Utente:ParConcDig/Sandbox

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Giuseppe Patrono nasce a Brindisi il 18 Agosto 1918 da Raffaele, all’epoca segretario particolare a Roma dell’onorevole Pietro Chimienti, sottosegretario al ministero della guerra, e da Francesca Guadalupi, figlia di Tommaso, produttore e commerciante all’ingrosso di vino.

Frequenta il Ginnasio-Liceo “Marzolla” a Brindisi e suoi inseparabili amici sono Paolo Colonna, Gaetano De Vita, Ugo Guadalupi: tutti e quattro già fortemente critici nei confronti della dittatura fascista. A 16 anni è un lettore attento delle opere di Benedetto Croce che il padre gli prende a Bari presso la libreria Laterza. È in questo periodo che si forma la sua coscienza civile e politica e che matura la sua visione laica, fortemente critica nei confronti di una Chiesa paludata e fondamentalmente lontana dallo spirito evangelico, allontanandosi così dal cattolicesimo tradizionalista che respira in famiglia.

Prende la maturità nel 1938 e passa gli esami di concorso per accedere alla Scuola Normale Superiore di Pisa, risultando 1° sui 16 ammessi quell’anno a frequentare la Facoltà di Lettere Moderne, fra i quali: Armando Saitta, Carlo Azelio Ciampi, Alessandro Natta, Mario Baratto, ecc.

Ha come docenti, fra gli altri, Luigi Russo, Giorgio Pasquali, Guido Calogero, Alfonso Omodeo, ecc.

Arrivato a Pisa, si guarda subito intorno per cercare, sapendo di trovarlo, quel gruppo di oppositori di studenti e docenti, più o meno tollerati da Giovanni Gentile e dal regime, a capo del quale c’è Guido Calogero. Questi gli dà una lettera con l’incarico di andare a trovare a Bari, durante le vacanze di Natale del 1° anno, Tommaso Fiore e di mantenere i contatti con lui. Alla Scuola Normale stringe forti legami di amicizia con Alessandro Natta, Mario Riani, Mario Casagrande, Aldo Capitini, segretario della Scuola prima di esserne allontanato, Guido Torrigiani che, però, frequenta la Facoltà di Matematica e Fisica.

Nel 1941 viene chiamato sotto le armi nel 1° reggimento dei Granatieri di Sardegna. Fa il carro a Civita Castellana ed poi è trasferito a Roma nel 2° reggimento dei Granatieri di stanza nella caserma di Santa Croce in Gerusalemme dove attualmente c’è il Museo della Resistenza.

L’esperienza del servizio militare gli conferma l’inadeguatezza di un apparato e di un sistema.

L’8 settembre del 1943 lo trova nell’ospedale militare del Celio dove è stato ricoverato il giorno prima a causa di una inspiegabile quanto improvvisa altissima febbre che, altrettanto improvvisamente, scompare il giorno dopo. Uscito dall’ospedale con la divisa di sottotenente dei Granatieri entra subito in clandestinità.

Azionista fin dalla prima ora, appena arrivato a Roma ha subito stretto legami con molti oppositori del regime provenienti dall’area liberale e azionista. Ha stretti rapporti con Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, i Gallo, Vittorio Gabrieli, Ernesto Rossi, ecc. È l’ultimo a vedere Pilo Albertelli salire su un tram mentre lo saluta dicendogli “addio Patrono” prima che questi sia preso e poi fucilato dai nazisti nelle Fosse Ardeatine dopo i fatti di via Rasella. Lì sono sepolti molti altri suoi amici fra i quali: Antonio Gallarello, un umile artigiano, padre di ben 7 figli; il ricordo dei tanti amici perduti non lo abbandonerà mai più per il resto dei suoi giorni, come scrive alla madre che non ha avuto sue notizie da molto tempo, in una lettera del 7 giugno del 1944 e fattale pervenire fortunosamente tramite il suo amico Berto Rolandi. L’essere un sopravvissuto lo obbliga: “…ormai ci sentiamo legati per tutta la vita ad un lavoro politico ch’era già il nostro, ma che ha ricevuto ora una tragica consacrazione con la morte di tanti migliori di noi.”

Dopo il 25 aprile del 1945 rimane a Roma ancora nove mesi. L’Italia è un cumulo di macerie sotto ogni profilo e urge ricostruirla su nuove basi. Patrono si prodiga e fa propaganda affinché il 2 giugno del 1946 si voti scegliendo la Repubblica.

Successivamente è candidato alla Costituente per il Partito d’Azione. Mantiene sempre strettissimi rapporti con il gruppo di Molfetta: Tommaso Fiore col figlio Vittorio, Antonio Gadaleta, Vincenzo Calace, Gaetano Salvemini[2] che conosce da tempo, frequenta la casa di Liliana e Giovanni Minervini, di cui Salvemini è un lontano parente. Nello stesso periodo partecipa attivamente al Movimento Federalista Europeo, collabora a diverse riviste fra cui “il Mondo” di Pannunzio e successivamente “il Ponte” fondato da Piero Calamandrei.

In seguito allo scioglimento del Partito d’Azione – ma rimarrà sempre un azionista- passa nelle fila del P.S.I. Nei primi anni ’60 è a Roma alla Direzione del Partito nella Sezione propaganda, mantenendo comunque sempre stretti legami politici e culturali con la sua città. Viaggia molto in lungo e largo nella penisola inseguendo sempre lo stesso obbiettivo, quello di “giustizia e libertà” e rimanendo fedele a quanto ha scritto alla madre da Roma il 27 giugno del ’44:

“…Siamo nel pieno di una battaglia che abbiamo combattuto da anni, che è ancora molto lunga e piena di ostacoli di ogni sorta e dalla quale dobbiamo uscire vittoriosi. Il senso della nostra vita futura, del lavoro che dovremo compiere come del pane che mangeremo, è legato a questa battaglia. Se c’è ancora qualche cretino che non lo capisce, che non lo sente, vuol dire che è destinato a rimanere cretino per tutta la vita.”[3]

Espulso dal P.S.I, Sezione di Brindisi, per insanabili contrasti etici e metodologici, nel ’69 si presenta come indipendente nelle liste del P.C.I mancandone di poco l’elezione.

Consigliere comunale per diverse legislature, è uso affrontare pubblicamente nelle piazze cittadine i temi più pressanti sia d’ordine locale che nazione, quali, per esempio il Referendum sul divorzio.

Anticipando di gran lunga i tempi, nel ’75 presenta una lista indipendente per la gestione del Comune di Brindisi, ma lo seguono in pochi a causa del suo forte spirito critico.

La vita pubblica ufficiale di Beppe Patrono termina intorno alla metà degli anni ’80 e decide di frequentare solo pochi amici come Aldo Garosci, Ferruccio Parri, da tempo ricoverato al Celio per gravi problemi di salute, giusto qualche mese prima della morte di quest’ultimo il quale, recuperando un momento di lucidità all’abbraccio dell’amico di tante battaglie, gli disse: “Beppe, Beppe… questa non è l’Italia per cui abbiamo combattuto e tanti sono morti!”

Beppe Patrono muore il 22 giugno del 2006 dopo una lunga malattia degenerativa.


  • Katiuscia Di Rocco, Patrono, normalista allievo di Calogero e amico di Salvemini, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 23 settembre 2016, p. 16;

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