Utente:Pierantoniopasini

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LA VITA[modifica | modifica wikitesto]

[File:Frederick Cook с. 1906.jpg|thumb|Frederick Cook]]

Frederick Albert Cook penultimo di cinque figli, quattro maschi e una femmina, nacque a Hortonville nella contea di Sullivan nello stato di New York il 10 guigno 1865 dal dottor Theodore Koch nato in Germania ed emigrato negli Stati Uniti alle falde dei monti Catskill nel 1848 e da Magdalena Long un’emigrata tedesca la cui famiglia si era trasferita da New Yok City in seguito ad un’epidemia di colera. La famiglia viveva in una fattoria circondata da basse colline. Il dottor Theodore che una volta arrivato in america aveva cambiato il cognome nell’equivalente inglese Cook svolgeva la professione di medico legale per l’esercito unionista, durante la guerra civile. Spesso i suoi pazienti, gente di campagna, non avevano i soldi per la parcella e preferivano pagare in natura. Morì di polmonite nel 1870 quando Frederick aveva cinque anni. Fu un trauma che lo accompagnò per tutta la vita. I fratelli tentarono di coltivare il terreno circostante la fattoria ma senza successo perché era roccioso e difficile da rendere fertile. Frederick sin da bambino amava la natura, la libertà e l’avventura. Non potendo comprare una slitta per scendere lungo i pendii dei monti Catskill durante i mesi nevosi mesi invernali ne costruì una tagliando qualche albero dei boschi vicini. In breve tempo divenne talmente bravo che le sue slitte erano considerate le migliori e più veloci della regione. Quando il fratello maggiore William riuscì a trovare lavoro a New York City tutta la famiglia si trasferì a Brooklyn sperando che in una grande città le cose andassero meglio e si avessero più opportunità. La madre inoltre decise che Frederick seguisse le orme del padre e diventasse lui stesso un medico per cui frequentò le scuole più a lungo rispetto ai fratelli. Nonostante frequentasse la scuola continuò a sostenere la famiglia. Trovò lavoro dapprima in un mercato all’ingrosso di prodotti agricoli malgrado lavorasse sino a mezzogiorno riuscì comunque a diplomarsi alla Public School Number 37. Successivamente lavorò come fattorino presso una società immobiliare e quindi aprì una tipografia e una volta venduta rilevò un servizio di consegne di latte a domicilio. Progettò e costruì con l’aiuto dei fratelli un carro, trainato da un cavallo comprato da lui stesso, adatto al trasporto delle bottiglie di latte in vetro. Quando cominciò a frequentare all’università le lezioni di medicina dovette assumere diversi autisti per i suoi carri. Le consegne iniziavano all’una di notte e terminavano verso le dieci del mattino quando si recava in aula ad assistere alle lezioni, sino alle quattro del pomeriggio. Alla sera, a casa, studiava sino a quando non riprendeva le consegne. Quando nel 1888 a New York City ci fu una tempesta di neve montò su una barca di cinque metri dei pattini da slitta, attacco un paio di cavalli e iniziò a consegnare a domicilio il carbone. Frequentò il Columbia’s College of Physicians and Surgeons per due anni e quindi si trasferì alla New York University. L’anno successivo, a ventiquattro anni, si fidanzò con una ragazza bionda, di altezza media e corporatura normale di nome Mary Elizabeth Forbes, detta Libby, che lavorava presso un calzaturificio di Manhattan e che sposò dopo un breve fidanzamento nel 1889. Nel 1890 Libby diede alla luce una bambina che però visse solo poche ore. La donna a causa di una grave infezione sistemica morì qualche giorno dopo fra le braccia del marito che solo poco prima aveva ricevuto la notizia dell’idoneità alla professione medica da parte dell’università. Fù un duro colpo per Frederick che preferì andare a vivere a Manhattan insieme alla madre e alla sorella. Vendette la ditta di consegne a domicilio al fratello William e aprì un ambulatorio medico. Cercò di risollevarsi dalla perdita della moglie e della figlia cominciando a leggere libri sulle esplorazioni artiche. Fù nell’inverno del 1891 che, leggendo un articolo del New York Herald sulla nuova spedizione dell’ingegnere Robert Edwin Peary, tenente della marina americana presso il Philadelphia Navy Yard, scoprì che stava reclutando degli uomini per la prossima esplorazione dell’artico e cercava anche un medico. Peary aveva già tentato di attraversare la calotta artica nell’estate del 1886 ma rimase bloccato da forti tempeste dovendo rinunciare all’impresa. Non perse tempo e il giorno stesso scrisse una lettera a Peary in cui si offrì di partecipare alla spedizione in qualità di medico avendone i requisiti richiesti. Due mesi dopo arrivò un telegramma in cui veniva invitato a Philadelphia per un incontro. Partì subito e arrivato a Philadelphia trovò l’appartamento di Peary. Venne ad aprire la porta una giovane donna alta ed elegante che accompagnò Frederick al cospetto del padrone di casa. Era Josephine Diebitsch, moglie di Peary, conosciutisi ad una festa danzante a Washington nel 1884. Peary era alto oltre il metro e ottanta, aveva i capelli biondo-rossicci e due grossi baffi; incuoteva una certa soggezione a Cook. Si scambiarono una stretta di mano. L’ingegnere era molti anni che cercava di organizzare un nuovo viaggio in Groenlandia reperendo i fondi necessari; quando nel 1888, di ritorno dal Grande Nord, lesse sui giornali la notizia che l’esploratore norvegese Fridjof Nansen era riuscito ad attraversare da costa a costa la Groenlandia ciò lo fece cadere in una forte depressione e in una sfiducia in se stesso. Peary illustrò a Frederick il programma della prossima spedizione, della durata di un anno, e gli spiegò che oltre a svolgere la funzione di medico avrebbe dovuto impegnarsi anche nell’attività scientifica di etnologo e antropologo. A tale riguardo consigliò a Cook di leggere diversi libri di antropologia. A sera, prima di congedarsi, con un’altra stretta di mano i due strinsero l’accordo verbale che sanciva l’assunzione del Dottore con una paga di cinquanta dollari, come tutti gli altri membri della spedizione. Sarebbe seguita la firma del contratto, di quattro pagine scritto a macchina, due giorni prima della partenza.

PRIMA SPEDIZIONE IN GROENLANDIA[modifica | modifica wikitesto]

Un caldo pomeriggio di inizio giugno del 1891 la goletta Kite di duecentottanta tonnellate con la prua e lo scafo rinforzati di ferro per poter affrontare i ghiacci dell’Artico partì da un molo di Brooklyn percorrendo l’East River. A bordo vi era anche una donna, la prima americana a partecipare ad una spedizione in territorio artico; si trattava di Josephine, la moglie di Peary. Non vi era molto entusiasmo tra i membri della spedizione, tutti giovani e celibi. Il fatto di dividere l’angusto spazio con una coppia sposata per un anno intero non era stata accolta bene. Anche Frederick non era d’accordo ma si guardò bene dal professare parola con qualcuno. Tra gli altri faceva parte dell’equipaggio un giovane campione di sci norvegese, ventenne, di nome Eivind Astrup che aveva risposto, come tutti gli altri, ad un annuncio apparso su un giornale. Vi era anche un giovane ventiseienne cacciatore e scalatore di Flushing nello stato di New York che aveva avuto modo di esplorare il Grand Canyon l’anno precedente di nome Longdon Gibson e John M. Verhoeff un venticinquenne di St. Louis laureatosi all’università di Yale in geologia esperto anche in meteorologia che durante l’incontro con Peary disse che le probabilità che tornassero vivi da un viaggio del genere era pari al dieci per cento. L’ultimo membro del gruppo era un ragazzo di colore nato da genitori liberi originari del Maryland. Era il ventiquattrenne Matthew Henson che rimase orfano a sette anni. Dopo aver trascorso un anno in Nicaragua alle dipendenze di Peary come cameriere una volta ritornato negli Stati Uniti riprese per breve tempo il suo impiego come magazziniere prima di essere assunto presso il Philadelphia Navy Yard come messaggero. Sarebbe stato il cameriere personale dei coniugi Peary. Dopo qualche settimana la Kite giunse in prossimità della Groenlandia, un’isola che venne scoperta dai navigatori norvegesi circa cinque secoli prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo nelle Americhe. Solo in seguito si scoprì che aveva una forma simile ad una pera lunga circa duemilaquattrocento chilometri e larga circa millequattrocentoquaranta nel punto di massima espansione. Era ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio tranne all’estremità meridionale e in alcune zone rocciose. Si fermarono dapprima presso un’insediamento danese sull’isola di Darko, Godhavn per una breve sosta quindi ad Upernarvik l’insediamento danese più settentrionale costituito da alcune case e una chiesetta. Qui, non essendoci un medico, il dottor Cook fece alcune visite a domicilio prestando le cure ad alcuni ammalati e facendo persino un piccolo intervento chirurgico. Il giorno dopo la Kite riprese il viaggio verso nord avanzando a fatica fra i ghiacci della baia di Melville. Il 14 luglio improvvisamente un blocco di ghiaccio blocco il timone, la ruota sfuggì dalle mani del timoniere cominciando a ruotare velocissima e la pesante barra di ferro colpì la gamba destra di Peary fratturandogli sia la tibia che il perone al di sotto del ginocchio. Cook intervenne subito, constatò la frattura biossea e rinchiuse la gamba in una scatola imbottita di cotone immobilizzandogliela con una stecca. Per il forte dolore avvertito gli somministrò della morfina e altri antidolorifici e sedativi aiutandolo a dormire. Il timore di quasi tutti i componenti dell’equipaggio fu che quell’infortunio avrebbe messo a repentaglio il viaggio. Cook invece rispondeva che sarebbe riuscito a guarire entro la primavera cioè quando si sarebbe svolto il lavoro più importante e più duro. Il 26 luglio il capitano della goletta, Pike, informò Peary che si trovavano nella baia di McCormick e che il procedere era impedito da grossi lastroni di ghiaccio per cui avrebbe invertito la rotta. L’ingegnere ordinò ai componenti della spedizione di sbarcare e di allestire l’accampamento per trascorrervi l’inverno. Montarono una casa prefabbricata, lungo la costa nord occidentale della Groenlandia, che chiamarono Red Clif House per via di alcune colline rossastre che s’intravedevano a sud. Era costituita da una stanza più grande adibita a dormitorio per l’equipaggio e da cucina; vi era anche un banco da lavoro e un piccolo magazzino e da una stanza più piccola per i coniugi Peary con un letto matrimoniale nascosto da alcune tende. Si trovavano a settantotto gradi di latitudine, a millecinquecento chilometri circa dal Polo Nord. Peary nel precedente viaggio in Groenlandia era arrivato circa ottocento chilometri più a sud e si era fermato solo cinque mesi, non trascorrendo l’inverno nell’artico. Gli uomini cacciavano mentre Josephine cuicinava sulle stufe a kerosene del rifugio che invece era riscaldato da stufe a carbone che avevano trasportato in quantità sulla goletta. Cook oltre ad occuparsi delle condizioni di Peary costretto ancora a letto si interessò anche di trovare eschimesi disposti ad affiancarsi ai componenti della spedizione per la caccia le esplorazioni. A tal proposito il dottore era convinto che avesse molta importanza capire i loro usi e costumi. Usando una vecchia baleniera Cook, Gibson, Astrup e Verhoeff fecero il giro della baia alla ricerca di insediamenti eschimesi mentre Henson rimase alla Red Cliff House con Josephine. Il gruppo trovò alcuni insediamenti indigeni costituiti da tende estive su un’isola a poca distanza dalla costa e riuscirono a convincere venticinque tra uomini, donne e bambini insieme ad un centinaio di cani ad andare con loro e ad accamparsi vicino al quartier generale della spedizione. Durante il periodo estivo i cacciatori eschimesi si spostavano portandosi dietro sia la moglie che i figli e i loro cani. Gli uomini cacciavano e pescavano mentre le donne cucinavano e curavano i figli. I componenti delle famiglie non si separavano mai per lunghi periodi in quando in quelle lande desolate ricoperte da ghiacci avevano bisogno l’uni degli altri per il sostentamento. Peary fu molto felice e si congratulò con Cook vedendo arrivare la squadra con tutti quegli indigeni al seguito. Essi vivevano in igloo che avevano costruito vicino alla Red Cliff House ma avevano comunque accesso a quest'ultima che era ottimamente riscaldata. Riuscirono a capire molto delle usanze degli indigeni. Ad esempio era comune tra gli eschimesi condividere la propria moglie con i visitatori o anche con altri componenti della loro comunità se vi era tra loro un accordo. Inoltre le donne eschimesi quando erano all'interno di un riparo avevano l'abitudine di spogliarsi dalla vita in su rimanendo a seno nudo anche davanti ad estranei. Ciò Josephine non riuscì mai a tollerarlo. Avevano un concetto tutto loro riguardo la creazione e la storia di Adamo ed Eva. Secondo la loro tradizione un uomo era salito su un monte e aveva colpito un masso con un bastone trasformandolo nella donna e dalla coppia erano nati tutti gli altri esseri umani. Gli uomini eschimesi uscivano a caccia tutte le mattine con i componenti della squadra e questi contraccambiavano regalando loro coltelli, ferri per fare la maglia, specchietti. Catturavano foche, trichechi e renne ricavando carne da mangiare, grasso combustibile e pelli per confezionare indumenti per l'inverno. Le donne solitamente erano deputate a conciare le pelli nel loro modo tradizionale maasticando la parte senza peli sino a renderla morbida. Peary finalmente riuscì ad abbandonare le stampelle costruite da Cook e a camminare senza sostegno. Insieme al dottore cominciarono a prendere le misure a tutti gli indigeni. Gli uomini erano alti in media centociquantaquattro centimetri per sessantun chili mentre le donne misuravano solo centoquaranta centrimetri di altezza per cinquantatre chili. Cook riscontrò che le parti del corpo esposte al freddo e quindi a rischio di congelamento come mani, orecchie, naso e piedi erano più piccole del normale. Quando cominciarono a nascere i primi bambini all’interno della comunità di eschimese Cook si rese conto che il medico non era necessario e neanche veniva richiesto. La donna durante il travaglio veniva lasciata sola in un igloo insieme olio, grasso di balena e carne surgelata. Se sopravviveva e si sentiva il vagito del neonato gli altri membri della comunità entravano nell'igloo ad assistere la puerpera e il neonato. Se invece non sentivano alcun rumore l'igloo veniva sigillato e abbandonato. Quando nascevano due gemelli essi venivano uccisi entrambi poichè la madre non sarebbe stata in grado di portarli tutti nel marsupio dietro la schiena e badare a loro. Inoltre se uno dei due genitori moriva e il figlio aveva meno di tre anni veniva strangolato con un laccio di pelle di foca. Durante i mesi invernali Frederick osservò che l’equipaggio sembravano anemici avendo un colorito verdognolo, avevano macchie scure sulle estremità inferiori, piedi e mani con dolori intensi, gengive ricoperte da piaghe, emorragie nasali. Erano i sintomi dello scorbuto, spesso fatale a quei tempi in quelle latitudini, che colpiva coloro che assumevano una dieta carente di vitamine. Gli eschimesi non ne venivano colpiti per una differente dieta: ingerivano carne quasi sempre cruda. Cook riferì la cosa a Peary che però non ne volle sapere di seguire le abitudini alimentare degli indigeni. Il dottore invece cominciò ad inserire la carne cruda nella sua dieta. Alla fine di gennaio ritornò il sole e la lunga notte invernale ebbe fine per cui Peary e il resto dell’equipaggio prepararono l’equipaggiamento per la spedizione. Ad aprile costruirono un nuovo nascondiglio per le provviste su un ghiacciaio distante quaranta chilometri dalla base. La squadra di esploratori era composta da Peary, Cook, Astrup e Gibson che partirono dal magazzino verso l’entroterra inesplorato guidando ciascuno una slitta trainata da cani. Gli eschimesi però dopo pochi chilometri si rifiutarono di proseguire per paura degli spiriti maligni che popolavano l’interno della Groenlandia per cui ritornarono alla Red Cliff Yard. Anche Henson ritorno indietro a causa di un principio di congelamento di un tallone che gli causava un dolore insopportabile. Ad ogni tappa costruivano un igloo come gli era stato insegnato dagli eschimesi badando a ventilarlo bene per non rischiare di morire soffocati. Ogni giorno riuscivano a percorrere anche trentadue chilometri e una volta raggiunta una località situata a duecento chilometri dalla baia di Mc Cormick Peary decise di proseguire l’esplorazione insieme ad un solo uomo. La scelta cadde su Astrup, il migliore del gruppo, quello secondo lui più adatto ad affrontare il viaggio su quella distesa ghiacciata. Cook e Gibson ritonarono indietro con una sola slitta trainata da due cani e cibo sufficiente per due settimane. Secondo le previsioni di Peary la squadra di supporto sarebbe dovuta arrivare alla base entro la metà di maggio ma invece arrivarono il 3 giugno con la slitta quasi vuota e trainata da un solo cane. Peary con il compagno ritornarono alla base il 5 agosto 1892, quando Josephine si era già imbarcata sulla Kite ferma all’ancora nella baia di Mc Cormick. Era ancora semiaddormentata quando sentì i passi di quello che capì subito fosse il marito. Tutto l’equipaggio festeggiò il ritorno dei due esploratori. Gli eschimesi pensando fossero due spiriti non vollero avvicinarli. Raccontarono di quanto fosse stato lungo e duro il viaggio sotto bufere di neve. A circa ottocento chilometri dalla baia di Mc Cormick arrivarono al limite settentrionale della Groenlandia; una scogliera rocciosa di oltre un chilometro di altezza a cui Peary diede il nome di Navy Cliff. Oltre la scogliera vi era la distesa ghiacciata dell’artico. Avevano percorso circa milleseicento chilometri in ottantacinque giorni. In media ventidue chilometri al giorno. Non passarono che alcuni giorni che Peary parti a bordo di una baleniera con la moglie, Henson e Verhoeff per un’escursione nei dintorni. Sbarcarono in una piccola baia che chiamò Bowdoin in onore alla sua università. Verhoeff volle ritornare a piedi alla Red Cliff House, attraversando il ghiacciaio. Il giorno dopo disse di voler andare a raccogliere dei minerali nella baia e che sarebbe tornato nel giro di qualche giorno. Non vedendolo tornare Cook organizzò una squadra di ricerca che sei giorni dopo ritrovò, in cima ad un ghiacciaio a quaranta chilometri di distanzia, le sue impronte. Del geologo, che probabilmente era scivolato sulla superficie ghiacciata ed era caduto in un crepaccio, nessuna traccia. Non fu mai ritrovato. Al ghiacciaio su cui John M. Verhoeff probabilmente morì venne dato il suo nome. Di ritorno dalla Groenlandia, a conclusione della North Greenland Expedition, la Kite attracco a Philadelphia il 24 settembre 1892. Venne organizzato presso la Philadelphia Academy of Natural Sciences un grand galà per accogliere gli esploratori. Peary ringraziò pubblicamente i componenti della sua squadra. In particolare Cook che si era dimostrato un lavoratore instancabile sempre disponibile ad aiutare gli altri. Grazie alla sua opera ogni partecipante la spedizione non aveva mai avuto alcun disturbo. Anche a Henson, il suo fedele ragazzo di colore, riconobbe che aveva lavorato duramente e si era dimostrato all'altezza degli altri compagni. Peary aveva appena ricominciato a lavorare alla Brooklyn Navy Yard quando chiese ed ottenne una nuova licenza pagata di tre anni per un nuovo viaggio nel novembre del 1892.

