Utente:Smèagol/Prova2

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Conferenza 1, di Oriana Palusci
I miei interventi li trovate in Grassetto


Londra, estate 1980. Regent's Park, Inner Circle. Incontro annuale della Tolkien Society. Sto scrivendo il mio libro su Tolkien. Raggiungo il parco e l’attraverso; mi trovo davanti giovani, molti dei quali coperti di mantelli che cantano felici. Il raduno prevedeva in pratica una festa in mezzo alla natura, fra il verde dei prati e i bellissimi fiori del parco. L’Inner Circle, il cerchio x terra, si trasforma in qualche ora in zona magica, le differenze spariscono, diventiamo tutti parte di un inno alla natura, si balla, si canta, si beve, si citano passi da The Lord of the Rings, si crea un’atmosfera da sogno. È vero che la memoria glissa su certi episodi, ero effettivamente più giovane anch’io, ma non potrò mai dimenticare il desiderio comune di celebrare la natura, le piante, il cielo e la terra.


In quegli anni si cominciava a parlare di ecologia e inquinamento, e per alcuni la Middle-earth incarnava, in qualche modo, un forte principio di difesa ecologica. La natura intesa come esperienza liberatoria, ritorno alle origini, a un’era prima di macchine. Vorrei a questo punto ricordarvi un aneddoto su tolkien e sulla sua Morris; nel 1932 T. acquistò la prima automobile, una Morris [che macchina è la morris??], e imparò a guidare a 40 anni. Si dice che guidasse così male per le strade di Oxford che la famiglia, la moglie Edith in particolare, fosse restia a salire in macchina. In poche parole era un guidatore pessimo; il razionamento della benzina dopo lo scoppio della guerra pose fine alla sua guida, diciamo, poco ortodossa; aveva anche preso, ad esempio, in pieno un muretto. Dopo la guerra non guiderà più e non possiederà più un’automobile. Forse Tolkien era consapevole già allora degli effetti negativi del motore a scoppio e del fatto che la costruzione di nuove strade nuocesse all’ambiente. Passo adesso alle passeggiate di T.; T. non era un escursionista, non faceva trekking; come alcuni suoi amici e colleghi Inklings. Ad es. penso a un’escursione fatta assieme a CS Lewis e all’amico Owen Barfield nell’aprile del 1937 e a come T. aveva trovato troppo faticoso percorrere più o meno 20 miglia al giorno con un carico pesante sulle spalle; in questa escursione nel West Country precisamente nel Devon, le cui colline e la cui bellezza paesaggistica sono rinomati in Inghilterra, T. invece di fare questi lunghi percorsi pensava che una gita in campagna significasse fermarsi ogni minuto per esaminare piante e insetti da vicino. Più appassionato dalle passeggiate occasionali che un escursionista T. amava camminare tra gli alberi per riflettere sulla creazione e il creato. Ad esempio in una mite serata del 1931 passeggia con Lewis e altri amici lungo i sentieri all’interno del Merton College, che si dipanano lungo una serie di fiumiciattoli affluenti del Tamigi; durante la passeggiata disquisiscono sul mito e T., come ispirato dalla natura circostante, ribadisce la sua concezione sulla creazione e sulla sua convinzione che i primi uomini avessero intessuta la realtà di miti. T. soleva passeggiare anche lungo le rive del Tamigi e fare gite in barca sui suoi affluenti assieme ai figli, aveva affittato una barca per un periodo.


