Utente:Mussons/Sandbox

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                                                      CIAPPI LUIGIA
 
          


      Siamo gli ultimi sei figli ancora viventi di Ciappi Luigia, nata a Rosarno il 9 gennaio 1894 e deceduta in Salerno il 5 Gennaio 1969, protagonista nella prima guerra mondiale  di un episodio altamente patriottico.
      Ci rivolgiamo alle VV.SS. perché, ove lo riteniate, siano  pubblicate  notizie vere sulla sua storia.

Infatti su internet appaiono notizie in parte errate o frutto di fantasia ed addirittura è pubblicata come sua una foto che rappresenta altra donna. Noi sentiamo il dovere di ristabilire tutta la verità per nostra madre, di cui siamo stati e siamo orgogliosi, perché siano noti ai terzi oltre al fatto storico, così come da lei vissuto e a noi narrato, anche le sue origini, la sua personalità, il suo aspetto fisico e la sua vita successiva.


                                                            CIAPPI LUIGIA


       Ciappi Luigia, figlia di Narciso Ciappi, nato a San Casciano il...................., e di Faberi   Annunziata................................, nata a.........................il.........................,  è nata a Rosarno il 9  gennaio 1894 e deceduta in Salerno il 5 gennaio 1969. 

Il suo luogo di nascita in Rosarno fu del tutto casuale e dovuto ad un momentaneo trasferimento nel 1893 in Calabria del padre, fattore dei Principi Corsini, con la madre incinta di lei. A Firenze rimasero gli altri tre figli, il primogenito Ferruccio, che intraprenderà la carriera militare e morirà da allievo ufficiale alla Sanità a Bologna durante una epidemia di spagnola, il secondo, Ettore, che diverrà medico omeopatico, ed Igino , che dirigerà lo zuccherificio di Mirandola.

La famiglia Ciappi da San Casciano si era trasferita a Firenze dove Narciso aveva preso in affitto in via Vincenzo Monti nei pressi di Porta Romana  una casa e degli uffici, rimasti nel possesso dei discendenti fino al 2002.

Al nonno  il Principe Corsini  aveva chiesto di andare  a  Rosarno per rendersi conto delle  modalità con cui veniva gestito l'ingente patrimonio terriero del genero che fino a quel momento non aveva dato alcun frutto e che anzi era fonte di continue spese.
Fu così che a Rosarno la nonna Annunziata diede alla luce nostra madre.
Ma la permanenza in Calabria fu di breve durata.

Infatti la mafia locale aveva il pugno dovunque. E non avrebbe mai tollerato la presenza di forestieri nella propria zona, né migliorie, né novità come erano state proposte. E per farlo capire a quel forestiero bastava prenderlo a fucilate quando a cavallo girava nei campi. Ben presto avvenne il primo avvertimento : due colpi ben precisi che sfiorarono le sue orecchie. “Se se ne va, tanto di guadagnato, se no i prossimi saranno centrati”. E il nonno con le pive nel sacco se ne tornò in quel di Firenze riunendosi al resto della famiglia. Mamma quindi a Firenze fece tutto il percorso scolastico e a 18 anni si diplomò all'Istituto Magistrale Gino Capponi in Piazza Frescobaldi n.1. All'epoca gli studenti meritevoli che venivano da quell'Istituto potevano accedere all'Università di Firenze alle facoltà di Psicologia o di Lingue, dopo aver superato un esame orale con i docenti della facoltà prescelta. Nostra madre si iscrisse a Psicologia ed ebbe anche il tempo di sostenere due esami. Seguì insieme alle sue amiche, le sorelle Maria e Celestina Bottego, nipoti dell'esploratore Vittorio Bottego, venute di proposito da Parma, i corsi della Montessori, tenuti per soli diplomati a Firenze presso l'Istituto Agrario delle Cascine ( V. Foto n.1 ). E si dedicò all'insegnamento.

