Utente:Juan87

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Calcio Padova 1910



DALLA NASCITA AL GIRONE UNICO ll 29 gennaio 1910 al bar Borsa, in piazzetta delle Garzerie, viene fondata l'Associazione Calcio Padova, che sceglie come i propri colori il bianco e il rosso. Dopo l'approvazione dello statuto sociale, i cinquanta soci eleggono il direttivo. Presidente fu nominato il barone Giorgio Treves de'Bonfili, vicepresidente il marchese Giuseppe Corradi. Il 20 febbraio in amichevole l'esordio per la formazione biancorossa contro l'Hellas Verona con un pareggio a reti bianche al campo "Giovan Battista Belzoni". Dopo la prima amichevole, il Padova prende parte al campionato veneto di seconda categoria, assieme al Vicenza e al Venezia. L'incontro con il Venezia, datato 3 aprile 1910, viene rinviato per le cattive condizioni atmosferiche. La stessa cosa avviene per la partita di ritorno. Gioca quindi solo col Vicenza perdendo in entrambe le occasioni: 0-1 in casa e 1-3 a Vicenza. L'inizio non fu dei più facili poiché da li a poco tempo nasce aPadova una seconda squadra, il Petrarca F.B.C., regolarmente affiliato alla Federcalcio, che gioca al Tre Pini. Molti giocatori passano dal Padova (la cui attività si limitava alle amichevoli) al Petrarca. La stagione del Padova si blocca per tutto il 1911/12 e si dovrà attendere il 25 novembre del 1912 per ritrovare, attorno al Padova, quell'unità di intenti che l'aveva portato sulla scena sportiva cittadina. Trenta soci si riuniscono infatti al bar Sport, per decidere la rifondazione dell'Associazione del Calcio Padova. Gastone Rossi viene nominato presidente, Mario Malagò vicepresidente. Il 13 aprile 1913, prima partita ufficiale del Padova, al campo Tre Pini contro i cugini del Petrarca che stravincono per 6-0, dando inizio alla seconda crisi del Padova sei mesi dopo la rifondazione. Questa volta presidente viene eletto il cav.Giuseppe Valenzini. Il campionato veneto di promozione si conclude malissimo per il Padova che riesce a racimolare solo un punto nella partita di ritorno col Petrarca. L'anno successivo le cose migliorano e il Padova vince il campionato veneto-emiliano di promozione e passa al campionato di prima categoria dell’Italia Settentrionale che si risolve con un dignitoso quarto posto dietro Vicenza, Hellas Verona e Venezia. Autentico trascinatore della squadra è un cannoniere non ancora ventenne, Silvio Appiani, che mette a segno 17 reti in 14 partite e sembra incontenibile. Il Padova in quanto campione veneto-emiliano dovrebbe disputare la serie A. Ma intanto l'Europa è in fiamme: è scoppiato il primo conflitto mondiale e si spengono le luci sul pallone. Il 20 ottobre 1915 il giovane volontario Silvio Appiani muore sul Carso. Si spegne il suo grande talento, rimarrà negli anni come simbolo di giovinezza e ardore per il calcio padovano.Il calcio riprende solo nel 1919 e si avvia a conoscere un largo successo, uscendo dagli ambienti elitari e conquistando le folle. Viene varato per l'autunno 1919 il campionato della ripresa dandogli una vastissima base regionale: 66 furono le squadre iscritte di cui 18 centro-meridionali. Il Padova, orfano del giovane cannoniere Appiani, vince alla grande il girone Veneto, qualificandosi per le semifinali interregionali, nel girone B dell'Italia Settentrionale scontrandosi con squadre però nettamente superiori. Leader indiscusso della squadra è Ernesto Peyer, svizzero, che svolge il ruolo di giocatore-allenatore. L'anno dopo i biancorossi confermano la propria supremazia regionale, il cammino del Padova si arresta nelle semifinali interregionali a causa di un disastroso avvio: quattro sconfitte consecutive pregiudicano il cammino, né valgono le due vittorie finali su Torino e Mantova, a recuperare la situazione. Nell'estate del 1921 il conflitto tra grandi e piccole società si infiamma, con le "big" che costituiscono una Confederazione Calcistica Italiana. Si giocano due campionati: quello delle grandi società a 24 partecipanti di prima categoria e quello federale su base più allargata. Il Padova partecipa al primo, venendo iscritto al girone B della Lega Nord. L'anno dopo viene riformato il campionato, diviso il Lega Nord e Sud. Il Padova, iscritto al girone C del raggruppamento settentrionale, è un'autentica sorpresa, arriva primo nel girone a pari punti con l'Alessandria e vince poi il successivo spareggio per due a uno. Nel girone finale però Pro Vercelli e Genoa, squadroni dell'epoca, non lasciano scampo ai biancoscudati che racimolano solo un punto in quattro incontri.Non va meglio l'anno successivo, dove lo strapotere genoano costringe il Padova al secondo posto nel girone A. Il 19 ottobre 1924 viene inaugurato il nuovo stadio, dedicato alla memoria di Silvio Appiani. Il campionato 1924-25 vede la squadra ancora in primo piano, con un discreto quarto posto finale nel girone B della Lega Nord ribadito anche nel campionato 1925-26. E' quello del 1926-27, il primo campionato a carattere nazionale, strutturato in due gironi, con gironcino finale riservato alle prime tre classificate dei due raggruppamenti. Il pubblico dell'Appiani si fa sempre più numeroso, nonostante i problemi finanziari in cui versa la società, e non lascia mai la squadra senza sostegno. Non si va però oltre un settimo posto. L'anno successivo i risultati non cambiano, le fasi finali restano un sogno proibito, il settimo posto viene bissato questa volta nel girone A. Il torneo 1928-29 è l'ultimo prima dell'istituzione del girone unico e solo le prime 8 classificate dei due gironi saranno ammesse alla massima serie. Fra continui cambi al vertice della società il Padova centra l'obiettivo classificandosi ottavo nel girone A. Il Padova affronta il primo campionato a girone unico quale sola squadra veneta. Cambia di nuovo il presidente, è la volta dell'avvocato Federico Bevilacqua. L'avvio del torneo non è dei migliori, quattro sconfitte consecutive (anche con squadre modeste come Brescia e Modena) danno il segno dei precisi limiti tecnici della compagine guidata da Herbert Burgess. Il recupero della squadra (che a metà torneo batte Juve, Roma, Modena e Torino in cinque giornate) si scontra con un finale disastroso, sconfitta all'Appiani dalla rivale per la salvezza Triestina la compagine biancoscudata vede sfumare il sogno di rimanere in serie A all'ultima giornata con un cocente 0-8 subito a Roma dai giallorossi. La retrocessione tra i cadetti impone l'ennesima rivoluzione. Bevilacqua lascia una società nuovamente in crisi, che rinnova i ranghi cedendo il pezzo pregiato Vecchina, già esordiente in maglia azzurra, alla Juventus.


