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Note Biografiche

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Giuseppe Candeloro, detto Peppe, nasce a Casoli (CH) nel 1931, è un pittore affreschista italiano.

Dopo essersi diplomato al Liceo Artistico di via Ripetta in Roma, intraprende la professione di insegnante di educazione artistica nelle scuole statali. Nel corso del tempo ha realizzato numerose opere utilizzando diverse tecniche pittoriche. A metà degli anni '70 rimane affascinato dalla tecnica dell'affresco che diventa la sua espressione artistica più rappresentativa.

Scrive di lui Gianluigi Colalucci

Il pittore Peppe Candeloro rappresenta un raro caso in cui l’uomo e l’artista sono un tutt’uno inscindibile.

Forza morale, Fede profonda, attaccamento e dedizione alla famiglia, alla sua terra, impegno e amore per l’uomo in quanto tale,  tenacia antica e capacità di reagire positivamente alle difficoltà che si presentano durante la vita, questi sono i valori che Peppe Candeloro ha espresso e trasmesso con la sua pittura.

Coerente con se stesso, dopo un periodo di ricerca e un periodo di riflessione, Candeloro ha scelto di praticare la tecnica dell’affresco in un tempo in cui i pittori hanno preferito seguire scorciatoie tecniche di ogni genere, sicuramente poco adatte alla durata nel tempo della loro opera, segno inequivocabile di scarsa stima e poco rispetto del proprio lavoro. Ma questa situazione è il derivato  della nostra società tecnologica che  consuma e supera ogni cosa in tempi brevissimi.

Peppe Candeloro ha reagito a tutto questo sfuggendo alle lusinghe di un’arte facile, e in modo coraggioso e in controtendenza, ha deciso di esprimere la sua pittura prevalentemente attraverso la pratica del buon fresco, tecnica che caratterizza i lavori della sua maturità.

E’ molto singolare che un  pittore come Peppe Candeloro non abbia mai studiato pittura.  Inizialmente ha appreso qualche nozione di disegno da un amico architetto, ma per il resto è un autentico “autodidatta”, come lui stesso si definisce.  Però come spesso accade agli uomini che hanno una vocazione profonda e prorompente, il buon Dio gli ha mandato un segno. Nel nostro caso il segno è consistito nell’arrivo a Lanciano di un affreschista milanese. Ecco allora che Candeloro con l’aiuto di un amico muratore si mette a seguire, o forse ad osservare con curiosità ed attenzione il lavoro dell’artista milanese. Ne resta affascinato e appena possibile prova a dipingere sui muri dell’ufficio parrocchiale di San Pietro, offertigli dal parroco-cappuccino, iniziando in questo modo la sua grande avventura artistica.

Il giovane Peppe era destinato ad altro:  studi classici e, a Roma, facoltà di Giurisprudenza, ma evidentemente la vocazione alla pittura in lui, ancorché tardiva, doveva essere stata più forte di ogni altra cosa se, ad un dato momento ha deciso di dare una svolta al suo futuro orientandosi decisamente verso l’arte diplomandosi presso lo storico Liceo Artistico di Roma in via Ripetta.

Probabilmente il vivere a Roma gli ha aperto l’immenso e affascinante mondo dell’arte di cui Roma trabocca. Ma tutto questo lo ha vissuto per un po’ di tempo da fruitore perché prima di diventare protagonista,  prima di affrontare una tela bianca  con pennelli e colori, dovremo aspettare gli anni settanta.

In lui l’attrazione per il cromatismo puro lo porta a cimentarsi con i colori, i più vari i più vivi, che modula e accosta con istintiva sapienza ,  ma ancora non ha chiara la forma da dare alle sue composizioni e quindi  fa ricerche per  trovare la sua strada, il suo stile.

Da un autodidatta ci si aspetterebbe una pittura  tranquilla, accattivante,  dai colori rassicuranti ad imitazione di questo o quell’artista di successo;  invece Peppe Candeloro sceglie la strada più difficile accostandosi all’espressionismo europeo che è un modo di costruire l’immagine attraverso la sintesi della forma e l’aggressività del colore. Lo si vede chiaramente nel dipinto intitolato Boogie woogie o nella drammatica Eva partoriens. Ricordiamoci, siamo nel momento della contestazione e della rabbia.  Nello stesso periodo Candeloro sperimenta un’altra strada, quella della via italiana o meglio una via meridionale al naturalismo essenziale, per cui in opere come La Pietà o Sud fa sentire il sapore di quelle terre ben rappresentato dalla pittura da Carlo Levi. Nella sua continua ricerca di se stesso come pittore, Candeloro approda per un momento anche a quel coacervo di stili espresso attraverso “manifesti” di vario genere lanciati negli anni quaranta: dal linguaggio post cubista  al realismo socialista, al neorealismo in pittura, come nel Ritratto d’uomo e Il Signor Rossi fa toilette.