Tra le lezioni ai bimbi di Moncioni, paesino vicino Firenze, l'amicizia con la Montessori e le sorelle Bottego  e  Amata Brown, compagna del pittore Ottone Rosai e  l' assidua  frequentazione dei circoli culturali di Firenze, era sempre molto attiva e continuamente aggiornata.

Il suo pensiero dominante era però l'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale ed il suo desiderio assillante quello di prendervi parte attiva in difesa della patria. Il suo particolare stato d'animo in rapporto all'amore per la Patria appare chiaro dai suoi scritti diretti ad un familiare, trascritti nel giornale La Nazione, qui di seguito riportati :

“ho seguito da quassù, aspettando i giornali, fino a sera tarda, quasi tutto quello che è accaduto, ma credi che in qualche momento ho sentito quanto sia dolorosa l'aspettativa. Le notizie delle dimissioni del Ministero Salandra, mi sgomentarono molto.................... Hai letto il libro Verde ? Hai visto com'è traditora l'Austria ? Morte, Morte all'odiato austriaco, morte al tedesco che voleva affermare il diritto del più forte. Non è la forza dei soldati non è lo sterminio dei quattrocentoventi che può sopraffare e comandare una civiltà agli altri, ma è la civiltà onorata pura che s'impone per giustizia divina. La nostra sarà una guerra fondata sul diritto della civiltà latina, che non ha a che fare con quella teutone; sul diritto delle nazioni e della libertà dei popoli una guerra di giustizia contro gli infami che usano i gas asfissianti.........E sarà una grande lezione, questa guerra per tutti i popoli ; l'animo umano ha voglia di identità e di educazione, è sempre barbaro più o meno l'uno che vorrà sopraffare l'altro per una ragione o per l'altra. La Giustizia divina regola i grandi avvenimenti in modo che chi ha peccato sconta la propria pena. …...raccontami tutto. Io non vorrei essere qui, dove non trovo nemmeno la gioia di scambiare le mie idee e i miei sentimenti. Vorrei essere costà, con te, con la mamma, con Ettore, con tutti. Non vi affliggete avanti al tempo, tu specialmente fatti coraggio se la patria nel richiamare i suoi figli vorrà provarti. Non ti lasciar prendere da pensieri tristi perché non è detto che questa tremenda guerra sia fatale per tutti. Spera e speriamo, rimettendo tutto alla volontà superiore che guida il mondo. Io sarò sempre pronta a soffocare il dolore prepotente, pur di incitare tutti al compimento del dovere grande! Credi che se sapessi di non commettere una pazzia e di avere una salute completa, andrei anch'io alle frontiere, non come infermiera, no, perché il mio desiderio non sarebbe saziato, ma là in campo, col nemico fronte a fronte per dare la mia opera attiva. La baionetta o il cannone, aver la sicurezza di averne date, per bene, e poi morire !... “

Così avvenne che nostra madre, riusciti vani i tentativi di andare al fronte per stare accanto ai combattenti in prima linea o per assisterli come infermiera, attività questa che le era preclusa perché non addestrata, senza farne cenno ad alcuno preparò un suo piano. Si procurò un abito da uomo della sua taglia e fasce da neonati, che all'epoca servivamo più ad imbalsamarli che a fasciarli, e quando a Firenze “ alla Caserma di San Giorgio ferveva il lavoro per la presentazione di alcune classi di richiamati e per il movimento sulle truppe in conseguenza dello stato di guerra” ( il brano è tratto dall'articolo della Nazione – Cronaca di Firenze – Venerdì 28 maggio 1915 ), si tagliò la lunga treccia di capelli castani, tuttora conservati gelosamente dalla figlia Celestina, si fasciò il seno con le fasce da neonato, indossò l'abito da uomo, un paio di scarponi da contadino e una coppola e si presentò in Caserma dove le fu consegnato l'equipaggiamento completo da militare ( V. foto n.2 ). Nessuno si accorse che in tale equipaggiamento si nascondeva una bella giovane di 20 anni. Saputo durante la notte trascorsa nella camerata insieme agli altri soldati che la mattina successiva sarebbe partito immediatamente per il fronte il 127mo Reggimento ( V. Cento Anni d Italia a cura di Flavio Simonetti - XXIII n.15 – Milano, 22 Aprile 1961 ), si confuse nel gruppo di commilitoni in partenza e con loro salì sulla tradotta. Durante il tragitto, un caporale, che evidentemente già in caserma si era accorto che qualche cosa non andava in quello strano soldato, riferì al comandante : “ tra gli arruolati c'è un giovane che non ride mai alle nostre barzellette e non piscia con noi, ha le mani morbide e sembra un ragazzo”. Arrivati alla Stazione di Bologna “il ragazzo” viene fatto scendere e con tutto il pesante equipaggiamento scortato da due militari viene portato in Questura. Qui è costretto a confessare di essere Ciappi Luigia, nata a Rosarno, insegnante a Moncioni. Le viene quindi subito tolto il fucile e, gravata sempre dell' equipaggiamento da soldato viene condotta davanti al Comando di Divisione del 127.mo Reggimento.