I RAPPORTI CON PEARY SI DETERIORANO[modifica | modifica wikitesto]

Cook andò a vivere con la madre a Brooklyn e riprese la professione medica presso il suo ambulatorio con molto successo. Quando Peary gli chiese di affiancarlo in qualità di comandante in seconda nel suo prossimo viaggio il dottore accettò con molto entusiasmo. Così pure Astrup che era ritornato in Norvegia e Henson che accompagnò l'ingegnere durante le sue conferenze atte a raccogliere fondi per la spedizione. In queste occasioni si presentava sul pasco con indumenti eschimesi guidando la sua muta di cani portati direttamente dalla Groenlandia. Cook chiese a Peary se poteva pubblicare la sua ricerca sugli eschimesi, anche se quest'ultimo non aveva ancora scritto il suo libro sulla spedizione, pensando che ciò non fosse un problema. Il comandante però gli disse che ogni componente della squadra aveva preventivamente firmato un contratto con il quale ognuno di loro si impegnava a non pubblicare alcun libro prima che fosse passato almeno un anno dalla pubblicazione di quello di Peary. Con ciò impediva di fatto a Cook di pubblicare alcun lavoro. Questi ci rimase molto male in quanto non si aspettava un simile atteggiamento da parte dell'ingegnere e portò Cook a informarlo, dopo qualche giorno, che non avrebbe partecipato alla sua prossima spedizione. Anche se tra i due continuarono ad esserci rapporti amichevoli e cordiali e, almeno per un certo periodo, anche una corrispondenza. Nonostante ciò, il giorno in cui Peary partì per la sua nuova esplorazione dal porto di Brooklyn, Cook si recò sul molo per assistere alla partenza.

SECONDA SPEDIZIONE IN GROENLANDIA[modifica | modifica wikitesto]

Qualche settimana dopo però anche Frederick partì con un'altra nave, una goleta di ventitre metri di nome Zeta, per il grande Nord. La nave fu messa a disposizione da un professore dell'università di Yale per permettere al proprio figlio, il giovane James Hoppin studente della stessa università, di soddisfare la sua voglia di artico. Si recò in Nuova Scozia in treno e salì a bordo della nave con tutto l'equipaggio e tre naturalisti salpando il 10 luglio. La Zeta, una nave praticamente nuova, costeggiò le coste occidentali di Terranova e del Labrador attraversando lo stretto di Davis che li separava della Groenlandia meridionale arrivando dapprima a Upernavik, l'insediamento danese più settentrionale, il 16 agosto. Cook sperava di arrivare più a nord, a capo York, circa seicentoquaranta chilometri più su ma il comandante della nave disse che era troppo rischioso per cui si diresse a sud facendo tappa a Swartenbaak dove il dottore incontrò degli indigeni trattando i loro cani, sei adulti e nove cuccioli. La sua intenzione era di portare a casa i cani per addestrarli a trainare le slitte in previsione di spedizioni future. La nave riattraversò lo stretto di Davis e si diresse verso il Labrador dove si fermò a Rigolet, un porto sulla Hudson Bay. Incontrò una famiglia di eschimesi ottenendo da loro il permesso di portare in America i loro figli maggiori, una ragazza di sedici anni di nome Katakata e un ragazzo di quattordici anni di nome Milsok. Questi, che sarebbero diventati famosi con i nomi di Clara e Willie, avrebbero conosciuto uno stile di vita completamente diverso dal loro. Cook si impegnò a riportare i raazzi a casa l'anno successivo. I due giovani eschimesi cominciarono a partecipare alle conferenze di Cook in giro per l'America con i loro indumenti tipici insieme alla muta di cani da slitta per raccogliere i fondi necessari per il prossimo viaggio che aveva intenzione di organizzare, in Antartide.

TERZA SPEDIZIONE IN GROENLANDIA[modifica | modifica wikitesto]

Cook tornò però nell’Artico nell’estate del 1894. A bordo della Miranda, una nave di dieci anni appartenente alla Red Cross Line di 1158 tonnellate per sessantasei metri di lunghezza (la più grande nave che avesse mai solcato quei mari), vi erano anche i due ragazzi di Rigolet che tornavano a casa con grande dispiacere oltre ad una cinquantina di ricchi passeggeri disposti a sborsare cinquecento dollari a testa. La nave salpò dal porto di New York il 7 luglio e l’inizio del viaggio non fu dei più incoraggianti in quando durante una manovra per uscire dal porto andò ad urtare contro il molo. I primi dieci giorni passarono senza contrattempi ma il 16 luglio dapprima comparvero all’orizzonte i primi iceberg e successivamente calò una fitta nebbia. La mattina successiva, verso le otto, la nave colpì con la prua un grosso iceberg, apparso all’improvviso nella nebbia, rimanendo incagliata e subendo un danno a dritta. Con abili manovre il comandante riuscì a liberarla e si diressero nel porto più vicino lungo le coste del Labrador. Constatando meglio l’entità dei danni decisero di ritornare nel porto di St. John nell’isola di Terranova, seicento chilometri più a sud, per le riparazioni. Il 29 luglio riprese la navigazione verso nord e arrivati a Rigolet i due fratelli furono riconsegnati alla famiglia dopo di che l’imbarcazione fece rotta verso la Groenlandia meridionale, che raggiunsero il 3 agosto. Attraccarono nel porto di Sukkertoppen, un piccolo villaggio danese di cacciatori di foche e balene, il 6 agosto. I passeggeri ebbero tre giorni per esplorare i ndintorni e conoscere le famiglie danesi del posto e anche alcuni eschimesi. Ripartiti, dopo aver percorso pochi chilometri, la nave colpì una scogliera nascosta sotto il livello dell’acqua ma chiaramente indicata sulle carte nautiche dell’epoca a disposizione del comandante rimanendo incagliata. Una volta che si riuscì a disincagliarla valutando i danni subiti si accorsero che nella stiva vi erano una decina di centimetri d’acqua. Le pompe vennero messe subito in azione. Il capitano invertì la rotta in quanto lo scafo aveva subito danni notevoli e questa decisione probabilmente salvò la vita a perecchi passeggeri. Cook prese una piccola imbarcazione e risalì la costa in cerca di aiuto. Il 16 agosto giunse a Holsteinberg dopo circa centosessanta chilometri dove riuscì a mettersi in contatto con un’altra nave vicina, la Rigel di Gloucester nel Massachusetts che accolse subito la richiesta di aiuto e raggiunse la Miranda il 20 agosto nel porto di Sukkertoppen. I passeggeri con le scialuppe furono trasferiti sulla Rigel dopo di che i marinai rimisero in moto la nave prima di abbandonarla loro stessi. La Miranda scomparve per sempre nella nebbia. La Rigel raggiunse il porto di North Sydnei nella Nuova Scozia il 5 settembre. Alcuni passeggeri raggiunsero casa in treno mentre altri, Cook compreso, fecero rotta verso New York salpando a bordo della Portia la nave gemella della Miranda. Il triste presagio si materializzo quando la nave lasciò il porto di New York. Il giorno dopo speronò una piccola imbarcazione a vela, la Dora N. French di Bangor nel Maine. Nell’impatto morirono quattro dei cinque membri dell’equipaggio di quest’ultima.

