Utente:Pietro.dipalma/Ricerche originali/L'uva ro' chiupp

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L'UVA D' 'O CHIUP'

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Ricordo, con malinconia, da bambino, negli anni ottanta, quando a Poggiomarino era tempo di vendemmia, Te ne accorgevi dal via vai incessante di mezzi carichi di uva, dall'odore acre e penetrante del mosto che invadeva le strade, infine, dal ticchettio insistente dei torchi. All'epoca purtroppo, già da qualche tempo, nella nostra cittadina, avveniva solo la vinificazione. La vendemmia vera è propria era sempre più rara, perché c'era la tendenza ad acquistare uve più pregiate, altrove. Io, sin da piccolo, insieme a tutta la mia famiglia, ho avuto la fortuna di aiutare mio padre nella vendemmia e nella produzione del vino, fino alla fine degli anni novata, quando poi purtroppo ci ha lasciati. Avevamo una vigna a Terzigno, sulle prime pendici del Vesuvio, la cui uva si chiamava "l'uva d’ ‘o prèvete" (l'uva del prete).

Oggi, dopo quasi una generazione, che sia tempo di vendemmia a Poggiomarino, non lo si nota più. Pochi, pochissimi, o quasi nessuno, fa il vino in casa. Io grazie ad un mio carissimo amico, quest'anno, ho ripreso una vecchia tradizione di famiglia. Come sempre, ci metto la passione, ma la curiosità e voglia di sapere, mi spinge a studiare l'argomento, anche dal punto di vista storico.

Avevo già letto che Poggiomarino vanta un’antica tradizione viticola, oggi, ahimè, quasi del tutto scomparsa. Nel nostro territorio, infatti, i nostri avi, i sarrast(r)i, tremila anni addietro, coltivavano la vite (Vitis vinifera) dalla quale ricavavano il vino, bevanda, che Virgilio definiva "il nettare degli Dei"[1][2]. Esattamente, in località Longola, durante la campagna di scavi archeologici del 2003-2006, furono rinvenuti indizi di attività di spremitura dell'uva risalenti all'età del ferro (intorno al XIII secolo a.C.), quali tralci di vite, cumuli di acini, pedicelli, vinaccioli e raspi.[3]

Immagino, che tale arte, fu tramandata in modo empirico fino all'età moderna, quando poi ebbe inizio anche un approccio scientifico. Poggiomarino, nel 1885, ospitava la sede della “Reale Scuola pratica d'Agricoltura” di tutta la provincia di Napoli[4], vero e proprio laboratorio agricolo[5]. La sede, ubicata nella masseria Croce, fu luogo di varie ricerche e sperimentazioni, anche nel campo enotecnico, come ad esempio: la sperimentazione del 30 ottobre 1893, di un nuovo follatore e una valvola universale, ideati dal Dottor Fortunato Memola, allora direttore della scuola[6][7]; La prova della vigna alla Guyot, applicata ai vitigni Cabernet e Pinot nel 1897[8]; I curiosi esperimenti del 1906 “Sull'azione della corrente elettrica sui vini”.[9]

Incuriosito, su quale varietà d'uva si coltivava a Poggiomarino, continuo le ricerche e dal "bollettino ampelografico" del ministero del Ministero d'agricoltura, Industria e Commercio, apprendo che nel 1877, a Poggiomarino, veniva coltivato il Parasacco[10]. Non contento, approfondisco ulteriormente le ricerche e trovo un bollettino del 1912, nel quale vengono riportati i seguenti vitigni:[11]

  • Biasca e Cavazzara, coltivati dal sig. Nappi Crescenzo, nella contrada Termine Bianco – Glucosio 16,6%, acidità 8,55% –
  • Palombina, Prevetariello e Nofriello, coltivati dal sig. Jossa Gennaro in contrada Pianillo – Glucosio 16,85%, acidità 10,50% –
  • Palombina, Posillipo e Prevetariello, coltivati dal sig. Lervolino Giuseppe in contrada Tortorelle – Glucosio 16,35%, acidità 11,62% –
  • Palombina, Lugliesa, Calavresella e Nofriello coltivati dal sig. Giordani in contrada Flocco (all'epoca appartenente a Boscoreale) – Glucosio 16,85%, acidità 8,62% –

