Utente:L'onda del futuro/Sandbox

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Andrea Loriga[modifica | modifica wikitesto]

Andrea Loriga (Codrongianos, 1904 - Binasco, 1945) è stato un medico condotto antifascista e Giusto tra i Giusti. [1]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Il dottor Andrea Loriga nacque a Codrongianos (Sassari) il 31 agosto 1904 da Francesco ed Elisabetta Serra, una modesta famiglia contadina: aveva altri quattro fratelli. Compì tutti gli studi a Sassari ove conseguì la laurea in medicina il 26 novembre 1932. Fu medico condotto e ufficiale sanitario prima a Rota Imagna e Oltre il Colle (Bergamo) e poi dal 1938 a Binasco. Il 23 luglio 1938 prestò giuramento davanti al podestà di Binasco Ettore Passoni e ai testimoni.[2] Da quel momento cominciò ad esercitare la professione a Binasco percependo la somma di L. 12.049 lorde all’anno.[3]

Si era sposato l’11 marzo 1937 con Maria Manca, dalla quale ebbe poi due figli, Carlo e Isa.

La sua attività di medico condotto a Binasco e Casarile proseguì nei difficili anni della guerra. Si dimostrò sempre infaticabile, pronto ad adempiere i suoi doveri quotidiani con sacrificio, obbediente ad ogni chiamata sia di giorno che di notte, raggiungendo anche le più distanti cascine, premuroso particolarmente con i meno abbienti che aiutava sia materialmente sia moralmente.

Profondamente religioso e sinceramente antifascista, non tenne nascosta la sua ostilità verso il regime, tanto che il 26 luglio 1943 compì dei gesti clamorosi contro la dittatura. Accusato di essere antifascista militante, venne sospeso dal servizio con privazione dello stipendio in attesa della definizione del procedimento disciplinare, come risulta da decreto della Prefettura di Milano.[4]

Nella lettera inviata dal podestà al dottor Loriga in data 13 marzo 1944 sono elencati gli atti compiuti dal medico contro il regime[5]: Comunico che il Capo della Provincia con nota 3 corrente n. 9602 Div. Sanità mi ha incaricato di farVi il seguente addebito: nella giornata del 26 luglio 1943 avete tenuto un comportamento di ostilità verso il Regime e le sue istituzioni. Più precisamente:

1°) Raccolti tutti i quadri del DUCE esposti nei vari uffici di Binasco li portavate nella Piazza principale del paese, stracciandoli e bruciandoli alla presenza di una parte della popolazione;

2°) Compiuta tale impresa Vi recavate in Comune, da dove asportavate con altri una grande statua del DUCE che frantumavate a colpi di piccone nella pubblica via;

3°) Sempre nella stessa giornata, a capo di una accozzaglia antifascista, imbrattavate i muri del paese con scritte contro il DUCE ed il Regime;

4°) Procurato un grande ritratto di Matteotti, invitavate i presenti a recarsi davanti al monumento dei Gloriosi Caduti dove appendevate tale ritratto, dopo averlo baciato e proclamato che Matteotti era il vero eroe caduto per mano di sicari fascisti, in difesa della giusta causa.

Come indica la nota stessa siete invitato a trasmettermi le discolpe che dovrò inviare al Capo della Provincia.

Da allora incominciò la persecuzione del dottor Loriga: veniva minacciato, spesso era portato in castello per essere interrogato e picchiato. Molto significativa è la testimonianza di don Domenico Senna[6]: « […] un giorno di agosto, mentre tornavo da Conigo, dove ero stato a portare da mangiare agli sbandati che si nascondevano in quella cascina, ho sentito dire che il dott. Loriga era stato chiamato in castello e picchiato a sangue dai militi della Muti […] Tutto era cominciato il 25 luglio 1943 con l’annuncio della caduta del fascismo e l’esultanza della gente che si è riversata in piazza la mattina. Sono avvenimenti che io non posso dimenticare: la salita al castello del dott. Loriga (del quale dovremmo parlarne per rievocare la figura) che, dando fuoco a quei gagliardetti neri, ha gridato: “viva il Papa, viva Matteotti!”.

