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Giuseppe Zagarrio (Ravanusa, 15 Novembre 1921Firenze, 1 maggio 1994) è stato un poeta e critico letterario italiano.

Anni Giovanili

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Poeta e critico, nato nel 1921 a Ravanusa, nell’entroterra agrigentino, vive nel paese natio negli anni segnati dall'oscurantismo del dominio fascista e dal conformismo culturale, e lì matura le prime esperienze letterarie e subisce il fascino delle prime letture. A Ravanusa conduce i suoi primi studi ed impara ad amare la poesia alla scuola dello zio poeta Biagio Zagarrio. Il suo primo volumetto di liriche giovanili, «Il mito del pianto», trae ispirazione dal profumo di zagara e mandorlo in fiore delle contrade agrigentine.

Nel ’43 si laurea in lettere nell’ateneo palermitano, dopo essere stato soldato negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale. Ritorna quindi a Ravanusa, ai suoi studi, insegnando sin da giovanis-simo nel locale ginnasio «Verga», fondato da lui, assieme ad altri, oggi trasformato in scuola media statale. Vincitore di diversi concorsi a cattedra di lettere nelle scuole medie, nel ’49 si trasferisce a Firenze — città che non abbandonerà mai più— per insegnare lettere italiane e latine nei licei. Per la lunga residenza nel capoluogo toscano è stato spesso definito «fiorentino» dalla pubblicistica letteraria.

Soggiorno a Firenze

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A Firenze trascorre le ore libere nello studio ricavato da una vecchia soffitta di via Cairoli, da cui si scorgono le colline fiesolane, lontano dai rumori cittadini.

Frequenta l’ambiente della prima generazione ermetica, partecipando a mostre d’arte in veste di critico, promuovendo cenacoli culturali, collaborando con molte case editrici; gode dell’amicizia e della stima di letterati toscani come Mario Luzi, Alfonso Gatto, Oreste Macri, Romano Bilenchi, Piero Bigongiari, Leone Traverso, Alessandro Parronchi.

Recensisce Sciascia, Gori, Gagliano, Buttitta, Cattafi, Crimi, Frezza, Torrisi, Addamo.

Nel 1955 dirige la collana di poesie «Presenze» dell’editore Leonardi di Bologna.

Vince il premio nazionale Città di Firenze 1955, per tre liriche pubblicate in riviste; dal 1957 al 1967 fa parte della giuria del premio “Città di Firenze” - prima come componente e poi come presidente - insieme a Luzi, Betocchi, Bigongiari e Sereni.

Fonda insieme a Gerola, Pignotti e Salvi, la rivista “Quartiere, quaderno trimestrale di poesia”, in vita dal 1958 al ’68, luogo di incontri e confronti, di fermento linguistico- ideologico, politico e culturale.

Collabora a Officina, Verri, Nuova corrente, Tempo presente, Palatina, La situazione, Il contempo-raneo, Cenobio e ad altre riviste.

Cessate le pubblicazioni di “Quartiere”, fonda, insieme a Favati la rivista “Quasi” (1968-1971), pubblicando importanti analisi sull’evoluzione del linguaggio e sugli sviluppi della poesia contem-poranea.

Dal 1965 è redattore della rassegna di poesia per “Il ponte”.

Giuseppe Zagarrio partecipa, scrivendo interventi e testi poetici, al movimento letterario, artistico e culturale “Antigruppo”, nato in Sicilia nel 1966, e pubblica nel nord Italia numerose antologie per le scuole medie superiori, dove sono state inserite opere dell’Antigruppo.

Dal 1972 al 1974 è titolare di una rubrica sulla rivista trimestrale di filosofia e cultura “Aut".

Muore a Firenze l’1 maggio 1994.

Poesie sparse, non raccolte in volume si trovano in “Quartiere”, “Quasi”, “Letteratura”, “Il Bimestre”, “Impegno ’70”, "Cronorama", "Pianura", “Barbablù”, “Collettivo R”.

Giuseppe Zagarrio ha iniziato la sua attività nel secondo dopoguerra e, in armonia con i maggiori poeti della sua generazione, ha dedicato la sua vita al rinnovamento dei linguaggi letterari nel nostro paese. Gramsciano, di studi classici, profondamente partecipe alle inquietudini del nostro secolo, schiva i riti e i cerimoniali fini a se stessi, perché lontani dal vero “fare poesia”, e nei suoi repertori critici poco spazio hanno “i poeti laureati”.

