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LA POLITICA MARITTIMA DELL'ITALIA DALLE ORIGINI SINO ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE (1861-1915)

LA MARINA ITALIANA DALLE ORIGINI AL SUO APOGEO (1861-1895)[modifica | modifica wikitesto]

Il 17 marzo 1861 avvenne la proclamazione del Regno d’Italia. Tale data è assunta anche come data di nascita della Marina italiana, denominata Regia Marina, che si formò per mezzo della fusione delle Marine sarda, borbonica, siculo-garibaldina, toscana e pontificia. Il giovane stato italiano, non particolarmente forte dal punto di vista economico e militare, invece di impegnarsi unicamente al proprio interno, volle subito darsi da fare nell'arena europea e, addirittura, nel Vicino Oriente. Questo fu dovuto non solo a un certo velleitarismo di potenza, che pure condizionò in maniera notevole la nazione appena nata, facendola sentire erede di un patrimonio storico con cui poco avevano a che spartire gli italiani, ma soprattutto a causa degli sviluppi delle relazioni internazionali che portarono l'Italia alla ricerca delle migliori condizioni di sopravvivenza e della difesa di particolari interessi economici e, soprattutto, politici. L’Unità d’Italia fu più un’elaborazione delle cancellerie di Parigi e Londra che un merito assoluto ed esclusivo delle forze nazionali. Nondimeno Cavour assunse subito le direttive per una energica politica estera di peso ben superiore alla potenza della nazione appena unificata. Il Primo Ministro morì quasi all’indomani dell’avvenuta Unità, ma la sua rimase la linea maestra per la costituzione di una potente Marina, finalizzata strategicamente alla contrapposizione anti-austriaca nell’Adriatico, ma che non faceva mistero di coltivare anche ambizioni coloniali.[1] L'Italia, giunta tardi all'appuntamento con la storia dopo una sofferta fase di formazione dello Stato-nazione, si trovò a subire incidenti di percorso e disillusioni che si trasformarono presto in frustrazioni facendo sentire la classe politica italiana perennemente a disagio nelle relazioni internazionali, ora perché troppo aggressiva, ora perché troppo provinciale.[2]

Camillo Benso, conte di Cavour, Ministro della Marina dal 17 Marzo 1861 al 4 Giugno 1861

Da qui anche quella politica estera "fluttuante", mai ben definita, tipica dell'Italia. La Regia Marina fu costituita con il naviglio proveniente da quella Sarda e dalle Marine degli scomparsi Stati preunitari. Per le nuove costruzioni ci si rivolse invece alla Francia, che fornì il naviglio corazzato, ed alla Gran Bretagna, i cui cantieri offrivano modernissime navi a vapore con artiglierie non più disposte per fiancata ma montate su torri, come ad esempio l’Affondatore che avrebbe combattuto a Lissa.3 La Regia Marina, insomma, fin dall’inizio della nostra storia unitaria dimostrò di avere un certo peso. Ma non basta possedere un più o meno adeguato strumento navale per poter svolgere un’efficace politica di potenza: occorre infatti soprattutto realizzare un coerente disegno strategico sugli obiettivi da conseguire con tale strumento. Nel primo ventennio dell’Unità il nemico da battere rimaneva l’Austria mentre occorreva assolutamente coltivare l’amicizia di Francia e Gran Bretagna. La prima si era dimostrata preziosa nel 1859; l’Inghilterra invece aveva dato una spinta fattiva alla nostra unificazione nella Primavera del 1861, quando aveva interposto le navi Argus e Intrepid fra le unità da guerra borboniche ed i piroscafi garibaldini nelle acque di Marsala.4 Il gioco diplomatico con queste due potenze, per altro, non si presentava neppure dei più facili. La politica britannica non era affatto animata da un forte e sincero atteggiamento filo italiano, poiché quel che in realtà interessava alla pragmatica Londra era la creazione di un nuovo Stato mediterraneo che facesse da valido contraltare alla crescente potenza francese . Sull'altro versante, l’amicizia con la Francia era messa fin troppo in discussione dalle differenti idee circa la questione romana. Alla Regia Marina mancava nei primi anni della sua vita non soltanto un disegno strategico, ma anche una dottrina d’impiego, essendo costituita da ufficiali che, provenendo da Marine di diversa tradizione, erano abituati ad adottare tattiche diverse: i borbonici ad esempio si ispiravano maggiormente alle dottrine britanniche, mentre i sardi a quelle francesi. A questa differenza di orientamento va aggiunta poi la quasi naturale rivalità di carriere e di mentalità fra ufficiali che, avendo servito sotto bandiere di diversi Stati, ora si trovavano ad agire insieme.5 L'Italia unitaria scelse subito un indirizzo di potenza che militarmente fu pagato molto caro nella guerra del 1866 con le drammatiche sconfitte di Lissa, sul mare, e di Custoza, a terra. La breve campagna del 1866 in Adriatico, culminò con la giornata di Lissa (20 Luglio 1866) e ricorda fin troppo drammaticamente quanto avvenuto settantacinque anni dopo a Gaudo e Matapan con la terribile sconfitta che costò la vita a oltre 2400 marinai italiani nel marzo del 1941. Al largo dell’isola dalmata si svolse un’operazione navale fatta condurre esclusivamente per interessi politici in quanto bisognava ottenere un qualche successo sugli austriaci dopo che i prussiani avevano già ottenuto la loro vittoria risolutiva a Sadowa e tutti spingevano per una rapida conclusione della guerra. Tuttavia in seguito a questo conflitto, l'Italia ottenne immeritatamente il Veneto, ciò che le permise di ottenere una discreta influenza sull'Adriatico. Nonostante lo scacco di Lissa, l’Italia continuava a comportarsi come una grande potenza in cerca di nuovi insediamenti oltremare in vista del possesso di future colonie. A questo proposito si deve ricordare la crociera della corvetta Principessa Clotilde in Estremo Oriente, durata ben tre anni (1868-71), dove tuttavia non si riuscì a creare nessuna stazione navale; meglio andarono le cose più avanti nell’America Centrale e Meridionale, favorite anche dalla presenza di numerose comunità italiane.6