«La piazza era gremita e quest'uomo col suo gesto ha salvato un po' Binasco, perché i fermenti c'erano e potevano capitare anche cose incresciose. Veramente il dott. Loriga con altruismo e generosità ha saputo in quel giorno incanalare tutta la gente del paese, mantenendo tutta l'attenzione su fatti di cui è stato protagonista. Sappiamo come l'abbia pagata cara. Vorrei ricordare che forse il Comune farebbe bene a rispolverare una certa mozione, quando fu conferita una medaglia d’oro alla vedova nel 1965: forse qualcuno del pubblico si ricorderà, e mi pare che in Comune ci sia tutto un dossier in cui si ricorda la figura di questo dottore. Egli ha sofferto perché è stato torturato, malmenato, picchiato a sangue qui dentro, in questa sala consigliare. La notte tra San Giuseppe e il 20 marzo 1945 il dott. Loriga cadde sfinito sulla scala di casa sua, con la siringa in mano, mentre cercava ancora di aiutarsi; io sono stato chiamato ed ho assistito alla sua morte, e, al dott. Negri che era accorso, ho fatto notare le chiazze che aveva sulla schiena, conseguenza delle punzecchiature subite durante la tortura; io conoscevo questo particolare perché a me egli aveva confidato tutto. Il dott. Loriga è veramente un martire.»

Racconta Angelo Saini[7]: «Una mattina d’inverno del 1944, mentre stavo andando alla stazione delle corriere per recarmi al lavoro con la corsa delle 7, ho visto il dottor Loriga che scendeva barcollando dal castello; sembrava ubriaco, sten­tava a reggersi in piedi. A fatica si diresse verso la sua casa: abitava in largo Garibaldi[8], dove aveva anche lo studio. Capii subito che il dottore, come spesso accadeva dopo il 25 luglio del 1943, era stato prelevato dai fascisti durante la notte e portato in castello per essere interrogato e picchiato.

«Furono quelli anni terribili per Binasco. Le violenze di Ranzani[9] e dei suoi scagnozzi terrorizzavano il paese e non fu solo il dottor Loriga a subirle. I fascisti uccisero anche Francesco Gatti, figlio di Esterina e di Emilio, famiglia molto povera. Emilio morì durante il secondo bombardamento, sotto la bomba sganciata al Coronero. Francesco era un giovanottone robusto e forte che praticava la boxe e manifestava il suo antifascismo non solo a parole: spesso assumeva atteggiamenti di aperta sfida nei confronti dei repubblichini insediati a Binasco. Un giorno di luglio del 1944 alcuni militi della Muti si recarono al Risveglio - albergo con bar situato in quella che allora era via Martiri fascisti e oggi è via Andrea Costa - dove Francesco stava giocando a carte con alcuni amici. Lo fecero uscire con il pretesto di comunicargli cose importanti e che per questo doveva seguirli in castello. Il giovane, dimostrando di non temerli, li seguì e salì sull’auto che attendeva fuori. Fu trovato morto, ucciso da un’arma da fuoco, sul ciglio della strada che porta a Pioltino.»

Anche Gino Porri[10] conobbe il dottor Loriga e così lo ricorda: «Si recava a visitare i suoi pazienti utilizzando una vecchia bicicletta. Era un uomo dalla straordinaria umanità, perché cercava di alleviare le sofferenze non solo con le sue conoscenze mediche, ma anche con il suo calore umano. Ai poveri dispensava gratuitamente i medicinali e accorreva al capezzale degli ammalati a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il 25 giugno del 1939 mia madre, che già era molto ammalata, si sentì male. Chiamai il dottor Loriga che accorse e purtroppo constatò che ormai non vi era più speranza; tuttavia mi disse che le avrebbe fatto un’iniezione. Chiesi al dottore se la sostanza che stava per iniettarle avrebbe sortito qualche effetto. Scosse la testa sconsolato. Allora gli proposi di non farla soffrire, perché in quelle condizioni anche una semplice iniezione sarebbe stata dolorosa. Il dottore fu d’accordo. Stette vicino a mia madre aiutandola a morire serenamente e senza sofferenze.