Zagarrio si collega a diverse aree generazionali, ed esclude ogni riduzione in ambiti e poetiche univoche, in Febbre, furore e fiele, (1983), nel parlare di linguaggio, Zagarrio scrive che "gli approcci rigidi sono fuorvianti, nell’interpretazione, inevitabili forzature potrebbero viziare la lettura degli autori e tradirne il mondo". La sua ampia progettualità si realizza in un’utopia umanistica di cui moltissimi giovani scrittori della generazione successiva (la quinta) sono stati beneficiari.[1]

La rivista “Quartiere” fondata nel 1958 insieme a Gino Gerola, Lamberto Pignotti e Sergio Salvi, fu una sorgente di idee, terreno fertile per i giovani e centro di ricomposizioni generazionali che propose “ il recupero della ragione come elemento di tutti i possibili dubbi e le improbabili speranze”.[2]

Sensibile al dialogo con le correnti letterarie del tempo, Zagarrio , fu uno sperimentale (Carlo Ferretti parlò di sperimentalismo dialettico) che lesse e tradusse insieme Picasso e Buttitta, così come Federico Garcia Lorca seppe fondere il linguaggio di Dalì con quello del cante jondo (le radici ancestrali, mediterranee e quelle archetipiche).[2] Zagarrio ama i poeti greci etnicamente consanguinei e la sintesi della sua poetica è un’esperienza “a mosaico”, che guarda al rapporto fra il mito mediterraneo e lo strappo verso altri epicentri.

Durante gli anni ’50 e ’60, momento di forte recessione culturale,  in cui la realtà italiana emersa dal “miracolo economico” si mostrò segnata dalle profonde e gravi differenziazioni e divaricazioni di sempre,  Zagarrio esprime e rappresenta “l’uomo di pena” (Ungaretti), la “necessità di amicizia (Saba), “il non essere e il non volere” (Montale) e la lacerazione tra mito ed esodo (“Terra, mia terra che ho abbandonata non so perchè…”)[3] di stampo quasimodiano . Questi i temi del poeta; egli propone, quindi, un viaggio attraverso il novecento che compie con i compagni ma con la consapevolezza della propria accesa individualità.

Una delle più sensibili specole della nostra coscienza è la poesia” (da Febbre, furore e fiele)

Per Giuseppe Zagarrio, poeta e critico della poesia, la coscienza è il luogo di verifica del fare poetico; la sua opera guarda con occhio acutissimo il mondo, l’uomo e la storia, e altro non è che una cronaca della coscienza, della propria e di quella dei poeti da lui esaminati, tappa dopo tappa in continua tensione.

La prima tappa corrisponde alle raccolte di poesie “Le stagioni di maggio” una piccola raccolta, in cui il giovane scrittore collega le emozioni familiari, l’immagine della madre e del padre, alla realtà storica della guerra, e a “Questa terra non nostra”, una narrazione dell’esistenza eseguita dalla memoria affettiva. “Effusioni soggettive - scrive Mario Luzi - della prima giovinezza la quale fruisce(…) di un periodo mitopoietico molto fortunato che accosta tra loro, fino a una desiderata fusione grecità e Sicilia”.[4]

Giuseppe Zagarrio recupera le preziose atmosfere del tempo perduto, mediante la sua poesia che assurge a referente dei valori della vita: l’amore, l’amicizia, la famiglia, il paesaggio. Ma ciò che predomina nell’indole intellettuale di Zagarrio è l’aderenza ai problemi umani, ovvero una coscienza impegnata con il dramma socio-esistenziale-politico, nel quale rientrano anche le vicende della sua Ravanusa, rievocate e rappresentate nel lungo e denso racconto “Ravanusa negli anni della mia preistoria”.Gli interessi umani di Zagarrio, si delineano in un clima di meditazione, e "si muovono nel cuore dolente e costruttivo del proprio tempo", tra emergenze di cronaca e proposte teoriche, tra dubbio e verità, tra malinconia e speranza, con un linguaggio contemporaneamente classico e modernissimo.[5]

Per Zagarrio la scelta è il punto decisivo in cui il poeta è uomo e deve prendere una posizione. O si è da una parte o dall’altra. “E Zagarrio sta sin dall’inizio dalla parte dell’utopia, contro i potenti e anche contro i poeti che si vendono ai potenti”.[6] La sua è una linea di rigore etico-poetico, che si ribella alla tradizione linguistica e rimuove i comportamenti conformisti, alla quale risponde fedelmente il poemetto storico, in endecasillabi “Le ricamatrici della kalsa”, pubblicato nel ’58 sulla rivista “Quartiere”, libro in cui convergono “cultura ispanica, classicità greco-latina, gotico dantesco, simbolismo novecentesco e impegno civile”.[7]

A partire dalla pubblicazione della silloge “Tra il dubbio e la ragione” (Sciascia1963) la sua parola diventa più energica e rende fedelmente il disagio del poeta. In questa raccolta di liriche la ragione trova la sua vitalità nella dialettica degli opposti: dubbio-certezza. Condizione che accende la ricerca “sempre aperta e decisa”, che ha come luogo la coscienza e come esito una poesia- come lo stesso Zagarrio la definisce- “interlocutoria”.

