Utente:Mathias Vitiello/Sandbox

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Andrea di Nerio[modifica | modifica wikitesto]

Andre di Nerio (Arezzo, ? - Arezzo, 1370 ca.) è stato un pittore italiano, massimo esponente del linguaggio artistico del Trecento ad Arezzo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La sua personalità è da poco stata riscoperta, grazie al rinvenimento della sua firma in un affresco rappresentante un’Annunciazione, oggi conservato al Museo Diocesano di Arezzo, ma proveniente dall’Oratorio della Santissima Annunziata. Da alcuni documenti d’archivio, di Nerio, risultava imparentato con Donato di Rigo, che probabilmente era suo nonno, anche se non è specificato se da parte di madre o di padre[1]. La formazione dell’artista aretino deve essere quindi avvenuta intorno alla bottega di Gregorio e Donato, come intorno a quella del Maestro delle Sante Flora e Lucilla, dal quale probabilmente apprese la maggior conoscenza culturale e la raffinatezza compositiva[2]. La riscoperta di Andrea di Nerio ha fatto sì che si aprisse una nuova prospettiva di studi sulla pittura aretina del Trecento, portando gli storici dell’arte a riconsiderare come sue alcune opere attribuite alla fase giovanile di Spinello Aretino, che sicuramente fu suo allievo.

Essendo il suo allievo più famoso nato intorno al 1350, dobbiamo presumere che Andrea di Nerio morì intorno al 1370.

Quest’artista, dunque, è il pioniere del nuovo modo di dipingere ad Arezzo, raccogliendo l’eredità lasciata in città sia dal Lorenzetti sia da Buffalmacco, creando una nuova tradizione entro la quale tra gli anni Sessanta e Settanta del Trecento nascerà la nuova ed influente bottega di Spinello.

Lo stile[modifica | modifica wikitesto]

Natività di San Giovanni Battista, Musée du Petit Palais di Avignone. 1350-1380 ca.

Sebbene ad oggi le opere attribuite ad Andrea di Nerio siano poche, attraverso degli studi approfonditi è stato possibile ricostruire una sua personalità artistica, i cui caratteri si dipanano tra la novità e la tradizione. Come detto nel paragrafo precedente, probabilmente l’artista fu uno degli allievi della bottega di Gregorio e Donato. Questo lo si può intuire dal sapore arcaicizzante con il quale egli rappresenta il trono della Maestà con Bambino e Santi nella parete sinistra della chiesa di San Domenico: questo è molto ampio e si dilata notevolmente verso lo spettatore, lasciando un avanzo rispetto a dove siede la Vergine. La decorazione della spalliera è poco visibile, ma comunque si possono osservare alcuni decori che si rifanno principalmente ai tessuti provenienti dall’Oriente: trattasi di trifogli e quadrifogli geometrizzati. Questo tipo di decorazione, seppur già utilizzata in alcuni casi tra Duecento e Trecento, la ritroviamo principalmente in rappresentazioni del Quattrocento inoltrato, facendoci percepire la modernità del di Nerio[3].

Un altro carattere tipico dell’artista aretino ruota intorno a un’altra bottega, quello del Maestro delle Sante Flora e Lucilla. A questi, probabilmente, Andrea è debitore della sua raffinatezza: a questo proposito possiamo introdurre la Madonna con Bambino in trono tra quattro Santi. In questa tavola, di Nerio, dà prova del suo aggiornamento, introducendo delle figure più allungate e dalle vesti che maggiormente ne esaltano le forme. La tendenza di Andrea di Nerio ad acquisire i caratteri dei nuovi modi di dipingere, lo possiamo riscontrare nella Natività di San Giovanni Battista, conservata presso il Musée du Petit Palais di Avignone[4]. In questo dipinto è possibile vedere come due tipi di stili, che potremmo definire antitetici, si fondano tra loro: si tratta della poetica giottesca e della poetica di Buffalmacco.

Le opere[modifica | modifica wikitesto]

Madonna Sarti[modifica | modifica wikitesto]

Madonna Sarti, collezione privata. 1331 ca.

Questa preziosissima tavola è uno dei capolavori di Andra di Nerio, oggi conservata presso la Collezione Sarti a Parigi. Probabilmente fu realizzata negli anni Quaranta del Trecento, anche se alcuni studiosi propongono i primi anni Trenta. La Madonna è rappresentata con il volto allungato, contornato da capelli biondissimi, così come quelli del Bambino, così riccioli e composti da sembrare scolpiti nel marmo.

Il modo in cui la Vergine sorregge il Bambino è molto simile e probabilmente da ricondurre alla tavola centrale del Polittico del Lorenzetti: in questo caso, però, la stretta è meno evidente e, anzi, non fa altro che esaltare la straordinaria pacatezza dell’artista.

