Utente:Medicinadei/Sandbox

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Dante, Inferno,

Nota sul primo verso del settimo canto[modifica | modifica wikitesto]

'Papé Satàn, Papé Satàn, aleppe'

Una traduzione accettabile del famoso endecasillabo è quella proposta da Armando Troni [1], che ritiene il verso enunciato in una approssimativa lingua araba (forse deformazione di qualcosa come, bab el Saytan, bab el Saytan, aleppe ):


'La porta di Satana, la porta di Satana, fermati!'

“Bab el saytan” (la porta di Satana), con lo scambio di suono tra b e p frequente nell’arabo moderno e probabile al tempo di Dante, può scivolare nella dizione mimata nel testo; “aleppe”, dall’imperativo di “labba”, fermarsi, potrebbe intendersi anche “va’ avanti”, così rendendo definitivo il marasma mentale di Pluto; tuttavia, vista la paura dell’io narrante e l’esortazione del savio gentil che tutto seppe (anche l’arabo biascicato dal guardiano infernale) a non aver paura, è come se Dante “si facesse dire” da Virgilio che Pluto voleva significare “fermati!”: (…Non ti noccia la tua paura; ché poder ch’elli abbia, non ti torrà lo scender questa roccia.)

Ma bisogna considerare le importanti implicazioni di questo passaggio, determinate sia dai predecessori di Dante ( San Francesco, Federico secondo, Averroe e altri) sia dai contemporanei (Raimondo Lullo, Ricoldo da Montecroce, Lo stesso Dante del De Monarchia), e analizzate da vari commentatori e saggisti, anche recenti (Asin Palacios, Armando Troni, Massimo Jevolella Brenda Deen Schildgen,Aldobrandino Malvezzi) Si puo' riassumere l’insieme delle posizioni di esegeti e precursori, e seguire i dettagli lungo il testo stesso della Commedia:

  • Sebbene la sua stessa personalità sia segnata, per interiorizzazione o per contrasto, dalla civiltà araboislamica, Dante deve considerare l’Islamismo una cultura decadente, in procinto di essere espulsa dalla storia, anzi come fatto “inesistito”[2]; ma non si tratta di rimozione inconscia, bensì di una damnatio memoriae del tutto consapevole, e tuttavia i classici sintomi di rimozione imperfetta si presenteranno in diversi passaggi;
  • L’Islam, è un fatto negato, di cui il Poeta “tace”, a torto o a ragione [3], per far dimenticare il negativo prodotto da questa “anticiviltà”
  • Si può individuare una corrispondenza biunivoca tra elementi giudaicocristiani ed elementi islamici, come Sara/Agar, Isacco/Ismaele, Gesù/Maometto, Agostino+Tommaso/Avicenna+Averroè e tanti altri; in questa relazione Satana [4], personificazione del male per l’una e per l’altra religione, è forse l’unico elemento comune ai due gruppi, e neanche del tutto comune perché Virgilio (Michele fe’ la vendetta del superbo strupo), lo sospinge verso l’isolamento, dunque Satana rimane come la colonnina di un bivio dove un ramo non ha uscita,
  • Verso il decisivo cambio di atmosfera che si prospetta a questo punto, Pluto appare come il più importante dei numerosi oppositori che in tutta la prima parte dell’Inferno tentano di impedire il cammino del Poeta, per evitare il risultato del “ben che vi trovai”, cioè l’effetto che nella personalità di Dante si verificherà come reazione verso le colpe che vedrà via via punite, pozione e antidoto per ogni tentazione futura, in modo specifico corrispondente al tipo di peccato. Come a conferma, quando si incontra il Minotauro (XII, 21), Virgilio spiega chiaramente il punto: “ma vassi per veder le vostre pene”; poi (XXX, 132) Virgilio rimbrotta Dante che sembra distolto dalla lezione immunizzante (in questo caso aborrire il falso monetario) alla quale tutto il percorso dell’Inferno e oltre è dedicato (si troveranno ostacoli anche nelle altre cantiche, con diversi toni e con più aperte motivazioni).
  • Virgilio viene “usato” non solo per bastonare i diversi guardiani ostacolanti, ma anche per difendere la cultura grecolatinocristiana entro e oltre i limiti storici, fino a trattare il dogma della Trinità con la problematica interna alla Patristica e alla Scolastica Cattolica, trascurando teologie diverse, in particolare ignorando ostentatamente il Corano (Purgatorio III, 34- 36).
Matto è chi spera che nostra ragione
Possa trascorrer la infinita via,
Che tiene una sustanzia in tre persone

