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Placido Carrafa

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Placido Carrafa (Modica, 3 ottobre 1617 - Modica, 12 ottobre 1674) è stato un giurista e storico italiano.

Placido Carrafa nacque a Modica il 3 ottobre 1617 da Francesco e Maria Lorefice. La famiglia, proveniente da Agrigento «e là da Napoli ov’ebbe principio», apparteneva al patriziato della Contea. Qui i Carrafa avevano acquistato varie benemerenze verso la Chiesa  . Sul finire del Cinquecento, un tal Carlo Carrafa possedeva l’ampia spianata antistante al Convento di Santa Maria del Gesù, su cui in seguito sorgerà la chiesa di San Giovanni Evangelista. Placido Carrafa fu battezzato proprio in quella chiesa. Tra i suoi padrini figurava anche il giureconsulto Camillo Celeste.

Durante l’epidemia di peste del 1626, contrasse il contagio ma guarì grazie alle cure del padre medico. Cominciò a studiare sotto la guida di Giuseppe Gallotta, canonico di San Giorgio, «uomo colto e insigne», precettore di belle lettere. Poi si addottorò in utroque iure, cioè in diritto civile e canonico, all’università di Catania. Quindi passò a Napoli nel 1636, dove approfondì lo studio della giurisprudenza. Tra i suoi compagni di studi nella città partenopea c’era anche Giovanni Antonio Capobianco, futuro vescovo di Siracusa (1649-1673), al quale Carrafa dedicherà poi la Sycaniae descriptio  . Trasferitosi a Roma, conseguì la laurea in Teologia al Gymnasium romanum il 24 maggio 1640.

Nel 1641 tornò a Modica e sposò Margarita Mancuso  , da cui ebbe sette figlie: Giuditta (1643), Antonia (1646), Francesca (1648), Teresa (1651), Giovanna (1652), Caterina (1657) e Carmela (1663)  . Tra i padrini delle figlie figurano gli esponenti delle più cospicue famiglie modicane: i Settimo, i Celeste, i Salemi, gli Assenza, i Vassallo e i Rosso.

Il suo cursus honorum nell’amministrazione comitale fu esemplare. Dai registri delle lettere patenti (nomine d’incarico nelle magistrature della Contea) risulta che nel 1646-1647 fu nominato giudice di appellazione  ; quindi giudice della Gran Corte nel 1648-1649   e 1650-1651  ; di nuovo giudice di appellazione nel 1653-1654, nel 1662-1663   e nel 1664-1665  . Infine, fu giudice consultore della Capitania d’arme a guerra nel 1673  . Fu anche giurato nel 1650  , nel 1660   e nel 1673  , luogotenente del governatore nel 1649   e pro-recettore ordinario del Tribunale dell’Inquisizione intorno al 1653  .

L’intensa attività giudiziaria e amministrativa non gli impedì di coltivare la passione per la storia. Oltre a partecipare alle attività dell’accademia modicana , frequentò eruditi e intellettuali della Contea, come lo sciclitano Mariano Perrello  , Ignazio Schifitto dei minori osservanti (lettore primario di Teologia nel Motucensium gimnasium), il tomista Giovanni Simone Nigro (di cui scrisse l’elogio funebre), il carmelitano scalzo Giovanni Paolo dell’Epifania, direttore del locale cenobio di Santa Maria del Popolo  . Secondo il biografo Giovanni Renda, gli interessi storici del Carrafa maturarono durante il suo soggiorno a Roma, dove poté ammirare i monumenti dell’antica Roma. Dovette pesare sulla sua passione per la storia anche l’influenza di eruditi siciliani, come Vincenzo Auria, Mariano Perrello e Giambattista Hodierna.

L’interesse di Carrafa per questo genere di studi si indirizzò subito verso l’inedito quanto ambizioso progetto di scrivere una storia della Contea di Modica, preceduta da una breve descrizione storico-geografica della Sicilia. Per attendere meglio all’opera, il Carrafa si recò a Palermo per qualche mese. Qui frequentò l’Accademia dei Riaccesi, conobbe Vincenzo Auria che ne era il segretario, e condusse delle ricerche negli archivi della Cancelleria.

