Utente:Pietro.dipalma/Sandbox2/Ricerche originali/Macchina che legge e che scrive

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La macchina per leggere e per scrivere pronta all'uso

Dare «un occhio» alla macchina da scrivere e farle leggere e copiare uno scritto senza bisogno, diciamo così, della dettatura delle dita »! — Ecco il problema propostosi da un inventore; ecco non ancora la macchina ma la notizia della sua invenzione che perviene dall’America del Sud. Vediamo notizia, macchina e funzionamento; e cominciamo dall’occhio della macchina.

È, naturalmente, un occhio meccanico; occhio che «vede» lo stampato da trascrivere come, od all’ incirca, il fonografo vede la pagina musicale incisa sul disco; un occhio elettrico, fondato su quel notissimo fatto che è la resistenza variabile del selenio alla luce e che ha generato tante interessanti ricerche di fotografia a distanza e di trasformazioni della luce in suono e viceversa.








Schema generale della macchina che legge e che scrive :P, pagina da copiare; M, movimento d’orologeria a scappamento elettrico che regola lo spostamento del foglio; O, punto d’incrocio dei raggi, che può essere spostato verso la lente per ingrandire l’immagine rovesciata delle lettere; C. camera oscura a sfera cava o ad ellissoide, per aumentare il percorso dei raggi dopo l’incrocio e quindi l’immagine; R, retina; .S, cellule di selenio; F, fili formanti circuito con le cellule congiungendole elettricamente ai relais rispettivi; D, circuiti principali azionanti ognuno un'elettrocalamita (E) comandante un tasto (T); B, rotolo su cui è avvolta, la carta da scrivere.
Schema del funzionamento dell'occhio elettro-meccanico : S, cellule di selenio; X, relais che mantengono aperti i circuiti dei tasti, salvo lasciali chiudere quando le rispettive cellule di selenio sono oscurate dall'immagine della lettera.





















Il principio sul quale tutto il congegno si basa è di una certa geniale semplicità ; consiste nella constatazione che ogni lettera dell’alfabeto ha nella sua forma un punto caratteristico che non si confonde con nessun altra lettera. Cioè, se si sovrappongono tutte le lettere una sull’altra, tracciandole sufficientemente grandi e fini, per la chiarezza, si potranno sempre trovare tanti punti quante sono le lettere incrociate. Il che si può constatare in uno degli schemi che qui figurano ad illustrazione di quanto veniamo esponendo.

L’inventore ha disposto sulla macchina una piattaforma orizzontale e su di essa un occhio, formato da una camera oscura sferica che anteriormente, nel centro, porta una lente convessa. Questa ha per effetto di raccogliere i raggi provenienti dallo scritto da copiare, che le sta dinanzi, e di rifletterne l’immagine capovolta in fondo alla camera. Come è noto, e come si vede in altro dei nostri schemi, tale capovolgimento è dovuto all’incrociarsi dei raggi: solo che il punto d’incrocio non si verifica nel centro della sfera, come si rappresenta per comodità di disegno e d illustrazione, ma assai più vicino alla lente; e l’inventore, per rendere anche più sensibile la distanza dell’incrocio dal fondo, parla d una camera a sezione elittica, con l’asse maggiore orizzontale. In tal modo, i raggi, deviando, producono un ingrandimento dell’immagine capovolta, e facilitano così al costruttore la fabbricazione d una retina più grande, coi punti caratteristici più distanti l’uno dall’altro, e di più sicura sensibilità.

Difficoltà notevole è quella di mantenere l’immagine sempre della medesima grandezza, qualunque sia il carattere da copiare: ma vi si può riuscire o interponendo fra il leggìo e l'occhio una o più lenti concave, o — ed è meglio — rendendo mobile la lente dell occhio, per avvicinarla od allontanarla come occorre dal centro della sfera o dell elissoide.

La retina è formata da una serie di fili metallici, meno complicati che nel nostro disegno, perchè raffigurano soltanto le linee speciali di ciascuna lettera: su tali linee i punti caratteristici sono rappresentati da minuscole cellule di selenio, ad ognuna delle quali fanno capo i due fili d una corrente. Nella nostra figura schematica, per maggior chiarezza, ogni cellula è inserita in un circuito speciale con batteria propria; ma nel fatto è più comodo porre tutte le cellule in derivazione da un unico circuito principale, equiparando le diverse distanze delle cellule con piccole resistenze supplementari nascoste nella, tavoletta che sorregge l’occhio. Ognuno di questi circuiti derivati, che normalmente è chiuso e quindi percorso dalla corrente, va a finire, a breve distanza dalla cellula, in un relais, il quale, quando funziona, mantiene normalmente aperto un altro circuito in cui è inserita una elettrocalamita, posta proprio sotto al tasto della lettera corrispondente. La corrente che dovrà azionare è più forte di quella attraversante il selenio; anchessa può provenire in derivazione da un’unica pila, tanto più che i tasti devono usarla, per abbassarsi, uno per volta.

