Tribunale internazionale delle donne per i crimini di guerra: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Esito revisione bozza
→‎Bibliografia: wikifico a little
Riga 36: Riga 36:
==Bibliografia==
==Bibliografia==


* [EN] Alexandra Babovic, ''The Tokyo Trial, Justice, and the Postwar International Order'', Palgrave Macmillan, 2019 − ISBN 978-981-13-3477-1
* {{Cita libro|titolo=The Tokyo Trial, Justice, and the Postwar International Order|autore=Alexandra Babovic|anno=2019|editore=Palgrave Macmillan|lingua=EN|cid=Babovic|ISBN=978-981-13-3477-1}}
* [EN] George F. Blewett, ''Victor's injustice: The Tokyo War Crimes Trial'', in ''American Perspective'', 1950, vol. 4, no. 3.
* [EN] George F. Blewett, ''Victor's injustice: The Tokyo War Crimes Trial'', in ''American Perspective'', 1950, vol. 4, no. 3.
* [EN] ''[https://journals.openedition.org/droitcultures/2189 Charter of Women's International War Crimes Tribunal 2000]'' in ''The Summary of the Findings of Women's International War Crimes Tribunal 2000''.
* [EN] ''[https://journals.openedition.org/droitcultures/2189 Charter of Women's International War Crimes Tribunal 2000]'' in ''The Summary of the Findings of Women's International War Crimes Tribunal 2000''.
Riga 42: Riga 42:
* [EN] Christine Lévy, ''[https://journals.openedition.org/cliowgh/508 The Women’s International War Crimes Tribunal, Tokyo 2000: a feminist response to revisionism?]'' (Tradotto da Anne Epstein), in ''Clio. Femmes, Genre, Histoire'', 2014.
* [EN] Christine Lévy, ''[https://journals.openedition.org/cliowgh/508 The Women’s International War Crimes Tribunal, Tokyo 2000: a feminist response to revisionism?]'' (Tradotto da Anne Epstein), in ''Clio. Femmes, Genre, Histoire'', 2014.


* [EN] Henry Nicola, [https://brill.com/view/book/edcoll/9789004215917/B9789004215917-s018.xml ''Silence as Collective Memory: Sexual Violence and the Tokyo Tria''l], in Y. Tanaka, T.L.H. McCormack, G. Simpson (eds.), [https://brill.com/view/title/16591 ''Beyond Victors’ Justice? The Tokyo War Crimes Trials Revisited''], Leiden, The Netherlands: Brill | Nijhoff, 2011 − DOI https://doi.org/10.1163/ej.9789004203037.i-404.102
* [EN] Henry Nicola, [https://brill.com/view/book/edcoll/9789004215917/B9789004215917-s018.xml ''Silence as Collective Memory: Sexual Violence and the Tokyo Tria''l], in Y. Tanaka, T.L.H. McCormack, G. Simpson (eds.), [https://brill.com/view/title/16591 ''Beyond Victors’ Justice? The Tokyo War Crimes Trials Revisited''], Leiden, The Netherlands: Brill | Nijhoff, 2011 − DOI https://doi.org/10.1163/ej.9789004203037.i-404.102


==Note==
==Note==

Versione delle 10:41, 18 ago 2021

Il Tribunale internazionale delle donne sui crimini di guerra (Tribunale Internazionale delle Donne sui Crimini di Guerra e la Schiavitù Sessuale Commessi dai Militari Giapponesi) è un Tribunale costituito nel 1997 dall’associazione Violence Against Women in War-Network Japan (VAWW-NET Japan) per far seguito alla questione delle cosiddette donne di conforto coreane e, nello specifico, al Processo di Tokyo (Tribunale militare internazionale per l'Estremo Oriente). Il Tribunale nacque, quindi, con l’intento di porre rimedio alla poca considerazione che i giudici del Processo di Tokyo ebbero nei confronti delle donne di conforto e, più in generale, nei confronti dei crimini sessuali durante i conflitti armati. Difatti, il Tribunale criticò apertamente il Processo di Tokyo, sottolineando come le decisioni prese dai giudici fossero incentrate prevalentemente e quasi esclusivamente a condannare i soldati dell’esercito giapponese autori di crimini di guerra piuttosto che aiutare queste donne ad avere giustizia.

Per capire, però, perché il Processo di Tokyo non abbia prestato molta attenzione ai crimini di genere o di origine sessuale, bisogna analizzare il contesto dell’epoca. Come venne infatti enfatizzato, il Processo di Tokyo prevedeva anche accuse incentrate proprio su queste tipologie di crimini, ma esclusivamente come un termine di paragone per capire la magnitudo dell’aggressività e la crudeltà del Giappone nei confronti delle popolazioni locali[1]. Bisogna ricordare, infatti, che molte delle violenze carnali che rientrano nella categoria dei crimini sessuali durante i conflitti armati propriamente detti sono state definite in modo ufficiale, e quindi riconosciute come crimini imputabili presso i Tribunali, solo recentemente. Gli stessi crimini sessuali durante i conflitti armati sono, ancora oggi, scarsamente definiti dalla giurisprudenza internazionale. La definizione attuale, presente nel “Rapporto annuale 2019 del Segretariato delle Nazioni Unite[2]” li definisce come tali:

«La dicitura “crimini sessuali durante i conflitti armati” fa riferimento a stupro, schiavitù sessuale, prostituzione coatta, gravidanze forzate, aborto coatto, sterilizzazione forzata, matrimoni forzati e qualsiasi altra forma di violenza sessuale di gravità equiparabile, direttamente o indirettamente collegata ad un conflitto, compiuta nei confronti di donne, uomini, bambine e bambini.»