Ma le difficoltà legate all’impresa di ricostruire le origini della città partendo dalle labili tracce toponomastiche, archeologiche e numismatiche, la recente pubblicazione di un’opera ben documentata sulla genealogia e sui privilegi dei Conti (le allegazioni del giurista Girolamo Triolo, 1607-1684) che in parte svuotava di senso le sue finalità celebrative, le pressioni degli intellettuali locali che attendevano con impazienza di leggere l’opera, indussero l’autore a ridimensionare il progetto iniziale. «Se l’opera mostrerà qualche menda – scrive Carrafa nella prefazione della Motuca Illustrata - addebitatela alla rapidità della composizione ed alla brama di contentare senza indugio i nostri concittadini che la richiedono ansiosamente».

Il frutto di tali ricerche è raccolto nella Sycaniae descriptio   e nella Motuca illustrata  , apparse entrambe a Palermo nel 1653 per i tipi di Nicola Bua. I due scritti saranno poi ristampati nel 1723-1725 in Olanda rispettivamente nel primo e nel dodicesimo volume del Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae  .

Nel 1655 Carrafa pubblicò l’Insitium (trad. Innesto) Historicum ad Annalia Siciliae   che forse è da identificare con la Mothuca sacra che il Mongitore segnala tra le sue opere rimaste manoscritte  . L’opuscolo riscosse l’elogio dello storico messinese Placido Reina, accademico della Fucina, che lodò il Carrafa come «uomo di molta erudizione e di purgatissimo ingegno»  . Nel 1660, infine, scrisse l’elogio funebre del cavaliere gerosolimitano Agostino Grimaldi, morto a vent’anni nelle acque di Candia combattendo contro il «Turco inimico», che fu poi pubblicato ne L’idea del cavaliere gerosolimitano di Giovanni Paolo dell’Epifania  .

L’elenco degli scritti di Carrafa non sarebbe completo senza le opere di carattere giuridico: il Votum decisivum, sive definita resolutio pro D. Isabella Iurato Gonzalez Baronissa Castellucii domina Hyspanae (1654)   e il Responsum resolutivum jurisdictionale, et Iustiflcatio Anathematis, sive Siclis fortissima bello, convicta juribus, in quibus expenditur casus animadversione dignus, et affertur resolutio pro u. i. d. Iosepho Vassallo (1667) riconducibile probabilmente alla sua attività di pro-recettore della Santa Inquisizione  . Come giureconsulto il Carrafa godè di una discreta fama. Il giurista palermitano Francesco Magretti, che conobbe il Carrafa «in civitate Motucae dum ibi degebam tamquam delgatus E.S. et armorum capitaneus in dicto comitatu», lo disse «de nostra legali scientia benemeritus»  . Peraltro lo storico modicano aveva in animo di pubblicare delle Iuris Resolutiones e di curare l’edizione dei Consilia di Camillo Celeste, suo padrino, ma poi non  portò a termine il suo proposito.

Tra le opere annunciate dall’autore, ma mai date alle stampe figurano anche delle biografie di uomini illustri della Contea. «Non sono mancati de’ cittadini chiarissimi – scrisse infatti - che hanno la patria nostra illustrato e faticoso mi sarebbe l’enumerarli tutti, riserbandomi farne particolari elogi, se mi bastan le forze».

Dalla sua bibliografia va espunta, invece, La chiave dell'Italia, stampata a Venezia, presso Marco Filippi, nel 1670 e ristampata a Messina dal Lazzari nel 1738, che gli è stata erroneamente attribuita (l’autore fu il già citato carmelitano scalzo Giovanni Paolo dell’Epifania)  . L’equivoco, già segnalato dal Melzi (Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, 1848-1859, vol. I p. 202), sorse perché il nome del Carrafa compariva nel frontespizio e in calce alla dedica «all’Illustrissimo Senato della nobile ed esemplare città di Messina», datata Modica 10 agosto 1670. Tuttavia, nella nota «Al Lettore», lo storico modicano chiariva che «L’autore di questo libro non ha avuta altra intenzione che fare un compendio istorico della città di Messina. […] Io per fare qualche servigio a così nobile città destramente ne feci copia e l’ho data alle stampe, imitando in ciò il signor Domenico Maffei, messinese, che anni addietro dall’istesso autore cavò il Balsamo della fama mamertina, che uscì dal torchio dedicato all’isslustrissimo signor don Giovanni Settimo e Grimaldi, barone di Cammaratini; ed i giurati di Modica fecero molt’anni prima nobil furto della Vita di fra’ don Agostino Grimaldi e Rosso, cavaliero gerosolimitano figliuolo dell’illustrissimo signor don Giovanni Grimaldi, oggi Governatore del Contado di Modica e capitano d’arme a guerra per Sua Maestà Catolica […] Io pure ho volluto ancora fare i miei furti senza scrupolo di restituzione e spero farne degli altri per curiosità dei benigni lettori». La nota dell’editore, premessa all’edizione messinese nel 1738, «per sradicare l’errore fin’ora presso al volgo d’essere attribuita quest’opera per componimento al dottor Placido Carrafa», stimava «d’avvertire che questi non ebbe altra mano che in procurare di essa l’impressione. La fatiga è stata del padre Giovanni Paolo dell’Epifania, carmelitano scalzo, cittadino della felice città di Palermo».