La coscienza, quindi, consuma la sua vicenda in una drammatica tensione di tipo dialettico, generando un universo a dimensioni binarie: tempo/spazio, reale/surreale, ontologico/effimero, che risponde al progetto del poeta di risolvere il problema dell’esistenza perché ne concepisce l’ambiguità in quanto necessità logica degli opposti, in cui la ragione si allena a credere nel potere salvifico della poesia. Tutto ciò corrisponde a quella poetica che Zagarrio definisce “scienza dell’utopia”.

Un luogo di confluenza di queste spinte di contrasto è il poemetto “Cronaca della coscienza davanti a una morte positiva” dove si consuma un dramma, tutto a carico della coscienza che è testimone della morte del padre, dove dubbio/ragione, grido/silenzio, disperazione/ speranza si avventano sul dolore del poeta, ma, per salvarsi dalla morte che mortifica la coscienza , per salvare la poesia, Zagarrio recupera le parole “ costruire, ritessere, rinascere, resistere, insistere, ricominciare”.

L’ultima sua fatica, “Il cormorano”, uscito postumo, è una delle tappe più significative della sua appassionata e a volte accorata cronaca della coscienza, come vicenda altamente poetica e umana. Ma è anche la sua occasione di fare il punto sulla funzione della poesia, della quale ribadisce il valore non soltanto come linguaggio, ma anche come “strumento importantissimo” per scoprire una propria verità fondamentale, sebbene invisibile.

Il cormorano, l’uccello morto per inquinamento, al quale si ispira il poemetto che fa da premessa alla trattazione, è una metafora-accusa degli “equilibri precari” della poesia in continuo pericolo di “morte”.[8] E tuttavia in Giuseppe Zagarrio vi è una certezza interiore, che è fede nell’uomo e nella grazia dell’intelligenza, che lo porta ad affermare ancora una volta che “questa morte non avverrà. Sino a quando ci sarà un’essenza umana, ci sarà poesia”.

  1. ^ Demarchi, Silvano e, Angelo Lippo. 2009. La poesia del Novecento in Toscana. in: “Menabò”, anno xv, n°42
  2. ^ a b Manescalchi, Franco. 1994. Eppure, vive. In: “Pietraserena”, anno v- n° 20, pp. 8-9.
  3. ^ Zagarrio, Giuseppe.1953. Alla mia terra. Bologna, Leonardi.
  4. ^ Luzi, Mario. 1994. A proposito di “Eppure…”. In: “Pietraserena”, anno v- n° 20, p.31.
  5. ^ Bortolo, Pento, commento di “Tra il dubbio e la ragione” su «La fiera letteraria» del 15 settembre 1963.
  6. ^ Manacorda, Giuliano. 1994, Tra sorte e progetto. In: “Pietraserena”, anno v- n° 20, pp. 36.
  7. ^ Lanuzza, Stefano. 2001. Firenze degli scrittori del Novecento. Napoli,Guida Editori, p.104.
  8. ^ Musso Trenta, Luisa.1999. Lo specchio di Gogol. Agrigento, Centro Studi Giulio Pastore, p. 182.

Beniamino, Biondi. 1999. La ragione e il dubbio. In “fuorivista”, anno 1, n°1. http://web.tiscali.it/fuorivista-wolit/Numerouno_15.htm

Aronica, Salvatore. Giuseppe Zagarrio. In: “Il Saraceno” - periodico di informazione degli anni sessanta. http://digilander.libero.it/ravanusa/_private/personaggi.htm

Zagarrio, Giuseppe. 1983. Febbre, furore e fiele. Milano, Mursia.

Manescalchi, Franco. 2005. La città scritta. Da “Quartiere” alle “ Giubbe Rosse”, Firenze, Edifir.

Trenta Musso, Luisa (a cura di). 1994. Giuseppe Zagarrio. Dentro e oltre la poesia.Lions club, Ravanusa. tipolitografia Aurora.

Pietraserena”, anno v- n° 20. 1994. Per Giuseppe Zagarrio. Signa, Masso delle Fate Edizioni.

Poesia e Firenze: Dieci anni dal premio “Città di Firenze”.Presentano: Giuseppe Zagarrio-Gino Cerola-Giuseppe Satta-Ildemaro Mannei. Firenze, edizioni di Quartiere/1966.

Musso Trenta, Luisa. 1999. Lo specchio di Gogol. Agrigento, Centro Studi Giulio Pastore.

Lanuzza, Stefano. 1981. Firenze degli scrittori del Novecento. Napoli, Guida Editore.