nel frattempo in scrigno di tesori d'arte, divenne uno dei poli della cultura internazionale a Firenze, celebre per la munificenza dei Demidoff e per il loro talento di collezionisti. Nel 1856 Anatolio chiamava a S. Donato il pittore Gaetano Bianchi per fargli eseguire la "ridipintura" degli affreschi pazientemente riscoperti nella ex-chiesa, destinata a biblioteca per decorarne le pareti e per dipingere con allusione allo stile trecentesco la grande tempera di S. Donato. In essa il santo campeggia solenne ed austero in trono ed in ginocchio, ai suoi piedi, un guerriero guarda grato al santo vecchio. La scritta sul bordo inferiore riporta: " Messer Pazzino de' Pazzi tornato vittorioso dallo acquisto del Santo Sepolcro rende grazia a Dio et a Santo Donato". L'opera risponde al progetto di celebrare il legame che unisce la dimora della casata al santo patrono della ex-chiesa e all'episodio più antico e glorioso della storia locale. La tempera non si accontenta di rievocare la pur significativa realtà storica della consegna della croce ai fiorentini avvenuta in S. Donato nel 1188, vi si inserisce anche la citazione di una leggenda che, per quanto priva di fondamento, aveva goduto di particolare fortuna a Firenze fino dal Rinascimento. Secondo questa tradizione Pazzino de' Pazzi durante l'assedio di Gerusalemme nel corso della prima crociata del 1097 per primo avrebbe scalato le mura della città santa, meritando da Goffredo di Buglione il premio di una onorificenza e di tre pietre del Santo Sepolcro. Le tre pietre erano quelle con cui, iii una liturgia effettivamente antica, si era soliti - almeno a partire dal XIII secolo - accendere il cero pasquale nei riti del sabato santo. Con il cero poi si benediceva il fonte battesimale di San Giovanni e si accendevano le fiaccole portate dai rappresentanti delle famiglie fiorentine, che così recavano il fuoco benedetto alle loro case. I Pazzi avevano il privilegio di ricevere per primi la sacra fiamma, clic poi donavano agli altri. Ad opera della famiglia ebbe poi origine il carro addobbato prima di ceri, poi di fuochi e di mortaretti, che con il suo scoppiettante deflagrare divenne nel tempo un momento eccellente nella tradizione municipale, legando per sempre il nome dei Pazzi a quello del "brindellone" ed alle evocazioni gerosolimitane che esso comportava. Il progetto per l'opera evocò dunque una sintesi tra storia e leggenda, traslando Pazzino fra i cavalieri ai quali fu consegnata la croce in quel di Novoli nella 'candelora , del 1188 e Anatolio Demidoff pose l'immagine di S. Donato nell'atto di ricevere l'omaggio di uno degli eroi cittadini come completamento del ciclo di affreschi della sua biblioteca per significare il nesso profondo che univa quel luogo, adesso rinato per la sua munificenza, alle glorie di una storia fiorentina di erri egli si faceva celebratore e mecenate. Anatolio lasciava 5. Donato nel I 859, dopo la partenza dei Lorena, cui era molto legato, trasferendosi a Parigi ed iniziando là a vendere le sue collezioni. Nel 1870 moriva. lì nipote Paolo eredito. S. Donato e clic vi si trasferiva, proseguendo nella tradizione di munificenza, mecenatismo e filantropia dello zio. Sposatosi con Elena Troubetzkoi nel 1871, egli ristrutturava la villa, riordinando in particolare la biblioteca ed acquistando altre opere d'arte. Nei I 872 comprava la tenuta di Pratolino con gli edifici sopravvissuti della distrutta villa medicea del Buontalenti, vi trasportava mobili, arredi e pezzi artistici, facendone la sua residenza preferita. Nel 1878 realizzava a S.Donato la "cucina economica Elena Dernidoff per ristorare gli indigenti" dalla fame provocata dalla carestia. La mensa rimase in funzione fino al marzo del 1879, con un costo per il Demidoff di Lire/oro 32.000. Per esprimere la loro gratitudine per questo generoso impegno i fiorentini fecero coniare in onore di Paolo una medaglia