ALLA SCOPERTA DELL'ANTARTIDE[modifica | modifica wikitesto]

Cook una volta ritornato a casa riaprì l’ambulatorio e l’attività continuò a crescere tanto che dovette prendersi un socio. Ma il dottore era sempre più convinto di riprendere le esplorazioni e questa volta decise di recarsi in Antartide. Un giorno d’inverno incontrò allo Union League Club di New York City un ricco industriale nel campo dell’acciaio di nome Andrew Canargie, uno degli uomini più ricchi d’America, il quale aveva letto numerose pubblicazioni di esploratori dell’artico. Dapprima sembrava interessato a finanziare con una donazione la spedizione di Cook. Lo incontrò diverse volte e in una occasione, quando sembrava sul punto di definire la questione, fu chiamato in un’altra stanza e quando ritornò sembrava che i suoi pensieri fossero altrove. Praticamente non se ne fece più niente. Canargie dopo aver venduto il suo impero a J.P. Morgan nel 1901 si ritirò dagli affari e si dedicò alla filantropia donando trecentocinquanta milioni di dollari in beneficienza. Morì nel 1919 senza aver mai donato neanche un cent in favore delle esplorazioni polari. Cook lavorava già da diversi anni in un ambulatorio sito in una via elegante nota per i suoi numerosi ambulatori medici. Faveva anche visite a domicilio recandosi a casa dei suoi pazienti su un carro trainato da un cavallo bianco. Alla casa badava la suocera, la signora Forbes, e spesso le facevano visita le sue tre figlie ormai adulte. Fu a causa di queste frequenti visite che Frederick cominciò a frequentare una di esse, Anna un’insegnante. Un giorno, quasi per caso, lesse un articolo sul New York Sun in cui citava un cablogramma proveniente da Anversa, in Belgio, in cui si riferiva della ritardata partenza della spedizione antartica belga a causa della defezione del medico. Immediatamente inviò un cablogramma in Belgio proponendosi quale medico della spedizione. Ricevette nel giro di poche ore la risposta in cui veniva invitato a raggiungere la squadra a Rio de Janeiro in quanto la sua richiesta era stata accettata con entusiasmo. Fu però tentato più volte a rifiutare l’opportunità in quanto lui e Anna, verso la fine del 1897, si fidanzarono e viste le precarie condizioni di salute di lei non voleva abbandonarla per molto tempo. Infatti sospettando avesse addirittura una tubercolosi la fece vedere da un collega specialista che però non confermo la patologia. Questo confortò alquanto Frederick ma intanto aveva perso la nave per il sud America. Riuscì ad imbarcarsi tre settimane dopo e una volta finalmente arrivò a Rio de Janeiro dovette aspettare due settimane prima di potersi imbarcare sulla Belgica, una nave utilizzata per la caccia alla foca. Oltre al capitano Adrien de Gerlache, un ufficiale di marina belga, vi erano diversi scienziati e come comandante in seconda vi era un un norvegese come lo erano diversi marinai. Era un esploratore che divenne anni dopo protagonista in antartide: Roald Amundsen. Lo scopo della missione, che aveva l’avvallo della Royal Geographical Society di Bruxelles oltre al sostegno del governo, era quello di eseguire studi scientifici all’interno del Circolo Polasre Antartico per l’intera stagione. Dopo aver costeggiato l’intera costa orientale dell’America del sud la nave attraccò nella Terra del Fuoco dopo di che si diresse verso sud, in acque antartiche. Cook imparò a conoscere le peggiori condizioni atmosferiche della terra, tempeste di grandine e neve, vento sferzante. Un giorno durante una tempesta Cook e Amundsen sentirono un grido e guardando a poppa videro che un marinaio, Carl Wiencke, era stato sbalzato nelle acque gelide. Era riuscito ad afferrare una cima ma nonostante l’equipaggio si prodigasse per recuperarlo, anche se era impossibile calare una scialuppa di salvataggio visto il mare estremamente agitato, pian piano le forze scemarono e il marinaio scomparve al di sotto della nave. La perdita di Carl fu uno shock per i molti amici che aveva tra i giovani componenti l’equipaggio. La nave oltrepasso le isole Shetland meridionali e arrivò in vicinanza dell’Antartide. Quella era una parte del mondo ancora inesplorata per cui il comandante De Gerlache tracciò il profilo costiero sulle mappe. Una squadra composta da Cook, Amundsen e alcuni scienziati sbarcarono per andare ad esplorare l’entroterra. Frederick piantò in quelle lande ghiacciate una bandiera americana. Era la prima volta che l'Old Glory sventolava in Antartico. Dopo una settimana il resto dell'equipaggio richiamo i due in quanto erano riusciti ad intravvedere una breccia nel ghiaccio verso sud. Avrebbero dovuto raggiungere la costa meridionale antartica dell'Australia. Alla metà di febbraio però erano ancora molto lontani. La Belgica riuscì a passare attraverso un passaggio che sbucava nell'Oceano Pacifico. Una squadra composta da Cook, Amundsen e gli scienziati sarebbe sbarcata nella zona del Polo Magnetico e avrebbero piantato un campo invernale mentre il resto dell'equipaggio sarebbe andato in Australia. La nave fu però costretta ad affrontare un'altra terribile tempesta e a navigare tra le insidie degli iceberg. Inoltre l'avvicinarsi dell'inverno peggiorava notevolmente le condizioni metereologiche. Cercando di navigare verso sud la Belgica fu spinta, dalla tempesta e dal vento che spirava da nord, verso una distesa di ghiaccio non compatto. Superata la tempesta, una mattina la nave, che si trovava a centosessanta chilometri dalla distesa ghiacciata, si ritrovò con la banchisa chiusa attorno allo scafo. Erano bloccati e le provviste stavano terminando; inoltre l'equipaggiamento non era adatto per quelle rigide temperature antartiche. Si trovavano a 71° S e 85° O e avevano superato ilcircolo polare antartico di quattrocentoottanta chilometri ma si trovavano ancora a più di mille miglia marine dal Polo Sud. Sarebbero stati i primi a trascorrere la stagione invernale, la grande notte polare. La nave comunque non sarebbe stata ferma ma sarebbe stata trasportata dalle correnti con il blocco di ghiaccio dentro cui era bloccata. Per ripararsi maggiormente dal freddo vennero costruite delle doppie porte e delle doppie finestre, venne posta una seconda stufanella zona delle cuccette e iniltre venne posta una passerella a babordo. Il sole scomparve il 15 maggio per ripresentarsi dopo due mei, Cominciarono le tempeste di neve e il vento si fecero così sferzanti, violente e continue da eseere impossibile trascorrere molte ore fuori dalla nave. Con il passar del tempo cominciarono a comparire malumore e apatia e anche le malattie. Il primo ad ammalarsi fu il tenente Danco a causa di un disturbo cardiaco preesistente. L'uomo morì il 5 giugno e ciò determinò un peggioramento dell'umore dell'equipaggio. Il corpo venne inserito in un sacco con dei pesi all'interno e fatto cadere nel mare attraverso una buca scavata nella neve. Qualche giorno dopo a morire fu il gatto della nave, Nansen, Fu un dispiacere per tutti perchè era un gatto affettuoso e desideroso di carezze ma che nell'ultimo periodo mangiava poco ed era irritabile. Una mattina il marinaio francese di nome Ernest Poulson salì sul ponte e in preda ad un attacco di follia con un pugnale in mano riuscì a ferire diversi compagni. Scese dalla nave inseguito da Amundsen mentre Cook si prestava a medicare i feriti. Quando venne raggiunto dall'esploratore norvegese Poulson era già morto in quanto cadendo si infilzò la lama del suo coltello in addome. Venne sepolto come il primo deceduto. Due settimane dopo, un'altro marinaio salì sull'albero maestro urlando che vi era acqua libera davanti alla nave ma perse l'equilibrio e cadde sul ponte morendo sul colpo, Ciò che affermava di vedere non era altro che un'allucinazione. Ci fu l'ennesima sepoltura. Oltre allo stress psicologico Cook constatò che l'equipaggio soffriva di gengive porose, occhi e caviglie gonfie, insonnia, allucinazioni, inappetenza, aritmie cardiache. Inoltre diagnosticò una forma di anemia che era assai diffusa nelle regioni polari. Frederick era convinto che ciò dipendesse dall'assenza dei raggi solari per cui pensò di obbligare gli uomini a restari fermi nudi davanti al fuoco acceso sulla banchisa per un'ora asorbendo in tal modo calore e luce. Inoltre consigliò una dieta a base di carne fresca. Il primo a sottoporsi a tale cura fu il capitano Lecointe che era molto malato e debole. Dopo qualche settimana il capitano riuscì a ristabilirsi completamente. Essendo le scorte di carne esaurite andarono a caccia di foche e pinguini usando bastoni e arpioni. Le condizioni di tutto l’equipaggio migliorò progressivamente e anche il morale; inoltre il 22 luglio il sole riapparve dopo settanta giorni di notte polare. Cook e Amundsen costruirono una slitta leggera pesante solo trenta quatto chili i cui pattini erano rivestiti da strisce di ferro. Mentre l’amicizia e la stima fra i due continuava a crescere scoprirono di avere una profonda ammirazione per Eivind Astrup che aveva partecipato alla spedizione artica dal 18912 al 1893 con Cook e Peary ed era stato compagno di scuola di Amundsen. Purtroppo era deceduto e la notizia apparve il 22 gennaio del 1896 in un articolo del New York Sun redatto a Oslo. Astrup qualche giorno dopo Natale era partito con gli sci per far visita a degli amici che abitavano in una città a circa ottanta chilometri portando con se cibo solo per un giorno. Tre settimane dopo non avendo più avuto notizie gli amici organizzarono le ricerche che portarono al ritrovamento del corpo congelato in un bosco. Non si è mai chiarito se fosse morto per una malattia o ad un trauma. I mesi passavano ma la nave era ancora bloccata, e le riserve di cibo e di combustibile diminuivano progressivamente. Trascorse la primavera e l’estate. Cook e Amundsen fecere diverse escursioni per testare l’atrezzatura. L’autunno trascorse e arrivò il Natale del 1898 e quindi anche il Capodanno. La prospettiva era di trascorrere un altro inverno in Antartide. Un giorno Cook propose di scavare due canali poco profondi, uno dalla prua della nave e uno dalla poppa che la collegassero al mare. Pensava che se il ghiaccio si fosse rotto lungo tali linee più deboli la Belgica avrebbe potuto raggiungere il mare aperto. Lavorando ventiquattro ore su ventiquattro facendo turni di otto ore ciascuno dopo un mese riuscirono a scavare questo canale. Dopo di che attaccarono una grossa fune a prua e tentarono di trainarla. Dopo che una mattina risvegliandosi si accorsero che il canale si era richiuso il vento cambiò direzione e improvvisamente lo riaprì. L’equipaggio iniziarono a tirare la nave e finalmente riuscirono a farle raggiungere il mare dopo un anno. Scoppiarono a piangere di gioia. In questo periodo riuscirono a calcolare che la nave si era spostata all’interno della banchisa per più di milleseicento chilometri. Fecero rotta verso il Sud America dove Cook sbarcò in quanto voleva fare delle ricerche sugli indiani che abitavano lungo la costa desolata mentre il resto del gruppo riprese la rotta verso casa. Dopo un mese raggiunse Montevideo in Uruguay dove ricevette la notizia che Anna la sua fidanzata era deceduta. Il temuto naufragio della Belgica con la conseguente morte dei componenti la spedizione aveva minato la già precaria salute della donna portandola a morte. Cook tornò a Brooklyn nel giugno del 1899 e come sempre riaprì l’ambulatorio e cominciò la stesura del libro sulla spedizione antartica. Non trovando un editore disposto a pubblicare il libro fondò la Polar Publishing e pubblicò lui stesso il libro "Through the First Antarctic Night" che fu accolto molto bene da un pubblico di appassionati e fu tradotto in diverse lingue. Frederick A. Cook divenne il primo americano ad aver esplorato sia l’Artide che l’Antartide. Amundsen attribuiva la salvezza dell’intero equipaggio all’ingegnosità del dottore. Ricevette dal re del Belgio Leopoldo I la maggior onorificenza della nazione, l’Ordine di Leopoldo, e fu l’unico non belga della Belgian Antarctic Expedition a riceverla.