L’amore di T. per gli alberi si può riscontrare nella scelta stessa dei titoli di alcune sue opere, Albero e foglia ad es., in cui costruisce un procedimento analogico tra il pittore-artista e il creatore di altri mondi attraverso la rappresentazione pittorica, appunto, di foglie e di tutto l’albero. Grande spazio narrativo è dedicato ai boschi e alle foreste in LotR, in un crescendo che si sviluppa da avventura a avventura, da una trama all’altra. Basti pensare alla Old Forest, al bosco di Lothlorien, alla foresta di Fangorn, che attestano la passione e la competenza di T. per il mondo vegetale, the passioned love of growing things, “l’amore passionale per le cose che crescono”. Invece di attingere semplicemente al mondo dei miti arborei […] T. fa ricorso ad una visione naturale, organicistica, direi, e allo stesso tempo autobiografica e individuale. In una lettera del Nov 1969, ribadisce la sua competenza nella nomenclatura botanica e la sua passione per i libri di botanica, in aggiunta alle sue visite all’orto botanico di Oxford che era al di là del ponte, quindi di fronte al Merton College dove si riuniva con l’amico Lewis. Alla stregua di un botanico del mondo secondario, T. infonde vita e vitalità agli alberi distinguendoli per aspetto fisico, divisione, classe e ordine. Inoltre a seconda della loro “natura” egli li caratterizza come fossero personaggi di grandi dignità , che respirano e partecipano all’azione senza però perdere le loro qualità arboree. Sono alberi che appartengono fortemente alla terra di mezzo, al mondo secondario di T, a cui danno sostanza e concretezza. T crea, a mio parere, un suo personale atlante delle piante; la TdM, frutto dell’immaginazione tolkieniana, si salda simbolicamente e narrativamente nelle pagine di Lotr non solo grazie alla storia e alla geografia, ma a mio parere grazie alle radici intricate, profonde, antiche vive e vegete dei diversi alberi che la popolano, che appongono e consolidano la TdM a guisa di una sorta di Laputa della mente, l’isola volante di Gulliver, in equilibrio meraviglioso, non grazie a un meccanismo magnetico, bensì a un atto di, come direbbe Tolkien, sospensione dell’incredulità, un atto di fede, nella concezione di un mondo parallelo. Gli alberi di T sono i testimoni naturali del susseguirsi delle ere, coloro che recano sul loro stesso corpo i segni massicci e devastanti dei cambiamenti, coloro che stanno perdendo la battaglia contro l’avanzata tecnologica di Saruman e Sauron. A livello di rappresentazione narrativa il creatore di una mitologia d’Inghilterra è ben consapevole del compito arduo che ha davanti; gli alberi secolari del suo mondo dovranno, come sappiamo, somigliare a quello divino, ma anche prendere linfa dalla sua immaginazione linguistica e letteraria. Nel suo grande affresco storico-geografico, Tolkien gioca abilmente con età e dimensione, servendosi di generi narrativi come tragedia e commedia. L’anzianità degli alberi viene giustapposta all’apparente irrilevanza dei piccoli mezz’uomini, creando effetti ora di comicità ora di dramma. Inoltre gli alberi della tdm non sono tutti uguali; appartengono a famiglie e ad epoche diverse, e reagiscono secondo il proprio intelletto naturale ai cambiamenti. In Leaf by niggle, T aveva cercato di risolvere i problemi della rappresentazione della natura a livello estetico, in Lotr torna sul problema, proponendo una serie di soluzioni e variazioni incentrate sul mondo arboreo. […] una serie di note, canti e melodie portate dal vento, udibili solo da orecchie innocenti.


Nella Old Forest, tra Bucburgo e i tumulilande, gli alberi sono ostili e cattivi; Old Man Willow (Vecchio uomo salice) è un salice vecchio e malvagio che si comporta, come dice il nome un salice che è un vecchio ma anche un vecchio che è un salice, in un equilibrio narrativo basato sull’umanità della pianta che prova emozioni, sentimenti, ricordi, che ha compiuto delle scelte. Mi viene in mente un esempio al contrario: l’età della macchina ha portato all’invenzione dei robot, e di altre creature dell’immaginario scientifico; Tolkien oppone un suo processo naturale dando sostanza a creature arboree; tuttavia anche un albero può diventare maligno, e inghiottire le creature che gli si avvicinano. Difatti Pippin sparisce dentro OldMan Willow, mentre Merry scalcia con i piedi all’infuori nella morsa della corteccia; Frodo a sua volta quasi annega sotto la pressione di una radice dell’albero. La creatura arborea dispettosa è un grande ammaliatore col suo canto; è una sorta di, se posso, Sirena leggendaria, come spiegherà il master della foresta, Tom Bombadil, altra creatura antichissima [qui dice che farà le citazioni in inglese non per parlare con la voce di Tolkien, ma per dare un senso di estraneamento; e di fatti fa una lunga ed incomprensibile -l’accento è pessimo- citazione da Lotr, che mi pare corrisponda alla parte italiana a pag. 161 dell’ed illustrata da Alan Lee.. se qualcuno può fare di meglio si accomdi]. Gli Hobbit non possono resistere a Old Man Willow. Un Salice, sopravvissuto, che ricorda i tempi in cui era un Signore; per duellare con una forza naturale occorre l’intervento di Tom Bombadil che ricorda, ma che soprattutto sa narrare i vecchi miti e le storie della foresta. Col dolce canto di Tom Bombadil, un essere senza tempo, Old Man Willow libererà i due malcapitati Hobbit.