Analogamente gli è stato attribuito anche il Tractatus de Magnifìcentia, et prerogativis Privilegiorum Magni Admiratus Castellae, et Potestate Regiae Monarchiae in Regno Siciliae, che invece è opera dell’altro Placido Carrafa (nipote dello storico), vissuto nella prima metà del XVIII secolo e sodale del Campailla (che gli dedicherà un sonetto degli Emblemi).

Placido Carrafa morì a Modica il 12 ottobre 1674. Egli «hebbi li santissimi sacramenti da don Gaspano Frasca cappellano - si legge nel libro dei defunti della chiesa di San Giorgio - si morsi e fu sepolto nella matrice, l’offizio fu fatto per don Cataldo Bramanti cappellano». Per riguardo al personaggio, aggiunge lo scriba, il funerale fu accompagnato «cum campana magna»  .

L’opera che qui si ristampa, nella traduzione ottocentesca di Filippo Renda, vide la luce per la prima volta a Palermo nel 1653, contemporaneamente alla Sycaniae descriptio che ne costituiva una sorta d’introduzione. L’Insitium, edito nel 1655, ne sarà invece il completamento. Da qui la necessità di estendere la nostra analisi a queste tre opere, per restituire ai lettori un quadro più fedele degli interessi, del metodo e delle finalità storiografiche del Carrafa.

Nella Sycaniae descriptio, in appena sessantadue pagine, l’autore descrive la nascita della Sicilia, separatasi dall’Italia in epoca antichissima (come dimostra l’affinità delle rocce) per la forza dei venti, dei terremoti e delle correnti marine. Poi elenca i nomi della Sicilia sotto le varie dominazioni straniere: Trinacria, Triceraica, Trilatera, Triangularis, Sicania, Isola dei Ciclopi (denominazione, questa, che si spiegherebbe, secondo lo storico, con il fatto che l’isola in tempi remoti fu abitata dai Ciclopi). Quindi descrive lo stato presente dell’isola: la divisione in Valli, le sue caratteristiche climatiche, i fiumi, i monti (con il consueto accenno all’Etna e alle recenti eruzioni) i mari che li bagnano, le capitali e le città principali. Tra queste c’è Modica, terza per importanza tra le città siciliane: «Triplex in Regno celebratur gubernium, Panormitanum, Messanense, Motucanum» (p. 21). Tra i motivi che la innalzano a tal punto c’è il fatto che il titolo di Conte di Modica è uno dei più antichi e prestigiosi della Sicilia.

Segue una breve analisi dell’economia isolana. Un tempo famosa per il suo grano, oggi la Sicilia «inter alia permulta abundat auro, argento, croco, melle, pecoribus pellibus, serico, lana, caseo, oleo, vino et maxime bulisithium celebrantur» (p. 22). A questi prodotti, l’autore aggiunge lo zucchero di canna e il sale marino. Quanto all’allevamento, particolarmente rinomati sono i cavalli e i «Motucensium boum» (p. 25).

Lo storico modicano elenca poi i culti religiosi più diffusi nelle maggiori città dell’isola e gli uomini illustri che si sono distinti nei vari campi del sapere. Tra i giureconsulti famosi dell’isola annovera anche Giovanni Antonio Cannezio, «noster motucensis patritius […] feudista Baldo nec Iserniae secundus» (p. 48). Nell’opuscolo trova posto anche una breve scheda sulla strage degli Ebrei che insanguinò Modica nell’agosto 1474, redatta sulla base delle notizie riportate dal Littara e dallo Zurita.