Talvolta la vita può riservarci prove difficili. Una delle peggiori è quella di imbattersi con la propria morte quando ancora si è in possesso delle proprie facoltà mentali intatte. In quel momento siamo costretti a guardare dentro di noi dando alla vita il valore che non gli avevamo dato sino ad allora. In quei momenti pensiamo che se ci sarà un futuro, noi lo vorremo immaginare in modo diverso da come ce lo eravamo figurato prima. Questo è quanto è capitato al Maestro Candeloro nel 1973 con un serio problema di salute, ma per fortuna il pericolo fu scongiurato e dopo tre o quattro anni  di ripresa è tornato più prepotentemente di prima alla sua amata pittura. Ma questa volta, abbandonato l’espressionismo, entra in un’altra dimensione, quella delle idealità, delle aspirazioni e dell’utopia e cambia completamente modo di dipingere.

Inizia con soggetti di vita comune, come Al mare, dove in un frammento di affresco “strappato” vediamo una tranquilla coppia in costume da bagno e occhiali da sole sulla spiaggia con il loro lettino. Di questo dipinto ne ha fatto anche uno studio a matita colorato con i pastelli, dando in tal modo la misura della attenzione che il Maestro dedica alla sua pittura, dove nulla è casuale. Dello stesso genere è Piazza Navona. Qui  una ragazza vista di spalle con il suo zainetto rosso e il foulard azzurro attorno alla vita osserva una delle grandi statue del Bernini della fontana dei fiumi. Più enigmatico il dipinto Meditando, dove una ragazza (soggetto ricorrente), vista di spalle, con un tatuaggio (elemento ricorrente), sul braccio, una camicetta bianca e la sua borsa color bordeaux dal lungo manico appeso alla spalla, osserva un quadro indefinito ma di sapore ottocentesco.

Molto interessante è la sua lunga serie di volti. Per lo più sono affreschetti ma anche molti disegni. Notevole il Ragazzo con turbante, e fra i disegni lo studio n1, lo studio n4 e lo studio n12. Lo studio n16 è il bozzetto per il quadro intitolato Ragazza con libretto rosso. Un bellissimo monocromo con il libro rosso come unica nota cromatica.

Un posto a parte spetta di diritto a Però non mi destar, perché in quest’opera Candeloro, chiaramente baciato da una ispirazione trascendentale, raggiunge vette di pura poesia. In questo dipinto tutto è enigmatico, ma ogni cosa ha un suo significato: dalla forma dello spazio azzurro segnato e in parte circoscritto da  quell’arco immaginato come un gran pavese senza sostegno dove le bandierine colorate sono sostituite da leggerissimi foulard monocromi rosa che garriscono al vento. In fondo le belle montagne d’Abruzzo, unica nota verista assieme al balcone con la sottile ringhiera nera di ferro attraverso la quale si vede in lontananza una giovanissima coppia, lui nudo e lei avvolta in veli leggeri, che intreccia una danza dal sapore antico forse in onore dell’eterno dio Pan in un campo riarso dalla calura estiva. In primo piano una grande dolce e nobile figura di donna che si offre  alla brezza del “Levante” , avvolta in grandi veli colorati. Dietro di lei tre sottili e dritti tronchi che si immagina siano di albero. Il colore è determinante nella creazione dell’atmosfera del dipinto. Azzurro, rosa, bianco e ocre.  Colori leggerissimi, giocati tutti con le trasparenze del bianco dato a velature e attraverso un intreccio di pennellate sapienti che conferiscono ad ogni cosa il senso della leggerezza. Felice il cangiante dei fazzoletti al vento che sono rosa con le ombre azzurre.

Geniale l’uso del colore olivastro intenso dato al viso dolce e languido della donna che  fa da contrappunto ai morbidi colori azzurri e rosati della composizione, cosicché alla fine tutto ruota attorno a questo volto.

Ma la tecnica che più si confà allo spirito artistico di Candeloro è soprattutto l’affresco. Emblematico  è il Sit in degli Dei, del quale abbiamo l’opera definitiva e il suo cartone preparatorio. La composizione è di notevole complessità con e molto enigmatica. I personaggi che animano la scena sono citazioni raffaellesche, michelangiolesche, sino ai Maori dell’isola di Pasqua, e ad una vestale con le sembianze della divina Maria Callas. Il disegno nero è netto e deciso, mentre i colori sono molto vivi e vari, dati con i pastelli trattati a velatura attraverso colpi di colore contrapposti, e segni rapidi e decisi. La tonalità cromatica è sostanzialmente fredda. L’esecuzione definitiva, pur essendo fedelissima al cartone, è completamente diversa nella tonalità generale che è tutta calda, color ocra rossa. Le varietà di colori sono minime e le fisionomie delle figure sono molto ammorbidite.

