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Monumento ai tetrarchi

Il monumento ai tetrarchi è un doppio gruppo statuario in porfido rosso egiziano, costituito da quattro figure in altorilievo, collocate all'angolo del tesoro di San Marco, in piazza San Marco, a Venezia. L'altezza delle figure è di 1 metro e 36 cm[1].


Indice 1 Storia 2 Descrizione 3 Stile 4 Altre immagini 5 Bibliografia 6 Voci correlate 7 Altri progetti

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Le quattro figure, che costituiscono un gruppo unitario, vennero scolpite, come si è detto, a partire da un materiale lapideo, il porfido, che sin dall'età di Tiberio era associato frequentemente ed in maniera esclusiva alla figura imperiale ed utilizzato per i progetti monumentali di Roma e, in seguito, di Costantinopoli, dati il colore rosso dello stesso e la sua preziosità[2]. Il gruppo proviene da Costantinopoli e fu trasportato a Venezia dopo la conquista della città nel 1204 ad opera delle truppe crociate. Nel 1958, Paolo Verzone ipotizzò che il monumento ai tetrarchi fosse originariamente ubicato in un luogo di Costantinopoli chiamato Philadelphion ("amicizia fraterna"), dove i Patria attestano la presenza di un gruppo scultoreo con delle figure abbracciate che identificano con i figli di Costantino[3]. La provenienza delle statue da Costantinopoli è confermata oltre ogni dubbio dal ritrovamento, avvenuto nel 1965, durante gli scavi del Myrelaion (moschea Bodrum), del frammento col piede mancante di una delle statua, reperto che oggi è conservato nel Museo archeologico di Istanbul[4].

I personaggi ritratti sono ricordati, nella tradizione veneziana, a metà tra il racconto favolistico e il folclore popolare, come "i quattro ladroni", pietrificati da san Marco per aver tentato di sottrarre dalla basilica i preziosi arredi sacri[5]. La critica contemporanea propende per l'identificazione dei quattro personaggi raffigurati con i tetrarchi d'età dioclezianea, considerando come la rappresentazione dei due augusti (leggermente barbuti) e dei due cesari (glabri), nell'atto di abbracciarsi, sia molto simile a quella rinvenibile nell'arco di Galerio a Tessalonica[6].



Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dettaglio dei volti

Le spade L'identificazione del doppio gruppo statuario con i primi quattro tetrarchi è tradizionale e generalmente accettata, nonostante qualche interpretazione che vi legge temi simbolici come l'abbraccio tra la pars Orientis e Occidentis. Tradizionalmente viene messo in relazione con la prima tetrarchia, tra il 293 e il 303.

Analogamente a rappresentazioni simili in Vaticano, le statue dovevano trovarsi in cima a colonne, poggianti sulla mensola, ad un'altezza che è stata calcolata sugli otto metri. Le figure ad altorilievo si abbracciano a due a due, simboleggiando così la fraternitas tra i Cesari e gli Augusti, che doveva garantire la successione nell'Impero dopo i tumultuosi scontri alla morte degli imperatori durante l'ultimo secolo.

Le quattro figure di imperatore hanno lo stesso abito, in un atteggiamento rigido e impassibile che ricorda le divinità orientali, come la triade palmirena di Baalshamin. Sono caratterizzate dal copricapo pannonico, dal paludamentum e dalla corazza (lòrica) coi baltei gemmati; le corazze erano anticamente abbellite da foglie d'oro; gli imperatori impugnano saldamente una spada riccamente adorna, la cui elsa è a forma di testa d'aquila, secondo un modello probabilmente di origine sasanide. Nelle due coppie l'imperatore che poggia la mano destra sulla spalla sinistra dell'altro è barbato, a voler probabilmente segnalare l'età più anziana dell'Augusto rispetto ai Cesari. Le teste sono simili, con gli occhi che ospitavano paste vitree; esse presentano comunque alcuni tratti di individuazione fisiognomica, ma nonostante ciò non è possibile identificare con certezza quale figura appartenga all'uno o all'altro tetrarca per la scarsità di confronti e l'astrattezza della rappresentazione.

Stile[modifica | modifica wikitesto] L'opera viene attribuita a maestranze egiziane, anche per la loro specializzazione nel trattare la durissima pietra del porfido. Il gruppo è considerato, oltre che il simbolo della tetrarchia stessa, un capolavoro della scultura tardoantica, dove sono evidenti le caratteristiche di essenzialità, simbolismo e pittoricismo di quest'epoca di "rottura" nella tradizione artistica, priva ormai quasi del tutto di richiami allo stile ellenistico.

Nonostante la stilizzazione sia ben avanzata, le forme non arrivano a essere troppo essenziali, spoglie, e mantengono un ricco volume. La loro fissità, l'assenza di dettagli immediati e veristici rendono l'insieme particolarmente adatto a simboleggiare l'eternità e la solidità del nuovo assetto imperiale che la tetrarchia si proponeva.


Bibliografia[modifica | modifica wikitesto] Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli, L'arte dell'antichità classica, Etruria-Roma, Utet, Torino 1976. Otto Demus, Lorenzo Lazzarini e Mario Piana (a cura di), Le sculture esterne di San Marco, Milano, Electa, 1995. Filippo Carlà e Arnaldo Marcone, Economia e finanza a Roma, Bologna, il Mulino, 2011. Maria Da Villa Urbani e Antonella Fumo (a cura di), l'enigma dei tetrarchi, Venezia, Marsilio, 2013.

  1. ^ Demus, Otto., Lazzarini, Lorenzo. e Piana, Mario., Le sculture esterne di San Marco, Electa, 1995, p. 222, ISBN 8843550454, OCLC 32528783. URL consultato il 30 maggio 2019.
  2. ^ Carlà, Filippo., Economia e finanza a Roma, Il Mulino, 2011, p. 145, ISBN 9788815146786, OCLC 848876546. URL consultato il 30 maggio 2019.
  3. ^ Da Villa Urbani, Maria. e Fumo, Antonella., L'enigma dei tetrarchi, 1. ed, Marsilio, 2013, p. 47, ISBN 9788831715720, OCLC 870998086. URL consultato il 30 maggio 2019.
  4. ^ Da Villa Urbani, Maria. e Fumo, Antonella., L'enigma dei tetrarchi, 1. ed, Marsilio, 2013, p. 44, ISBN 9788831715720, OCLC 870998086. URL consultato il 30 maggio 2019.
  5. ^ Da Villa Urbani, Maria. e Fumo, Antonella., L'enigma dei tetrarchi, 1. ed, Marsilio, 2013, ISBN 9788831715720, OCLC 870998086. URL consultato il 29 maggio 2019.
  6. ^ Demus, Otto., Lazzarini, Lorenzo. e Piana, Mario., Le sculture esterne di San Marco, Electa, 1995, ISBN 8843550454, OCLC 32528783. URL consultato il 29 maggio 2019.