Più ampia e articolata era, invece, la Motuca illustrata che trattava «comitatum initium, loca, constrictus, fontes, ecclesiae, colegia, dignitates, conventus, caenobia, hospitia, monasteria, proceres, milites, gubernium, tribunalia, familiae, insignium virorum pietas, doctrina, nobilita et gesta» della città della Contea.

Al frontespizio dell’opera, dedicata in primo luogo «Magno admirato Castellae don Ioanni Gaspari Enriquez, Caprera» e secondariamente «amplissimis et praeclaris viris motucensium Iudicibus, Iuratis, Patribus u.i.d. don Iosepho e Thomasiis, et Rubeis, don Gaspari Castellettae, Antonio Salemio, et Fabio Layue Leofantio» datata 23 aprile 1653, seguono la presentazione Author ad lectorem, quattro anagrammi (composti da Giuseppe Gallotta che era stato il primo maestro del Carrafa, Fabio Colombo, dal gesuita Cosma Pepe e dal presbitero Martino Lorefice) e una Auctoris admonitio ad lectorem.

L’opera si inserisce a pieno titolo nell’ambito della storiografia municipale inaugurata per l’area iblea dallo sciclitano Mariano Perrello. E di questa storiografia presenta tutti i limiti: il principale era sicuramente quello di voler dimostrare che la propria città era la più antica e che a lei e non ad altre appartenevano i natali di uomini illustri e di santi eccelsi, e meriti e glorie straordinarie, sacrificando talora la verità dei fatti. E del resto l'affastellamento di notizie senza un vaglio critico, l’ampio spazio riservato al meraviglioso e al leggendario, la retrodatazione dei reperti archeologici, epigrafici e numismatici nel tentativo di collocare in un passato il più remoto possibile le origini della propria città, la mescolanza di vero e falso, le genealogie fantasiose, le descrizioni della forma urbis, la rappresentazione stessa della città popolosa e ricca grazie a privilegi antichi concessi ab antiquo, erano tutti elementi funzionali all’elaborazione di una storia ufficiale che celebrasse i ceti dominanti.

L’autore ripercorreva la storia di Modica dalle origini al 1651, utilizzando una struttura narrativa spezzata, intervallata da digressioni, con ampie lacune (in particolare sul periodo riguardante la dominazione araba). Dopo la descrizione geografica del sito su cui sorge Modica, Carrafa accennava alle vicende della città sotto i Greci e i Romani, desumendo l’antichità di Modica «dalle ossa de’ giganti, da’ loro sepolcri, dalle medaglie di bronzo e dalle opere degli scrittori». Sulla toponomastica, non c’era da far affidamento in quanto – scrive - «gli odierni nomi dei luoghi a quelli antichi più non rispondono, né la tradizione, né lo scrittore ci han tramandate conoscenza dell’origine e della distruzione di essi».

Il mito la faceva da padrone, soprattutto nella parte sulle origini. Significativa è in tal senso la querelle sull’identificazione di Modica con Mozia: sulle tracce del Fazello, Carrafa identificava la capitale della Contea con la città fondata da Ercole Egizio in onore della donna che gli aveva fatto ritrovare i buoi sacri. Non solo. Trovavano posto nell’opera la descrizione di sorgenti miracolose che facevano riacquistare la salute, grotte abitate da spettri, tesori interrati e ossa umane d’altezza doppia rispetto al normale, rinvenute nei dintorni di Modica e assunte quali prove dell’esistenza dei Giganti.