Nei primi sei canti si tratta di peccati in qualche modo interni alla cultura “natia” di Dante, i personaggi non sarebbero neanche da biasimare, ignavi compresi per i quali il biasimo risulterebbe fatica inutile, quindi le presenze maomettane non sono per il momento da escludere: Avicenna e Averroè, riconoscendo il debito culturale con l’Islam, sono posti in compagnia dei grandi pensatori classici e il Saladino dimora nel Limbo insieme ma non troppo [5]agli eroi di Troia e Roma (più in là, l’averroista eretico Sigieri di Brabante sarà assurto addirittura in Paradiso); ma qui c’è un salto, l’ingresso effettivo alla perduta gente, cominceranno i peccati universalmente tali, che per i defunti in questa parte della terra dovranno riguardare anche i musulmani, e da ora in poi l’Islam sarà tanto presente quanto taciuto, le sue pecche si percepiranno come un rimbalzo sulla civiltà cattolica, civiltà d’altra parte innervata dai mali imperialoecclesiastici, e qui il paradosso del Poeta che, pretendendo una supremazia culturale per la parte che meno la merita, si spiega in invettive e vaticini di risanamento a venire (le “necessarie” note trionfalistiche verranno espresse nel Paradiso con San Domenico, San Francesco, Cacciaguida e altri). Il silenzio sull’Islam non può essere totale, altrimenti non parlerebbe, ed ecco qualche segno esplicatore, qualche non detto significativo, i sintomi, appunto:

  • In tutto l’Inferno nessun peccatore islamico viene incontrato, tranne Maometto e Ali, (XXVIII, 22 e segg.) per i quali è necessario parlare di scisma, tuttavia scisma appaiato a scandalo, disperso fra gli altri scandali, definitivamente liquidato con la punizione degli artefici.
“E tutti gli altri che tu vedi qui,
Seminator di scandalo e di scisma
Fuor vivi, e però son fessi così”

(è lo stesso Maometto a presentare il quadro e poi a parlare delle difficoltà annonarie di Fra’ Dolcino, sempre per sottrarre ogni idealità ai vari moti religiosi.)


  • Esistono studi e saggi su testi dell’escatologia islamica (alcuni dei quali consistono in diverse estensioni arabe della leggenda sull’ascensione notturna in cielo di Maometto), che confrontano le conoscenze di Dante in proposito e i riflessi nelle sue opere, eppure le opere degli scrittori arabi su questi argomenti restano un tabu per tutta la Commedia: non si nomina Ibn Arabi (1155 – 1240) e la sua “Alchimia della felicità”, si tace di Abraham Alfaquim, traduttore del “Libro della Scala” e non si ricorda neanche Fazio degli Uberti, il quale, citandolo nel suo “Dittamondo” dimostra che l’opera di Alfaquim era conosciuta.


  • Neanche fra gli eresiarchi del decimo canto si trovano maomettani, forse perché il loro peccato andrebbe oltre l’eresia
  • Però tra gli eresiarchi si trova Federico II, “il sultano battezzato”, personaggio che oltre a sintomo è cruccio e ossessione, perno insofferente su cui ruota frullando la visione dantesca tendente a liberare dalla Chiesa la politica laica imperiale e nello stesso tempo ad annichilare la civiltà islamica a favore della dottrina scolastica. Così Federico II compare insieme a Farinata (Inf. X 118) col quale condivide il rispetto ostentato dallo stesso Dante, si ritrova nel canto XIII con qualche giustizia per lui e Pier delle Vigne (fede portai al glorioso uffizio), è citato a proverbio nell’iperbole della tortura inflitta agli ipocriti (Inf. XXIII, 66), è richiamato nel verso 117 del XVI canto del Purgatorio (deve combattere i guelfi in rivolta, acme della corruzione dovuta alla mescolanza dei poteri civile e religioso), ritorna nel verso 12 del III canto del Paradiso, citato da Piccarda Donati attraverso sua madre “Costanza imperatrice” come “il terzo, e l’ultima possanza” (cosa non daremmo per conoscere le intime emozioni di Dante nel comporre questo ricordo!), la sua figura rivive come oggetto di compianto da parte della terra che lo ebbe reggitore (Par. XX 63)
  • Fra i tiranni mostrati dal centauro Nesso sempre nessun saraceno, eppure qualcuno di questi doveva esser noto alla fine del XIII secolo
  • Nel canto di Ulisse e Diomede Virgilio pone e risolve un problema culturale linguistico (di cui altri come Capaneo non soffrono) legato al greco e al latino; non risultano circostanze dove sia implicato l’arabo
  • Nel canto XXVII Guido da Montefeltro rimprovera a Papa Bonifacio VIII la guerra di Palestrina condotta contro dei cristiani; primato di illegalità per omologare il quale espone una graduatoria del tipo di nemico che avrebbe potuto lecitamente attaccare: prescritto, consigliato, tollerato, borderline, cioè Saraceno, Giudeo, Maomettano vincitore di Sangiovanni d’Acri, mercatante in terra di Soldano (commerciante in attività vietata da Concilio e da Bolle Papali)
  • Nel canto dei falsari (XXX,64) Maestro Adamo evoca “li ruscelletti che de’ verdi colli del Casentin discendon giuso in Arno”, in antitesi per situazione e verso con i ruscelletti del Corano che rinfrescheranno le anime meritevoli dei Credenti (questa è un po’ tirata, ma provoca un confronto fra la materialità del paradiso islamico e la spiritualità di quello dantesco)
  • “Rafel mai amech zabi et almi”. del canto XXXI; il verso ovviamente non significa e non deve significare alcunché, tuttavia nei singoli suoni sconnessi di Nembroth si rinvengono poche macerie dell’idioma perduto per coloro che innalzarono la torre di Babele, cioè rinvii storpiati e incerti della lingua ebraica (ebraico e non arabo, se si vuol capire l’insegnamento che il Poeta ha voluto offrire con questa sorta di metafora). Ovviamente Virgilio non distrugge il malparlante (tanto per il confronto con il Pape ecc.)