d'oro realizzata da Ulisse Cambi e consegnata con una solenne cerimonia L’8 giugno del 1879. A questa data i coniugi Demidoff risiedevano a Pratolino. Il 15 marzo del 1880 essi iniziavano a S. Donato una imponente vendita all'asta dei beni rimasti nella vecchia villa. Non solo illustri e ricchi visitatori vennero in questa occasione a visitarla per valutare e comprare, ma anche una folla di fiorentini ne invase le sale per ammirarne le meraviglie prima della vendita, approfittando di due giorni di apertura libera voluti dall'augusto proprietario. Fu l'ultimo grande concorso di popolo nella millenaria storia di S. Donato. lì 5 maggio dello stesso 1880 si tenne l'asta dei libri della biblioteca e, cori l'alienazione della imponente e pregiata raccolta, anche la ex-chiesa rimase tristemente vuota. Solo il 1 giugno 1963, cori la ricostituzione della parrocchia, l'aula venne recuperata e restituita alla vita religiosa, dopo 83 anni di passaggi di mano e di continuo degrado. L'opera di restauro e di ricostruzione iniziò con l'abbattimento del muro costruito dalle monache sotto l'arco al termine della navata; proseguì con la ricostruzione dell'abside seguendo le fondamenta rimaste e alcune pietre dell'arco trionfale; si concluse nel 1997, quando vennero riportati alla luce i consistenti resti del braccio destro del transetto, che fu in parte riedificato ed annesso al corpo della chiesa. lì suo recupero ha permesso di completare di nuovo la struttura ecclesiale. I lavori sono avvenuti sotto la guida della Soprintendenza. Per chiarire alcune cose riguardanti la facciata della chiesa, è necessario ricostruire con precisione i passaggi di proprietà avvenuti in questo secolo. Col Decreto - Legge 20 Giugno 1909 n. 364, quando ancora chiesa e villa appartenevano ai Demidoff lo Stato Italiano pose il vincolo per la tutela delle cose di interesse artistico-storico. lì vincolo riguardava soltanto la ex-chiesa.

A questo proposito varino notate tre cose. lì vincolo ovviamente non riguardava soltanto l'aula della biblioteca, ma tutta la ex-chiesa, campanile, transetto e porticato sulla facciata, tanto che il parroco per il restauro di parte di essi ha dovuto chiedere l'autorizzazione della Soprintendenza. La seconda cosa da notare è che  la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici ha agito correttamente, perché ha provveduto negli anni '60 al restauro degli affreschi e nel 1999 al deposito nella chiesa della Madonna col Bambino della bottega del Botticelli, già proprietà dell'antico monastero. Non si può affermare altrettanto della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali che, come verrà detto più avanti, non ha sorvegliato abbastanza o non ha dato risposte chiare agli interrogativi riguardanti le costruzioni sulla facciata e sul lato destro della chiesa. La terza cosa degna di nota è clic il Decreto Legge di vincolo impegna a sottoporre alla Soprintendenza i progetti delle opere che si intendono eseguire sull'immobile soggetto a vincolo e a denunciare alla medesima ogni atto pubblico che ne trasmetta la proprietà, come è avvenuto nel 1965 con l'acquisto della chiesa da parte della parrocchia e come è avvenuto per il lavoro di restauro. Per le costruzioni in appoggio o in aderenza alla facciata e al lato destro della navata è stato chiesto analogo permesso? Non sembra che la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali abbia svolto bene il suo compito di sorveglianza, certamente non ha dato risposte chiare agli interrogativi rivolti alla medesima dal parroco e dal Comune di Firenze. Il 28 marzo 1929 avvenne il passaggio di proprietà dai Demidoff alla Società Immobiliare Meridionale Fratelli Scalera. Poiché lo Stato Italiano non esercitò il diritto di prelazione richiesto dal vincolo, anche la ex-cliiesa divenne proprietà della Società sopradetta. lì 30 maggio 1946 la Società Immobiliare Meridionale Fratelli