DAGLI ANNI TRENTA AL DOPOGUERRA Gli anni trenta iniziano con l'avvento alla presidenza del "commissario unico" Ludovico Szathvary, padovano d'origini magiare che ingaggia come allenatore l'ungherese Lajos Kovacs. Il campionato di B si dimostra ostico, nonostante le 25 reti in 33 partite di Gastone Prendato; il Padova cede solo nel finale classificandosi quarto a sole tre lunghezze dalle promosse Fiorentina e Bari. Nell'estate del 1931 diventa presidente l'ingegner Ferruccio Hellmann e la squadra viene ulteriormente potenziata. Il bomber Prendato va alla Fiorentina ma arrivano alcuni giovani di grande avvenire fra i quali Annibale Frossi o Alfredo Foni che diventerà uno dei grandi del calcio da terzino nella Juventus del quinquennio (campione olimpico 1936 e del mondo nel 1938). Il posto di Prendato viene preso da Mario Perazzolo che con 17 reti porta la squadra verso il secondo posto (dietro il Palermo) che vale la promozione. Un'ottima squadra equilibrata in tutti i reparti che riesce a segnare ben 79 reti subendone solo 29. Per la riconquistata serie A la panchina viene affidata ad un altro ungherese, Jones Vanicsek, che nel campionato 1932-33 riesce a conquistare una sofferta salvezza. L'abbandono della politica dei giovani si rivela però fatale la stagione successiva: il vivaio, colpevolmente trascurato, non offre validi ricambi e i copiosi acquisti sul mercato si rivelano onerosi e tecnicamente non esaltanti. Sono le premesse per un biennio nero. Nel campionato 1933-34 la squadra stenta terribilmente in attacco. Non c'è più Perazzolo e i gol arrivano col contagocce. In porta fa il suo esordio un altro futuro campione del mondo, Aldo Olivieri, ma nel finale di campionato, ad un soffio dalla salvezza, uno doppio zero a zero casalingo con Genoa e Fiorentina condanna la squadra alla retrocessione. E' un duro colpo, l'ingegner Hellmann, l'uomo della ricostruzione se ne va lasciando il posto a Giovanni Mazzuccato, industriale del legname. Ma il campionato 1934-35 è particolare, poiché destinato alla ristrutturazione del calcio cadetto: retrocedono in C le ultime sette dei due gironi, il Padova si piazza sest'ultimo e per la prima volta subisce l'onta della caduta in terza serie. Vengono ceduti i pezzi migliori e il ragionier Pietro Colombati accetta la presidenza lasciata da Mazzuccato, ma si rende presto conto della gravità della situazione. Le casse sociali sono vuote, l'allenatore Vanicsek non viene sostituito, il pubblico sembra refrattario alla nuova dimensione tecnica dei biancoscudati. Per completare l'opera arriva persino un minisciopero. Si gioca Padova-Alma Juventus Fano, prima di campionato, e due punti di forza della squadra il portiere Cavasin e il difensore Grassetto si rifiutano di scendere in campo se non verranno accolte le loro richieste economiche. La squadra, nonostante i 2 assenti vince 7 a 1 e l'insubordinazione rientra. Il deficit ammonta a 70 mila lire (oltre 90 milioni odierni) e viene deciso di decurtare gli stipendi dei giocatori da 19 mila lire complessive a 8 mila lire (circa 10 milioni di oggi). Risultato, 2 sconfitte consecutive, la seconda delle quali (1 a 5 a Mantova) rivela lo sfascio morale dei giocatori. La situazione si sblocca a novembre quando Ludovico Szathvary accetta di tornare alla guida della società portando con se il nuovo tecnico ungherese Elemer Kovacs. Alla fine del campionato 1935-36 il Padova si piazzerà al quarto posto a 4 lunghezze dal Venezia capolista. Per il campionato del 1936-37, nuovo presidente, Guelfo Ferrari, e nuovo allenatore ungherese Guglielmo Wilheim. La squadra viene ricostruita e ottiene uno splendido primo posto finale, con sette punti di vantaggio sul Treviso, secondo classificato. Con la riconquista della serie cadetta, giunge sulla scena un personaggio di straordinaria levatura, l'uomo destinato a dare un senso a tutta la storia del Padova Calcio, Bruno Pollazzi. Diventa presidente nell'estate del 1937 e la squadra ottiene un ottimo quarto posto a soli 3 punti dalla vetta. Nell'estate successiva giunge in biancoscudato Gino Cappello, funambolico attaccante di 18 anni. Si presenta con dieci gol e la stagione successiva esplode letteralmente, con 29 reti in 28 partite. Dopo la guerra sarà trascinatore del Bologna e della nazionale. Il campionato 1938-39 non conferma le promesse del campionato precedente, dopo quattro sconfitte consecutive, Wilheim viene sostituito da Wereb, esonerato poi a febbraio dopo 3 sconfitte consecutive. Gli succederà Mariano Tonsini, già giocatore biancoscudato. Alla fine la squadra giunge solamente decima. Non va meglio nel torneo 1939-40, quando la squadra allenata dall'ungherese Gyorgy Koszegy, conquista l'ottava piazza senza destare entusiasmi. Nell'estate del 1940 Pollazzi abbandona. Il mondo ormai è in guerra e il calcio continua, ma spesso solo per onor di firma, tanto che in serie B più di una volta si finisce col giocare a ranghi ridotti, per le difficoltà dei giocatori di raggiungere la sede della partita. In quegli anni si accollano la gestione societaria prima Erminio Santiello, poi dal 1944 l'avvocato Francesco Camillotti, già giocatore dei primi anni Venti. Nel