Tuttavia, accanto a queste digressioni in cui il vero si mescola al falso senza un vaglio critico, vi sono anche notizie interessanti tratte da privilegi, cronache, diplomi, atti notarili, lettere ecc… rinvenuti nell’Archivio dei Conti, nella Cancelleria di Palermo. È il caso, ad esempio, della lettera del giurista Mario Cutelli al viceré Giovanni d’Austria sui privilegi della Contea e sulla necessità di mantenerne i Tribunali, o della dissertazione Sopra l’antichità di Modica di Vincenzo Auria  . Le fonti che l’autore utilizza sono quelle classiche, greche e latine: Silio Italico, Cicerone, Tucidide, Annio, Macrobio, Marsilio e poi i geografi Plinio, Strabone, Tolomeo. Tra i moderni figurano Claudio Mario Arezzo, Jerónimo Zurita, Francesco Sansovino, Francesco Maurolico, Gerardo Mercatore, Cluverio, Vincenzo Littara, Tommaso Fazzello, Mariano Valguarnera, Giuseppe Bonfiglio (XVI secolo) e Filadelfo Mugnos, Nicolò Frasca, Mariano Perrello, Rocco Pirro, Vincenzo Auria, Girolamo Triolo, Mario Cutelli, Filippo Ferrario, Ottavio Gaetani (XVII secolo) per citare solo i più rilevanti.

Nel 1655 apparve l’Insitium Historicum, un opuscolo di quaranta pagine dedicato al governatore generale e capitano d’armi guerra della Contea don Francesco Echebelz e Gusman, barone di Rende. Alla dedica seguono l’elogio dell’autore scritto dal padre Ignazio Schifitto dei Minori osservanti, lettore di Teologia al Gimnasium di Modica e custode provinciale dell’Ordine, e una Epistola ad Motucenses cives di Andrea Carbonaro e Settimo, filosofo tomista, che loda «Carrafae industriam […] et indefessam in Motucanis illustrandis costantiam» (p. 8).

L’opera si apre con la biografia di Giovanni Simone Nigro «egregium virtutum exemplar, humilitatis speculum». Il Nigro, racconta Carrafa, ebbe una straordinaria somiglianza fisica con San Pietro: la statura, il pallore del volto, i capelli crespi, la fronte larga ricordavano il primo apostolo. In quella somiglianza c’era una predestinazione. E, infatti, egli, dotato di un intelletto acuto, di solide virtù morali e di profonde cognizioni teologiche (documentate peraltro dai suoi «fragmaenta» e «scitamenta») seguì l’apostolo come l’ago di una bussola segue costantemente il Nord. Trascorse l’infanzia in solitudine, studiò arti liberali in patria, si addottorò a Roma in Teologia e divenne arcipresbitero del collegio di San Pietro in Modica. Versato nella musica (suonò «Zancleum organum Pleumaticum in sacris Epistulae Beatae Virginis celebritatibus», p. 16), eccellente oratore, offrì con la sua vita esempi di virtù e di morigeratezza. Si spogliò dei suoi averi per darli ai poveri, osservò l’astinenza dalle carni «ne vita corrumperetur epulis, quemadmodum cadaver vermibus» (pp. 19-20), combatté superstizioni e sopravvivenze pagane. Morì il 4 luglio 1653. In suo onore Carrafa riporta un anagramma (Ioannes Simon Niger doctor theologicus = En Motices gloria, et dignus honos orno) e un carme di Giuseppe Gallotta.

La biografia del pio Simone fornisce lo spunto per due excursus. Il primo riguarda le altre figure eccelse della Chiesa modicana: dal beato Ioannes Civis che «infiniti praefulsit miraculis», ad Antonio da Gerratana, capace di scacciare gli spiriti maligni dai corpi degli indemoniati; al cappuccino padre Ludovico, fino a Didacus laico, «columbina simplicitate praeclarus», il quale predisse tra l’altro la propria morte, avvenuta nel 1630.

Il secondo excursus si riferisce ai culti pagani e alle origini del cristianesimo a Modica. È qui che Carrafa pubblica il testo delle Coree modicane, le cantiche che accompagnarono il trionfale ingresso in città di Ruggero il Normanno, dopo la cacciata degli Arabi dall’isola. Il testo era tratto da una pergamena, di dubbia autenticità, posseduto dal cantore della chiesa di San Giorgio, Tommaso Scarso. La pergamena, intitolata Chronica beneficiorum Motucae apud sanctam maiorem domum, risaliva al tempo in cui l’abate Umberto, arcivescovo della Sicilia (sec. XI), visitò la chiesa di San Giorgio. La pergamena fu poi rubata «nella repentina morte del prenominato cantore, dandogli i parenti il sacco alla casa: ne infino ad ora eziandio col mezzo di scomuniche papali si è potuto ricuperare»  . Il testo conteneva anche un riferimento al culto della Madonna della Lettera di Messina, al centro in quegli anni di aspre polemiche tra gli storici messinesi e palermitani  . Forse lo scienziato ragusano Giambattista Hodierna, con il suo Discorso contro le coree modicane di Placido Carrafa oggi introvabile, intendeva contestare su basi filologiche l’autenticità della pergamena ritrovata dal modicano . L’opuscolo di Carrafa si conclude con una Catholici authoris protestatio del Carrafa datata Palermo 4 marzo 1655  .

