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RAFFAELE D’ORTENSIO(1807- 1881) Un uomo illustre, figura di sacerdote, letterato e patriota

“Questa un tempo umile terricciola non è oggi punto straniera a niuna dolcezza di civiltà" Cosi parlava della sua Cepagatti Raffaele D’Ortensio quando dedicò al nipote Francesco, l’”Elogio di San Rocco" letto nella Chiesa Parrocchiale di Cepagatti il 16 agosto 1872. Raffaele D’ Ortensio nacque a Cepagatti il il 18 febbraio 1807 nel Palazzo di fronte a quello dei nobili Valignani ed entrambi fanno da ali alla piazzetta medioevale dietro la Torre Alex. Studiò nel Seminario di Chieti e il suo talento gli permise di iniziare la carriera di docente di lettere latine già a vent’anni nella scuola che lo aveva visto allievo. Tra i suoi discepoli ebbe Silvio Spaventa, filosofo e parlamentare di Bomba. Nel 1832, ordinato sacerdote, lo troviamo nel monastero di Montecassino, anche lì docente di letteratura italiana e latina. Si trasferì poi a Napoli, dove fu precettore presso nobili famiglie napoletane ed ebbe rapporti culturali con valenti uomini fra i quali Puoti, Di Cesare, Cusani, Baldaccini, Troja, Montroni, il Duca di Ventignano Cesare Monticelli Della Valle che aveva possedimenti a Cepagatti. Insegnò all’ Istituto Priori e collaborò al “Progresso" di Borrelli, al “ Giornale Abruzzese" di De Virgiliis, espressione dei fermenti intellettuali abruzzesi dell’ ottocento, all’“Enciclopedico Napoletano" e al ”Lucifero". Si laureò in filosofia e letteratura a Napoli nel 1843, tornò in Abruzzo intorno al 1846, avendo assorbito nei circoli letterari della capitale borbonica gli ideali di indipendenza di libertà e di unità che già Mazzini aveva programmato. Nel 1848, su invito del Vescovo di Penne Mons. Vincenzo D’Alfonso, passò a insegnare eloquenza e letteratura nel Seminario pennese. Quando fu chiamato a scrivere una nota critica per “Pochi versi" dello storico Clemente de Caesaris di Penne ricevette minacce dalla regia polizia per alcuni pensieri contro la tirannide borbonica. In seguito fu coinvolto in una corrispondenza patriottica tra il teramano e l’ascolano e fu sospettato per le sue idee liberali. Nel settembre 1849 gli venne proibito l’insegnamento, fu sottoposto a vigilanza e gli fu imposto di fissare la propria residenza a Cepagatti con la proibizione di salire il pulpito, nel timore che potesse divenire mezzo di divulgazione di idee liberali. Gli eventi mutarono le condizioni e il professor D’Ortensio riprese l’ insegnamento. Dal 1861 al 1871 lo sappiamo titolare della Cattedra di Eloquenza al Liceo ginnasio “Melchiorre Delfico" di Teramo. E’ di questo periodo “L’Omaggio a S.M. Vittorio Emanuele II re d’Italia il 5 Gennaio 1863,quando inaugurava la Ferrovia da Ancona a Pescara,che troviamo stampato dalla Tipografia Marsili di Teramo. Raffaele D’ Ortensio tenne il discorso inaugurale durante il quale declamò un’ode in cui salutava ”con vero amore" il Re “Padre e Redentore" e la gente ”lo chiamava a far l’Italia un giorno" e a “italianare un sogno”. Il suo pensiero fu esternato nella ”Epistola" dedicata a Giovanni Battista Niccolini (1792- 1861), fiorentino, fervido assertore dell’unità d’Italia, letterato, patriota, autore di tragedie storiche nelle quali trasfuse le proprie aspirazioni politiche e civili che accesero negli animi di molti l’amore “della Patria, del vero e del Bello”. Il Niccolini fu antagonista del Monti, ma la diversità di dottrina non gli scemò la stima per questo suo ”avversario". Ancora ne “Affetti e Memorie a Gino Capponi" storico e pedagogista toscano (1792-1876) D’Ortensio diceva “..e tutta un’armonia fu la sua vita, una forte armonia di Scienza e Fede, di pensiero e di affetti e la temprava quella credenza pia, che, all’intelletto dava quiete e all’animo riposo". Raffaele D’Ortensio fu socio dell’Accademja dei Velati dell’ Aquila e della Società economica di Teramo. Quando nel 1872 