campionato 1940-41, concluso col quinto posto, viene ingaggiata una mezzala ventottenne che ha già vestito la maglia della nazionale e quella di clubs importanti come Triestina e Napoli. Il suo nome è Nereo Rocco, gioca solo due stagioni (nel campionato 1941-42 concluso al quarto posto si segnala mettendo a segno 10 reti) ma un giorno tornerà e si aprirà un'epoca d'oro. Dopo il cecoslovacco Banàs, il campionato 1942-43 vede sulla panchina l'italiano Zamberletti, che guida la squadra al decimo posto. Nel settembre del '43 i tragici avvenimenti scuotono il paese in guerra e il campionato di calcio non prende neppure il via. L'anno dopo si gioca su base regionale, senza il crisma dell'ufficialità. Il Padova partecipa al campionato veneto, che è articolato in 2 fasi: due gironi eliminatori poi un girone finale a quattro. I biancoscudati terminano al secondo posto dietro al Venezia, unica squadra di serie A. Si smette di giocare e proprio nell'aprile del 1945 quando la guerra sta finendo il presidente Camilotti muore. Il Padova dovrà ricominciare da capo. Il campionato 1945-46 vede il ritorno al vertice di Giovanni Mazzuccato. Il Padova gioca nel campionato misto B-C dell'alta Italia, vince il suo girone, ma nel raggruppamento finale si classifica al sesto e ultimo posto in un torneo che vede sedersi sulla panchina ben 3 allenatori. Nel 1946-47 in panchina siede di nuovo Wilhem, che sfiora la grande impresa piazzandosi secondo alle spalle della fortissima Lucchese. In attacco gioca un inglese, Charles Adcock, che esploderà nel campionato successivo, ma soprattutto Gino Colaussi, già campione del mondo 1938. In panchina siede Pietro Serantoni, campione del mondo con l'Italia di Pozzo, mentre alla presidenza è la volta di Valentino Cesarin. Il campionato 1947-48 riporta il Padova in serie A. Adcock e Carlo Vitali sono i gemelli del gol (rispettivamente 17 e 18 centri) alla guida di un attacco record che chiude con un bottino di 71 reti. Nel campionato 1948-49 il Padova riesce a salvarsi con un buon undicesimo posto. Memorabile quell'anno il match col Grande Torino del 6 febbraio 1949. Uno spettacolare pareggio per 4 a 4 con i campioni che alcuni mesi dopo perirono sulla collina di Superga. Serantoni lascia per problemi di salute la panchina e il campionato 1949-50 vede alla guida della squadra l'ungherese Bela Guttmann, tecnico che ha già alle spalle un brillante avvio di carriera in Olanda, Ungheria e Romania (vincerà lo scudetto nel 1955 col Milan e a fine anni cinquanta contribuirà alla scoperta del talento di Eusebio). Al posto di Adcock, venduto per esigenze di bilancio, arriva un argentino José Osvaldo Curti. La squadra che vede debuttare anche il portiere jugoslavo Zvanko Monsider, si piazza al decimo posto, ma non senza una crisi nella fase conclusiva: il 26 aprile dopo una sconfitta per 0 a 4 a Torino con la Juventus (che vincerà poi il campionato) Bela Guttmann rassegna le dimissioni. Torna Serantoni ma la scelta non si rivelerà azzeccata. Il campionato 1950-51 parte male; già dopo 5 giornate il riacutizzarsi dei vecchi malanni costringe Serantoni a farsi da parte. In panchina si succedono prima Blasevich, poi l'anziano difensore Sforzin, poi un'altro ex campione del mondo Giovanni Ferrari; in fine è la volta dell'inglese Frank Soo che non riesce a migliorare la situazione: la squadra si salva solo all'ultima giornata battendo per 2-0 il Napoli. Nell'estate del 1951 la dirigenza si sforza di modificare profondamente i connotati di questo Padova: arrivano uomini nuovi come l'ala Meroni (Como), il difensore Sessa (Triestina), il centrocampista Sperotto (Fiorentina) oltre a un manipolo di giovani e un misterioso scozzese, Richards, proveniente dal St.Albans, che non scenderà mai in campo, se non nel precampionato. A novembre, con una classifica preoccupante si corre ai ripari ingaggiando un norvegese, Knut Andersen, ma non c'è nulla da fare al di là di uno strepitoso ed incredibile 5-2 al Milan del trio Gre-No-Li, la squadra continua a zoppicare. A febbraio viene silurato il tecnico Soo sostituito dall'ex bomber Prendato che un mese dopo lascia il posto al campione del mondo Piero Pasinati. La squadra chiude malinconicamente al diciannovesimo posto e dice nuovamente addio alla massima serie. Lascia il presidente Cesarin e al suo posto arriva il commendator Bruno Pollazzi, che viene convinto a riassumere la massima carica societaria, lasciata nel 1940. Il campionato 1952-53 parte male: la squadra indebolita dalla partenza dei big non è stata sufficientemente rafforzata, in panchina siede prima Pietro Rava affiancato dal direttore tecnico magiaro Lajos Czeizler, poi al posto di Rava viene assunto Antonini. I risultati non arrivano e viene cacciato anche Czeizler, al suo posto arriva Tansini e con due vittorie nelle ultime due giornate (con Catania e Lucchese) la squadra conquista in extremis la salvezza con un solo punto sul Siracusa, diciassettesimo classificato. Per il campionato del 1953-54 i ranghi vengono nuovamente rinnovati, torna in panchina Pietro Rava ma la squadra non gira specie in trasferta. Sabato 7 marzo pareggio in casa col Cagliari; la squadra si trova al penultimo