Invece il bosco di Lothlorien è l’opposto; è la dimora degli Elfi silvani, e l’utopia degli alberi, anch’essi immortali, generati dall’arte suprema di cui gli Elfi si fanno interpreti. Spiega Legolas alla compagnia mentre si avvicinano al bosco “in autunno le loro foglie non cadono, bensì diventano d’oro”. [altra citazione inglese “Non ci sono altri alberi come questi nel mondo…”]. Non si tratta di alberi sempreverdi, ma di alberi sempre in vita che seguono altre stagioni, altri cicli vitali dove non avviene una fotosintesi clorofilliana; in autunno le foglie non cadono, bensì diventano d’oro, in primavera cadono le foglie d’oro e spuntano le foglie verdi, adorne di fiori d’oro; invece di sintetizzare sostanze organiche grazie all’energia luminosa, nel bosco dei primi abitanti di questa terra la sintesi pare avvenire direttamente, come se le foglie, assorbiti magicamente i raggi del sole, fossero anch’esse dei soli autunnali, ad illuminare la terra degli elfi. Non si tratta del mondo delle favole, qui è il Golden Wood, al centro della scena; nel suo personale atlante delle piante Tolkien dà a queste piante il nome mallorn con un plurale irregolare mellyrn, albero-alberi d’oro, una specie di cui persino l’elfo Legolas ha una conoscenza indiretta, avendone udito il nome solo nelle canzoni. L’introduzione dei meravigliosi mellyrn avviene per tappe, ricordato la costruzione lenta e meticolosa che fa T del suo arazzo, che è appunto la Middle-earth; prima Legolas li descrive alla Compagnia in lontananza, poco dopo la Compagnia arriva nel bosco degli alberi d’oro, e può verificare la bontà dei dettagli della descrizione, inoltre (fase successiva) l’elfo spiega come i possenti mellyrn, dal trono argenteo, si dividono vicino alla sommità a formare una corona. L’abile procedimento narrativo prosegue, perché questi alberi fantastici permettono a Tolkien di inventare un antico popolo, i Galadhrim, i tree-people, la gente degli alberi, che costruivano le loro dimore tra gli alberi, in un connubio diretto tra mondo vegetale ed elfico. Ma anche la realtà dei bellissimi mellyrn è minacciata dalla presenza degli Orchi.


Dopo Old Man Willow e la descrizione dei mellyrn, Tolkien ci introduce nella Foresta di Fangorn, e finalmente crea l’incontro tra i due Hobbit in fuga e gli Ent, che sintetizzano, se mi permettete, l’“alberità” dell’albero. “Ent”, come precisa T, è la parola anglosassone per “giant or mighty person of long ago”. Se, come ribadisce T, la TdM deve avere profondità storica, gli Ent rappresentano il lontano passato, fanno parte di un mondo primordiale. Gli Ent, come scrive T in una lunghissima lettera del 1950 per convincere a pubblicare assieme sia Il Silmarillion che TLotr, cosa che non è stata mai fatta, sono “remarcable, old subliving rational creatures, shepherd of the trees” [non sono affatto sicuro], pastori degli alberi. Anche la loro genesi è stata lenta; se seguiamo le lettere nel nov ’44 T si chiede “What happens to the Ents? I don’t know yet” e ancora, nel ’56 [altra roba incomprensibile] e ancora nel ’63 ribadisce il carattere quasi epifanico, ispirato della sua invenzione arborea [roba incomprensibile in inglese]; ma come aveva già fatto notare [manca un pezzo, non capivo] ...una sorta di pozione artistica dagli straordinari risultati narrativi. T ammette che Barbalbero nasce da un’ispirazione diversa da quella degli altri personaggi: [citazione incomprensibile nel complesso]. Il prof di filologia, sempre pronto a spiegare puntigliosamente le radici linguistiche delle sue invenzioni non fornisce fonti per Treebeard; il nome stesso è quasi scontato, formando dal composto barba-albero, che dà più l’idea di un vecchio che di un albero, il quale tuttavia è, come detto prima, la più antica delle creature razionali. Invece dei dinosauri, Tolkien popola il passato della TdM di creature viventi e senzienti, ma non appartenenti al mondo animale, ma a quello vegetale. Gli Ent sono alberi secolari, spiriti della natura di un mondo vivo di esseri mitologici, essi sono anche spiriti della natura come ad esempio è Totoro la creatura verde creata dal regista giapponese Miyazaki che rende chiaramente omaggio a Tolkien. Gli ent sono una sorta di “branco di alberi”, abitati da spiriti, chiamati a raccolta da Yavanna, colei che sorveglia il mondo vegetale, come guardiani dell’[…] fino al dominio degli Uomini [?]. Gli Ent di Barbalbero sapranno guidare i giovani Ent nell’assalto a Isengard e alla Torre di Saruman. Agli Ent T dona un linguaggio tutto loro, l’entese, che li rende credibili in più di un modo; da buon filologo T sa che un parlante si fa senza dubbio portavoce di una cultura.