  • Il fallimento del tentativo di convertire i saraceni da parte di San Francesco si giustifica con il non ancora sufficiente declino dell’Islam (e per trovare a conversione acerba troppo la gente, Par. XI, 101 - 105), ma bisogna attendere di entrare nel Paradiso per sapere di questo

Dunque all’ingresso dell’Inferno profondo si pone necessariamente un custode ambiguo (dio dell’oltretomba o patrono della ricchezza), di aspetto rigonfio (l’enfiata labbia), che biascica un arabo incerto, a sottolineare l’estinzione di una cultura non adatta al futuro, e a differenza degli altri custodi, questo Pluto viene abbattuto, reciso, annullato (Pluto non è “uccidibile”, pena modifica illegale della mitologia) da Virgilio, che non dispone di mezzi teologali. La fine dell’Islam si vuole storica prima che religiosa. Ma Dante non sapeva l’arabo! [6]Ciò non è credibile, dato il contesto culturale in cui visse e le discipline che approfondì; molto probabilmente per coerenza rifiutava questa lingua, ma certo, non solo aveva la capacità di formulare una frase volutamente strascicata e debole, anzi doveva sapere che tra i suoi lettori si sarebbe trovato chi l’avrebbe capita.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Armando Troni su Wikipedia
Carlo Steiner curatore della “Commedia” edita da Paravia negli anni cinquanta
Massimo Jevolella, Le radici islamiche dell’Europa
Paget Toynbee, A dictionary of proper names and notable matters in the works of Dante. Oxford 1968.
William Warren Vernon Readings on the Inferno of Dante. Methuen & Co 1906
William Warren Vernon Readings on the Purgatorio of Dante.Macmillan and Co London 1897
William Warren Vernon Readings on the Paradiso of Dante. Macmillan & Co
Annual Report of the Dante Society, CXXV 2007
Asin Palacios La escatologia musulmana en la Divina Commedia
Aldobrandino Malvezzi L’Islamismo e la cultura europea. Sansoni Firenze 1956
Giuliano Mion La lingua araba Carocci Editore, 2017
Giacomo Devoto Il linguaggio d’Italia Rizzoli 1996

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Da Wikipedia: Già precedentemente, alla metà del secolo XX, Armando Troni aveva supposto una probabile origine araba delle parole in questione (qualcosa di simile a bab el Satan?) facendo risalire però aleppe all'imperativo di labba, fermarsi, interpretazione questa che risulta essere la più coerente con il contesto in quanto il senso sarebbe ("La porta di Satana. La porta di Satana. Fermati"). Si osserva che, secondo alcuni studiosi della cultura araba, Dante avrebbe tratto alcune ispirazioni da fonti arabe.
  2. ^ Conclusione che sembra liquidare le posizioni sull’l’Islam dei vari “specialisti”, in particolare dei due contemporanei di Dante, Raimondo Lullo (1235- 1315) favorevole al dialogo, e Ricoldo da Montecroce (1243-1320) propugnante l’ammirazione prima e l’esecrazione poi
  3. ^ Negli anni precedenti il tempo di Dante Maometto e i suoi successori erano considerati e descritti sostanzialmente come dei criminali; questa narrazione avrà forse influenzato l’atteggiamento del Poeta riguardo l’Islam
  4. ^ L’uso della parola Satan invece di denominazioni come Lucifero, Dite, Belzebù, ovviamente rafforza l’idea della derivazione del verso dall’arabo, perché Saytan è parola araba.
  5. ^ IV, 129, E solo in parte vidi il Saladino
  6. ^ Nelle numerose pubblicazioni che analizzano la simbiosi dell’occidente con la cultura e la letteratura araba nei secoli intorno all’anno mille, gli autori si affannano a chiarire che Dante non sapeva l’arabo, ma loro stessi non ci credono: per esempio Maria Corti nel suo saggio Dante and Islamic Culture (1999), dopo aver asserito che naturally, Dante did not know Arabic, ricorda che il Poeta, nel riferirsi all’Etica Nicomachea di Aristotele, regularly used the arabic text in the first and fourth essays of the Convivio, naturalmente si tratterebbe sempre di traduzioni, ma quattro passaggi sembrano una grossa complicazione; è più ragionevole pensare, come fa Brenda Deen Schildgen nel suo “Inferno 4 versus Paradiso 4”, che no doubt that he knew and used arabic learning and textual resources.