Utente:Veronicafyves5/Sandbox

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L'art. 6 ATAD 1: General anti avoidance rule (GAAR)

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In materia antiabusiva fondamentale è l’art. 6 ATAD 1 che disciplina l’attuale General anti avoidance rule (GAAR), riprendendo e superando le precedenti formulazioni. La norma si riferisce a tutte quelle ipotesi di abuso che non sono contrastate da specifiche leggi e ha quindi valenza generale[1]. Tale caratteristica, unita ad una formulazione testuale poco chiara, è stata ritenuta dannosa per la certezza del diritto e quindi, da alcuni, criticata. Dal punto di vista strutturale, la norma può essere suddivisa in due requisiti cumulativi, uno di tipo oggettivo e uno di tipo soggettivo[2]. Nel valutare la presenza o meno di abusività si richiede un primo test riguardante la “non genuinità” della condotta del contribuente. Il comma 1 dell’art. 6 ATAD 1 afferma che un’operazione deve ritenersi “non genuina” quando non viene attuata “per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica”. Si prendono poi in considerazione le finalità perseguite dal contribuente, contrastando quelle costruzioni il cui scopo principale o “uno degli scopi principali” è l’ottenimento di “un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile”. In conclusione, il terzo comma dell’art. 6 ATAD 1 si preoccupa delle conseguenze giuridiche in caso di abuso, specificando che l’indebito vantaggio fiscale va neutralizzato con l’applicazione della normativa nazionale. Attualmente, più del 50% degli Stati membri UE presenta, all’interno del relativo ordinamento nazionale, una clausola generale antiabuso che può ritenersi conforme ai livelli minimi di tutela richiesti dalla GAAR europea di cui all’art. 6 ATAD 1. Tali dati emergono anche dalla relazione della Commissione Europea n. 383 del 19 agosto 2020 concernente lo stato di avanzamento dei controlli sul recepimento della direttiva ATAD 1. Tra gli Stati che hanno superato positivamente il vaglio di conformità troviamo, per esempio, Grecia, Francia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia. Alcuni Stati membri non sono intervenuti con una diretta trasposizione dell’art. 6 ATAD 1 sostenendo di avere già clausole generali antiabusive di valore corrispondente.

Tra gli Stati Membri che non hanno recepito la GAAR europea, emblematico è il caso del Belgio. La clausola antiabuso doveva essere recepita entro il 31 dicembre 2019 e se, in un primo momento, il legislatore belga ha annunciato un nuovo testo contenente una puntuale trasposizione della GAAR europea, questo non ha mai emanato tale disposizione ritenendo che la normativa nazionale esistente fosse già un recepimento adeguato. La materia, infatti, risulta essere già disciplinata dalla normativa nazionale dal 2012, all’art. 344, comma 1, del Code des impots sur les revenus (CIR). Sovrapponendo i due testi normativi, il legislatore belga ha mostrato come la disciplina nazionale rispetti i requisiti dettati posteriormente dalla direttiva ATAD 1 nel 2016. Ciò perché l’art. 344 del CIR è stato posto in essere seguendo i principi dettati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE che, già prima degli interventi legislativi unionali, vietava pratiche abusive. La dottrina nazionale belga, sezionando il testo dell’art. 344 del CIR, ha fatto luce sulle analogie che intercorrono tra l’articolo in esame e la GAAR di cui all’art. 6 ATAD 1 e si è preoccupata di chiarire i punti discordi. Nel testo dell’art. 344 del CIR è assente il carattere di “non genuinità” delle operazioni, mancanza che può essere colmata, secondo la dottrina, grazie alla previsione implicita del test di artificiosità che ricalca quanto previsto dalla disposizione unionale. Secondo questa corrente di pensiero, la GAAR belga del 2012 risulta recepire correttamente quella europea contenuta all’art. 6 ATAD 1 e quindi il legislatore nazionale, scegliendo di non intervenire con l'emanazione di un nuovo testo normativo, non risulta inadempiente.