Gesù prende sua Madre per mano in una stretta tenerissima, dove le carni dei due personaggi si fondono insieme, come a simboleggiare l’eterno legame tra i due. Il Bambino, inoltre, alza la mano sinistra e sgambetta, volgendo lo sguardo verso la Vergine, la quale, però, ha gli occhi puntati nel vuoto, velando così il suo volto di una concreta malinconia[5]. Il velo che copre in parte la fronte della Madonna dà prova della maestria di Di Nerio nella resa delle trasparenze, rendendolo praticamente etereo e privo di sostanza. A questo si contrappone il pesante velo scuro, foderato internamente e che emerge dalla tavola insieme alla veste rossa, determinando un forte distacco rispetto alla bidimensionalità del fondo oro.

Annunciazione[modifica | modifica wikitesto]

Quest’interessantissima tavola, grazie alla quale è stato possibile risalire all’identità del Di Nerio attraverso la firma (cripto firma) abilmente nascosta nel tappeto interno alla casa , è oggi conservata al Museo Diocesano di Arezzo, ma originariamente doveva trovarsi nella chiesa di San Marco al Murello.

In questa rappresentazione è ben visibile il richiamo che di Nerio fa all’Annunciazione dipinta da Lorenzetti nella cuspide del Polittico della Pieve. La scena principale si svolge all’interno, anche se gli spazi sono idealmente divisi dalla sottile colonna tortile centrale. La forte impostazione geometrica degli ambienti ci fa percepire come l’artista accenni ad una prima intuizione di tridimensionalità, in accordo con la poetica giottesca.

Dell’Annunciazione sono rappresentate diverse scene: in alto al centro possiamo vedere Dio Padre che dà l’ordine all’Arcangelo Gabriele di portare la lieta notizia; in alto a sinistra, al limite superiore dell’edificio, osserviamo invece l’angelo in volo. Straordinario è l’effetto di movimento che di Nerio riesce a conferire a Gabriele e che possiamo percepire grazie all’ala tagliata nell’estremo sinistro della tavola, come se egli fosse appena atterrato. L’angelo è rappresentato con una sontuosa veste dorata, con decorazioni che riprendono quelle dell’Arcangelo Michele dipinto da Buffalmacco, ed è orlata con ricami che tendono al nero.

La Vergine è rappresentata seduta su una panca ed è sorpresa nell’atto di leggere un libro, che simboleggia un richiamo all’avverarsi delle profezie sul Messia. Immediatamente ella ha un gesto di indietreggiamento; il profilo sottile degli occhi e la bocca socchiusa conferisce alla Madonna una grazia a dir poco aristocratica, che ricorda quella rappresentata nell’Annunciazione di Simone Martini, conservata presso la Galleria degli Uffizi.

In questa tavola, inoltre, in alto al centro scorgiamo il Bambino che si “tuffa” verso Maria: questa iconografia, però, nel tempo è stata giudicata eretica.

San Francesco e San Domenico[modifica | modifica wikitesto]

San Francesco e San Domenico, Pieve di Arezzo. 1350 ca.

A partire dal XIV secolo diventano sempre più frequenti le rappresentazioni degli ordini mendicanti. In tutti i maggiori centri urbani, infatti, agli antipodi spesso si trovavano i conventi dei due ordini maggiori: francescani e domenicani; anche ad Arezzo abbiamo testimonianza di questo fenomeno, con la Chiesa di San Francesco e quella di San Domenico.

La rappresentazione qui di lato si trova nel pilastro di sinistra nella Pieve di Santa Maria Assunta e probabilmente doveva fare parte di un ciclo più esteso.

La figura a sinistra nell’affresco è San Francesco, rappresentato secondo l’iconografia tipica, ovvero vestito del saio marrone, recante sulle mani e sui piedi i segni delle stimmate, che ricevette durante la sua permanenza presso il Santuario della Verna.

Il personaggio a destra, invece, è San Domenico, anch’egli rappresentato secondo l’iconografia tradizionale: con la veste bianca e il mantello con cappuccio nero, recante sotto braccio un libro, a simboleggiare l’aspetto colto dell’ordine stesso.

In questo dipinto possiamo osservare come di Nerio riesca a fondere i caratteri di diverse poetiche: quella di Lorenzetti di derivazione senese, quella di Buffalmacco di derivazione fiorentina e quella giottesca. In accordo con l’ultima, l’artista aretino supera la rappresentazione ieratica dei protagonisti, che sembrano avanzare verso lo spettatore. Nonostante questo, lo spazio non è ben definito, facendoci percepire una sensazione di instabilità.

Come accade per il Polittico del Lorenzetti, anche di Nerio segue l’andamento ritmico e curvilineo che si instaura all’altezza delle braccia dei personaggi, contribuendo alla rottura della plasticità dei personaggi.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ 1. Droandi 2016, p. 54-55.
  2. ^ 2. Droandi 2016, p. 54.
  3. ^ 3. Droandi 2016, p. 54-55.
  4. ^ 4. Droandi 2016, p. 55.
  5. ^ 5. Droandi 2016, pp. 57-58.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Droandi I., “In nome di buon pittore”, Spinello e il suo tempo, Firenze, Edifir-Edizioni, 2016, pp. 53- 54-55, 57-58.