Vorrei soffermarmi brevemente sulle dinamiche narrative dell’incontro tra i due Hobbit e Barbalbero, razze reciprocamente ignote, entrambe proiezioni dell’esigenza tolkieniana di popolare la TdM con personaggi straordinari, simili agli uomini ma anche diversi, e che incarnano alcune qualità umane destinate a scomparire, come l’amicizia, la fedeltà, l’onore, il coraggio. Cos’hanno in comune Hobbit ed Ent? Brevemente i piedi; piedi strani e grossi. Da una parte gli Hobbit li hanno enormi e pelosi, gli Ent hanno piedi fronzuti con 7 dita per piede. L’incontro: Merry e Pipino arrivano senza fiato nella foresta di Fangorn; tra gli alberi giganteschi trovano una parete rocciosa munita di scale che conduce ad un ripiano in alto; mentre sono intenti ad ammirare dall’alto la foresta, il dialogo fra i due viene interrotto da una terza voce misteriosa [intervento di Barbalbero], ma che subito assume un tono imperativo: Turn round! Voltatevi!, due grosse mani nodose li girano di scatto e due grosse braccia li sollevano. Dopo che la voce narrante ha descritto l’essere alto 14 piedi, 5 mt circa, il lettore visualizza la scena: i due Hobbit sono tra le grinfie di questa creatura. La scena dell’incontro è senza dubbio comica: dopo un primo momento di sbalordimento, Merry e Pipino non hanno paura, e funge questa scena, a mio parere, come una sorta di comic relief, un intermezzo comico sia per i lettori che per gli hobbit stessi, scampati alle grinfie degli Orchi, delle creature del male. La parola passa a questo punto al “gigante dagli antichi occhi”, che ammette che in altre circostanze, se non gli avesse cioè sentiti parlare, li avrebbe semplicemente calpestati. A questo punto Tolkien ribadisce un dibattito tra le due razze, che si interrogano a vicenda sulla loro identità: “What are you?” chiede Pippin. “What are you?” chiede a sua volta, meravigliato, l’Ent. Mi pare che qui ci sia un omaggio, da parte di Tolkien, a un altro professore di Oxford, a Lewis Carrol, al suo Alice in Wonderland, nella scena in cui il Caterpillar, il Brucaliffo, con voce burbera chiede ad Alice “Who are you?”. Le spiegazioni reciproche, a mio parere, assolvono almeno a due funzioni narrative: la prima conferisce verosimiglianza agli Ent (il lettore, dopotutto, conosce già gli Hobbit, almeno da 480 pagine); in secondo luogo serve da digressione storica che intesse fili di racconti precedenti: infatti Barbalbero è in grado di inserire nuovi tasselli nell’arazzo tolkieniano. Potrei aggiungere una terza funzione, facendo riferimento al ruolo cruciale per T dei nomi: dice la creatura arborea: “My name is growing all the time, and I've lived a very long, long time, so my name is like a story”; il nome è come una storia. Non è forse il progetto linguistico-culturale che adopera l’autore in LotR? È forse Treebeard un alterego buffo e ironico di T stesso, un docente pedante, poliglotta, l’unico che conosce l’Old English? La critica ha visto in Barbalbero la figura di CS Lewis, ma va ricordato che Lewis era un grande oratore sia in aula, come docente, sia nelle sue trasmissioni radiofoniche, mentre l’Ent borbotta e tende ad essere prolisso. Secondo me Barbalbero è Tolkien stesso; perché 1) egli sa tutto sulla TdM e sul suo passato; 2) il ritornello ossessivo Do not be hasty, Non essere frettoloso, vai piano, è un rinvio autoironico a sé stesso, ad un autore che scrive così lentamente che tutti, a confronto, sembrano veloci; 