Con riguardo all’Italia nel 2015, il legislatore interno ha recepito il testo della Direttiva 2015/121/UE novellando lo Statuto dei diritti del contribuente con l’introduzione dell’art. 10-bis e per questo ha ritenuto di non doversi adeguare nuovamente alle previsioni del 2016 di cui all’art. 6 ATAD 1, come chiarito nella relazione illustrativa al decreto legislativo 142 del 2018. Diversi orientamenti dottrinali si sono interrogati sulla ragionevolezza di questa scelta, domandandosi se sia corretto ritenere sovrapponibili l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente e l’art. 6 ATAD 1. Per lo statuto dei diritti del contribuente, configurano abuso del diritto, e quindi non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, quelle operazioni “prive di sostanza economica” che “pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. Su un piano formale, la prima differenza degna di nota è relativa al concetto di “genuinità”, presente a livello europeo e assente nella disciplina interna, dove si parla invece di “sostanza economica”. Questo contrasto terminologico potrebbe portare l’interprete a pensare che ci sia differenza anche sul piano sostanziale. La “sostanza economica”, rispondendo all’esigenza di verificare la coerenza tra le forme impiegate dal contribuente e gli obiettivi da raggiungere, trova esplicazione sul piano oggettivo, mentre l’art. 6 ATAD 1, riconoscendo come “non genuine” tutte quelle costrizioni poste in essere “per valide ragioni commerciali”, sottolinea la necessità di indentificare i motivi per i quali l’operazione è stata portata a termine introducendo così un elemento di soggettività all’aspetto meramente oggettivo. La dottrina maggioritaria risolve la divergenza sussumendo entro la GAAR tutti quei casi in cui il risultato economico è conseguito attraverso mezzi legali sproporzionati e percorsi che non rispecchiano le ragioni commerciali perseguite: così facendo si va oltre alla mera volontà del contribuente e si rende la posizione unionale più oggettiva, quindi sovrapponibile rispetto a quanto disciplinato dall’art. 10-bis dello Statuto. È bene sottolineare ancora che una parte autorevole della dottrina ha specificato che la GAAR di ATAD 1, definendo “non genuina” un’operazione che “non rispecchia la realtà economica”, comprende sia le situazioni abusive, contrastate dallo stesso art. 10-bis dello Statuto del contribuente, sia quelle simulate, che richiedono, invece, la condotta fraudolenta del contribuente e sfociano nell’ambito della frode fiscale, escluso dal 10-bis. Nonostante l’art. 6 ATAD 1, da questo punto di vista, abbia un raggio di applicazione maggiore, l’Unione Europea ha comunque lasciato al legislatore nazionale la possibilità di regolare distintamente quei comportamenti abusivi che volutamente non rispettano la realtà economica rispetto a quelli apparenti e simulati. Così ha fatto l’ordinamento italiano che ha assoggettato al regime dell’art. 10-bis soltanto quelle operazioni illecite prive di sostanza economica poste in essere, volutamente, ai fini di ottenere un indebito vantaggio fiscale, mentre se si è in presenza di un’operazione priva di sostanza economica apparente, frutto di una macchinazione fraudolenta, la normativa da applicare è quella dettata dagli artt. 1, lett. g-bis e 3 del D.lgs. n. 4/2000 integrati dal D.lgs. n. 158/2015 concernete le operazioni simulate di evasione . Più complicato risulta il confronto relativo al requisito del “vantaggio fiscale indebito”. La GAAR europea lo intende quale scopo principale della condotta, mentre l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente lo reputa scopo essenziale. In entrambi i casi l’illegittimità del vantaggio si manifesta quando lo stesso contrasta con il fine della normativa elusa, ma se per l’art. 6 un’operazione non è genuina, dunque sanzionabile, tutte le volte in cui risulta indebito anche solo uno dei diversi scopi perseguiti, per l’art. 10-bis è necessario che il risparmio fiscale sia unico obiettivo dell’operazione realizzata dal contribuente, il quale potrà così addurre a sua discolpa l’esistenza di diverse e “valide ragioni extrafiscali non marginali”. Ne consegue allora che l’art. 10-bis, rispetto al corrispettivo europeo, richiede una soglia più elevata per l’accertamento dell’abuso e quindi maggior aggravio in capo all’Amministrazione finanziaria in termini di attività istruttoria, obblighi motivazionali dell’atto impoesattivo e onere della prova. Una soglia più elevata implica minor sanzionabilità, ma non per questo la normativa italiana non rispetta il livello minimo di tutela imposto dall’ordinamento UE. Come sottolinea buona parte della dottrina, infatti, dall’art. 6 ATAD 1 emerge un’incongruenza: dopo aver introdotto il concetto di “non genuinità”, l’articolo specifica nel suo secondo comma che “ai fini del paragrafo 1, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica”. Dunque, a contrario, qualora un’operazione sia sostenuta da legittime ragioni commerciali, non può che considerarsi genuina. Una tale conclusione però contrasta con quanto stabilito al primo comma. In breve, il secondo comma modifica il test sugli scopi dell’operazione, come se al posto dell'aggettivo "principale" ci fosse invece scritto "essenziale", esattamente come per l’art. 10-bis dello Statuto. Alcuni orientamenti dottrinali superano la contraddittorietà interna allo stesso art. 6 privilegiando proprio il secondo comma sul primo, sussumendo quindi entro la non genuinità solo quelle condotte in cui il risparmio fiscale indebito sia scopo essenziale. Da un altro punto di vista, si considera non assoluto il requisito di “essenzialità” dell’art. 10-bis, poiché l’articolo stesso, introducendo il concetto di “non marginalità” in relazione alle ragioni extrafiscali che il contribuente può addurre come prova contraria, sembra prescrivere, almeno indirettamente, che l’abuso del diritto possa configurarsi anche qualora il vantaggio indebito perseguito sia scopo solo prevalente. Fatte queste precisazioni, alcuni critici hanno ritenuto superabile la problematica contrapposizione tra un vantaggio fiscale indebito inteso quale “scopo principale” ovvero quale “scopo esclusivo”. C’è invece chi ritiene superato il test soggettivo della GAAR europea anche in tutte quelle ipotesi in cui valide ragioni commerciali coesistono con indebiti scopi fiscali. In questo caso viene privilegiato il primo comma sul secondo. Sostenendo allora in questo caso che l’art. 10-bis italiano, richiedendo una soglia più elevata per l’accertamento di uno schema elusivo, non soddisfi lo standard minimo di tutela previsto dalla Direttiva ATAD 1. In ogni caso, a prescindere dalle differenti formulazioni delle due clausole, rimane una difformità c.d. ratione personae: l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente si applica a tutte le tipologie di imposizione reddituale, mentre l’art. 6 ATAD 1 si riferisce ai soli contribuenti soggetti alle imposte sulla società.