La corvetta Ercole, della ex Marina borbonica, alla fonda davanti a Montevideo nel 1868

Il Mediterraneo, con l'apertura di Suez nel 1869, divenne un importantissimo nodo di comunicazioni e flussi commerciali, economici e strategici tra l'Occidente e l'Oriente, confermando la delicata posizione dell'Italia che presto avrebbe rovinato i rapporti con la Francia creando una situazione di conflittualità che sarebbe durata per tantissimi anni. La potenza che aveva il maggiore interesse a mantenere integre le proprie linee marittime per preservare i suoi vasti interessi in questo mare era comunque la Gran Bretagna, la quale risultava padrona degli ingressi, oltre a possedere una base come Malta che si rivelò poi determinante tanti anni dopo. Abbiamo già detto che gli inglesi avevano l'interesse ad incoraggiare un certo potere marittimo dell'Italia che facesse da contrappeso alle ambizioni francesi. In quel periodo, quindi, tutto favoriva il mantenimento di buoni rapporti con la Gran Bretagna e la Marina italiana era perfettamente cosciente del fatto che occorreva evitare qualsiasi occasione di scontro vista l'abissale differenza di potenzialità offensive e di preparazione delle due forze navali. Il periodo che va dal 1875 al 1895 può essere considerato comunque come uno dei momenti migliori della Marina, la quale ricevette ingenti finanziamenti (la prima legge navale fu approvata proprio nel 1877) per impostare una moderna flotta e giungere, obiettivo strategico primario dell'epoca, alla parità navale con le flotte riunite della Spagna e dell'Austria.7 Furono questi gli anni della costruzione della famosa corazzata Duilio, sicuramente l’unità più potente e moderna esistente al mondo in quel momento8 e del primo sommergibile italiano, il Delfino, varato nel 1890.9 Nacque in quegli anni anche la nostra prima dottrina navale, che consisteva nell’attacco veloce al traffico nemico portato dalle corazzate della classe Italia, che erano veloci oltre che potenti, mentre l’attacco alle corazzate nemiche sarebbe stato affidato alle più pesanti e protette Duilio. L’intero concetto era chiamato “Difensivo strategico” o anche “Difensivo flessibile”, e sarebbe rimasto praticamente immutato fino alla Seconda Guerra Mondiale.10 Nel 1885 la costruzione di grandi unità navali portò l'Italia addirittura al terzo posto nella graduatoria delle Marine mondiali dopo la Gran Bretagna e la Francia.11 Le navi italiane si incontravano sempre più spesso nelle acque dell'Estremo Oriente, dell'America centro-meridionale, dell'Africa Orientale, oltre ad essere sempre presenti nel Levante mediterraneo dove si aspettava una crisi dell'impero ottomano per impossessarsi di nuovi territori.12 Fu comunque una politica di "grandeur" davvero sproporzionata rispetto alle reali potenzialità dell'Italia. Secondo Giorgerini c'è sempre stata una grande differenza tra la politica italiana e quella delle altre potenze navali. Queste ultime, infatti, realizzavano le loro flotte non solo per questioni di prestigio, ma per ottenere vantaggi economici e commerciali, mentre l’Italia, pur disponendo di una buona flotta, non poteva aspirare a simili risultati in quanto non rappresentava un soggetto economico importante.13 L'Italia mise subito gli occhi sul litorale africano per esercitare meglio il suo potere marittimo ed elaborò un progetto di annessione della Tunisia, la quale invece ci fu strappata dalla Francia nel 1881, facendo peggiorare i rapporti con il paese transalpino e favorendo l'innaturale alleanza con la Germania e l'Austria, quest'ultima avversaria da sempre.14 Restava inoltre il problema di Malta e della Corsica in mani straniere che ci impediva di esercitare correttamente il nostro potere marittimo, cosa rilevata addirittura da Mahan nei suoi scritti.15 Seguirono comunque le prime iniziative coloniali da noi tentate a quei tempi, prima ad Assab e poi a Massaua, le quali influirono sullo sviluppo dello spirito navale nazionale in in maniera considerevole, avendo la Marina preso parte in maniera cospicua alla preparazione di queste imprese sacrificando nobili figure di esploratori e combattenti.1 Il decennio seguente vide un'attenuazione della tensione italo-francese e d'altra parte le crescenti difficoltà finanziarie e gli insuccessi della politica coloniale costrinsero lo Stato a ridurre le spese militari, soprattutto a discapito della Marina, la cui posizione andava scadendo per il comparire di due grandi potenze, la Germania e gli Stati Uniti.2