3) alcune parole di Treebeard su cosa fanno gli Ent rinviano a Tolkien: We train and we teach, we walk and we weed, “addestriamo e insegnamo, camminiamo e togliamo erbacce” (ricordate le passeggiate di cui sopra); 4) Treebeard peparla del passato in modo nostalgico, c’è un paragrafo che recita: [lunga citazione in inglese “C’erano tempi in cui potevo camminare per molto tempo e sentire niente altro che il suono della mia voce..” una roba del genere]; 5) Treebeard canta, e Tolkien amava cantare e scrivere le sue canzoni. In pratica Barbalbero è il portavoce dell’anima ecologista di Tolkien, che teme che forse si avvicina il momento in cui tutti i boschi avvizziranno. Inoltre non è un caso che proprio per quanto riguarda gli Ent, T introduca il problema della fuga/separazione delle/dalle Entwives, Entesse. Alcune osservazioni in merito. La prima a livello autobiografico: T era consapevole di preferire gli amici accademici alle conversazioni con la moglie; si rendeva conto di non aver soddisfatto le esigenze coniugali, di non aver compreso a sufficienza le cose che erano per Edith erano prioritarie. Più in generale, gli Ent costituiscono una comunità omogenea, tutta maschile, che nel suo passato è stata abbandonata dalla componente femminile a segnalare, forse, il disagio provato dallo scrittore nei confronti delle figure femminili le quali, le poche volte che appaiono, assumono un aspetto idealizzato (Galadriel, Goldberry – Baccador e via dicendo) o sono creature malvage, come Shelob. In realtà il ruolo degli Ent permette a Tolkien anche di misurarsi con il massimo autore della tradizione letteraria inglese che è Shakespeare. In altri episodi di Lotr, l’influsso di Shakespeare appare evidente: ad es Gollum presenta più di un’affinità con Calibano, mentre Gandalf è una rivisitazione non solo del mago Merlino ma anche del Prospero della Tempesta. Tuttavia manifestando un certo fastidio per lo studio di Shakespeare a cui era stato sottoposto a scuola, T esprime delle riserve su uno degli episodi conclusivi del Macbeth, in cui attuando la profezia di un’apparizione delle tre Streghe il bosco di Birnam sembra muoversi verso il castello di Dusindane; come si sa, si tratta semplicemente di rami tagliati dai soldati del legittimo re per proteggere la loro avanzata. Ecco allora che T evoca una ben più potente “terribiltà” della natura, la quale mostra contro i suoi nemici una forza inarrestabile; gli Ent di Treebeard guidano gli Ent più giovani all’assalto di Isengard e della torre di Saruman, e nulla può resistere alla loro avanzata, come se si fosse formata una nuova Compagnia dell’Anello, composta da due omuncoli insignificanti e dai colossi vegetali sopravvissuti attraverso le epoche del passato della Middle-earth. Comico ed epico trovano un perfetto equilibrio nelle parole di Treebeard e nel suo canto marziale: [canta, invasata da sacro furore, il canto di Barbalbero]. T apprezzava la bellezza della spiritualità della natura, ma era anche convinto che nella natura vi erano forze capaci di ribellarsi e di combattere contro l’avvento dell’era della macchina; se nella tragedia si Shakespeare l’attenzione è tutta concentrata su quella sorta di Dark lord che è Macbeth, in Lotr la natura ritorna, con la marcia degli Ent, a dominare la scena.


Vorrei concludere citando le ultime parole del capitolo IV, e lasciare la parola a Barbalbero: [bla bla.. “Isengard è immerso nella notte”, disse Barbalbero]