posto in classifica a pari con l'Alessandria e con una sola lunghezza di vantaggio sul Piombino, fanalino di coda. A quel punto il presidente Pollazzi decide di sostituire il contestatissimo Rava, con un allenatore raccomandato da un suo amico, dirigente del Treviso: è Nereo Rocco, ex interno mancino anche in biancoscudato. Non ha avuto eccessiva fortuna come tecnico nelle sue tre stagioni al Treviso ma perso per perso, il presidente e Rocco si incontrano a Treviso. Nereo Rocco diventa allenatore del Padova. Il debutto non è dei migliori: sconfitta per due reti a zero a Fanfulla ma la settimana successiva arriva il successo con la concorrente Alessandria. Si arriva a maggio, e il Padova batte il Treviso, raccoglie tre punti nella doppia trasferta siciliana (1-0 a Messina e 1-1 a Catania), supera il Piombino e riesce a raggiungere l'agognata salvezza raggiungendo il terz'ultimo posto alla pari con Treviso, Alessandria e Pavia


L’ERA ROCCO Dopo la sofferta salvezza Rocco viene riconfermato. La stagione successiva l'ossatura della squadra resta invariata a parte gli acquisti dell'interno Chiumento dalla Pro Patria e del centravanti Bonistalli dal Piacenza. I critici sono d'accordo è un Padova da metà classifica. Il campionato 1954-55 vede il dominio del Lanerossi Vicenza, ma il Padova lotta alla grande e nell'ultimo turno supera, nello scontro diretto all'Appiani, il Legnano e conquista col secondo posto, un'insperata promozione. La città è in festa; Rocco ha ottenuto il meglio dai suoi: la crescita prepotente di Stivanello, l'ottima stagione di Bonistalli (13 reti), la dura scorza di uomini-chiave come Scagnellato, Pison e Chiumento hanno compiuto il miracolo. La serie A impone il confronto con gli squadroni metropolitani, imbottiti di assi stranieri. Rocco si accontenta di ritocchi "mirati" e bada soprattutto a rafforzare la difesa: arrivano due rocciosi marcatori, Blason dal Verona e Azzini dal Brescia più il mediano ex vicentino Moro. Nel calcolo della possibilità di salvezza, La Gazzetta dello Sport assegna al Padova l'ultima posizione, senza alcuna chance. Risponde il pàron Rocco: "Quello che scrivono di noi i giornali non ci deve interessare. Probabilmente è vero che siamo i più deboli della compagnia. Ma probabilmente è anche vero che noi possediamo una dote che pochi altri hanno: quella di non avere paura di nessuno. Comunque, prima giochiamo, poi tireremo le somme". Dopo un avvio disastroso (1-2 dalla Lazio all'Appiani, 0-1 dalla Fiorentina in trasferta e un pesante 1-5 dal Milan ancora in casa) il Padova si afferma come la sorpresa del torneo. Il primo punto arriva al quarto turno con un pareggio a reti bianche a Vicenza. E' iniziata l'autentica "era Rocco". La squadra punta le proprie possibilità su un dispositivo difensivo potenziato e per nulla disponibile ai complimenti: una casa solida, ama dire Rocco, comincia dalle fondamenta. Il suo "catenaccio" diventa una fondamentale filosofia, capace di influenzare tutto il calcio italiano: la necessità di confrontarsi con squadroni dotati dei più grandi attaccanti del mondo impone di puntare innanzitutto a bloccare le iniziative avversarie. E allora davanti al portiere, ecco un difensore aggiunto, libero da compiti di marcatura e pronto a chiudere sugli attaccanti eventualmente sfuggiti ai relativi marcatori: si chiama Ivano Blason ed è già stato agli ordini di Rocco alla Triestina nell'immediato dopoguerra. La squadra si piazza addirittura ottava. Nell'estate del 1956, l'abilità di Rocco si rileva al calciomercato: arrivano il portiere Pin dalla Sampdoria, il mediano ex juventino Mari e l'interno argentino Humberto Rosa sempre dai blucerchiati, oltre all'ala vicentina Boscolo e all'attaccante del Milan Golin. I primi tre diventano subito punti di forza della formazione biancoscudata anche se nel campionato 1956-57 non si va oltre una salvezza tranquilla terminando il torneo all'undicesimo posto. Le reti al passivo sono sensibilmente diminuite ma l'attacco ha segnato pochissimo, nonostante la conferma del regolarissimo Bonistalli. La stagione 1957-58 non parte nei migliori dei modi: c'è un processo per illecito che tiene in ansia la città fino al giudizio di assoluzione (ma solo per la società perché Rocco e il giocatore Zanon si vedranno infliggere sei mesi di squalifica da scontarsi proprio in quel campionato). Poi, gli ormai tradizionali problemi di bilancio, portano alla cessione dei pezzi più pregiati dell'organico biancoscudato: Sarti e Bonistalli partono assieme al giovane talento della primavera Nicolé. Arrivano dalla Triestina il panzer Brighenti e dalla Juventus, come contropartita a Nicolé, la piccola ala svedese Kurt Hamrin, reduci entrambi però da infortuni. Il presidente Pollazzi, stretto tra vicende giudiziarie e contestazioni per lo smembramento dell'organico, rassegna le dimissioni e in via temporanea ne prende il posto il dirigente Vescovi; ma all'inizio del torneo, Pollazzi ci ripensa e torna sui suoi passi. E i due attaccanti arrivati in sordina cominciano subito a fare sfracelli: battuta la Lazio all'Appiani per 3 a 1, al secondo turno gli uomini di Rocco travolgono il Genoa a Marassi (4-1). Il