Sempre relativamente al contesto storico dietro ai crimini contro le donne di conforto, il Tribunale internazionale delle donne del 2000 fece una chiara distinzione tra responsabilità individuale e di Stato, mentre il Processo di Tokyo non presentava questa distinzione e si concentrava esclusivamente sulla responsabilità individuale. Più precisamente, la Carta del Tribunale Internazionale Femminile di Tokyo dedica l’Articolo 3[3] alla responsabilità individuale e l’Articolo 4[4] alla responsabilità di Stato, elencando i criteri, tra cui vi sono atti o omissioni compiuti dallo Stato, per i quali la responsabilità di Stato è considerata come tale e, quindi, applicabile.

Il Tribunale si oppose apertamente, tramite l’Articolo 6[5] della propria Carta, anche allo Statuto del Processo di Tokyo e alla decisione del Governo giapponese di applicare la prescrizione per i crimini che rientrano, genericamente, nella categoria dei crimini sessuali durante un conflitto armato, in cui rientrano ovviamente anche i crimini subiti dalle donne di conforto.

Considerando le accuse di false testimonianze, il Tribunale si prefissò l’obiettivo di indicare anche, seppur non troppo nello specifico, le modalità per l’accertamento dei fatti da presentare ai giudici. L’Articolo 9[6] della Carta elenca, quindi, le tipologie di prove che possono essere considerate valide dal Tribunale:

«(a) documentazione: Prove scritte quali documenti ufficiali, affidavit/deposizioni, dichiarazioni firmate, diari, lettere/note o ulteriori documenti, pareri degli esperti, foto e altri documenti di tipo visivo;

(b) testimonianze personali: Testimonianze scritte o orali dei sopravvissuti e dei testimoni, dichiarazioni di testimoni esperti;

(c) prove materiali: Ulteriori prove fisiche e materiali considerate rilevanti.»

L’Articolo 9 della Carta del Tribunale Internazionale delle Donne è, inoltre, facilmente collegabile alla Regola 94 delle Regole di Procedura e di Prova della Corte Penale Internazionale[7], finalizzando la raccolta delle prove alla richiesta di indennizzo.

Un altro articolo della Carta del Tribunale Internazionale delle Donne che è considerato fondamentale nel caso delle donne di conforto, e che può essere considerando come un precedente per la considerazione nei confronti delle vittime di crimini sessuali durante i conflitti armati, è l’Articolo 13[8]. Tale articolo, difatti, enfatizza l’importanza dell’incolumità delle vittime, stabilendo nel contempo che debba essere il Tribunale Internazionale Femminile ad assumersi la responsabilità di proteggere sia le vittime sia i testimoni dei crimini, offrendo la possibilità, ove necessario, di partecipare al processo per via telematica, senza così doversi recare personalmente in Tribunale ed evitare, quindi, di incorrere in incidenti che potrebbero compromettere l’incolumità delle persone coinvolte.

Il Tribunale Internazionale delle Donne, pur non avendo il potere di applicare il proprio verdetto, riuscì nel suo intento di fare ammenda per ciò che il Processo di Tokyo aveva lasciato indiscusso. Infatti, il Tribunale arrivò a considerare l’Imperatore Hirohito imputabile di negligenza criminale secondo gli Articoli 2[9] e 3 della propria Carta, riconobbe il Generale Matsui colpevole di aver partecipato nel sistema di schiavitù sessuale e, soprattutto, riuscì a far raggiungere al caso delle donne di conforto visibilità internazionale, combattendo al contempo il revisionismo di Stato messo in atto dal Governo giapponese tramite la distruzione di documenti fondamentali per i processi nei confronti dei criminali di guerra giapponesi, tra cui comparivano anche documenti che descrivevano dettagliatamente il sistema di prostituzione forzata cui erano costrette le donne di conforto.

Voci correlate


Bibliografia

  • (EN) Alexandra Babovic, The Tokyo Trial, Justice, and the Postwar International Order, Palgrave Macmillan, 2019, ISBN 978-981-13-3477-1.
  • [EN] George F. Blewett, Victor's injustice: The Tokyo War Crimes Trial, in American Perspective, 1950, vol. 4, no. 3.
  • [EN] Charter of Women's International War Crimes Tribunal 2000 in The Summary of the Findings of Women's International War Crimes Tribunal 2000.

Note

  1. ^ (EN) Alexandra Babovic, The Tokyo Trial, Justice, and the Postwar International Order, Palgrave Macmillan, 2019 − ISBN 978-981-13-3477-1
  2. ^ (EN) Segretariato Generale delle Nazioni Unite, Conflict Related Sexual Violence, S/2019/280, 29 March 2019.
  3. ^ (EN) Carta del Tribunale Internazionale delle Donne, in The Summary of the Findings of Women's International War Crimes Tribunal 2000, Articolo 3.
  4. ^ Carta del Tribunale Internazionale delle Donne, ibid., Articolo 4.
  5. ^ Carta del Tribunale Internazionale delle Donne, ibid., Articolo 6.
  6. ^ Carta del Tribunale Internazionale delle Donne, ibid., Articolo 9.
  7. ^ (EN) Corte Penale Internazionale, Rules of Procedure and Evidence, ICC-PIDS-LT-02-002/13_Eng, The Hague, International Criminal Court, 2013.
  8. ^ Carta del Tribunale Internazionale delle Donne, ibid., Articolo 13.
  9. ^ Carta del Tribunale Internazionale delle Donne, ibid., Articolo 2.