«Era un uomo straordinario, che amava la libertà e gli uomini: perciò era antifascista convinto, perché non sopportava i soprusi e la violenza e lo dimostrava apertamente. Per questo motivo i fascisti lo hanno perseguitato e torturato più volte dopo il 25 luglio 1943. Persone come il dottor Loriga devono essere ricordate per sempre, soprattutto in tempi di confusione morale come i nostri, perché deve essere proposto ai giovani come monito ed esempio da imitare.»

Amilcare Locatelli, primo sindaco di Binasco dell’Italia repubblicana, nella seduta del Consiglio comunale dell’agosto 1948, ricordò così il dottor Loriga[11]: […] Per queste dure esperienze la sua pur forte fibra non poté infine superare il logorio a lui cagionato e dalle persecuzioni e dai patemi delle purghe cui venne costretto, e dal lavoro, cui tornava appena era possibile; e da ciò, come è convincimento unanime di questa popolazione, si deve se a soli 40 anni dovette soccombere ad un improvviso attacco di paralisi al suo cuore angustiato avanti di poter vedere il giorno radioso per cui aveva lottato e sofferto e dato infine la vita.

Il Comune di Binasco nella seduta del 31 maggio 1965[12] deliberò di «assegnare ai familiari dello scomparso, una medaglia d’oro al valore per l’opera pre­stata dal dott. Loriga nella epidemia di tifo del 1942, nella assistenza alle vittime dei bombardamenti e dei mitragliamenti del 1945, a favore degli sbandati, dei braccati e dei prigionieri di guerra.» La consegna della medaglia avvenne durante una ceri­monia pubblica il giorno 2 giugno 1965. Era presente l’onorevole Luigi Meda che tenne un discorso commemorativo, i cui punti salienti vengono qui trascritti.

«Il dott. Andrea Loriga Serra, di famiglia sarda, vinse il concorso nel 1938 per le condotte di Binasco e Casarile e subito si distinse per il suo amore verso i poveri e gli ammalati, ai quali offrì non soltanto la sua intelligente e intensa opera di scienziato, ma il conforto di una assistenza disinteressata e volta a favore dell'umanità soffe­rente, che gli fece ben presto guadagnare la stima e l'affetto di tutta la popolazione.

«Andava ripetendo ch'egli amava la libertà al di sopra di ogni tirannia e che gli spiriti forti e liberi dovevano avere il sopravvento.

«Ricordiamo la sua opera coraggiosa e decisa per stroncare l'epi­demia di tifo che imperversò in paese nel 1942; l'abnegazione pre­stata al servizio di tutti i colpiti nei bombardamenti del paese prima e dopo la caduta del regime.

«Il 25 luglio 1943, in assenza di qualsiasi autorità costituita, al grido di “Viva il Papa, viva Matteotti” si mise alla testa della popolazione per dare l'assalto alla sede del Fascio, asportando cimeli e gagliardetti che vennero bruciati sulla pubblica piazza. Il suo intervento però voleva essere un diversivo per impe­dire vendette e rappresaglie verso i gerarchi locali, tanto che in paese non si dovettero lamentare delle vittime.

«Era di buona stirpe isolana, corag­gioso e fiero della sua Patria e della sue fede, ma umano e generoso verso tutti, anche verso coloro che milita­vano in altri campi del pensiero e del­l'azione. Ma dopo l'avvento dei fasci repubblichini e l'occupazione te­desca, la sua opera si estese ancora di più a favore degli sbandati e dei dispersi sofferenti che andavano raminghi di paese in paese, verso i prigionieri al­leati fuggiti dai campi di concentra­mento e ospiti delle nostre cascine, verso i partigiani nascosti nelle nostre campagne, verso gli sfollati accorsi numerosi da Milano per sfug­gire ai bombardamenti. Ben presto vennero le prime denunce e incominciò il suo calvario doloroso e triste.