Ripetutamente chiede di poter indossare un abito da donna che intende acquistare personalmente con danaro proprio. Le è vietato di uscire e alla richiesta che provvedano all'acquisto i militari riceve altro netto rifiuto. Viene ospitata in una camera munita di tutte le comodità e la mattina dopo, sempre con lo stesso abito ed il pesante equipaggiamento militare, è scortata da due poliziotti dell'Esercito che hanno avuto l'ordine di accompagnarla fino a Firenze dove deve essere consegnata. “A chi ? Ai miei familiari? Non le viene dato alcun chiarimento.

“Perché non mi viene permesso di vestirmi da donna per tornare dai miei a Firenze?” “E a chi devo essere consegnata?” Si chiede ripetutamente. A questo punto si allarma e intuisce che attorno al suo gesto si sta creando un'atmosfera non voluta, con la conseguenza che è prevedibile il rischio di essere utilizzata, suo malgrado, nel bene o nel male per fini diversi da quelli da lei voluti : servire la Patria a costo della vita. La situazione nuova che ora dovrà affrontare le impone di stare all'erta e di essere pronta a reagire con fermezza dinanzi a qualsiasi evenienza non gradita.

I suoi sospetti trovano ben presto conferma.

I due poliziotti che la devono scortare fino a Firenze, la fanno salire a Bologna - unica passeggera - su una tradotta militare che si ferma a tutte le stazioni esistenti sulla tratta Bologna Firenze. E ad ogni fermata - e gliene sembrarono tante - viene accolta da gente plaudente con il Podestà in prima fila con la fascia tricolore, la banda musicale ad inneggiare alla maestrina del 127.mo fucilieri, ed è obbligata a mostrarsi. Firenze ineluttabilmente si sta avvicinando e, paventando il ripetersi dell'accoglienza con la fanfara anche alla Stazione di Firenze, nostra madre tenta di convincere i militi a farla scendere alla stazione di Rifredi, che indica - mentendo - come luogo per lei più vicino e più comodo per il rientro a casa, e che - invece - era di gran lunga più lontano perché vicino a Porta Romana. Non c'è verso.

“L'ordine è di scortarla fino alla stazione di Firenze ed ivi consegnarla “ 

“Consegnarmi a chi ?” E loro “Lo capiremo quando ci si arriverà! “

Erano schierati tutti in un'unica fila. Al centro il Generale Cadorna, alla sua destra la Duchessa D'Aosta capo della Croce Rossa Italiana,  e inoltre – allineati - altri militari dello Stato Maggiore tutti in alta uniforme.
Fuori dalla fila, vi era il fratello Ettore che sembrava “piantonato” anche lui  dalla Polizia militare.