ALLA RICERCA DI PEARY[modifica | modifica wikitesto]

Erano passati diciotto mesi da quando Peary era partito per l’ennesima spedizione artica imbarcandosi sulla Windward e non aveva più dato notizie di sé. Josephine era inquieta e molto preoccupata; insieme alla figlia partì per la Groenlandia alla ricerca del marito. Da allora nessuno aveva più avuto sue notizie. I sostenitori di Peary chiesero a Cook di unirsi a loro per un’operazione di salvataggio; lui che conosceva la zona ed era in grado di colloquiare con gli eschimesi. Si imbarcò a bordo della Erik, una nave usata per la caccia della foca, e Il 7 agosto giunse a Etah Harbor, in Groenlandia, mentre la Windward era ferma poco distante. Josephine nel frattempo era riuscia a ricongiungersi al marito dopo essere stata bloccata a sua volta dai ghiacci circa quattrocento chilometri a sud del luogo dove Peary aveva trascorso l’inverno. Cook ne approfittò per informarla del decesso della suocera nella sua casa nel Maine. Josephine avrebbe avvisato personalmente il marito. Essa invece chiese al dottore di visitare il marito che era in condizioni pessime e di consigliargli di ritornare a casa con lei e la figlia per rimettersi in forma. Cook si recò nella stanza di Peary e lo trovò molto invecchiato dall’ultima volta che lo vide. Non aveva più il fisico di alcuni anni prima. Aveva la pelle, soprattutto del viso, che sembrava bruciacchiata e di un colorito grigio-verde, era sottopeso e la muscolatura non era tonica, i riflessi erano rallentati, gli occhi erano infiammati e soffriva di nictalopia. I denti erano in pessime cariati e affetti da piorrea, le gengive arrossate con i sintomi iniziali di scorbuto, l’intestino non funzionava bene, le arterie erano dure e aveva grosse varici alle gambe. Inoltre in altre parti del corpo le piccole vene apparivano dilatate. Cook riteneva che questo quadro clinico fosse imputabile alla cattiva alimentazione, carente di sostanze nutritive essenziali, e alla anemia. Aveva quasi finito di visitare l’ingegnere quando si accorse di una cosa che lo fece indietreggiare scioccato. I piedi di Peary avevano gli esiti di pregresse ulcere, otto dita gli erano state amputate parzialmente dopo la prima spedizione e i moncherini che non riuscivano a guarire gli procuravano violenti dolori. “Per lei sono finite le traversate a piedi sulla neve. Senza dita e con i piedi in quelle condizioni dovrà scordarsi racchette e sci” gli disse Cook. Infatti la perdita delle dita dei piedi gli avrebbe impedito di camminare accanto alla slitta trainata dai cani. Avrebbe dovuto essere trasportato e ciò significava togliere spazio per l’attrezzatura e le provviste. Inoltre a quelle latitudini e per via della dieta basata su cibi in scatola gli avrebbe fatto peggiorare l’anemia. Gli spiegò che gli eschimesi non si ammalavano mai di scorbuto perché si nutrivano spesso di fegato e carne cruda e gli raccontò come aveva curato i compagni della spedizione antartica a base di carne cruda di foca. Peary però non ne volle sapere di seguire i consigli del dottore dicendogli che erano tutte sciocchezze. I consigli di Cook circa la dieta ricca di fegato precedettero di trentacinque anni un articolo pubblicato su una rivista medica in cui venivano descritti i successi ottenuti con l’uso del fegato per la cura dell’anemia perniciosa. Il 24 agosto a bordo della Windward Josephine e la figlia di sei anni salparono per ritornare a casa. Naturalmente senza Peary. Qualche giorno dopo la Erik salpò a sua volta portando Peary e la sua squadra oltre lo stretto di Smith, una sessantina di chilometri più a nord e dopo che furono scesi la nave con a bordo Cook invertì la rotta dirigendosi a sud.

LA SCALATA DEL MONTE McKINLEY[modifica | modifica wikitesto]

Anche se Cook stava via per molti mesi, quando tornava e riapriva lo studio medico molti pazienti ritornavano a farsi visitare e ne arrivavano anche di nuovi, probabilmente attratti dalla sua fama. Aveva trentasei anni quando si innamorò di una bella ragazza bruna di ventiquattro anni, Marie Fidele Hunt, che era appena rimasta vedova del marito, un omeopata del New Jersey di nome Willis Hunt, con una figlia, Ruth, di quattro anni. Si conobbero nel corso di una serata mondana e Marie restò “ipnotizzata” dal medico esploratore. Marie e Frederick si sposarono il 10 giugno 1902, nel giorno del trentasettesimo compleanno di lui, in una chiesa di New York e andarono a vivere in una grande casa di fronte a quella dove il medico aveva vissuto per molti anni e addottò la figlia di lei. Migliorò il suo ambulatorio acquistando nuovi macchinari compresa una delle prime macchine a raggi X e comprò anche una macchina Franklin a quattro cilindri, abbandonano per le visite la carrozza con il cavallo. Nel 1900 si recò in Belgio per ricevere dalle mani del re Leopoldo I l’onorificenza per essersi distinto durante la spedizione in Antartide e fu in quell’occasione che conobbe uno dei più grandi alpinisti dell’epoca, Edward Whympert, il primo uomo a violare la vetta del Cervino, nel 1865, solo pochi giorni prima di un gruppo di italiani. Durante la discesa, che è notoriamente la fase più difficile di una scalata, morirono quattro membri della squadra. Whympert cercò di suscitare l’interesse di Frederick per l’alpinismo. E ci riuscì. Quell’estate in Alaska una squadra di geologi del dipartimento americano, guidata da Alfred Brooks, stava esplorando una zona sconosciuta intorno al Monte McKinley, la montagna più alta del Nord America nonché la più ripida e la più fredda, fra le montagne più alte, del mondo. Cook lesse la notizia in una rivista americana, il National Geographic. Il picco fu scoperto da un cercatore d’oro della zona, W.A.Dickley, nel 1896 che gli aveva dato il nome del Presidente degli Stati Uniti William McKinley. La sua altezza era di circa seimila metri e ancora non era stata violata. Aveva una base che misurava circa quaranta chilometri e sorgeva in uno dei territori più impervi della terra. Frederick non volendo stare troppo a lungo lontano dalla giovane moglie decise di dedicarsi per un po’ all’alpinismo. Andò in un negozio di articoli sportivi di Manhattan e si fece fabbricare una tenda che lui steeso disegnò. Non necessitava di alcun paletto in quanto utilizzava i manici delle picozze ed era di forma ottogonale. Inoltre insieme a Marie ideò un sacco a pelo particolare costituito da tre mantelli che uniti tra loro potevano essere trasformati in poncho da indossare. Erano di piuma di edredone foderati in cammello. La squadra di esploratori partì alla volta della montagna che distava oltre centosessanta chilometri procurò anche un nuovo tipo di corda in crine di cavallo invece di quelle tradizionali in seta utilizzate dagli scalatori alpini che diventava pesante e scivolosa qualora fosse impregnata d'acqua. Nel maggio del 1903, dopo aver chiuso la casa di Bushwick, insieme a Marie che aveva chiesto di accompagnare il marito come aveva fatto Josephine con Peary, lasciando la figlia Ruth da alcuni parenti, partirono verso Seattle con un treno della Northwestern Limited. Arrivati nella città dello stato di Washington comprarono provviste e quindici cavalli da un indiano Yakima. Si imbarcarono su una nave diretta in Alaska, la Santa Ana che salpò la prima settimana di giugno arrivando dapprima a Valdez una città divenuta importante in quanto era un centro di rifornimento per le miniere del Klondike e quindi attraccò a Tyonok una località a centossessanta chilometri più a nord sede dei magazzini dell'Alaska Commercial Company abitata da una manciata di famiglie. Durante il tragitto, una mattina all'alba, apparve in tutta la sua imponenza il Monte McKiley, ad una distanza di circa quattrocento chilometri. Marie decise che non era il caso, vista l'impervietà del tragitto, di procedere oltre. Ritornò a Valdez a bordo della stessa nave. Si sarebbe limitata a perlustrare i dintorni della cittadina. Il 25 giugno la squadra di esploratori partì verso la montagna che distava oltre centosessanta chilometri. Portarono con loro anche una piccola barca. Raggiunto il fiume Skwentna lo attraversarono e decisero di separarsi; Cook insieme Walter Miller risalì il fiume a bordo della barca mentre il resto della squadra fra cui alcuni indiani reclutati a Tyonok con i cavalli attraversarono foreste e acquitrini. L'8 luglio si riunirono nel punto convenuto per l'incontro ma dopo una notte di riposo si divisero di nuovo e avanzarono per altri trentadue chilometri. Continuava a piovere da quando avevano lasciato Tyonok ed erano bagnati fradici senza contare le numerose zanzare. L'11 agosto finalmente usciti dalle foreste riuscirono a vedere gli ultimi milleduecento metri del monte McKinley. Con grande stupore videro che in realtà le cime eran due, una settentrionale e una meridionale. Mai prima di allora ci si era resi conto di ciò. Dopo altri tre giorni di cammino giunsero a ventiquattro chilometri dalla montagna. Dopo una notte trascorsa nelle tende sotto una violenta tempesta, ritovandosi la mattina dopo in una pozza di acqua ghiacciata, tentarono di dare l'assalto alla cima. Cook studiò diversi percorsi da affrontare per arrivare in vetta. Avevano percorso circa ottocnto chilometri tra foreste e corsi d'acqua per raggiungere la base del McKinley; avevano impiegato tre settimane in più sulla tabella di marcia, la temperatura era già scesa a 7° e ben presto sarebbe sopraggiunto l'inverno. Dopo due giorni di riposo,impiegati per riordinare l'attrezzatura, cominciarono la salita. Il primo campo fu montato a quota 2200 metri d'altezza. Mentre uno di loro pensò alle bestie e al grosso delle provviste, il resto della squadra raggiunse i 2500 metri prima di essere bloccati da uno strapiombo di seicento metri. Non trovando il modo di superare quell'ostacolo, dopo molti tentativi, Cook dichiarò il fallimento del primo tentativo. Scesero lungo la parete e arrivati alla base percorsero una quarantina di chilometri verso ovest. L'accampamento fu posto a 2700 metri; la temperatura era già scesa a meno ventitre gradi. Il 29 agosto diedero di nuovo l'assalto alla cima. L'obiettivo era di riuscire a salire in cinque giorni e scendere in tre giorni. Abbandonarono ciò non fosse strettamente necessario, portando cibo per una decina di giorni. Mentre salivano scavavano a turno dei gradini nella neve e alla sera cercavano di trovare uno spiazzo abbastanza ampio per montare la tenda o lo creavano spianando la neve con la picozza. Arrivarono a 3300 metri d'altezza e avevano impiegato il doppio del tempo preventivato. Nei giorni successivi non riuscendo a trovare una via abbordabile alla vetta, visto che ormai la bella stagione era finita e le temperature si erano ulteriormente abbassate, Cook insieme ai compagni decise che era tempo di scendere abbandonando l'idea di vincere il McKinley. Almeno per quell'anno. Erano comunque stati i primi a riuscre nell'impresa di percorrere l'intero perimetro della montagna. Avevano percorso 1120 chilometri in tre mesi e navigato per 480 chilometri su barche e zattere. Cook tornato a casa scrisse “Il McKinley rappresenta una sfida unica per gli alpinisti, ma la sua conquista sarà un'impresa ardua”. Due mesi dopo il ritorno a casa Cook due settimane prima del Giorno del Ringraziamento, nel 1906, tenne una conferenza stampa davanti a un pubblico entusiasta e competente. Annunciò che avrebbe tentato nuovamente di conquistare la cima della montagna più alta dl Nord America. Il gruppo si riunì ancora a Seattle. Questa volta Marie restò a casa dato che aveva dato alla luce una bambina, Helen, solo un anno prima. Raggiunsero Susitna Station il 1 agosto e trovarono un gruppo di cercatori d'oro che avevano appena avuto una disavventura con la loro imbarcazione. Cook curò i feriti tra i quali uno era in fin di vita a causa di un affogamento dopo di che con Barril, un uomo di un metro e ottanta d'altezza, partì per scalare il mcKinley. Dapprima risalirono il fime con l'imbarcazione poi la abbandonarono e, con sulle spalle uno zaino di ventidue chili contenente materiale e vivere per due settimane, proseguirono a piedi. Passarono i 3600 metri e proseguirono a 4200 dove cercarono uno spiazzo per passarvi la notte. Non trovandolo, con le picozze scavarono un gradino su un pendio inclinato e si sitemarono seduti uno accanto all'altro rimanendo svegli tutta notte per paura di scivolare lungo il pendio. Il giorno dopo arrivarono a 5400 metri dove trascorsero la notte più fredda, con la temperatura scesa a ventotto gradi sotto zero, con un vento fortissimo. La mattina dopo era il 16 settembre 1906, semicongelati si rimisero in marcia e finalmente raggiunsero la vetta verso mezzogiorno. Rimasero in cima una ventina di minuti e dopo aver lasciato nascosto contro un masso un tubo contenente un biglietto, presero la via del ritorno. Ritornato a Seattle si svolse la prima conferenza pubblica davanti ad una vasta platea dove Cook fu accolto come un eroe. Il 15 dicembre 1906 ad una cena organizzata a Washington dalla National Geogtraphic Society Cook e Peary si ritrovarono seduti al tavolo d'onore. Fra gli invitati, circa quattrocento persone, c'erano ministri, ambasciatori, capi militari e industriali. A presiedere la serata c'era l'inventore Alexander Graham Bell, colui che brevettò il telefono inventato da Antonio Meucci, cofondatore della Bell Telephone Company. Ad un certo punto si aprì la porta del salone e apparve il presidente degli Stati Uniti Roosvelt che raggiunse il proprio posto al tavolo d'onore. Dopo un breve discorso di ringraziamento nei confronti di Peary per il suo contributo all'esplorazione della regione artica e per il nuovo record di latitudine pari a 87° 6' gli consegnò una medaglia d'oro denominata “The Hubbard Medal” in onore del defunto fondatore della società. Anche a Cook gli vennero conferite delle onorificenze per l'impresa della scalata al McKinley. Ritornato a New York, oltre a riaprire l'ambulatorio, scrisse e inviò l'articolo promesso all'Harper's Monthly che pubblicò nel maggio del 1907 intitolato “The Conquest of Mount McKinley” ricco di fotografie e disegni. Nell'ultima immagine un uomo in cima ad una vetta faceva sventolare la bandiera americana. Inoltre iniziò un librò sulle sue spedizioni in Alaska.

