Discussione:Amyclae

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Segnalo che nella descrizione si dice che si sarebbe trovata nel Lazio meridionale (Fondi) ma nella cartina il puntino di riferimento è stato messo in Campania

Il regno di Amyclae non esiste più, era una comunità di villaggi (obà) come Sparta[modifica wikitesto]

Non esiste al mondo una città tanto misteriosa quanto Amyclae e di essa nessuno ha mai potuto accertare la collocazione urbana sul territorio “tra Gaeta e Terracina”. Forse per una pura e semplice questione di metodo; ad esempio tutti hanno cercato per anni un inesistente castello medievale sul monte Castellone di Campello d’Itri (sviati da questo toponimo) quando in quel luogo invece esistono i resti di una fortificazione riconducibile all’antico popolo aurunco. Amyclae laziale si dice fondata dai Laconi provenienti da Sparta che fu una città greca formata da cinque obai (Limna, Pitane, Cinossura, Mesoa e Amyclae, dal cui sinecismo era sorta Sparta, ed ognuno di questi villaggi eleggeva un eforo). Sinecismo è detto l’accentramento in una città-stato di popolazione prima sparsa per borgate e campagne. E’ consolidata opinione degli storici che gli antichi emigranti cercassero di ricostruire nel luogo della loro nuova residenza un assetto comunitario per quanto possibile simile a quello vigente nella madrepatria; fatto questo che si verifica a tutt’oggi, per esempio, con l’immigrazione cinese in Italia ed è già successo nel primo novecento con l’emigrazione italiana in America. Allo stesso modo deve essere successo con l’immigrazione degli antichi fondatori di Amyclae sulle coste tirreniche situate tra Gaeta e Terracina e di cui non si riesce tuttavia a trovare una sua qualsiasi localizzazione certa. Sparta, a quanto pare, non era quindi una vera e propria città (come anche Roma era la “città dei sette colli”) come oggi noi la intendiamo, ma una comunità costituita da cinque villaggi (obà) i cui cittadini (obàtas), pur avendo ritenuto opportuno dividersi sul territorio (attraverso un obàzo) si riconoscevano uniti comunque nel nome di quella città. Questo sistema di convivenza era forse dovuto alla natura agricola delle comunità: per rendere cioè più facili le coltivazioni o la pastorizia dalle quali soltanto si ritraeva nutrimento e vita. Ebbene, l’impossibilità di rintracciare resti archeologici certi dell’antica Amyclae dipende proprio dal fatto che, con le precedenti premesse, essa non fu una vera e propria città intesa secondo i canoni moderni cui siamo abituati, bensì una serie di villaggi simili all’ordinamento di Sparta, e che si riconoscevano col nome comune di Amyclae. Oggi possiamo definire il sistema amiclano come un “distretto di villaggi”; l’esempio di oggi può ben essere quello di Castelnuovo Parano (Fr), comune suddiviso in vari villaggi molto distanti l’uno dall’altro. Così si spiegherebbe anche il “regno di Camerte” su questa tipologia cittadina. Stando, infatti, a quel che scrive Virgilio (Eneide, X, 902-906, traduz. A.Caro)

…. Era Camerte figlio a Volscente, generoso germe del bagnanimo padre, e de’ più ricchi d’Ausonia tutta; in quel tempo reggea la taciturna Amiclae….