II raffronto di queste due opere mostra chiaramente le differenze cromatiche che si possono ottenere con l’uso di due tecniche diverse.

Peppe Candeloro ha sempre preferito dipingere in affresco, ma questa tecnica ha  una resa dei colori, dalla gamma limitata, molto diversa dalla resa dei colori ad olio.  Per Candeloro questo non è mai stato un limite;  al contrario,  è stata una opportunità.     

Ricordiamo che  l’affresco è una tecnica sublime, ma molto difficile nella sua apparente semplicità, ed anche ingannevole, perché può tradire colui il quale non rispetti rigorosamente le sue regole.

Ce lo dice Cennino Cennini, pittore che all’inizio del ‘400 scrive un prezioso trattato che intitola “Il libro dell’arte”, e lo ribadisce Giovan Battista Armenini nel 1587 con il suo “De’veri precetti della pittura” del 1587,  ma più esplicitamente lo scrive Giorgio Vasari nel suo celebre:  “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, pubblicato a Firenze nel 1550, quando dice: “… Però quelli cercano lavorar in muro, lavorino virilmente a fresco, e non ritocchino a secco; perché oltre l’esser cosa vilissima, rende più corta la vita alle pitture, …”.

Dopo i secoli d’oro, dal ‘600 in poi la tecnica del buon fresco si è andata via via perdendo, e solo nella prima metà del secolo scorso ci fu una singolare fioritura di affreschi nel Messico ad opera dei pittori  Diego Rivera, Josè Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros,  mentre nello stesso periodo vi fu anche in Italia una ripresa momentanea di questa tecnica con Ferruccio Ferrazzi, Mario Sironi, e pochi altri. Alla fine del ‘900 Pietro Annigoni dipingeva grandi pareti nella Basilica del Santo a Padova, ma il suo modo di fare l’affresco era quello sconsigliato dal Vasari, perché si basava fondamentalmente sulla pittura a secco data su una base in affresco.

Oggi sono pochi a praticare questa tecnica; Peppe Candeloro, rara avis in terris, è un esponente di spicco di questo modo elitario di esprimersi in pittura, lo testimoniano i cicli di affreschi di carattere sacro che ha lasciato nelle chiese di Lanciano.

Santa Chiara, San Pietro, San Bartolomeo, chiesetta del sec XIX e Maria SS. delle Grazie, sono i luoghi dove Candeloro ha profuso la sua arte e tutto il suo impegno di uomo e di credente. Per Candeloro ogni affresco è una nuova sfida, l’occasione di una nuova ricerca, di una invenzione, l’occasione per esprimere tutto se stesso dopo una lunga interiorizzazione, un momento di preghiera, una offerta al Signore.

Nell’opera di Candeloro non troverete mai un momento di stanchezza,  una mancanza di inventiva, una figura uguale all’altra fra le migliaia che affollano i suoi dipinti.

Il Maestro ha una ottima visione dello spazio che sa dividere intelligentemente e gestire con padronanza, come ne Il discorso della montagna in San Pietro.

Nelle grandi composizioni trasferisce la sua visione del mondo: al centro il Divino, lontano, inarrivabile, come Il Cristo in San Pietro, l’Immacolata Concezione e il Pantocratore nella chiesa del XIX secolo e la Madonna col Bambino di Ianua Coeli di Maria SS. Delle Grazie.

Attorno al Divino vi è sempre una moltitudine di fedeli costituita da gente comune ma riconoscibile per il modo di vestire di portare i capelli per età. In Maria SS. Delle Grazie Candeloro fra la gente comune mette personalità quali il Papa S. Giovanni Paolo II, il Patriarca Atenagora e poi cardinali, vescovi, frati, preti copti e un Rabbino, e ancora: astronauti, operai e vecchi pensionati, contadini e famiglie con i figli.

In Santa Chiara ci mostra, come in un telegiornale dei tempi antichi, la processione degli incappucciati e quella del Cristo morto che ci riportano a una delle molte tradizioni popolari religiose che ancora vivono nel nostro ricchissimo sud.

Per concludere, Peppe Candeloro, spirito irrequieto e sperimentatore, ha provato anche la scultura, con buoni risultati, come vediamo nei bronzi di San Pietro, dei quali ha fatto bozzetti in terracotta e terracotta dipinta. Ha poi eseguito piccole sculture in terracotta o cartapesta, che hanno il sapore e la preziosità di piccoli oggetti di scavo.   

Sua è anche la bella e grande vetrata della facciata della chiesa di San Pietro.

Il ripercorrere la traiettoria artistica di Peppe Candeloro, che tuttora è in piena attività, ci ha permesso di seguire l’artista nelle sue molteplici esperienze dalle cento sfaccettature  e nella costante ricerca del superamento di se stesso per raggiungere risultati sempre più alti come omaggio all’uomo e a Dio.


Gianluigi Colalucci

Roma 22 marzo 2019