Si supponga ora che dinanzi all'occhio si presenti uno stampato qualsiasi.

Nel campo della lente penetrano le immagini di parecchie lettere, sopra, sotto, a destra ed a sinistra del centro; ma essendo la retina limitata nel fondo dell'occhio, potrà rimanere impressionata soltanto dalla lettera che si trova sull’orizzontale passante per il centro e per la retina medesima. Se sopra il leggìo vi è, ad esempio, la parola inglese say, che significa «dire», soltanto la lettera a colpirà la parte sensibile dell’apparecchio. L’impressione consiste nel sovrapporsi dell’immagine sopra il punto caratteristico — e quello solo — ad essa corrispondente: ma siccome l’immagine è nera su bianco, così rappresenterà un’ombra in mezzo alla luce. La cellula di selenio, oscurata, aumenterà la sua resistenza indebolendo la corrente che la percorre: questa non avrà più la forza di far funzionare il relais e di mantenere aperto il circuito del tasto, il quale si abbasserà per l’azione della elettrocalamita sottostante.

Se dopo aver fatto scrivere la lettera a nella parola say, facciamo scorrere orizzontalmente il leggìo, verso sinistra o verso destra, passerà dinanzi al centro della lente la lettera s o la y; e così sfileranno tutte quelle di una riga.

Alzando in seguito il leggìo e facendolo retrocedere, mentre uno schermo riparerà la lente, incomincerà la sfilata della riga seguente, e così avanti di riga in riga fino a che la pagina sia terminata.

A tale uopo l’inventore ha immaginato anche un semplice apparecchio meccanico con una ruota dentata mossa da orologeria a scappamento di un dente ad ogni tasto — che comanda esso medesimo lo scappamento, per mezzo della stessa corrente che lo abbassa — per far passare regolarmente dinanzi all’occhio tutta la pagina da copiare.

L’apparecchio è stato costruito, per la prima volta, allo scopo di copiare lo scritto medesimo della macchina da scrivere. Ma questa particolarità rivela anche il difetto più grave dell apparecchio stesso.

Abbiamo già parlato della influenza dovuta alla grandezza delle lettere: se troppo grandi, ciascuna di esse non sarà più contenuta nella retina, e il punto dell'immagine corrispondente alla cellula di selenio può spingersi fuori del campo; se troppo piccole, possono cadere contemporaneamente in parecchie sulla retina, impressionare due cellule ed azionare due tasti, col rischio di rovinare il meccanismo della stampa. Abbiamo indicato anche, è vero, il mezzo per ovviare all’inconveniente: ma ve ne è un altro molto più serio, quello della forma. Esso basta perchè i punti caratteristici corrispondenti della retina e dell’immagine non s’incontrino più: così avverrebbe, ad esempio, fra una lettera minuscola e la stessa lettera maiuscola. Che se a ciò si può rimediare complicando maggiormente la retina, sorge il problema dei caratteri stampati — sia pure quelli comuni di testo — i quali, pur non essendo numerosi nei loro aspetti generali (romano, elzevir, bodoniano, ecc), si complicano per le proporzioni rispettive fra la larghezza e l’altezza d’ogni lettera, i corsivi e i neretti. Sorgerebbe anche il problema di regolare il movimento del leggìo, riducendolo forse a far sfilare solo mezza lettera per volta, salvo alla retina trovare nell’una o nell’altra il punto caratteristico. Perchè, mentre nella macchina da scrivere ogni lettera occupa il medesimo spazio, dalla i resa larghissima alla W resa strettissima; nella stampa comune, invece, accanto alle lettere che potremmo chiamare di larghezza normale (a, b, c, d, e, f, g, h, k, n, o, q, r, s, u, v, x, y, z) ve ne sono larghe appena la metà (i, j, l, t), altre una volta e mezza (m, n, e le maiuscole in genere salvo I, J, che sono della grandezza normale per le maiuscole); altre quasi due volte (æ, œ, M, W ed anche più Æ, Œ).

Quanto allo scritto a mano, non è nemmeno da pensare a riprodurlo in tal modo. Perciò l’utilità immediata dell’invenzione è discutibile. Pure, nessuno potrebbe negarle il pregio della genialità; e nessuno può escludere che, come già avvenne altre volte per novità che parvero follie, si riesca un giorno o l’altro a perfezionare «l’occhio elettro-meccanico», magari staccandolo dalla macchina e ingrandendo la sua costruzione assieme alle immagini ed alla retina per complicare quest'ultima coi caratteri di testo, sino a renderlo pratico.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

A. Scienti, La macchina che legge e che scrive (PDF), in La scienza per tutti, Anno XXIII, n. 11, Milano, Casa Editrice Sozogno, 1º giugno 1916, 166-167.