poderoso Padova dei panzer, già impenetrabile in difesa, acquisisce proprio grazie ad Hamrin e Brighenti un eccellente potenziale offensivo, che può dunque promuovere ed esaltare il contropiede, completamento ideale del catenaccio. Dopo lo straordinario avvio, una parentesi opaca, poi una straordinaria linea di rendimento e il Padova diventa la rivelazione del campionato. Il Padova chiude quello straordinario campionato al terzo posto, miglior risultato di sempre, con questa formazione: PIN, BLASON, SCAGNELLATO, PISON, AZZINI, MORO, HAMRIN, ROSA, BRIGHENTI, MARI (CHIUMENTO), BOSCOLO. Un gruppo di uomini di gran carattere: ecco che cos'è il Padova d'oro. Due sole note negative in quella indimenticabile stagione: la sconfitta di Firenze nell'ultima giornata che costò il secondo posto e soprattutto l'umiliante passivo (1-6), e il gran polverone di un celebre giallo, scoppiato a torneo in corso e passato alla storia come il "caso Azzini". Come detto già un'altra inchiesta ad inizio stagione aveva coinvolto il Padova; era una faccenda legata a una importante partita di due anni prima: un Padova-Legnano 3-0 che aveva dato la promozione in A ai veneti nel giugno del 1955. Qualche mese dopo il difensore del Legnano, Zian, contatta il difensore biancoscudato Zanon pretendendo 5 milioni a titolo di somma pattuita per l'accomodamento della gara. Zanon consigliato da Rocco decide di far passare più tempo possibile in modo da far trascorrere la prescrizione, allontanando ogni rischio. Zian però denuncia l'illecito provocando l'inchiesta che si limiterà a squalificare per 6 mesi Rocco, Zanon e il segretario patavino Gobbo, per omessa denuncia. Nel "caso Azzini" la partita incriminata è un Padova-Atalanta del 30 marzo 1958 in cui i biancoscudati hanno perso l'imbattibilità casalinga venendo sconfitti per tre reti a zero. La Sampdoria, diretta interessata nella lotta alla salvezza con i nerazzurri decide di denunciare la partita dal risultato sospetto; spunta un super testimone, unadonna che riferisce di un incontro tra Gaggiotti, famigerato faccendiere del pallone del dopoguerra, e l'ex portiere atalantino (e patavino) Casari. I due hanno poi raggiunto il mediano Azzini combinando l'illecito andato poi a buon fine. Fra smentite, nuovi testimoni, confessioni si giunge al verdetto: l'Atalanta viene retrocessa all'ultimo posto (e quindi in B), Azzini subisce la squalifica a vita. Lo stesso Azzini ottiene l'anno dopo la riapertura dell'inchiesta; l'Atalanta viene riabilitata con un'assoluzione piena (era però subito risalita in A vincendo il campionato cadetto), "per non aver commesso il fatto", la squalifica a vita di Azzini viene commutata in uno stop di due anni dopo dei quali verrà integrato nella rosa padovana nell'estate del 1960. Il campionato 1958-59 vede il Padova privato, oltre che di Azzini, anche di Kurt Hamrin, che prende la via di Firenze. Vengono sostituiti dai milanisti Zannier e Mariani; ritorna inoltre a centrocampo Celio. Rocco costruisce un altro capolavoro guidando la squadra al settimo posto in campionato e portando la coppia d'attacco Brighenti-Mariani in nazionale per un'amichevole a Wembley con l'Inghilterra (2-2 proprio con gol della coppia patavina). Il Padova è ormai acquartierato nelle zone nobili della classifica e l'Appiani (violato solo da Milan e Juventus) è un campo che fa paura a tutti. Nuovo campionato e stessa storia: vengono ceduti i pezzi migliori (Mariani alla Lazio) a arrivano giovani da svezzare o onesti giocatori da rigenerare. Non viene però ceduto, nonostante le numerose offerte, il bomber Brighenti, cioè l'uomo attorno il quale il tecnico è sicuro di costruire un nuovo Padova competitivo. Nel campionato 1959-60 il Padova si piazza subito dietro agli squadroni metropolitani al quinto posto a pari merito con Bologna e Spal. L'avvio è incerto poi l'Appiani diventa nuovamente il teatro di giornate indimenticabili: 2-0 al Milan, 3-0 all'Inter, 6-1 all'Udinese, 6-3 alla Spal. Brighenti segna 21 reti ed è il primo marcatore italiano del torneo dietro gli stranieri Sivori, Hamrin e Charles. Brighenti viene ceduto l'anno successivo alla Sampdoria e in maglia biancoscudata diventerà capocannoniere del torneo. Il campionato 1960-61 vede l'arrivo di Aurelio Milani, centravanti ventiseienne prelevato dalla Sampdoria e il rientro di Azzini; si parte alla grande affossando il Milan per 4-1 con tre gol di Milani. A novembre arriva a centrocampo Gigi Radice e il tasso tecnico del complesso sale ulteriormente, perché il nuovo arrivato diventa subito il leader arretrato, come Rosa lo è del reparto avanzato. Il Padova si aggiudica lo scudetto delle provinciali conquistando un ottimo sesto posto. Sugli scudi, proprio Aurelio Milani che realizza diciotto reti e si impone come uno dei migliori attaccanti italiani. A fine stagione il giocattolo va in frantumi. Dopo aver resistito più di una volta, Rocco deve cedere alle sirene di un grande club: lo chiama il Milan di Gipo Viani e l'appuntamento con gli obiettivi di vertice, nazionali ed internazionali non può più essere rimandato. Il Pàron se ne va e con lui il pezzo più glorioso della storia della società biancoscudata.