«Verso la fine del 1943 in paese si era insediato un comando tedesco di polizia e un distaccamento della “Muti” di triste me­moria che, congiuntamente, davano inizio alla ricerca di coloro che si erano rivelati antifascisti. Fra i primi ad essere arrestati fu appunto il Loriga, che intrepido e sempre ligio al suo dovere, era rimasto al suo posto continuando a prodigarsi per tutti.

«Ai primi interrogatori avvenuti qui, proprio in quest'aula, fe­cero seguito le percosse, le flagellazioni nelle celle della prigione. Si voleva che lui parlasse, che lui rivelasse nomi e nascondigli di uomini e di armi. Si voleva strappargli una confessione per dare corso alle accuse di essere militante fra i partigiani; si voleva arri­vare a scoprire gli sbandati, gli ex-prigionieri in fuga; si voleva punirlo per avere capeggiato le dimostrazioni antifasciste. Ma il dottor Loriga non parlò mai, neanche quando nel marzo 1944 venne rimosso dal grado e dal posto in modo da poterlo far cadere indifeso nelle mani dei suoi persecutori. Venne tradotto il 15 aprile 1944 in Prefettura a Milano e sot­toposto ad un processo celebrato alla presenza di ufficiali tedeschi e repubblichini, per l'accusa, e dei propri superiori dell’Ordine dei medici di Milano e della provincia: i professori Ragazzi e Bernuzzi e di un fraterno amico accorso nell'ora del pericolo, per la difesa.

«Si comportò con la serenità dei forti, non accusò, non parlò, non lamentò le persecuzioni subite, e, in mancanza di prove gravi e compromettenti, venne assolto e reintegrato nel suo grado con effetto immediato. Ma i fascisti della “Muti” non lo persero di vista, la sorve­glianza su di lui si fece sempre più stretta, e, per rappresaglia, venne in seguito più volte prelevato da casa sua, portato qui nelle segrete del castello e percosso a sangue.

«Con le spalle piagate e il volto tumefatto continuò ad accorrere al letto dei sofferenti di giorno e di notte […] E così continuò per tutto il 1944 e per i primi mesi del 1945 la sua opera umanitaria, amorevole, senza lasciar sfuggire un la­mento o una parola di odio o di vendetta.

« […] Al ritorno da un ennesimo sanguinoso interrogatorio, il 20 marzo 1945 spirava colpito da malore in seguito alle continue violenze subite, mentre, assieme alla consorte adorata e ai due figlioletti stava reci­tando a sera il Santo Rosario.

«Chi lo ha conosciuto lo ha ancora nel cuore; ai giovani e ai posteri il ricordo di una vita intemerata spesa al servizio dei più nobili ideali […]. La Resistenza di Binasco ha avuto un martire e la Patria un eroe delle umane libertà ».

Alla fine del ‘43 il dottor Loriga entrò a far parte del CLN locale, prestando la sua opera nel curare gli sbandati e i partigiani malati o feriti che si nascondevano nelle campagne o nelle cascine intorno a Binasco. Avendo l’autorizzazione a spostarsi in automobile, in quanto medico, provvedeva anche a tenere i collegamenti tra i membri della Resistenza, portando ordini e notizie.

Nell’estate del 1944 Attilio Gatti, presidente del C.L.N. binaschino sospettò che i fascisti fossero venuti a conoscenza dei nomi di alcuni aderenti al Comitato; allora invitò tutti gli amici sospettati ad abbandonare il paese, ma il dottor Loriga non volle saperne di allontanarsi dai suoi pazienti.

Dopo i bombardamenti su Milano della metà di agosto, Binasco si riempì di sfollati, a cui si provvide a dare carte annonarie e indicazioni diverse in maniera molto amichevole. Si trasferì in paese anche l’avvocato milanese Augusto Weiller con la moglie Maria Coen e i figli Silvana e Guido. I Weiller erano ebrei, anche se in paese nessuno mostrava di saperlo. Avevano deciso di venire a Binasco perché un collega di lavoro di Silvana le aveva proposto di affittare un alloggio a Binasco: una camera grande, una stanza da bagno, un ripostiglio. L’alloggio aveva anche l’acqua corrente. Silvana andava al lavoro a Milano tutti i giorni, l’avvocato e la signora Coen quasi tutti i giorni.