Le ipotesi finora avanzate di un singolo ed imponente centro urbano di Amyclae (a Sperlonga o sulla costa di Fondi) non sembrano collimare con la descrizione virgiliana che definisce Camerte uno tra i più ricchi d’Ausonia (Italia); in quell’epoca essere ricchi significava possedere redditi derivanti da vaste estensioni di terreno produttivo e/o altrettabnto vaste estensioni di pascolo per esercitare la pastorizia; all’intera Piana di Fondi e Monte San Biagio dovrebbe, quindi, essere aggiunta anche la porzione di montagne retrostanti. Virgilio fa anche intravvedere un “regno di Amyclae” governato da Camerte, uomo tanto importante da spingere addirittura la ninfa Giuturna, sorella di Turno, a scendere in campo prendendo le sue sembianze (Eneide, XII, 375-378, traduz. A. Caro). Si può, quindi, concludere che, per eseere definito in tal modo, Camerte governava un vasto territorio che non poteva assolutamente limitarsi alle sole rocce di Sperlonga o alla sola striscia costiera tirrenica di Fondi. Non stiamo qui a tediare il lettore con riferimenti di antichi scrittori né a citare quelli più moderni; il tutto sarà oggetto di un approfondimento specifico al quale abbiamo posto mano ma che prenderà tempo avendo soltanto a disposizione risorse personali. Però occorre giustificare questa nostra conclusione. Uno di questi villaggi amiclani fu ingoiato certamente dai lavori per la costruzione della “fossa Neronis”. Sotto Nerone fu intrapresa la costruzione di un lunghissimo canale navigabile (fossa Neronis, parzialmente rilevato dalla fotografia aerea) che avrebbe dovuto congiungere Portus Iulius di Puteoli (Pozzuoli) a Roma, per consentire un traffico sicuro, dalle tempeste, per le navi che rifornivano di grano la capitale. La costruzione del canale fu interrotta alla morte di Nerone e non venne mai completata. L'antico porto costiero venne riscoperto nel 1956 grazie alle foto aeree scattate dal pilota (e sub) militare Raimondo Bucher. Ma di esso pare già parlasse Carlo Ruaeo nel 1750 nel suo commento alle opere di Virgilio assicurando che alcune opere per l’escavo di tale “fossa” fossero iniziate proprio a Fondi nei pressi del Tumuleto (come afferma il fondano Giovanni Sotis dopo il 1834). Specialmente, ancora, due toponimi locali ci hanno portato alle precedenti conclusioni: Obico e Mesole. Come è noto, in questo Lazio meridionale si è verificata una persistenza eccezionale nel nome delle contrade che si è andato diversificando soltanto all’indomani della seconda guerra mondiale. Orbene, nel dizionario toponomastico del Lazio Meridionale a cui stiamo per mettere la parola fine troviamo per Obico: “Òbico, Òbache, Obachelle: il termine, pur nelle sue variazioni dialettali, è sovente attestato nella zona montana del Cairo (Colle S. Magno, Terelle) e dell'altopiano di Pastena, nei M. Ausoni. Secondo l’interpretazione di A. Giannetti (Notiziario archeologico, II, Cassino, 1988, pp. 512-515) dovrebbe derivare da obicio che vale «opporre»; e perciò: monti, colli che ostruiscono il cammino e impediscono la vista. Per Monte San Biagio troviamo la Montagna dell' Obico del Monte della Fico: “giusta nella radice confinante col prato, di mogia approssimative 192, con querce e macchie, suscettibile di solo pascolo”; assegnato all'ex Barone poi Principe D. Vincenzo di Sangro dalla Suprema Commissione feudale colla decisione del 20 Novembre 1810 e soggetto al pieno uso civico” (T. Testa – R. Gigante, Pel Comune di Monte S. Biagio contro il Sig. Francesco Lazzaro e [Vincenzo di Sangro principe di Fondi] a cura di Dario Lo Sordo, Fondi 1991). Riteniamo che in questo caso il toponimo debba ricollegarsi al greco obà, villaggio della montagna. Per quanto riguarda Mèsole lo troviamo come toponimo in Campello d’Itri: “Questa località è un vasto altopiano formato completamente da doline ed in una di queste, posta ai piedi di Monte Ruazzo, sotto una coltre di alberi di faggi, vi è una grotta indicata come Fosso di Fabio; essa è poco profonda e vi si discende con qualche difficoltà per raccogliere l’acqua che filtra dalla roccia e si deposita in una nicchia. Sparsi su tutto l’altopiano vi sono diversi recinti in pietra a secco e numerosi siti abitativi di diverse forme. In particolare, immediatamente vicino alla grotta, a fianco di una roccia, vi sono due di tali siti, di forma, circolare, di modesta dimensioni, che, dallo stato di conservazione, se ne deduce essere molto più antichi degli altri. In mezzo a questi due siti abitativi, sempre vicino alla roccia, vi è un piccolo manufatto di forma, sferica, simile ad una piccola nicchia, provvista di una grossolana apertura: potrebbe essere una piccola edicola votiva dedicata a qualche sconosciuta divinità..…il modesto manufatto lapideo (alt. 1,50 m.; largh. 1,00 m. circa) definito come nicchia si trova esposta ad Est, verso il sorgere del sole, ai piedi del Monte Ruazzo e nell’ambiente prospiciente vi si trova un importante incrocio di antichi sentieri che portano in diverse direzioni esterne a Campello. Dal che se ne potrebbe dedurre essere questo un tempietto arcaico dedicato ad una divinità protettrice dei viandanti come potrebbe essere appunto Ercole, di cui nelle vicinanze antichi documenti ci attestano un Casale intestato proprio ad Ercole….D’altra parte, da questa località è relativamente facile raggiungere il vicino Monte Altino dove esiste il santuario dedicato a San Michele che fu edificato sui resti di un precedente tempio pagano. Ciò dimostra quindi l’esistenza di centri sacrali lungo questi sentieri montani”. Nel toponimo Mèsole riecheggia il nome dello spartano villaggio di Mesoa e l’arcaico tempietto in pietre ne dimostra un’antica frequentazione come anche i vicini “palazzi in opera poligonale” risalenti ad una civiltà “talaiotica” risalente ad almeno quattromila anni fa. In conclusione, potremmo identificare tre villaggi (obà) confluenti nel “regno amiclano” del Camerte virgiliano: quello forse da individuare nella montagna dell’Obico di Monte San Biagio, quello delle Mesole in Campello d’Itri. Il terzo, presso i Tumuleti di Fondi, forse capoluogo del territorio, fu dissipato nella costruzione della “fossa Neronis”. La recente scoperta di un’Amyclae sul monte Pianara di Fondi potrebbe forse essere soltanto un quarto villaggio del “regno amiclano”. Bisogna studiare con metodo questo territorio e non abbandonarsi a facili trionfalismi come da qualche tempo si va facendo in queste nostre contrade. Riassumiamo l’ipotesi storica che nasce dallo scioglimento dei miti e dalle rilevanze rimaste sul territorio. Nel Lazio meridionale, nel corso del secondo millennio a. C., si può contare l’esistenza di tre “regni”: quello di Aeeta per Gaeta e della sorella Circe per il Circeo, entrambi provenienti dall’Oriente; al centro di questi due regni, quello di Camerte che dal mar Tirreno di Fondi s’inerpica verso le montagne che ne sovrastano l’intera Piana.