lasciò la cattedra di eloquenza del Liceo Delfico per ragione di salute, si ritirò nella sua Cepagatti dove volse i suoi studi a Dante, Tommaseo, Tasso, Pio IX, ma soprattutto partecipò alla vita locale, lasciandoci, tra l’altro, una testimonianza di costume con la descrizione della “Sfilata dei Carri di San Rocco" del 1872, che ,giunta fino ai nostri giorni, costituisce l’avvenimento più importante delle estati cepagattesi. Ci piace riportare le sue poetiche immagini:”nove carri, tratti arcati e riccamente coperti, aprivano, attelati la grave e commovente adunanza: il fronte a mo’ di Cuna, di ori, nastri di sete, bellamente adorno: i fianchi di soave ciambelle listati, (offerta al santo) graziose nella forma, di zucchero bianchissime. Seguiva in doppia riga ordinato, un drappello di giovinette, care per leggiadria ed assetto di abiti e di forme,che,santamente superbe incideano sotto il peso di turriti canestri, ghirlandati anch’essi di nitide Ciambelle e terminanti in modo di corona con alla cima un’elegante crocetta". Un rapporto stretto con la sua terra e con il suo paese, soprattutto nell’ultima parte della sua vita improntata ad alti ideali, all’amor patrio che gli costò l’ esilio, al rispetto della morale e della fede in Dio. Leggendo i suoi numerosi scritti che si conservano nelle Biblioteche provinciali della nostra regione, abbiamo potuto notare come le sue prose, i suoi saggi anche sull’arte, i suoi versi, le epistole non sono scevri da espressioni alquanto superate, ricche di ampollosità, di enfasi a volte troppo imbevuti di neoclassicismo anche ingenuo, artefatto e prolisso. Ognuno, nel campo letterario, deve essere inserito nel contesto storico e sociale in cui è vissuto e, per il professor D’ Ortensio, aver avuto una larga cerchia di amici tra i quali lo storico Pasquale Castagna e tanti sostenitori fa pensare che la stima di cui godette sia da attribuire, soprattutto, ai meriti di scrittore. Una fotografia che egli si fece fare a Castellammare di Stabia dal fotografo d’arte Ruggeri ci rimanda la sua immagine dignitosa ed austera con gli occhi chiari pieni di bonarietà, la stessa che si avverte nello scritto che dedicò al nobile Antonio Casamarte di Loreto, ricco di fraternità, di lealtà e soprattutto di sincero affetto. Il nipote Cesidio D’Ortensio, docente come lui, insieme al fratello Francesco pubblicò postumo a “documento di gratitudine verso il chiaro e compianto nostro zio” le di lui ”Lezioni di letteratura italiana ad uso delle scuole secondarie" nelle quali per dieci anni (1861-1871) tenne a Teramo la cattedra “con tanto plauso del governo e di quella cittadinanza". Raffaele D’ Ortensio mori il 25 luglio 1881 nel suo paese, ove riposa nella zona antica del Camposanto in una vetusta cappella che racconta, con l’architettura sobria, l’epoca romantica in cui visse. Nel 1997 il ”Gruppo Culturale Cepagattiamo" si è fatto promotore di una iniziativa d’arte con la pubblicazione “Contemporaneità della Memoria" a cura del critico d’arte Prof. Leo Strozzieri realizzata con il patrocinio dell’ Amministrazione Comunale. Dodici artisti di fama hanno inoltre interpretato la figura del personaggio D’Ortensio iniziando con queste opere una costituenda Pinacoteca Civica che dovrebbe raccogliere i personaggi più in vista del paese, cosi da riscoprire le locali radici culturali e del territorio che ci renderà più ricchi e “mai stranieri a niuna dolcezza di Civiltà" come diceva Don Raffaele nei suoi scritti! E’ di quel periodo la scoperta di una lapide sulla facciata della sua casa natale, nel cuore del centro storico, come omaggio dei suoi concittadini ad un precursore e cultore dell’Unità d’Italia e piace concludere con alcuni suoi versi: “Quante belle ricordanze e gloriose all’umana stirpe giacciono nella notte ove tace il passato, sol perché non furono subjetto a quella eloquenza, che ha il potere di tirar l’uomo dal sepolcro, e farlo immortale!".