Subito la mia attenzione viene catturata dall'uva Palombina che istintivamente, senza sbagliarmi, associo al Per’ e Palummo. In effetti la Palombina o anche Colombina (Columbinæ), altro non è che un sinonimo del Piedirosso, meglio conosciuto dai nostri nonni, come Per’ e Palummo, appunto. Si tratta di un uva a bacca nera, autoctona della Campania, in particolare della zona di Napoli, le cui origini sono molto antiche, tanto che è menzionata da Plinio il Vecchio in Naturalis Historia (77-78 d.C)[12][13].

Studiando, mi appassiono sempre più, quando leggo che, all'epoca, queste varietà di uve, venivano coltivate con lo spettacolare metodo della vite maritata al pioppo (Vitis conjuncta maritæ), ricordata, sempre meno, come "l'uva d' 'o chiup'" (l'uva del pioppo). Il metodo fu introdotto nella nostre zone, dagli Etruschi[14] i quali si stanziarono in Campania nei primissimi anni del IX secolo a.C.[15][16] C'erano alte e maestose fila di pioppi, utilizzati come tutori per l'arbusto rampicate, legati fra loro da lunghi festoni di tralci intrecciati di viti. Uno spettacolo tale, da caratterizzare tutto il paesaggio, tanto da stimolare l'immaginazione di numerosi artisti che ne eternarono la bellezza, fino al secolo scorso.

Tale metodo, per certi versi era controproducente, in quanto incideva negativamente sulla qualità dell'uva. Inoltre richiedeva ore e ore di lavoro per la potatura e la raccolta, fatta con lunghissime e strette scale, alquanto pericolose. Questi inconvenienti erano però controbilanciati dal fatto che la terra sotto le viti veniva sfruttata per coltivare altro e che dai pioppi si ricavava molta legna da ardere e fogliame utilizzato come foraggio per gli animali da allevamento[17].

I più esperti, leggendo i dati sopra riportati, i cui valori non superavano il 16,85% di glucosio, avranno dedotto che i vini prodotti all'epoca, raggiungevano al massimo il valore ideale del 10% di alcool (16,85% di glucosio x 0,6[18] = 10,11% di alcool), caratteristico di vini deboli e pochi serbevoli, ragion per cui, adatti al solo consumo locale.[19]

Il mio interesse volge verso la qualità e la bontà di questi vinelli. Considerato quanto affermato dagli americani, quando, fra la fine del 1943 e gli inizi del 1944, si insediarono ai confini della nostra cittadina, costruendo il campo di aviazione "Pompei Airfield", il nostro vino era gradito. Questi, durante il tempo libero, erano soliti visitare il Vesuvio, Pompei scavi e Napoli. Tuttavia, come si legge nel diario di guerra della 487ª Squadriglia, alla pagina del 10 febbraio 1944: "... coloro che non hanno la fortuna di avere un veicolo si accontentano degli empori di vino locali a Poggiomarino". Non che gli americani fossero dei grandi intenditori di vino, ma comunque apprezzarono il nostro vino.[20]

Nonostante il nostro territorio, sia particolarmente vocato alla coltivazione della vite, oggi, a Poggiomarino, i vigneti sono praticamente scomparsi. Forse perché nella seconda metà del XX secolo, man mano i vitigni sono stati sacrificati a favore di produzioni agricole più redditizie. Basti pensare che solo nel 1923 furono prodotti 8470 quintali di uva[21], corrispondenti a circa 5420 l di vino, con un rendimento del 64%. Considerando che all'epoca, la resa pro ettaro dei vigneti della provincia di Napoli, era approssimativamente di circa 36,65 q[22], possiamo stimare che, nella nostra cittadina, su una superficie totale, all'epoca di 1061 ettari [23][24], su ben 230 ettari (il 21% circa) si coltivava la vite.