ALLA SCOPERTA DEL POLO NORD[modifica | modifica wikitesto]

Nel marzo del 1907 ci fu un evento che avrebbe cambiato il corso della vita di Cook. John R. Bradley, proprietario di una delle case da gioco più esclusive della terra, il Beach Club di Palm Beach, che amava andare a caccia di animali selvatici fece un'offerta a Frederick. Gli propose di finanziare un nuovo viaggio guidato da Cook stesso nelle regioni artiche in modo che potesse dare la caccia a orsi polari e trichechi. L'offerta fu immediatamente accettata. Cook partì per Gloucester, un porto commerciale nel Massachussets, alla ricerca di una nave adatta allo scopo. Riuscì a trovare una goletta di centodieci tonnellate con lo scafo in legno a cui fece apportare delle modifiche per renderlo adatto a navigare nel mare ghiacciato. Cook e Bradley un mese prima della partenza pranzarono insieme all'Holland House di Manhattan ed erano entrambi eccitati per la spedizione; il dottore colse l'occasione per annunciargli che avrebbe tentato di raggiungere il Polo Nord. Anche Peary annunciò che sarebbe partito nel luglio del 1907 per l'ultimo tentativo di quello che ormai era la sua ragione di vita, quello per cui lui credeva di essere il predestinato. Cook riuscì ad equipaggiare la nave in quattro mesi e ad organizzare la spedizione in un solo mese. Decise che per riuscire nell'impresa aveva bisogno di una squadra ridotta, poche slitte e qualche eschimese, in quanto più persone erano presenti e più provviste avrebbe dovuto trasportare il che avrebbe aumentato di molto il peso sulle slitte. Altresì pensò, dopo aver letto il libro dell'esploratore norvegese Otto Sverdrup, "New Land", di variare il tragitto del viaggio attraverso l'isola di Ellesmere dove quest'ultimo descrisse di aver visto molta selvaggina, che avrebbe permesso di aumentare le scorte alimentari. Partì verso la Nuova Scozia insieme a Marie e alle bimbe e trascorse l'estate sull'isola di Capo Breton, a Baddeck. Prima di partire però fece pervenire alla casa editrice il manoscritto delsuo libro dal titolo: "To The Top of the Continent". La John R. Bradley salpò dal porto di Gloucester il 3 luglio 1907 iniziando il viaggio verso il Grande Nord. Per tutti la nave avrebbe portato il ricco proprietario nelle lande desolate della Groenlandia settentrionale per dilettarsi alla caccia. Giunse dapprima a Etah dove Bradley scese per le sue escursioni venatorie quindi ripartì verso il Nord facendo tappa nel piccolo villaggio di Annoatok dove vivevano pochi eschimesi con le loro famiglie e i loro cani e alcuni cacciatori dediti alla caccia invernale all'orso. Si sparse la notizia che Cook intendeva raggiungere il Polo Nord e ciò venne accolto con esultanza da parte dell'equipaggio. Tutti si offrirono per accompagnarlo ma il dottore scelse Rudolph Franke, un tedesco buono e forte di ventinove anni, Una volta scaricati i viveri e l'attrezzatura la Bradley fece ritorno in America. Tre mesi dopo John Bradley, di ritorno dal viaggio, spedì una lettera di Cook scritta ad Etah, nella Groenlandia settentrionale, ad Herbert Bridgman, segretario del Peary Artic Club in cui vi era scritto: “Ho trovato una nuova strada per il Polo Nord, e mi tratterrò per fare un tentativo. Il tragitto, che mi sembra molto promettente, passa dalla baia di Buchanan e dall'isola di Ellesmere, e prosegue verso nord attraverso lo stretto di Nansen e il Mar Glaciale Artico. Avremo selvaggina approssimativamente fino a una latitudine di 82°, e potremo contare sull'appoggio dei nativi, e dei cani da slitta. Ci siamo, finalmente.... Cordiali saluti. Frederick Cook”. La prima cosa che Cook e Franke fecero fu quello di costruire una casa prefabbricata da destinare ad alloggio, magazzino e officina. Nei giorni seguenti cominciarono a costruire le slitte che misuravano 3,6 metri di lunghezza e 0.75 di larghezza e pesavano solo venticinque chili. Quelle di Peary erano più grandi e pesavano due volte quelle di Cook. Quest'ultimo era convinto che pesando di meno potevano trasportare più cibo, per consentire il raggiungimento del Polo. I pattini vennero rinforzati con delle liste di ferro. Le slitte furono progettate e fabbricate dal padre, Theodore Cook, un abile costruttore di slitte, erano flessibili ma resistenti per cui si piegavano ma non si rompevano; le giunture erano rinforzate e rese elastiche avvolgendole con cinghie di pelle di foca. Inoltre seguì il consiglio di Nansen il quale diceva di essersi salvato perchè aveva a disposizione un kayak eschimese. La scelta cadde su una barca smontabile lunga tre metri e mezzo che una volta smontata veniva posta sul fondo della slitta, rinforzandola, mentre la tela sarebbe stata usata come tappeto. Verso la fine di gennaio 2008 Cook fece partire una squadra di eschimesi con a capo Franke che attraversò lo stretto di Smith per organizzare sull'isola di Ellesmere un deposito di provviste. Al loro ritorno riferirono che le condizioni del ghiaccio erano favorevoli per il viaggio. All'inizio di febbraio un'altra squadra di ricognizione composta da otto slitte partì verso la baia di Flagler sita più a nord per portare altre provviste e per andare a caccia di selvaggina. Il 19 febbraio riapparve il sole per cui cominciarono a preparare le slitte caricandole di attrezzatura e provviste e partirono; erano le undici della mattina. Cook, Franke e nove eschimesi. Questi ultimi non credevano che la terra fosse rotonda. Da qualche parte un grosso chiodo di ferro, che consideravano più prezioso dell'oro, si era conficcato nel ghiaccio. Per loro il Polo Nord era il “Grande Chiodo”. Conoscevano bene i pericoli di un lungo viaggio attraverso i ghiacci dell'Artico. Attraversarono lo stretto di Smith andando in direzione nord-ovest con una temperatura scesa sino a trentotto gradi sotto zero. Verso sera si fermarono costruendo un igloo per passare la notte. Dopo qualche giorno arrivarono a Capo Sabine sull'Isola di Ellesmere e poi si diressero lungo la costa orientale dell'isola giungendo nei pressi della baia di Flagher dove incontrarono la squadra di ricognizione che ritornò ad Annoatok. Cook decise di rispedire Franke al deposito che aveva allestito durante la prima ricognizione; qui avrebbe atteso quattro mesi, sino al 5 giugno, e se Cook non fosse tornato sarebbe dovuto ritornare in Groenlandia e imbarcarsi sulla prima nave diretta in America. Cook si diresse verso il centro dell'isola di Ellesmere dove Sverdrup diceva pascolasse molta selvaggina. Era indispensabile per il proseguo della spedizione che fossero trovati i buoi muschiati. E in effetti vennero avvistati e uccisi diversi capi . Una volta attraversata l'isola di Ellesmere e giunti nell'isola di Axel Heiberg furono uccisi altri venti esemplari di buoi muschiati. Ormai avevano scorte a sufficienza per il resto del viaggio. Giunti a capo Svartevoeg, sulla punta settentrionale dell'isola di Axel Heiberg avvistarono una scogliera scura che si stagliava nelle acque ghiacciate; erano a 82° di latitudine e avevano raggiunto l'ultimo lembo di terra: da lì in poi avrebbero iniziato il viaggio verso il Polo Nord. Cook a questo punto decise di ridurre al minimo il numero dei compagni che l'avrebbero accompagnato in quanto portare più uomini avrebbe comportato portare più provviste e quindi avere più peso sulle slitte. Scelse Etukishook e Ahwelah, entrambi ventenni, che aveva avuto modo di conoscere durante la prima parte del viaggio. Portarono due slitte con la barca trainate da ventisei cani fra i più forti e avrebbero portato cibo sufficienti per ottanta giorni. La strumentazione che Cook si portò era composta da un sestante, una bussola in alluminio con ecclimetro, un orizzonte artificiale in vetro con telaio in metallo, un barometro aneroide in alluminio, un termometro a bolle d'aria per la registrazione delle temperature, tre cronometri tascabili, un orologio, un pedometro e altri strumenti per tracciare le mappe nonché una macchina fotografica con rotoli di pellicola. Da quando avevano lasciato Annoatok, Cook e compagni avevano percorso trecentoventi chilometri e al Polo Nord ne mancavano altre cinquecentoventi miglia marine. La mattina del 18 marzo dopo aver salutato il resto della squadra partì con i due eschimesi. Qualche giorno dopo la partenza furono bloccati da un canale largo diversi chilometri. Decisero di aspettare un paio di giorni per vedere se si fosse richiusa e ciò avvenne tre giorni dopo, prima che venisse assemblata la barca. Proseguirono per altri tre giorni e Cook fece la prima rilevazione: 83° 31’ N. Venticinque giorni dopo, percorsi 576 chilometri dalla terraferma, con una media di ventiquattro chilometri al giorno, avevano consumato meno della metà delle provviste. Man mano che il peso delle slitte diminuiva veniva ridotto anche il numero dei cani deputati al loro traino. Quelli più deboli venivano sacrificati e dati in pasto ai rimanenti. Il 13 aprile Etukishook e Ahwelah si rifiutarono improvvisamente di proseguire e ci volle tutta l’opera di convincimento di Cook per farli desistere dal tornare indietro. Al Polo Nord mancavano solo cento miglia marine. Il 21 aprile 1908 fece un altro rilevamento della loro posizione: si trovavano in assoluto nel punto più vicino Polo. Erano riusciti nell’impresa di arrivare al “Grande Chiodo”. Rimasero in loco due giorni durante i quali Cook fece diverse misurazioni per confermare la latitudine. Prima di riprendere la via di casa mise un biglietto in un tubo di ottone e lo nascose in una fessura del ghiaccio. Durante il ritorno trovarono spesso il ghiaccio frantumato in grossi blocchi e senza la barca smontabile sarebbero rimasti bloccati diverse volte. Quando il 13 giugno Cook riuscì a leggere il sestante e a determinare la posizione si stupì di notare che lo spostamento della calotta glaciale non li aveva spinti a sud-est come pensava , ma in direzione opposta verso sud-ovest. Si trovavano a circa ottanta chilometri dalla costa occidentale dell’isola di Axel Heiberg, quindi molto più a sud e molto più a ovest di capo Svartevoeg che era la loro destinazione, dove avevano approntato il nascondiglio delle provviste. Lo spostamento del pack in direzione opposta era allora sconosciuto e inaspettato. Ciò comportava un rischio della loro vita. Il giorno successivo, dopo ottantasei giorni sulla banchisa polare arrivano ad un isoletta all’entrata dello stretto di Hassel, vicino alla costa nord occidentale dell’isola di Amund Ringnes. Rappresentava la terraferma. Le provviste erano quasi terminate e gli ultimi cani vennero lasciati andare piuttosto che ucciderli. Procedettero verso sud a piedi o in barca sperando di incontrare un insediamento eschimese. A settembre raggiunsero capo Sparbo sulla costa settentrionale dell’isola di Devon e con l’arrivo dell’inverno cercarono di trovare un rifugio idoneo per trascorrere la notte artica. Trovarono una vecchia grotta di ghiaccio e si adattarono al meglio vivendo in quel posto