GLI ANNI SESSANTA E SETTANTA A sostituire il grande Nereo, il presidente Pollazzi decide di affidarsi al veterano Giacomo Mari, che ha chiuso l'attività l'anno prima a trentasei anni e sembra l'uomo più indicato per mettere a frutto gli insegnamenti del grande predecessore, di cui è stato brillante allievo. Purtroppo il campionato1961-62 vede la partenza oltre che di Milani (che va alla Fiorentina) anche di Rosa, prezioso fulcro del gioco. Al suo posto un piccolo jugoslavo, Kaloperovic, capofila di un importante campagna di rinnovamento, resa necessaria dall'età media piuttosto avanzata della rosa. Ci sono un nuovo centravanti, il tedesco Rudolf Kolbl, due nuovi mediani, il giovane ex mestrino Bon e Caleffi, un parmense che giocava nel Nacional di Montevideo, e l'ala Valsecchi dal Varese. Ma i nuovi acquisti si rivelano inadeguati e dopo un avvio folgorante (pari a Lecco e vittoria all'Appiani sulla Juventus campione d'Italia) la squadra crolla letteralmente, collezionando sei sconfitte consecutive. A Mari viene affiancato Piero Serantoni, e a primavera la squadra fa sperare in un recupero in extremis: ma la secca vittoria della Roma all'Appiani (0-3) nell'ultimo turno vanifica ogni prospettiva; in contemporanea il Venezia batte la Juventus e il baratro della serie B si spalanca davanti alla squadra. Per il campionato cadetto del 1962-63, Pollazzi assume come allenatore Luigi Del Grosso e rinnova completamente la squadra. A testimoniare il bel tempo fuggito ormai dietro l'angolo restano solo due difensori: Scagnellato e Cervato. Per il resto uomini di categoria e giovani promesse. Nonostante i 17 gol del tedesco Kolbl la squadra paga lo scarso affiatamento fra i reparti e, guidata dall'ex mediano biancoscudato Elvio Maté nelle ultime giornate, raggiungerà solamente un ottavo posto. A questo punto Pollazzi abbandona la scena, ormai settantacinquenne, lasciando la presidenza a Gino Vescovi industriale del caffè che promette la promozione per il campionato 63-64. Assume come allenatore l'argentino Oscar Montez e conduce una oculata campagna di mercato. Dopo un ottimo avvio di stagione il crollo in primavera: prima la sconfitta in finale della Coppa Rappan con lo Slovanaft di Bratislava (dopo aver eliminato Dorog, Chaux-de-Fonds, Spartak Pilsen, OFK Belgrado e gli ungheresi del Pecs) poi quando la promozione sembra fatta il pareggio in casa col Parma, la sconfitta a Catanzaro e la disfatta in casa col pericolante Prato rendono meno certa la promozione. Lascia Montez sostituito dallo specialista Maté; la sconfitta a Verona e quella successiva in casa con Monza spengono definitivamente i sogni di risalire in massima serie nonostante il successo all'ultima giornata col Napoli. Il Padova si piazza al quarto posto a una sola lunghezza dal Foggia che conquista la A assieme a Venezia e Cagliari. Campionato 1964-65 nuovo allenatore, Serafino Montanari, ma stessi risultati: sempre in zona promozione e poi il crollo nella parte finale del torneo che relega il Padova ad un'inutile sesto posto. Fra i dati positivi della sfortunata stagione si segnala l'esordio di un giovanissimo: si chiama Albertino Bigon, esile centravanti che gioca 5 partite alla tenera età di diciassette anni; si tratta dell'ennesimo prodotto del fertilissimo vivaio padovano. Proprio attorno al "gioiellino" viene costruita la formazione del campionato 65-66 affidata ancora a Montanari; questa volta è l'avvio del torneo a mortificare le ambizioni biancoscudate con cinque sconfitte nei primi sei turni. Ultimi in classifica alla fine del girone d'andata la squadra viene affidata ad un grande ex dei tempi di Rocco, l'argentino Rosa che guida la squadra lontano dalla zona retrocessione fino ad un dignitoso nono posto. La situazione non cambia neanche con la stagione 1966-67, quando l'obiettivo promozione viene presto abbandonato (sesto posto finale), ma cospicue consolazione vengono dalla Coppa Italia. Eliminate nell'ordine Venezia, Palermo, Varese e il grande Napoli di Sivori e Altafini. Supera poi in semifinale l'Inter di Helenio Herrera che sta concludendo il suo ciclo. Per la prima volta nella sua storia il Padova è in finale di Coppa Italia. All'Olimpico di Roma la battaglia col Milan (Trapattoni, Mora, Rivera ecc...) è aspra ed incerta: la decide un gol di Amarildo e proprio la stretta misura rende ancora più amara la conclusione per gli uomini di Humberto Rosa. All'indomani esplode la crisi; oberato dai debiti, il club deve subire la trasformazione in società per azioni, secondo le nuove regole del calcio. Il presidente Vescovi mette in vendita la società che perde i suoi personaggi chiave: Chiesa, dirigente e operatore del mercato e il direttore sportivo Franco Manni. Alla fine, è il dirigente Giovanni Lovato ad assumere la presidenza affiancato dall'amministratore delegato Bepi Cardin. Viene modificato