Ebbe l'impressione che tutti la guardassero in malo modo. Si infuriò ancora di più. Non vide folla attorno, “evidentemente la polizia militare aveva fatto in modo di non far sostare nessuno”. C'era solo quel loro gruppo e non c'erano neanche fotografi. Il Generale Cadorna subito l'apostrofò : “cosa credeva di fare, raggiungere qualche amico al fronte ?” Inviperita non ebbe più freni. “No, volevo e voglio essere in prima linea a difendere la mia patria anche se donna!” “Altrimenti la mia vita non ha più senso”. Il Generale evidentemente non si aspettava quella reazione. Prima ammutolisce e poi “mi risulta che Lei sia una insegnante elementare, perché questo amore per la patria non si limita a diffonderlo nei suoi alunni ?” “O per quello ci sono già tante colleghe, tutte!” “Perché allora non entra nella Croce Rossa come volontaria?” “E' stata la prima cosa che ho tentato di fare alle prime folate di guerra, ma mi è stato risposto – e la Duchessa lo può confermare – che gli studi da ne effettuati non potevano essere ritenuti propedeutici a quel servizio”.

E il Generale rivolto alla Duchessa : “se questa gliela mando domattina, me la prepara in due mesi ? Che ci penso io poi a mandarla in prima linea !” E mamma - quasi interrompendolo - rivolta alla Duchessa, “a che ora posso arrivare domattina “?

Fu così che nostra madre, dopo un corso che l'abilitò al servizio di infermiera, servì la patria da crocerossina volontaria negli Ospedaletti di Campo, i più vicini alla linea di fuoco, assistendo feriti e moribondi e partecipando alla tragica ritirata di Caporetto ( V. foto 3 e 4 ).

Poi è ritornata ad insegnare e nel 1920 si è sposata con nostro padre, Paolo Bulleri, anche lui di origini toscane, con il quale è andata a vivere a Scafati ( SA ), dove aveva sede la ditta sementiera del suocero Francesco Bulleri, ditta nota ed accreditata in tutto il mondo e per la quale nel 1927 gli verrà riconosciuto il titolo di Cavaliere dal Re Vittorio Emanuele III°. Per un lungo periodo e fino al 1935 ha vissuto una vita abbastanza agiata e si è dedicata completamente alla famiglia mettendo al mondo, a distanza di pochi anni l'uno dall'altro, i primi otto figli ( Gabriele, morto subito dopo il parto per inadeguata assistenza medica, Vittorio, Italo, Ferruccio, Clara, Giovanni, Maria Luisa e Celestina ). Poi, insorti motivi di crisi economica, dovuti non solo a fattori esterni, si è vista costretta a riprendere l'attività di insegnante che per il primo anno ha preferito svolgere nel Carso, dove era stata da crocerossina. Rientrata a Scafati, vi ha svolto fino all'età della pensione il ruolo di maestra elementare. Nel 1939 è nato l'ultimo figlio, Giulio, ed è arrivata anche la seconda guerra mondiale con tutte le note conseguenze tragiche. Nel periodo dei bombardamenti, su incarico della Direzione Didattica delle Scuole Elementari di Scafati ha insegnato ai colleghi come comportarsi in caso di pronto soccorso, come effettuare le fasciature su bambini feriti o con fratture. E per affrontare la penuria di alimenti è riuscita anche a portare avanti un orticello e ad allevare colombi, che insieme alle uova ed al latte costituivano l'unica fonte di proteine per la famiglia. Ma la prova più difficile che ha dovuto affrontare è stata la perdita del figlio Italo di 19 anni che, arruolatosi volontario in marina, come “Sottocapo Telegrafista…...esplicava i propri compiti con serenità e coraggio. Inquadrato il piroscafo dal tiro avversario, cadeva al suo posto di combattimento” ( Banco Sherki - Canale di Sicilia - notte sul 2 dicembre 1942 ) meritando la Croce di bronzo al Valore Militare.

     In Firenze, 19 Febbraio 2014


                                                                                          Celestina e Maria Luisa Bulleri

     Via dell'Isolotto 27
      50142 - FIRENZE