desolato da novembre a febbraio. Nel mese di ottobre andarono a caccia usando armi improvvisate costruite con ossa legno e metallo. Per abbattere i buoi muschiati utilizzarono anche corde e lance. Riuscirono a procurarsi selvaggina in abbondanza che ammucchiarono nella caverna. Quando le condizioni del ghiaccio lo permisero ripartirono per Annoatok dove, con un’estenuante marcia, arrivarono due mesi dopo, nell’aprile del 1909. Ritrovò il suo amico Harry Whitney da cui venne a sapere delle disavventure e del pessimo stato di salute di Rudolph Franke e del suo ritorno in America con la nave che aveva trasportato Peary circa otto mesi prima. Inoltre venne a sapere che l’ingegnere gli aveva sottratto tutti i suoi beni comprese le preziose pelli di volpe blu, le zanne dei trichechi e le pellicce. Infatti quando durante l'assenza di Peary, Rudolph Franke, che aveva aspettato inutilmente Cook sino al 5 giugno, comparve a bordo della Roosverlt in condizioni disastrate, sudicio, con i capelli e la barba lunghi, defedato, chiedendo qualcosa da mangiare, un cameriere rifiutò di dargli anche solo un po' di caffè e un pezzo di pane, rispedendolo a terra in malo modo. Il capitano della nave Bartlett il giorno dopo lo venne a sapere e scese dalla nave andando a cercarlo per riportarlo a bordo. Si scusò con lui e li rifocillò. Franke venne a sapere che la nave era in partenza per ritornare a casa e supplicò il comandante di dargli un passaggio ma questi disse che soltanto Peary poteva dargli il permesso. Quando questi tornò a bordo della nave il tedesco gli chiese implorandolo di farlo ritornare in America sulla sua nave dicendogli che aveva l'autorizzazione di Cook. Quando l'ingegnere sentì pronunciare quel nome si infuriò e si fece raccontare ogni particolare del viaggio del dottor Cook. Franke gli diede la lettera delle istruzioni di Frederick con la quale lo aveva autorizzato a custodire la casa di Cook e tutti i suoi averi. Peary lo autorizzava a salpare a bordo dlla nave ad una condizione: doveva consegnargli tutta la collezione di pellicce, pelli, avorio e le provviste accumulate a Annoatok. Franke però una volta tornato a New York raccontò ad un dirigente dell'Artic Club of America di essere stato costretto a cedere tutti i beni di Cook. La moglie di questi, Marie, inviò un assegno di cinquanta dollari al Peary Artic Club quale costo del biglietto per il ritorno su Roosvelt. Il suddetto Club a sua volta inviò la richiesta di risarcimento di cento dollari a John Bradley per le spese sostenute per riportare a casa Franke. Cook si preparò a raggiungere la località danese di Upernarvik più a sud; aveva intenzione di percorrere in slitta, accompagnato da due eschimesi, altri millecentoventi chilometri. Da lì si sarebbe imbarcato su una nave diretta in Danimarca. Il giorno della partenza, la terza settimana di aprile, purtroppo uno dei due eschimesi prescelti si ammalò per cui avrebbe affrontato il viaggio con una slitta sola. Whitney gli suggerì di lasciare a Upernavik tutto ciò che non fosse stato estremamente necessario. Avrebbe pensato lui a riportargli a casa il resto dei suoi averi ad ottobre quando sarebbe arrivato a New York. Cook accettò a malincuore il consiglio riponendo in una scatola tutti i suoi strumenti e parte dei documenti originali relativi all'impresa appena compiuta. Lasciò anche la bandiera americana che aveva sventolato al Polo. In tutto lasciò tre scatole. Speva che gli strumenti, in modo particolare il sestante, e il resto dei documenti originali sarebbero stati importanti per il futuro controllo dei calcoli e sarebbero stati una prova a suo favore sulla conquista del Polo Nord. La casa di Upernavik l'avrebbe lasciata ai due fedeli eschimesi che l'avevano accompagnato nel lungo viaggio. Raggiunse Upernavik il 21 maggio e la prima nave in partenza per l'Europa arrivò in agosto. L'Hans Egede, del governo danese, aveva a bordo politici e scienziati giunti in Groenlandia in visita ufficiale. La nave era ormeggiata nella baia di Disko, a Egedesminde, circa cinquecento chilometri a sud e Cook vi sarebbe arrivato su un peschereccio. Frederick decise di rivelare alle personalità danesi l'impresa da lui portata a termine. Venne organizzata in suo onore una cena nell'unico hotel di tutta la Groenlandia, la King's Guest House, la sera prima della partenza. L'Hans Egede partì alla volta della Danimarca il 9 agosto e la traversata sarebbe durata tre settimane. Durante il tragitto passò molto tempo in cabina a scrivere il racconto dell'impresa, già iniziato a Upernavik, da inviare al quotidiano americano perchè fosse pubblicato, dietro compenso. Il 1 settembre la nave fece tappa a Lerwick nelle isole Shetland e da qui mandò un telegramma a Marie a Brooklyn, uno alla mamma di Harry Whitney rassicurandola sulle condizioni del figlio e uno al New York Herald in cui scrisse: “Raggiunto Polo Nord 21 aprile 1908. Scoperta terra Estremo Nord. Affidato cablogramma esclusivo di 2000 parole per voi al console danese a Lerwick. In cambio chiedo $ 3000. Imbarcato su Hans Egede per Copenaghen. Frederick A. Cook”. Venne inviato un telegramma anche da parte di Jens Daugaard-Jensen, l’ufficiale di più alta carica per la Groenlandia indirizzato a Copenaghen al ministro americano in Danimarca, Maurice Francis Egan in cui si diceva che Cook aveva raggiunto il Polo Nord e la cosa era stata confermata dagli eschimesi di capo York. La mattina del 4 settembre 1909 l’Hans Egede entrava nel porto di Copenaghen tra ali di altre imbarcazioni e con numerose personalità e persone assiepate sui moli festanti sventondo le bandiere. Ad attendere Cook c’era un telegramma di Marie da New York che diceva: “Grazie a Dio tutto a posto. Marie”; salì sulla nave un comitato di ricevimento composto dall’erede al trono, il principe Cristiano, il fratello di re Federico VIII, il principe Waldemar, il ministro statunitense Egan e altre personalità. Arrivò anche un barbiere, una manicure e un sarto con degli abiti eleganti da far indossare al dottore. Una volta sistemato di tutto punto venne prelevato con una carrozza da una delegazione americana e portato al palazzo reale dove fu ricevuto dal re Federico VIII. Tutti i presenti si congratularono con Cook e gli fecero molte domande a cui rispose sempre con molta cortesia ed entusiasmo. Dopo la visita andò in albergo dove lo attendevano una cinquantina di giornalisti inviati dalle maggiori testate mondiali, radunati nella sala dei banchetti. La prima cosa che Cook disse al cospetto dei giornalisti tutti ordinati con i taccuini in mano fu: “Sono arrivato nel punto in cui non esiste latitudine”. Gli fu chiesto se poteva confermare le sue affermazioni con le registrazioni autentiche e se fosse abbastanza competente da eseguire le dovute osservazioni e misurazioni. A questo punto mostrò il sestante, un cronometro e il barometro che aveva con se mostrando che era in grado di utilizzarli al meglio. Disse anche che sfortunatamente non aveva con sé nè il resto degli strumenti e nè un resoconto accurato del viaggio. Cook rispose a tutte le domande che incalzavano con modestia ma anche con sicurezza e franchezza conquistando tutto il pubblico presente. Il rappresentante del Thimes di Londra scrisse: “Non ho alcun dubbio riguardo la sua buona fede. La sincerità con cui ha risposto anche alle domande più imbarazzanti ha profondamente impressionato tutti i presenti”. Quella sera Cook cenò con la famiglia reale al palazzo d’estate di re Federico VIII rispondendo nuovamente a tutte le domande che i commensali, soprattutto quelli più giovani, gli facevano. Quando alle ventidue tornò in albergo sfinito ad attenderlo trovò due dirigenti della Società geografica danese, il comandante della marina reale Hovgaard e dal professore Olafsen segretario della suddetta società, e per diverse ore rispose anche alle loro domande. La società conferì a Cook, il conquistatore del Polo Nord, la prestigiosa medaglia d’oro al Palace Concert Hall, alla presenza dei coniugi reali, della famiglia reale tutta e di altre personalità di Copenaghen. Il giorno dopo, mentre una delegazione dell’Università di Copenaghen era incaricata di stabilire se fosse meritevole di una laurea ad honorem Cook venne nuovamente esaminato circa la navigazione astronomica e dovette risolvere numerosi quesiti matematici rispondendo con competenza a tutte le domande non dando segno di nervosismo o eccitazione dimostrando che non vi era il minimo dubbio che fosse veramente lo scopritore del Polo Nord. Però non vedeva l’ora di tornare a casa dai suoi cari e fu felicissimo quando ebbe l’opportunità di imbarcarsi sull’Oscar II, una nave a vapore della Scandinavian-American Line in partenza per New York. Il viaggio sarebbe durato dieci giorni. Quando durante la cerimonia finale ricevette la laurea ad honorem in filosofia dall’Università di Copenaghen, una delle più antiche d’Europa, fu talmente contento e fiero del gesto che dichiarò di voler sottoporre al comitato della facoltà il resoconto originale del viaggio e gli strumenti impiegati non appena ne fosse rientrato in possesso. Il 6 settembre tutti i giornali del mondo avevano dato notizia dell’impresa di Cook. La sera prima della partenza in albergo era atteso di diversi giornalisti di testate straniere e durante la cena entrò un fattorino che portò una busta che venne aperta da un editore danese presente in sala che dopo aver chiesto silenzio ai presenti disse: “In un telegramma inviato all’Associated Press da Indian Harbor, nel Labrador, datato 6 settembre 1909, si legge: “Bandiera a stelle e strisce piantata al Polo Nord. Peary”. Cook dall’alto della sua signorilità disse che era motivo d’orgoglio sapere che un suo connazionale avesse raggiunto il Polo: “C’è abbastanza gloria per ciascuno di noi”. Quella sera stessa inviò un telegramma al New York Herald che diceva: “Vi prego di voler porgere al signor Peary le mie più sincere congratulazioni per il successo ottenuto. Questa è senza dubbio una vittoria tutta americana. Sono lieto che ci sia riuscito: due record sono meglio di uno…”. Dopo che l'Herald spedì il messaggio in Labrador, Peary inviò all'Associated Press a sua volta tale messaggio: “Consiglio di non prendere troppo sul serio il racconto di Cook. I due eschimesi che erano con lui dicono di non aver percorso lunghe distanze verso nord, e di non aver mai perso di vista la terra. Altri membri della tribù avvalorano tale dichiarazione”. Nei suoi racconti Peary fece credere di aver sempre camminato a fianco delle slitte fino al Polo e per tutto il viaggio di ritorno. Il fedele Hanson però disse che a causa delle menomazioni ai piedi compì la maggior parte del viaggio sdraiato sulla slitta come pure durante il ritorno. Disse: “Era un peso non indifferente per i cani. Noi tutti sapevamo che poteva percorrere solo brevi distanze camminando sulla superficie irregolare del ghiaccio... Era costretto a viaggiare in slitta”.