LA MARINA DAL 1895 ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE[modifica | modifica wikitesto]

La ripresa economica, dopo il 1900, diede nuovo impulso alle costruzioni navali, favorito anche dalla nuova direzione impressa alla politica estera, che si andava avvicinando all'entente anglo-francese. Gli accordi che permisero l'impresa di Tripoli imposero un pronto adeguamento ai nuovi compiti della Marina, la quale nel periodo 1905-1915 prese uno slancio notevole che ricordava quello di trent'anni prima.1 Le funzioni della Marina furono essenziali per la conquista della Libia (1911-12) e del Dodecaneso, che allargò notevolmente la nostra influenza nel Mediterraneo. Il successo dell'occupazione del Dodecaneso, che allarmò notevolmente le grandi potenze europee, soprattutto la Gran Bretagna, rappresentò un evento di grande rilievo perché l'Italia in questo modo otteneva un'invidiabile posizione strategica nel Levante controllando gli accessi agli stretti, la costa della Turchia, i movimenti da Suez verso il Mediterraneo orientale e la combinazione di questo controllo con quello derivante dal possesso delle coste libiche la metteva nelle condizioni geostrategiche quasi ideali per compiere il primo passo verso un reale dominio del Mediterraneo, potendo così esercitare quel potere marittimo cui la natura sembrava averla destinata.2 Nonostante il trattato di Sèvres del 1920 sanzionasse il definitivo possesso di queste isole, l'Italia non seppe mai approfittare compiutamente di questi possedimenti. Essi, ad esempio, avrebbero potuto essere impiegati come "portaerei naturale", (vista l'indisponibilità di navi portaerei effettive), per attaccare di sorpresa dall'aria la base britannica di Alessandria agli inizi delle ostilità nel 1940, dove si trovava il grosso della Mediterranean Fleet assieme ad una parte della flotta francese, e dove le difese erano all'epoca piuttosto sguarnite.3 Da rilevare, nel periodo antecedente la Grande Guerra, le solite "alternanze" della politica estera dell'Italia che, mentre preparava piani di guerra per fronteggiare un certo avversario (la Gran Bretagna e la Francia), si teneva anche pronta per affrontarne un altro (l'alleata Austria-Ungheria).4 Il 4 Maggio 1915, infatti, l'Italia denunciò la sua appartenenza alla Triplice e venti giorni dopo dichiarò guerra all'Austria. Il grosso della flotta restò a Taranto in attesa di poter ingaggiare il nemico in uno scontro decisivo nelle acque dell'Adriatico. Ma questo non avvenne. Nelle poche puntate effettuate lungo le coste nemiche, diverse nostre grandi unità andarono perse o gravemente danneggiate dagli attacchi del naviglio sottile austriaco, soprattutto sommergibili. Gli italiani non ebbero più modo di riscattare la sconfitta di Lissa perché la guerra sui mari si andava modificando: utilizzate raramente le grandi navi da battaglia, andava riscuotendo sempre maggiore importanza il naviglio sottile e silurante e l'aviazione cominciava ad affermarsi quale arma determinante nello svolgimento dei conflitti: si evolveva così la "guerra di corsa". Al termine della guerra l'Italia interventista si aspettava parecchio dai trattati di pace, ma rimase presto delusa. Acquisivamo comunque una certa predominanza in tutto l'Adriatico, ma la situazione si faceva sempre più seria nel resto del Mediterraneo, dove l'influenza maggiore era esercitata dalla Francia, che si estendeva dal Marocco alla Siria, e dalla Gran Bretagna che da Gibilterra giungeva sino all'Egitto e alla Palestina. Occorre ricordare, ad ogni modo, che la Marina riuscì in questa guerra ad assicurare egregiamente il grosso dei rifornimenti alla nazione e questo fu un aspetto oscuro, ma altamente meritevole, della condotta delle nostre forze navali.5

  1. ^ GIORGIO GIORGERINI, “L’evoluzione delle forze armate italiane dal XIX al XX secolo. Le prime prove della Regia Marina”, in Marinai d’Italia, n. 6, Giugno 2002
  2. ^ CARLO MARIA SANTORO, La politica estera di una media potenza. L’Italia dall’Unità ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1991, pag.100