Scalera, quando ormai la villa era stata danneggiata dagli eventi bellici, cedette la proprietà ai signori Benelli. Dalla vendita fu esclusa la ex-chiesa per i vincoli da cui era gravata. Cosi il destino della chiesa si separò per sempre da quello della villa. Tuttavia le difficoltà per la chiesa non finirono, prima di tutto perché la chiesa cadde nell'abbandono più completo, tanto clic uomini e animali ne presero possesso. Nel 1963, quando fu costituita la parrocchia, con la donazione dell'attuale casa canonica fatta dai signori Benelli, la chiesa era occupata in parte da una officina per la riparazione di serbatoi di nafta, in parte da straccivendoli che avevano attirato ogni sorta di animali. In secondo luogo i nuovi proprietari, sia perché nessuno si occupava della chiesa, sia perché lì nell'immediato dopo-guerra la Soprintendenza aveva altre cose a cui pensare. probabilmente distrussero all'ingresso della chiesa il porticato che, come risulta da una pianta della villa i Demidoff avevano rispettato e fecero in appoggio alla navata della chiesa ed in aderenza alla facciata varie costruzioni. Di permessi neanche l'ombra; tanto che nel 1985 ne fu chiesto il condono, alla concessione del quale il parroco si oppose: la legge 1089 del I Giugno 1939 e il Testo Unico n° 490 del 1999 sui Beni Architettonici non ammettono condono per costruzioni del genere. Poiché la Soprintendenza non dette chiarimenti in merito alle costruzioni in appoggio e in aderenza alla chiesa non essendo stata chiesta nessuna autorizzazione, suggerì al Comune di Firenze di negare il condono per tutta l'area della villa, quest'ultimo però non poté dare l'ordine di demolizione e i proprietari, che si videro negare il condono per tutta la proprietà, fecero ricorso al T.A,R. Le sorti della chiesa sono ritornate così a legarsi a quelle della villa: la cosa era del tutto inaccettabile. Il Comune di Firenze infatti pensò ad accordo tra le parti. E' vero che Comune e Soprintendenza hanno fatto bene a negare il condono per tutta la villa, ma è vero anche che legalmente le due situazioni erano diverse: infatti per quanto riguarda la chiesa, la probabile distruzione del porticato sulla facciata e le costruzioni in appoggio e in aderenza andavano contro la legge 1089, che per costruzioni del genere non ammette condono. Prima di ricorrere alla Soprintendenza e al Comune  e per risolvere la  situazione l’allora Parroco Don Franco Bencini fece anche il tentativo di trattare con i proprietari l'acquisto delle superfici occupate dalle costruzioni in oggetto. I proprietari non  acconsentirono e il parroco

dovette ricorrere alle autorità competenti chiedendo il rispetto delle leggi. La cosa non sembrava tuttavia tanto facile, ma con l’aiuto e l’interessamento di alcuni parrocchiani si riuscì ad aprire uno spiraglio di soluzione. Cominciarono ad interessarsi del caso i giornali, la radio e la televisione e alcuni consiglieri comunale e di quartiere di ogni schieramento politico iniziarono a interessare il Comune di Firenze in maniera concreta e fattiva. Si arrivò quindi allo storica risoluzione del Consiglio Comunale di Firenze che all’unanimità sancì la restaurazione di tutta l’area della Villa Demidoff e il ripristino in originale della Chiesa di San Donato in Polverosa. L’area e la proprietà della villa nel frattempo sono state cedute ad una nuova società che si è impegnata su richiesta del Comune ad iniziare il restauro della villa dopo aver tolto gli edifici in appoggio alla chiesa. L’attuale Parroco segue costantemente il corso delle trattative e come tutti gli altri abitanti del quartiere aspetta l’inizio dei lavori che come è stato assicurato inizieranno al più presto. Firenze 14 Dicembre 2007

La storia in questione è il riassunto da me fatto su altre fonti storiche e dal racconto del vecchio parroco don Franco Bencini.

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