Racconta Guido[13]: «Nel tardo pomeriggio dell'8 settembre, aspettavo, a Binasco che papà, mamma e Silvana arrivassero da Milano[14] [...] Milano era semidistrutta, le strade in cattive condizioni, molti gli “sfollati pendolari” [...] Ero uscito dal nostro monolocale con servizi ed angolo di cottura [...] Ad un certo punto sentii una voce lontana che gridava una frase, ripetendola più e più volte, che all'inizio non capivo. Poi le parole si fecero più chiare “La pace sia con voi!” A ripeterla era un contadino, che avanzava, in piedi su un carro a pianale basso trainato da un cavallo al passo, tenendo in mano le redini e facendo gesti larghi con il braccio libero […] Tre o quattro giorni dopo, non ricordo la data esatta, papà ascoltò alla radio, la piccola radio rimediata, sistemata sul comò, una trasmissione in tedesco. Non ho mai saputo se fosse la voce di Hitler o di uno dei suoi; a trasmissione finita, capendo subito quanto fosse pericolosa la situazione per gli ebrei, spense la radio, e subito dopo il "clic" dichiarò senza alcuna inflessione, con voce piatta: “Bisogna andare via.”»

Augusto avrebbe voluto raggiungere Omegna.

«La sera venne a trovarci il medico condotto [il dottor Loriga, n.d.r.], al quale papà aveva evidentemente già parlato. “Io ho l’autorizzazione a viaggiare in automobile, ma non a portare passeggeri. Fuori di discussione di portarvi fino a Omegna. Possiamo tentare di arrivare a Magenta, e lì potrete, se ci arriviamo, prendere il treno.”

«Aveva, evidentemente, idee chiare e, forse, notizie che noi non avevamo.

«L’indomani, subito dopo pranzo, arrivò con la sua “Balilla”; riuscimmo a caricare i bagagli (sul tetto) e noi stessi (nell’interno). “Non dite niente a nessuno, non salutate nessuno” ci aveva raccomandato papà.

«Le strade che permettevano di raggiungere Magenta da Binasco sono secondarie, allora non erano neppure asfaltate. Il viaggio fu breve; incontrammo pochi veicoli e poche persone nell’attraversare i paesi. Il dottore ci lasciò alla stazione con una stretta di mano e un augurio di “buona fortuna”.[15] Non lo avremmo mai più rivisto. Dopo la guerra sapemmo che aveva preso parte attiva nella Resistenza, era stato individuato dai nazifascisti, catturato e ucciso a bastonate.»

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Alberto M. Cuomo, Binasco 1945: dal miserere all'alleluia, Binasco, Centro Culturale La Tenda, 2012, da cui è tratto il testo con le informazioni riportate in questa pagina.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Binasco

Antifascismo

Seconda guerra mondiale

Gariwo la foresta dei Giusti


Note[modifica | modifica wikitesto]


[1] Un albero per il dottor Andrea Loriga, Gariwo

[2] Come risulta dal verbale n. 55, conservato nell’archivio del Comune di Binasco.

[3] Ivi, lettera di partecipazione di nomina n. 0359 del 10 agosto 1938.

[4] Decreto n. 10467 del 3 marzo 1944 in cui si legge: «A seguito dell’odierno decreto di sospensione del dott. Loriga, si comunica che per il disimpegno del servizio di assistenza sanitaria in codesto comune si designa il dott. Ermanno Tealdi, residente a Monza, via Cairoli 4, il quale prenderà subito residenza sul posto. Si attende la deliberazione relativa.» Firmato il Capo della Provincia. (Ivi, raccomandata del 2 marzo 1944).

[5] Ivi.

[6] Da “Il Ticino”, 24 maggio 1980.

[7] Angelo Saini, classe 1920, militante antifascista, fece parte della 170a Brigata Garibaldi e nel primo dopoguerra fu vicesindaco dal 1951 al 1956 durante l’amministrazione presieduta da Angelo Negri; fu, inoltre, presidente della Cooperativa di consumo fino al 1966.