UNA PROFONDA AMAREZZA[modifica | modifica wikitesto]

L’Oscar II arrivò a New York attorno alla mezzanotte del 21 settembre 1909. Salirono a bordo alcuni giornalisti e Cook si intrattenne a parlare con loro venendo a sapere dai quotidiani newyorkesi che gli mostrarono delle pesanti accuse mosse da Peary nei suoi confronti. Alla richiesta di un parere il dottore disse che avrebbe esaminato meglio gli articoli e avrebbe risposto successivamente. Il mattino dopo lasciò la nave e molti passeggeri, ufficiali e marinai vollero farsi fotografare accanto a lui e Cook acconsentì pazientemente. Sul rimorchiatore che lo avrebbe portato a terra c’era Marie con le figlie. Ci fu un lungo abbraccio con la moglie che baciò calorosamente e un abbraccio anche con Ruth e Helen. Si recarono sulla Grand Republic dove c’era un comitato d’accoglienza di cui faceva parte anche John Bradley. Per ultimo si recarono a Brooklyn fra ali di folla festante ed entusiasta con un gran sventolio di bandiere americane e fazzoletti bianchi. In un attimo di calma Marie riuscì ad accennargli che avevano perso tutto, anche la casa di Bushwick Avenue era finita in mano alle banche e non vi era alcuna possibilità di ritornane in possesso. Lei e le figlie avevano chiesto aiuto economico ed ospitalità a vari amici che vivevano a Brooklyn e nel Maine. I presenti fecero numerose domande a Cook, alcune pertinenti altre meno; c’e stato chi per ignoranza o per metterlo in difficoltà gli chiese se le sue osservazioni e misurazioni astronomiche fossero state fatte con l’aiuto della stella polare. Il dottore sorridendo replicò che nell’Artico, durante il periodo estivo era presente il sole ventiquattro ore su ventiquattro per cui era impossibile osservare la stella polare; le misurazioni furono eseguite misurando l’altezza del sole nel cielo. Altri gli chiesero di mostrare il suo diario di viaggio e lui estrasse un piccolo quaderno di circa centosettanta pagine tutte scritte a matita con una calligrafia piccola, in modo molto fitto. Quella seta ci fu un galà organizzato dall’Artic Club of America al Waldorf-Astoria. Partecipavano uomini, tutti in smoking, che a loro volta avevano esplorato i territori artici o avevano finanziato spedizioni e Cook per l’ennesima volta raccontò loro in che modo riuscì a raggiungere il Polo Nord. Qualche giorno dopo Cook ricevette un telegramma da parte di Whitney spedito da Indian Harbor, nel Labrador; era la prima volta che aveva sue notizie da cinque mesi, da quando si erano salutati in Groenlandia. Il telegramma diceva “Imbarcato sulla Roosvelt. Nessun vascello arrivato per me. Peary ha proibito di caricare sua merce a bordo. Obbligato a lasciare ogni cosa in nascondiglio a Etah. Incontrato capitano Sam a North Star. Non tornato indietro. Dopo aver preso goletta a St. John’s, imbarcato su nave a vapore. Spero lei stia bene. A presto. Le spiegherò ogni cosa”. Tale notizia amareggiò molto Cook; era stato abbandonato in Groenlandia settentrionale il materiale che avrebbe confutato finalmente il racconto dell’impresa artica. Gli esperti non avrebbero potuto controllare i suoi strumenti di misurazione per certificare l’accuratezza. Inoltre parte dei dati originali non era in suo possesso, probabilmente era andata perduta. Nel frattempo la notizia che Peary fece abbandonare gli strumenti e le registrazioni di Cook si diffuse rapidamente. A tutti quelli che chiedevano a Cook per quale motivo non inviasse una nave a Etah a recuperare il materiale lui rispondeva che il motivo era essenzialmente il ghiaccio e l’oscurità invernale. Bisognava attendere l’estate successiva ma Cook sapeva benissimo che tutto sarebbe andato perduto per mano di curiosi e ladri a meno di trovare una persona fidata a cui affidargli il tutto. Man mano che passava il tempo gli americani si resero conto dell’infimo comportamento di Peary. In un articolo del Philadelphia Inquirer si leggeva: “Il signor Peary insiste che Cook dimostri la veridicità della sua storia ma l’impressione è che abbia fatto di tutto per impedirglielo”. Inizialmente l’opinione pubblica americana e le più importanti testate giornalistiche erano schierate quasi completamente dalla parte di Cook. L’unico grande giornale che difendeva Peary era il New York Times che nel frattempo stava pubblicando il suo racconto della conquista del Polo. Affermava che se l’ingegnere avesse acconsentito il trasporto del materiale di Cook in America, nulla avrebbe impedito a quest’ultimo di affermare che gli strumenti erano stati manomessi e le registrazioni sottratte. Il Peary Artic Club mise in atto una feroce campagna denigratoria nei confronti del dottore, inizialmente affermando che era improbabile la media dei chilometri fatti giornalmente da Cook, che ne riferiva ventiquattro, e che nemmeno il grande esploratore norvegese Nansen era riuscito a farne così tanti, fermandosi a ventidue chilometri. Quando però fu presentato il rapporto di Peary, che affermava che le ultime trecento miglia che lo separavano dal Polo, dopo la separazione da Bartlett, erano state compiute con una media di trentadue-quaranta chilometri al giorno mentre se si comprendeva anche il viaggio di ritorno la media saliva addirittura a quarantotto chilometri giornalieri, smise di commentare i dati sulla velocità ma non di meno terminò la campagna denigratoria. Chiedevano a Cook insistentemente le prove che dimostrassero senza ombra di dubbio il suo racconto ma nel contempo Peary non ne produsse alcuna. La linea dei sostenitori dell’ingegnere era quella di screditare su tutti i fronti, sia personale che professionale, Cook per riuscire a vantare la propria conquista. A metà ottobre 1909 il Peary Artic Club pubblicò una deposizione scritta e firmata dal maniscalco del montana, Edward Barrill, che nel 1906 accompagnò Cook nella scalata del monte McKinley in cui affermava che non solo non erano riusciti a raggiungere la vetta ma si erano fermati a 2400 metri d’altezza. Barrill che aveva tenuto un diario della spedizione, pieno di errori grammaticali, che mostrava a tutti orgogliosamente, ora andava dicendo che era stato Cook a dettargli le false dichiarazioni, sempre piene di errori, nonostante il dottore si fosse sempre espresso in modo perfetto che la sua cultura gli imponeva. La deposizione fu dapprima pubblicata dal New York Globe di proprietà di Thomas Hubbard, grande amico e sostenitore di Peary, e poi da altre testate del paese. Un paio di settimane dopo Barrill fu invitato a Tacoma, Washington, nell’ufficio del procuratore J.M. Ashton, consulente legale del Peary Artic Club per fissare il compenso che avrebbe ricevuto per fimare la deposizione in cui affermava che non erano riusciti a scalare il McKinley. Hubbard, una volta pubblicata la deposizione di Barrill disse rivolgendosi a Cook che una persona che aveva mentito una volta avrebbe potuto farlo sempre. Naturalmente questo valeva anche per Barrill ma la cosa non venne neanche presa in considerazione. Non passò neanche una settimana dalla dichiarazione del maniscalco del Montana che Peary, dalla sua casa nel Maine, cominciò a rilasciare dichiarazioni contro Cook. Come primo punto offriva le testimonianze dei due eschimesi che avevano accompagnato il dottore, Ahwelah e Etukishook, rilasciate a bordo della Roosvelt, secondo i quali non si erano mai allontanati troppo dalla costa dell’isola di Axel Heiberg. Non si riusciva però a capire come mai non essendosi allontanati troppo dai nascondigli dei viveri, durante il ritorno abbiano allungato talmente tanto il percorso da vivere un anno di stenti. Come secondo punto riferì che aveva personalmente esaminato la slitta di Cook e che secondo lui non era adatta a compiere lunghe tratte sulla superficie irregolare dell’Artico. Non spiegò però per quale motivo se ciò poteva essere una prova inconfutabile per smentire pubblicamente il dottor Cook non abbia acconsentito di riportarla in America. Cook nel frattempo aveva iniziato un giro di conferenze in tutta l’America, rilasciando un’infinità di interviste. La campagna denigratoria in corso lo fece sprofondare in una forma acuta di depressione. Inoltre fu colpito da un attacco grave di laringite che gli impediva di parlare. Cominciava ad avvertire un’ostilità montante nei suoi confronti e iniziava a sentirsi perseguitato. Cook scrisse: “Questa situazione era davvero spiacevole per me… l’egoismo e l’invidia erano evidentemente alla base di tutte le accuse di Peary”. Per cui alla fine di ottobre interruppe le conferenze, anche se erano fissate da tempo, e si ritirò per problemi di salute, cominciando a stendere la relazione da inviare a Copenaghen. Chiese all’Istituto deputato al controllo di accettare una relazione basata sul suo diario personale ma non suffragata dalle misurazioni eseguite e la inviò con un corriere in Danimarca pregandoli di considerarla provvisoria fintanto non fosse ritornato in possesso delle registrazioni abbandonate a Etah. Il materiale però non fu mai più ritrovato. Il comitato di esperti ricevette il plico l’8 dicembre 1909 e due settimane dopo emisero il verdetto definitivo di “non dimostrazione” del raggiungimento del Polo Nord. Cook disperato si rese irreperibile. Qualche giorno dopo Marie ricevette una lettera dal Canada in cui vi erano le istruzioni per raggiungerlo in Europa con le figlie e concludendo affermò: “La mia vita è più importante della conquista del Polo. Quest’ultimo può aspettare”. Ora, dopo essere stato accolto come un eroe, aveva dinnanzi un lungo declino. Le voci di un pagamento in denaro ricevuto da Barrill da parte del Peary Artic Club non smisero di diffondersi, nonostante le continue smentite da parte di Hubbard il quale affermava che il maniscalco avesse soltanto ricevuto una piccola somma per il rimborso delle spese del viaggio. Il 24 ottobre 1909 apparve sul New York Herald un’intervista del socio in affari di Barrill, tale C.G. Bridgeford, che dichiarava che il compenso di Barrill fosse stato dai cinquemila ai diecimila dollari. Un contabile bancario di Tacoma però affermava di aver visto Barrill ricevere di soppiatto millecinquecento dollari in banconote da cento, senza alcuna registrazione sui registri e che questi li avesse nascosti nella cintura. Nel 1989 venne ritrovata fra i documenti della Collezione Peary, presso i National Archives statunitensi, la ricevuta di un assegno datato 1 ottobre 1909, di cinquemila dollari, firmato da Ashton e che doveva essere addebitata all’Hubbard’s Fidelity Trust. Comunque, qual’e che sia la cifra ricevuta da Barrill, questi in breve tempo fu in grado di comprarsi una grande casa con cinque camere da letto, un frutteto e fu il primo abitante di Darby, il suo paese nel Montana, in mezzo alle montagne, a possedere un’automobile.

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Le dichiarazioni di Peary circa il raggiungimento del Polo Nord furono accettate dai suoi sostenitori della società editoriale a scopo di lucro, la National Geographic Society (NGS), che non era certo l’equivalente inglese della Royal Geographic Society di Londra o di altre nel mondo. Nonostante questo volle attribuirsi il ruolo di arbitro fra i due contendenti, per cui all’inizio di ottobre del1909 invitò Peary e Cook a presentare le rispettive registrazioni perche fossero esaminate da una commissione di tre membri iscritti alla società stessa. Uno dei membri era Henry Gannett, un geografo amico dell’ingegnere, un altro era O.H. Tittman il sovrintendente della US Coast and Geodetic Survey di cui faceva parte anche lo stesso Peary durante l’ultima spedizione mentre il terzo membro era Colby M. Chester un ammiraglio della marina militare in pensione che già in passato si era dimostrato non sufficientemente convinto delle dichiarazioni di Cook circa il raggiungimento del Polo. Peary consegnò alla commissione giudicante le registrazioni della prima parte del viaggio, quella in cui era stato accompagnato da Bartlett, in cui la marcia era avvenuta ad una velocità consona. Però i tre membri vollero esaminare anche i dati relativi alla seconda parte del viaggio, sino al ritorno a Etah. Il 1° novembre 1909 Peary si recò a Washington portando con se tali registrazioni contenute in un baule che vennero sommariamente osservate in un deposito dei bagagli della stazione ferroviaria dai tre uomini della commissione, senza leggere i dati e senza determinare se gli strumenti fossero in grado di rilevare la posizione. Due giorni dopo la NGS dichiarò che Peary aveva dimostrato di aver raggiunto il 6 aprile 1909 il Polo Nord. All’inizio del 1910 i sostenitori di Peary fecero richiesta alla commissioni affari della marina affinchè il loro protetto fosse congedato con il grado di contrammiraglio e relativa pensione annuale. Un membro del congresso deputato a valutare l’operato della NGS circa l’esame delle registrazioni di Peary giudicò che quello avvenuto nel deposito bagagli della stazione di Washington era superficiale e frettoloso. Per cui l’ingegnere fu invitato a ripresentare le registrazioni ma quest’ultimo si rifiutò. A scusante dichiarò che non poteva rendere pubbliche le prove per via dei contratti firmati con vari editori, prima dell’uscita dei suoi lavori editoriali. Date le difficoltà di Cook nell’esibire le sue prove, nonostante lo stallo con il congresso, la disputa cominciava a pendere verso Peary e si cominciò ad accettare quest’ultimo come unico scopritore del Polo Nord. Nel 1910 Peary trascorse tutta l’estate in Europa a ricevere onorificenze da vari stati e da diverse società scientifiche ed università. Alla fine dell’anno fu pubblicato il suo libro "The North Pole" e un racconto in esclusiva dal periodico nazionale Hampton’s Magazine. Per cui nel gennaio 2011 accettò di ripresentarsi davanti al Congresso, per tre giorni consecutivi. I suoi sostenitori cercarono di influenzare i voti mentre l’ingegnere pagò a sue spese due impiegati della United States Coast and Geodetic Survey affinchè eseguissero un controllo dei suoi strumenti e poi modificassero le sue osservazioni e misurazioni polari. Peary si rifiutò anche di lasciare il suo diario e i suoi dati del viaggio affinchè venissero esaminati; però ad una rapida occhiata da parte dei membri della sottocommissione del Congresso apparve chiaro che non offrivano dati relativi alle ore trascorse al Polo, e in particolare in data 6 aprile era stato aggiunto un foglio volante su cui aveva scritto: “Finalmente al Polo!!! Il premio desiderato per tre secoli, il mio sogno, l’ambizione che ho inseguito per ventotto anni. Finalmente e mio”. Inoltre al rappresentante del North Dakota, Henry T. Helgesen, apparve molto strano come il diario, che Peary aveva scritto per due mesi, fosse stato tenuto in modo impeccabile, senza tracce di unto né di usura. Peary non riuscì a rispondere in modo adeguato a tali interrogativi per cui il rappresentante Ernest W. Roberts dichiarò che parte della sua testimonianza era “vaga e incerta”. La sottocommissione del Congresso con quattro voti a favore e tre contro decise che la proposta dei sostenitori di Peary fosse valida però non lo definirono lo scopritore del Polo Nord ma semplicemente colui che lo aveva raggiunto. Il 4 marzo del 1911 Peary fu promosso a contrammiraglio e fu mandato in congedo con una pensione di seimila dollari l’anno. Negli anni a seguire Peary non mostrò più a nessuno il suo diario e le sue misurazioni. Nel 1013 uno dei componenti l’ultima spedizione dell’ingegnere, Donald MacMillan, per screditare ancor di più Cook volle partire per l’Artico alla ricerca della Terra di Crocker che Peary disse di aver scoperto nel 1909 ma che il dottore disse di non aver mai incontrato nel punto indicato dall’ingegnere. Ebbene Mac Millan anche se a malincuore dovette riconoscere che l’affermazione di Cook era esatta: in quel punto esisteva solo una grande distesa di ghiaccio. Altre scoperte di Peary vennero smentite da altri esploratori successivi e altre non furono riconosciute in quanto già raggiunte e già nominate. Un’esploratore, Mylius Erichsen, fu portato fuori strada da una mappa della Groenlandia disegnata da Peary e vi trovò la morte in quanto non riuscì a raggiungere una zona dove avrebbe trovato molta selvaggina. Entro il 1916 l’US Navy Hydrographic Office aveva cancellato quasi tutte le “conquiste” di Peary dalle carte fino allora riconosciute. Nel 1918, dopo l’armistizio della 1a guerra mondiale, la salute di Peary peggiorò a causa dell’anemia perniciosa già diagnosticata da Cook che lo portò alla morte i 20 febbraio 1920 dopo numerose trasfusioni e diversi ricoveri in Ospedale. Venne sepolto come un eroe americano nel cimitero militare di Arlington in Virginia. Due anni dopo la morte sulla tomba fu posto un blocco di granito bianco, sferico, su cui erano stata incisa una frase di Peary detta durante il viaggio al Polo: “Troverò una strada, oppure ne farò una io”. Trentacinque anni dopo, nel 1955, morì anche la moglie Josephine, che lo aveva sostenuto e incoraggiato per tutta la vita, e anch’essa venne tumulata dell’Arlington National Cemetery a poca distanza dal marito. Negli anni settanta, quando gli eredi di Peary resero finalmente pubblici il diario e le registrazioni tenuti nasconti fino ad allora, la rivista statunitense National Geographic pubblicò un articolo in cui si esprimevano molti dubbi sull’impresa dell’ingegnere; secondo la rivista Peary sapendo di aver fallito il tentativo aveva falsificato i dati. La conclusione fu che Robert Edwin Peary nel 1909 era arrivato solo ad una ottantina di miglia ad ovest del Polo Nord. Frederick Cook tornò in America alla fine del 1910 da eroe sconfitto. Scrisse per la rivista americana Hampton’s Magazine, che aveva già pubblicato il racconto di Peary, "The Conquest of the North Pole", la storia del suo viaggio; apparve nel numero di gennaio 1911 a titolo “Dr. Cook’s Own Story”. Purtroppo per lui i redattori della rivista avevano apportato importanti modifiche a sua insaputa, come riferì successivamente la stenografa Lilian Kiel che disse che erano state rimosse alcune parti e inserita una confessione di Cook falsa in cui il dottore confessava di essere stato incapace di intendere e voler quando aveva ammesso per la prima volta di aver raggiunto il Polo. Diceva: “Dopo una matura riflessione confesso di non sapere di aver raggiunto il Polo Nord… Non ho mai messo in dubbio la dichiarazione del comandante Peary, riguardo alla sua scoperta. E non lo faccio adesso. Non era mia intenzione appropriarmi di un onore che appartiene soltanto a lui”. Cook amareggiato perché tale dichiarazione fu riportata da molti altri giornali provò a smentire quanto pubblicato ma il suo grido di dolore non fu sentito da nessuno. Qualche mese dopo, dopo avervi lavorato per circa un anno, dimorando in diversi hotel di tutta Europa sotto falso nome, fu pubblicato il suo libro, "My Attainment of the Pole2, in cui all’inizio compariva una sentita dedica al polpolo eschimese che tanto aveva amato e che tanto lo avevano aiutato. Scrisse “Agli indiani che inventarono la carne secca e compressa e le racchette da neve. Agli eschimesi che perfezionarono l’arte di viaggiare in slitta. Alla mia seconda famiglia di indigeni senza bandiera. Va il riconoscimento più grande”. Nel libro infatti abbondavano dettagli sulla vita degli indigeni dell’artico, erano le parole di un uomo che aveva sempre cercato di capire e accettare la cultura dei nativi incontrati nei suoi viaggi. Il libro terminava con questa affermazione: “Ho esposto la mia causa, ho presentato le mie prove. Quanto ai meriti relativi della mia dichiarazione, e di quella del signor Peary, vi suggerisco di mettere l’una accanto all’altra le due relazioni. Confrontatele, E io mi riterrò soddisfatto, qualunque sia la vostra decisione”. I punti che dimostrerebbero che il conquistatore del Polo Nord sia Frederick Cook, il 21 aprile 1908, sono i seguenti:

  • Cook si era avvalso delle tecniche di viaggio degli eschimesi, aveva progettato e costruito le sue slitte, di peso ridotto e più piccole. Era convinto di quanto fosse necessario viaggiare con un gruppo ridotto, con un carico estremamente ridotto e leggero e di sopravvivere con le risorse della terra. Inoltre a quarantatre anni era in forma smagliante e inoltre aveva scelto due fra i migliori eschimesi nella caccia e nel condurre una slitta.
  • Le descrizioni della regione polare compresa tra gli 87° e i 90° N, che mai nessuno aveva raggiunto e osservato, non furono mai smentite da nessun esploratore successivo, ad eccezione della Terra di Bradley che si pensa ora fosse un’isola di ghiaccio alla deriva.
  • Cook descrisse per primo la deriva della banchisa polare tra l’80° e il 90° N verso ovest che allora era sconosciuta in quanto si era convinti che ci fosse un lento movimento verso est. Anche ciò venne in seguito confermato.
  • Cook dichiarò che attorno agli 88° aveva osservato una strana struttura di ghiaccio, piatta, più alta della restante superficie e con la parte superiore segnata da onde e irregolarità. Probabilmente non era altro che un’isola di ghiaccio, ancora sconosciuta, che si scoprì originavano dalla superficie ghiacciata che circonda la parte più settentrionale dell’isola di Ellesmere che quando si staccano si muovono lentamente in senso orario. Furono poi individuate e confermate da successive perlustrazioni aeree.

Per quanto riguarda l’altra impresa compita da Cook nel 1906, la prima scalata del monte McKinley, continuò a essere fedele a quanto aveva scritto nel suo libro "To the Top of the Continent", fu sempre convinto che quando descritto nelle sue relazioni un giorno avrebbero trovato finalmente conferma e sarebbe stato riconosciuto come il primo uomo ad aver scalato la cima più alta del continente americano. Ciò che venne confermato in seguito fu:

  • Cook affermò che l’altezza della montagna fosse di 6117 metri . Con i moderni strumenti di misurazione si è fissato l’altitudine a 6096. Si era sbagliato ma di poco.
  • Prima della sua scalata nessuno sapeva che le cime del McKinley erano due, una settentrionale e una più alta meridionale, poste a 3200 metri una dall’altra. Tale scoperta è da attribuire a Cook.
  • Descrisse che i pendii sopra i 5520 metri erano meno ripidi di quelli al di sotto di tale altezza per cui era riuscito ad arrivare in cima ad una velocità decisamente superiore e ciò fu in seguito confermato anche da tutte le squadre di scalatori che si sono succeduti.
  • Anche la dettagliata descrizione di ciò che vide dalla cima fu verificata successivamente.

Cook non fece più ritorno in Groenlandia però Harry Whitney e Robert Bartlett partirono insieme per Etah nel 1910 dove cercarono di ritrovare gli strumenti e i dati dell’impresa, ma non furono mai trovati. I due ragazzi eschimesi che lo accompagnarono al Polo, Etukishook e Ahwelah, non li rivide più. Nel 1914 il senatore americano Miles Poindexter, un pubblico ministero della contea e giudice della Corte d’appello di Walla Walla, Washington, che si era sempre battuto per far chiarezza sulla scoperta del Polo Nord, ricevette una lettera inviata, in data 9 marzo 1914,da Edwin S. Brooke Jr., che fece parte della spedizione di Mac Millan del 1913 alla ricerca della terra di Crocker, in cui scriveva: “Gentile signore, probabilmente le interesserà sapere che, durante l’estate del 1913, partecipando come fotografo alla Crocker Land Expedition, ho avuto l’opportunità di incontrare e di parlare con i due giovani eschimesi che accompagnarono il dottor Cook nel suo viaggio al Polo. Ho trascorso buona parte del mio soggiorno a Etah con i due ragazzi e, pur non riuscendo a ottenere un racconto coerente, sono venuto a sapere parlando direttamente con loro che, durante quella spedizione, si allontanarono di molto dalla terra, e proseguirono per diversi giorni. Tale dichiarazione è in netto contrasto con quella rilasciata dagli uomini di Peary al loro ritorno dall’Artico. Questi ragazzi sono ancora fedeli al dottore, e mi hanno chiesto notizie di lui. Sono certo che questa mia testimonianza potrà esserle utile per rendere giustizia al dottor Cook”. Poindexter nell'aprile dl 1914 presentò una delibera affinché il Congresso approntasse nuove udienze ritenendo che il dottor Cook avesse subito un grosso torto in quanto ci fu un tentativo di screditarlo mettendo in dubbio la scalata del monte McKinley, per cui dovesse essere riabilitato. Inoltre visto che il Congresso aveva avviato un'indagine sulle prove di Peary avrebbe dovuto fara la stessa cosa su quelle presentate da Cook. La delibera di Poindexter presentata alla comissione non fu mai presa in considerazione. Il 21 gennaio 1915 venne presentata una proposta simile alla Camera dei rappresentanti e varie testimonianze vennero rilasciate davanti ad una Commissione per l'educazione. Ad esempio trentadue esploratori artici rilasciarono una dichiarazione a favore della relazione di Cook, la stenografa Lilian Kiel presso l'Hampton's Magazine riferì che fu modificato il racconto dell'esplorazione da parte della redazione inserendo anche una confessione falsa, oppure la dichiarazione dell'ingegnere Clark Brown che confermò le rilevazioni di Cook, confermando che riuscì ad arrivare al Polo Nord. Alcuni testimoni però non riuscirono a deporre in quanto la commissione rifiutò l'apertura delle indagini. La votazione si era chiusa in parità ma ciò non bastava per la continuazione delle udienza, senza la maggioranza, Tutto ciò si era verificato per l'intervento dei sostenitori di Peary che avevano esercitato pressioni. Ormai l'interesse del pubblico sulla querele del Polo andava scemando e Cook finì per accettare la proposta di un suo vecchio amico, il dottor Frank Thompson di Chicago, di studiare il potenziale di una compagnia petrolifera del Wyoming. In seguito diresse le operazioni della New York Oil Company a Casper nel Montana e poi fu presidente della Cook Oil Company. Tale compagnia scavò molti pozzi petroliferi di successo. Quando nel Texas fu trovato il petrolio, nel 1918, vendette la compagnia del Wyoming e si trasferì con la famiglia a Fort Worth e nel 1922 fondò la Petroleum Producers Association (PPA). Nel tentativo di aiutare le molteplici piccole compagnie petrolifere in difficoltà vendendo le azioni della propria compagnia fu accusato da un ex membro del Peary Artic Club, Herbert Houston che arrivò a dire: “Egli non ha scoperto il Polo Nord, ma quello che è certo è che noi abbiamo scoperto lui...”. Gli ispettori federali si recarono negli uffici della Cook Oil Company chiedendo di vedere i libri contabili della compagnia; Cook collaborò con gli ispettori ma il 3 aprile venne arrestato con l'accusa di aver truffato gli azionisti, avrebbe incrementato la vendita delle azioni migliorando la posizione della PPA. Venne nominato un curatore fallimentare per chiudere le attività della compagnia. Il processo iniziò nell'ottobre del 1923, sul banco dei testimoni salirono molti testimoni; un ispettore bancario disse che i libri contabili erano a posto ma nonostante ciò il giudice John Killits, della corte distrettuale, condanno Cook a quattordici anni e sei mesi. Per risparmiare alle figlie una così dura prova, poco prima del processo, Frederick e Marie divorziarono, ma quest'ultima non si perse un'udienza, sedendo sempre dietro l'ex marito. Cook venne trasferito presso la prigione federale di Leavenworth in Kansas il 6 aprile 1925, lo stesso giorno in cui i sostenitori di Peary festeggiavano il sedicesimo anniversario della conquista del Polo Nord. Frederick si adattò benissimo alla vita del carcere; di notte stava nell'infermeria mentre di giorno dirigeva il giornale della prigione, The New Era; era molto stimato da tutti, detenuti, secondini e amministratori dell'istituto penitenziario. Non voleva vedere nessuno, nemmeno i familiari, ma nel gennaio del 1926 ricevette la visita inaspettata del suo amico esploratore norvegese Roald Amundsen che era venuto in America per un giro di conferenze. Parlarono del viaggio fatto insieme sulla Belgica al Polo Sud e addirittura di un'altra spedizione che avrebbero potuto fare insieme. Alla sua uscita dal carcere, ai cronisti che lo attendevano fuori, espresse la propria ammirazione e riconoscenza per Cook definendolo: “Il viaggiatore più in gamba che abbia mai conosciuto”. Questa sua presa di posizione chiara e netta nei confronti del dottore gli costò la partecipazione ad una conferenza pagata del National Geographic Society, presso la sua sede di Washington, che in precedenza lo aveva invitato ma che ora ritirava l'offerta. Alla fine del 1928, Cook chiese la grazia ma il giudice Killits, che si era sempre schierato apertamente contro di lui gliela negò. All'epoca nessuno era a conoscienza che tale giudice era amico di alcuni familiari di Peary. Anni dopo si è venuti a conoscenza di una lettera che Killits scrisse alla figlia di Peary, Marie Peary Stafford, il 23 gennaio 1930, in cui vi era scritto: “Sono d'accordo con lei: se il dottore ricevesse una condanna per tutti i reati che ha commesso, resterebbe in carcere a vita”. Due anni dopo, nel marzo del 1930, venne rilasciato sulla parola e a sessantacinque anni uscì dal carcere. Dopo aver vissuto per breve tempo a Chicago presso il suo amico medico Thompson, ando a vivere alternativamente con le sue figlie Ruth ed Helen che ormai adulte si erano sposate e ora erano rispettivamente le signore Hamilton e Vetter. Ogni tanto si vedeva, a casa delle figlie, anche con Marie, che viveva nel sud della California, con la quale era comunque sempre in contatto epistolare e che nonostante tutto amava ancora, probabilmente ricambiato. Cook, nel febbraio del 1936, tentò per l'ultima volta di far riesaminare la controversia sulla conquista del Polo e scrisse al presidente dell'American Geographical Society (AGS), tale R. Roland Redmond questa missiva: “Sono passati esattamente ventotto anni dal giorno in cui lasciai Annoatok, in Groenlandia, per intraprendere un viaggio in slitta che mi avrebbe portato sino al Polo Nord, dove arrivai il 21 aprile 1908, Quando, diciotto mesi dopo, tornai nel mondo civilizzato, annunciando il mio successo, fui immediatamente attaccato da un rivale geloso, e nei mesi e negli anni che seguirono fui vittima della peggiore campagna di calunnie e ingiurie della storia... E' arrivato il momento di sottoporre la mia storia a un'inchiesta completa e imparziale. E, considerando la fama di equità e accuratezza che vi contraddistingue, chiedo rispettosamente che tale ricerca venga condotta dall'American Geographical Society”. La richiesta però fu respinta dalla società dati i costi proibitivi che una nuova inchiesta avrebbe comportato. Mentre si trovava ospite a casa di Rulph Stainwald von Ahlefeldt, che faceva parte della spedizione sul monte McKinley del 1903, il 3maggio 1940 ebbe un ictus per cui fu ricoverato in condizioni critiche all'ospedale dove rimase qualche settimana. Nel frattempo von Ahlefeldt e alcuni suoi amici chiese la grazia per Cook al presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosvelt che gliela concesse il 16 maggio. Quando l'amico la fece vedere a Frederick questi con un filo di voce ringraziò e disse di essere felice. Una volta rimessosi uscì dall'ospedale ma il 24 giugno ebbe un secondo episodio e fu ricoverato nuovamente. Entrò in coma e all'età di settantacinque anni morì il 5 agosto a New Rochelle, New York. Fu sepolto nel cimitero Forest Lawn di Buffalo nello stato di New York, davanti a parenti e amici. Per trentasette anni la sua tomba non presentava nessun monumento sino a quando venne messa una semplice lapide commemorativa con scritto: “Il dottor Cook fu il primo a dichiarare di aver scoperto il Polo Nord, nel 1908. Fu il primo a scalare il monte McKinley in Alaska, nel 1906. Fu li primo americano a esplorare entrambe le regioni polari. Venne fatto cavaliere dal re del Belgio e ottenne diverse medaglie d'oro da varie società geografiche”. Sia Frederick Cook che Robert Edwin Peary dissero al loro ritorno dal Polo Nord di aver nasconto in un anfratto del ghiaccio un messaggio sulla propria conquista. Nessuno di tali messaggi però è stato mai trovato.