Il quinto villaggio di Amicle

Nel tempo arcaico, da uno dei cinque villaggi che costituivano la città-stato di Sparta, Amicle, si partì un certo numero di gente di stirpe laconia alla conquista di una nuova terra. Essa trovò conveniente stanziarsi nel territorio costiero tirrenico situato tra Gaeta e Terracina dando vita ad un proprio “regno” esteso sull’attuale Piana di Fondi e Monte San Biagio e sulle montagne retrostanti. Qui, come d’antico è abitudine dei migranti, si dettero un assetto territoriale (urbanistico, come si dice oggi) che ricalcava quello della madrepatria Sparta: una città formata da cinque villaggi, tra i quali Amicle; formarono quindi un distretto di cinque villaggi che chiamarono Amicle in ossequio alla “frazione spartana” di provenienza. In precedenza abbiamo tentato una individuazione della collocazione di quattro villaggi del “regno amiclano” aiutati in ciò dalle emergenze archeologiche ancora esistenti sul territorio, dai lacerti toponomastici tuttora viventi, dall’essere Camerte, al tempo d’Enea, definito da Virgilio come uno dei Re più ricchi d’Italia. Lo stanziamento detto, quindi, poteva ben essere ricco avendo a disposizione una fertile pianura, montagne altrettando comode per la pastorizia (già dall’epoca pre-romana il vocabolo pecus = pecunia, denaro, sta ad indicare il possesso di greggi) dalla quale grossi redditi traevano anche i Caetani fino almeno al 1700. In più, Camerte aveva a disposizione ed aperte le vie del commercio marittimo, anch’esso produttore di redditi d’alto valore possedendo materie da barattare o vendere. Qui sopra noi abbiamo indicato la posizione di quattro villaggi amiclani: sulla montagna dell’Obico (da individuare); nella vicinanza del Porto delle Pietre sulla costiera di Fondi; nella contrada Mesole di Campello d’Itri; sulla montagna di Pianara di Fondi (che riteniamo non esattamente collocata dagli stimati proff. Quilici e Gigli che la ritengono come l’unica città di Amicle); Ma dove sarebbe da collocarsi il quinto villaggio che costituiva il “regno amiclano”? Esso è proprio sotto gli occhi di tutti perché tuttora abitato e trasformatosi oggi in una grande città industriosa e di cultura. Il quinto villaggio che costituiva il “regno di Amicle” non può essere altri che la città di Fondi. Il “fundus” dal quale si fa originare il suo nome non è altro che il “fondo”, la masseria, il villaggio per eccellenza, al quale tutto il “regno amiclano” faceva riferimento e perpetuatosi così nello scorrere dei secoli. I diversi resti di mura ciclopiche, erroneamente datate come tutte le mura ciclopiche del Lazio meridionale, e che Fondi ancora mantiene inglobale nel suo reticolo urbanistico non possono che essere i resti del quinto villaggio del “regno amiclano” e non certo in ordine di importanza. Le grandi impostazioni non servono a svelare il mistero di Amicle; la realtà è molto più semplice di quanto si creda. Amicle fu un “regno” formato almeno da cinque villaggi; alcuni di essi sono scomparsi o di difficile individuazione; ma uno di essi è tuttora vivente: la città di Fondi costruita sui resti di uno di questi villaggi di fondazione amiclana.

di Albino Cece