lo statuto dando vita a il Calcio Padova S.p.A. Viene confermato Humberto Rosa ma i problemi finanziari costringono la società a vendere più che a comprare. Non si parla più di promozione ma l'avvio di campionato è travolgente: tre vittorie in quattro giornate; altre tre vittorie e il Padova è solo in testa alla classifica dopo sette giornate. Poi il crollo che riporta il Padova a centroclassifica fino al dodicesimo posto finale. Per il campionato 68-69 vengono venduti ancora i pezzi migliori (fra cui il bomber Morelli autore di 14 reti) non rimpiazzati adeguatamente e il Padova scende in Serie C arrivando ultimo con un primato assoluto di reti subite (53!). Si riparte dalla serie C con l'innesto di vari giovani da vivaio; il tecnico Rosa viene sostituito dal suo vice Elvio Matè che ha il merito di affrontare la situazione con una mentalità realistica: inutile inseguire sogni ambiziosi, l'ultima posizione in classifica impone traguardi calibrati all'effettivo valore della squadra. Alla fine del campionato 69-70 l'ottavo posto rispecchia fedelmente i meriti della formazione biancoscudata. Nel campionato 1970-71, grazie agli innesti dal vivaio, il Padova dal gioco spumeggiante si impone come squadra rivelazione, navigando lungamente ai vertici della classifica e riportando entusiasmo all'Appiani. La squadra guidata da Maté conquista però solamente un terzo posto inutile ai fine della promozione con sette punti di vantaggio sul Venezia quarto, e Flavio Zandoli capocannoniere del torneo con 19 reti. Il terzo posto però, anziché galvanizzare la dirigenza la spegne; viene ceduto Zandoli alla Reggiana e Cardin e Lovato rassegnano le dimissioni. Assume la presidenza il commendator Marino Boldrin che però si ritrova solo al comando nonostante le promesse di aiuto da parte di molti personaggi padovani. Viene riconfermato Maté, ma l'attacco, senza Zandoli, non punge. E' un campionato quello del 1971-72 senza acuti e senza rischi, concluso al nono posto a pari punti col Legnano e la sostituzione in panchina di Matè con l'allenatore delle giovanili Giorgio Bolognesi nelle ultime giornate. L'anno successivo le cose non migliorano; vengono ceduti al Bologna i tre "gioielli" Buso, Filippi e Modonese ed anche il capocannoniere Boscolo parte per il Modena. In panchina siede un ex grande del Padova anni Trenta, Mario Perazzolo (referenza principale costa pochissimo) a cui viene affiancato come secondo Mauro Gatti che continua comunque a giocare. Ma a novembre una sconfitta a Rovereto (1-3) e gli appena nove punti in classifica convincono Boldrin a sostituire Perazzolo col solito Bolognesi, poi la panchina viene affidata, anche ufficialmente, a Mauro Gatti, che non avendo il patentino, non potrebbe fungere ufficialmente da tecnico, sicché continua a sedersi in panchina come tredicesimo giocatore. La stagione 1972-73 si chiuderà con un dignitoso settimo posto. La dimensione di calma piatta (senza pericoli e senza ambizioni) è diventata routine. Anche nell'estate del '73 i club pescano a piene mani dal club biancoscudato; qualche acquisto e poi fiducia al vivaio con la speranza di trovare qualche campioncino da rivendere poi gli anni seguenti. Anche per il campionato 1973-74 un cambio in panchina; a novembre Gatti se ne va dopo due sconfitte consecutive con Pro Vercelli e Trento; ritorna ancora una volta Bolognesi, naturalmente per un breve interregno, prima dell'avvento di Piero Trapanelli che guiderà la squadra al tredicesimo posto finale. Dissanguato il vivaio e quindi le cessioni, viene acquistato Giuseppe Bertoli, attaccante reduce da una stagione fallimentare con la Triestina, che però conoscerà una potente rivitalizzazione nella città del Santo. Le prospettive di risalita restano però legate al nome di Massimo Ceccato, raffinato trequartista, emerso nel finale del torneo precedente a soli 17 anni, e stranamente trattenuto dalla società. Purtroppo alla prima vera prova Ceccato fallisce, gioca ventitre partite ma raramente ai suoi potenziali livelli, e a fine stagione, contando comunque su un ottimo mercato verrà ceduto alla Fiorentina, dove però verrà colpito da una grave forma di epatite che lo costringerà ad abbandonare il calcio, rientrando successivamente solo per un fugace ritorno in maglia empolese e poi biancoscudata. Il Padova chiude il campionato al quattordicesimo posto con sole 28 reti fatte rispetto alle 42 subite. Marino Boldrin decide di lasciare denunciando per l'ennesima volta la solitudine in cui la città lo ha lasciato. Col Padova all'asta la città è in subbuglio. E' l'estate del 1975. Il pericolo che scuote la città e riattizza l'orgoglio sopito degli sportivi esibisce i lineamenti di Giuseppe Farina, presidente del Vicenza appena retrocesso in serie B, secondo i beni informati a capo di un gruppo in trattativa per l'acquisto del club biancoscudato. A