La fortuna critica

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L’opera di Carrafa ebbe una tiratura limitatissima e divenne rara subito dopo la prima apparizione. A rimetterla in circolazione furono gli editori olandesi Graeve e Burmann che, nel secondo decennio del XVIII secolo, inserirono la Sicanyae descriptio e la Motuca illustrata nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae  . Pietro Burmann, in particolare, ne segnalò lo «stilus horridior et aliquando vix latinus», che lo aveva costretto a «striblinginem emendare» dati i «vitia pene infinite» della lingua e dello stile, ancora «vocibus et locutionibus vitiosis emendatiores substituere» e migliorarne l’impaginazione («paginas veteris editionis opposuimus huisce editionis margini, ut facillime inter se comparari queant») .

Nonostante questi limiti, quella di Carrafa rimase per due secoli l’unica storia di Modica. Il Settecento, infatti, non vide alcun tentativo di superamento dell’opera di Carrafa. Il trattato De auctoritate Baronum di Silvestro Leva che analizzava i privilegi della Contea con un taglio storico-giuridico rimase inedito e forse incompiuto, mentre la Storia corografica della popolosa città di Modica nel regno di Sicilia suo stato antico e presente del giurista Vincenzo Muccio Carbonaro (1776) rimase manoscritta.

Che l’opera di Carrafa fosse sentita in qualche modo ancora attuale ed essenziale lo prova il fatto che nel 1869 l’avvocato modicano Filippo Renda diede alle stampe un’edizione in lingua italiana della Motuca illustrata, nota col titolo di Prospetto corografico istorico di Modica. L’autore non si limitò a tradurre l’opera del Carrafa sulla quale, peraltro, operò alcune modifiche (soppresse la prima dedicatoria, operò alcuni tagli e suddivise il testo in ventinove capitoli), ma la inglobò in un’opera più vasta, in due volumi, che ne rappresentava la continuazione ideale. Essa comprendeva una memoria storica in dodici capitoli sugli eventi dal XVII secolo al 1861, il discorso Sull’origine progressi e decadimento dell’Accademia di Modica (vol. I)  , dodici biografie di modicani illustri vissuti tra il XVI e il XIX secolo, l’elogio funebre di Giovanni Renda scritto da Emanuele Giardina e i ricordi biografici di altri riguardevoli personaggi scomparsi negli ultimi anni (vol. II)  .

Lo storico Enzo Sipione giustamente ha definito «aulica» l’opera del Carrafa, ponendo l’accento sul fatto che il suo punto di vista coincideva con quello dei ceti dominanti, mentre lasciava in ombra la storia e i problemi dei sudditi  . E del resto, per il geografo Paolo Revelli i volumi del Carrafa erano tanto superficiali quanto faziosi  .

Ma alcuni meriti del primo storico modicano sono indiscussi: come, per esempio, l’aver salvaguardato materiali indispensabili per le ricostruzioni successive e l’aver fornito preziose descrizioni della topografia urbana dell’epoca.

«Egli – scrisse Revelli - ha il merito innegabile di aver raccolto e coordinato materiali che senza l’opera sua sarebbero andati certamente perduti, ed ha perciò […] diritto di essere ricordato tra i numerosi rappresentanti di quella scuola storico-archeologica siciliana che seguì le tracce luminose del Fazello; ma al pari di non pochi rappresentanti di essa, non ha saputo sottrarsi al desiderio di esaltare ad ogni costo l’importanza del suo argomento, e quindi, non ha potuto ricostruire su basi sicure la storia della sua città»  .

È fuor di dubbio, quindi, che malgrado gli errori e i limiti l’opera del Carrafa che qui si ristampa costituisce ancora oggi una base necessaria per ogni studio su Modica e sul suo territorio.