Rosanera

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Rosanera è un libro di poesie di Paolo Zannella, edito da Guanda nel 1957, nella collana Falena (n°51).

Nella prefazione il critico Carlo Bo scrisse: una profonda serietà è il carattere di queste 22 poesie, che si esprime ora in accenti di umile sofferenza, ora in gridi violenti, ora si placa in dolci immagini di "Bianchi Paesi del Sud", o mitiche liturgie. Qua e là, nell'impeto del sentimento, nella forza semplice, elementare degli affetti trattiene a stento qualche preciso tocco di satira e l'immediatezza di un canto sociale. E d'altra parte c'è il dolce indugiare sul suono e il canto della parola: "oh!, broccato delle rose di Moguer nei penduli cieli di settembre". L'autore è nato in Ciociara, a Fondi, l'antico paese della quinta satira di Orazio.

Indice delle poesie[modifica | modifica wikitesto]

  • Ragioni
  • Meditazioni
  • Lenzuola di bronzo
  • Un tempo lontano
  • Rivelazioni degli angeli
  • Rosanera
  • L'essere che non verrà mai
  • Riflessi
  • L'ospite di Trastevere
  • Cieli di favola
  • Ora evangelica
  • Bianchi Paesi
  • Segovia
  • Il viandante
  • Liturgia pagana
  • Ombre
  • Luoghi
  • La conversazione del corvo
  • Vento delle mimose
  • Ricami
  • Balcone sull'aranceto

 
Il mio cuore è una palma che cresce -
in un clima senza sole.

 
Ragioni
Mi sono asciugato -
nei vorticosi silenzi della prateria; -
-
Oh gli archi punteggiati della distesa -
sui fianchi delle rose. -
Ora cavalco selvaggiamente -
sul mio puledro, verso le miracolose -
stazioni dell'imprevisto

 
Meditazioni
Il vento ha i suoi chitarristi -
le cui canzoni sono sempre malinconiche. -
-
Ecco perché il mare non ama la nenia dei venti:-
sente negli abissi le voci dei naufraghi.-
-
I cimiteri hanno il volto della desolazione -
e le ghirlande sembrano madri impazzite per sempre. -
Ecco perché la notte non parla del suo lutto.
-
Ma la gioia, ahi la gioia, -
ha radici più profonde del mistero; -
ecco perché i morti sono avidi di luce.

 
Lenzuola di bronzo –
Della mia giovinezza, ricordo solo-
le lunghe solitudini di dolore. –
Non potrò mai ridere, non potrò mai –
dimenticare i veli malinconici –
di quelle nere stagioni di marmo. –
-
Nel mesto paese ov'io nacqui -
- focolaio di paludi e malaria –
attraverso le nebbie dei pantani -
imparai a camminare in ginocchio –
verso l'alto risveglio. -
Chi porterà la mia voce nel cuore della Metropoli? –
-
I soli che scavarono gli angoli della mia afflizione-
furono i tamburi delle selve: -
Echi leggendari della natura in sboccio. -
-
O neri mattini, lenzuola di bronzo -
sul tappeto della mia vita, vidi ricamate -
vagamente colonne di rubini, -
ma la famelica voce del cielo –
scagliava sulle mie fragili antenne –
il grido degli amari precipizi. -

 
Segovia -
Dolce è il suono delle chitarre, -
come la carezza delicata d'un sogno -
cullato da mille voci, -
immerse negli aromi -
di vaghi paesi lontani. -
 -
Chitarre, rapitemi chitarre, -
nei vostri voli d'arcobaleno -
sento che la musica -
ha più coralità di pensieri, -
che il motivo di un accordo profondo -
del mio mare sempre inquieto -