  1. ^ Vincenzo Huber, Saggio di enologia pratica osia nuovo metodo di fare il vino e suoi vantaggi sopra ogni altro fino ad ora conoscinto (etc.), Sonzogno, 1824, p. 502.
  2. ^ Tommaso Porcacchi, L'isole piu famose del mondo descritte da Thomaso Porcacchi da Castiglione arretino e intagliate da Girolamo Porro padouano con noua aggionta .., appresso Paolo et Francesco Galignani fratelli, 1620, p. 126.
  3. ^ Pietro Giovanni Guzzo e Maria Paola Guidobaldi (a cura di), Nuove ricerche archeologiche nell’area vesuviana (scavi 2003-2006), Roma, «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2007, p. 574.
  4. ^ Atti Parlamentari del Senato del Regno N.218-A, 1902, p. 2.
  5. ^ Atti del Parlamento Italiano, 1899, p. 1846.
  6. ^ Le Stazioni sperimentali agrarie Italiane, 1893, p. 221.
  7. ^ Annali della Facoltà di Scienze Agrarie della Università degli Studi Portici, 1898, p. 159.
  8. ^ Bollettino Società dei naturalisti in Napoli, 1897, p. 122.
  9. ^ Annali della Regia scuola superiore di agricoltura di Portici, 1906, pp. 3-16.
  10. ^ Bollettino ampelografico, 1875, p. 870.
  11. ^ Bollettino del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Roma, 1912, pp. 134-137.
  12. ^ Gai Plini Segon, Della storia naturale di C. Plinio Secondo: libri XXXVII, Tip. di Giuseppe Antonelli, 1844, p. 1267.
  13. ^ Vitigni autoctoni ed alloctoni, su ilquintoquarto.it.
  14. ^ Rendiconti. Classe di scienze matematiche e naturali, Tip. di Giuseppe Bernardoni, 1865, p. 170.
  15. ^ Gli etruschi e la Campania settentrionale: atti del XXVI Convegno di studi etruschi ed italici, Caserta, Santa Maria Capua Vetere, Capua, Teano, 11-15 novembre 2007, Fabrizio Serra editore, 2011, ISBN 978-88-6227-247-6.
  16. ^ Giuseppe Micali, Storia degli antichi popoli italiani di Giuseppe Micali, Tipografia del Vulcano, 1849, p. 273.
  17. ^ Italia : Ministero dell'economia nazionale : Consiglio Superiore, Atti del Consiglio Superiore dell'economia nazionale, Provveditorato Generale dello Stato, Libreria, 1926, pp. 135-136.
  18. ^ Indice di conversione zucchero-alcool
  19. ^ Oreste Bordiga, Economia rurale: trattato ad uso degli agricoltori, dei proprietarii, degli studiosi delle acienze agrarie e delle quistioni attinenti all'agricoltural, Riccardo Margheiri di Gius, 1888, p. 554.
  20. ^ Prepared by: Sgt. James P. Shanley and Cpl. Richard C. Hurley, February 1944, in War Diary, 487th Bombardment Squadron, 340th Bombardment Group, 1943/45.
  21. ^ Annuario vinicolo d'Italia, 1923/24, p. 695.
  22. ^ Annuario vinicolo d'Italia, 1923/24, p. 690.
  23. ^ Italy Ufficio del censimento, Censimento della popolazione del Regno d'Italia al 10 giugno 1911, Tip. nazionale di G. Bertero, 1914, p. 312.
  24. ^ Annuario generale d'Italia guida generale del Regno, Annuario generale d'Italia, 1933, p. 1981.

Voci correlate

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