[8] Largo Garibaldi divenne poi largo Loriga, con intitolazione decisa in uno dei primi consigli comunali del dopoguerra, presieduto dal sindaco Amilcare Locatelli. A Giuseppe Garibaldi fu intitolata la via che dal ponte di S. Giovanni si dirige verso Pavia.

[9] Il già citato tenente della milizia fascista stanziata nel castello di Binasco.

[10] Gino Porri, classe 1911, partecipò alla campagna di Russia. Dopo l’8 settembre 1943 si trovò sbandato e rientrò in patria compiendo il tragitto in gran parte a piedi. Da sempre è impegnato a testimoniare ai ragazzi delle scuole le terribili esperienze di quegli anni con tale lucidità, umanità e sofferta partecipazione, da lasciare nei giovani un’impronta indelebile.

[11] Dal verbale n. 15, pubblicato all’albo pretorio dal 19 luglio al 2 agosto 1948 risulta che su proposta del sindaco Locatelli, approvata all’unanimità dal Consiglio comunale, la via situata tra via Filippo Binaschi e via Teodoro Villa «venga intitolata al nome del dott. Andrea Loriga, vittima del fascismo.» Tale proposta era stata avanzata già nel maggio del 1945, ma giaceva ancora in Prefettura in via d’approvazione.

[12] Archivio del Comune di Binasco, delibere.

[13] La bufera - Una famiglia di ebrei milanesi con i partigiani dell'Ossola, Giuntina, Firenze 2002, pag. 94. Silvana nacque a Venezia il 29 maggio 1922; Augusto morì nel 1974 all’età di 87 anni; Maria Coen morì nel 1999 all’età di 102 anni. A pochi anni dalla nascita di Silvana, la famiglia Weiller si trasferì a Milano, dove nel 1925 vide la luce il secondogenito, l’ingegnere Guido, scomparso nel 2008.

[14] Nell’attesa della corriera, racconta Guido, «entrai nell’osteria-trattoria-bar-tabacchi della “sciura Maria”, che ormai mi conosceva: al nostro arrivo in paese, un mese prima, papà aveva concordato un “prezzo fisso” per un pasto per me, per i giorni nei quali mamma e papà erano a Milano. Mi avvicinai discretamente al bancone; prima che azzardassi una domanda, fu la “sciura” a informarmi: “Disen che Radio Londra l’ha dit che la guèra l’è finida. Ma mi u minga capì” (Dicono che Radio Londra ha detto che la guerra è finita. Ma io non ho capito).

«Non feci commenti. Una notizia folgorante. Ma era poi vera? E se era vera, che significato pratico avrebbe avuto?

«Gli avventori, con l’immancabile bicchiere di rosso in mano, azzardavano qualche commento, scuotevano la testa perplessi.» (Ibidem, pagg. 91-92). L’osteria, gestita dalla famiglia Migliavacca, era ubicata in via Vittorio Emanuele, l’odierna via Matteotti.

[15] Dopo un paio di settimane la famiglia Weiller si ritrovò a Quarna, sopra Domodossola, senza carte annonarie, senza falsi documenti, senza alcun contatto con organizzazioni o singole persone di fiducia cui appoggiarsi. Guido prese contatto con il comandante dei partigiani della zona, il capitano Beltrami: «Siete sotto la mia protezione, salite in formazione con me». E così la famiglia si unì con diverse mansioni alla “Squadra d'assalto patrioti Vallestrona”. Guido, che da poco aveva compiuto diciotto anni, prese parte a missioni d'attacco, funse da furiere e riuscì a sistemare armi, esplosivi e la radio collegata con gli Alleati. Dopo qualche tempo una massiccia formazione tedesca, oltre duemila uomini, spazzò l'intera zona: giorni e notti di marcia, attraversamenti di torrenti gelati, soste di ore e ore nella neve, colpi di moschetto e di mitragliatrice, bombe a mano, colpi di mortaio. Guido si separò dal resto della famiglia, la storia si scisse. Dopo altre marce forzate e interminabili percorsi nella neve, tutti e quattro riuscirono fortunosamente a varcare la frontiera elvetica: stremati ma vivi, scampati alla “bufera” (ibidem).