muovere le pedine è Gianbattista Pastorello, il quale, nonostante le smentite dello stesso Farina, sembra solo il mediatore per conto dello stesso. Fra smentite, ripensamenti, minacce di azioni legali il Padova passa nelle mani dell'amministratore unico Giancarlo Della Grana con Pastorello come general manager. Come allenatore viene assunto Eros Beraldo, che bene ha operato a Belluno. E i programmi di rilancio sembrano prendere corpo quando la società ufficializza il ritorno di Nereo Rocco nelle vesti di direttore tecnico scatenando l'entusiasmo in città. Ma la gioia è di breve durata perché Gianni Rivera richiama Rocco al Milan. La stella Filippi viene ceduta, guarda caso, al Vicenza da cui però arrivano giocatori di notevole valore: il mediano De Petri, l'attaccante Ballarin e il fantasista Vendrame. Ma la squadra non va oltre il dodicesimo posto in classifica. La società è di nuovo nel caos: viene cacciato Beraldo e arriva al suo posto Marino Bergamasco, ex vice di Rocco ma l'avvio del campionato 1976-77 non è dei migliori: pareggi in casa e sconfitte in trasferta. Dopo sedici giornate senza avere ancora vinto Bergamasco viene esonerato sostituito da un uomo simbolo del Padova di Rocco, il portiere Antonio Pin che riesce a cogliere nove successi (il primo alla diciannovesima giornata), l'imbattibilità casalinga e la salvezza, con un tredicesimo posto finale. Da dicembre frattanto al vertice della società c'è lo stesso Pastorello col ruolo di amministratore delegato con Farina che finalmente esce allo scoperto dichiarando di essere disposto a cedere la società; ma i forti debiti societari (più di un miliardo) fanno sì che tutto resti invariato. Svanito almeno in parte, il sogno del "Padova di nuovo ai padovani" il rivoluzionamento dei ranghi e l'assunzione di un tecnico di prestigio come Romano Mattè, provocano nell'estate del 1977 un certo risveglio d'interesse attorno alla squadra. Il campionato 1977-78 prelude alla riforma dei campionati di serie C e occorre piazzarsi entro le prime dodici per entrare a far parte di uno dei due gironi della futura C1. Ma i tantissimi volti nuovi, in gran parte giovani, compongono un mosaico non facile da gestire e Matté se ne va ancora prima di iniziare il campionato, dopo aver guidato la squadra in Coppa Italia, sostituito da Tiziano Longhin nelle vesti di direttore tecnico e Flavio Foscarini in quelle di allenatore. L'avvio di campionato è brillante, poi, dopo aver perso l'imbattibilità a Novara alla settima giornata, i risultati stentano ad arrivare. Dopo la sconfitta casalinga col Trento Foscarini viene declassato a preparatore e sostituito da Gino Pivatelli che riesce a portare la squadra al risultato minimo: il dodicesimo posto. Gioire, diventa però difficile; il clima societario resta pesante, l'amministratore unico Pastorello si trova alle prese con i consueti drammatici problemi di bilancio e la popolarità di Farina tocca i minimi storici. I pochi tifosi accusano apertamente il "boss" vicentino di aver saccheggiato gli elementi migliori del vivaio biancoscudato, mandando a svernare nella città del Santo gli scarti del suo Vicenza. Il campionato 1978-79 lascerà un pesante strascico di amarezze e rancori, fino a provocare l'avvento di una nuova era. L'Appiani verrà violato otto volte da Alessandria, Biellese, Reggiana, Forlì, Parma, Modena, Trento e Cremonese. La sconfitta più umiliante della stagione si registra però a Trieste dove la squadra viene battuta per 6-0! Il tecnico Pivatelli se ne và, sostituito da una vecchia conoscenza, Elvio Mattè che non riesce però ad evitare ai biancoscudati il terzultimo posto in classifica e la conseguente retrocessione in C2. Il 20 febbraio dello stesso anno muore a Trieste Nereo Rocco, spegnendo definitivamente l'estrema fiamma dei ricordi e della ricorrente speranza del ritorno alla perduta età d'oro.


GLI ANNI OTTANTA Dopo che la retrocessione è diventata realtà ancora più forte diventa la contestazione popolare nei confronti di Farina, considerato il vero responsabile del disastro. Il 26 giugno Farina annuncia di aver ceduto il 60% della società ad un gruppo di padovani: Amaldolesi, Voltan, Pilotto e Zanon per una cifra complessiva di 900 milioni. Puggina, altro pretendente, rilancia la sua candidatura a nome del gruppo Despar: considera infatti assurda la cifra indicata da Farina, per una semplice quota di una società finita in C2. Anche i clubs chiedono chiarimenti e il gruppo dei compratori risponde di voler rinnovare l'accordo stipulato con Farina, pretendendo l'85% del pacchetto azionario della società. Il 7 luglio il "gruppo" viene finalmente presentato: ne fanno parte Ivo Antonino Pilotto, che assumerà la presidenza, Luciano e Vittorino Faggion, Angelo Furian e i già noti Amaldolesi, Voltan e Pezzetti. Pastorello viene confermato nelle vesti di direttore sportivo, come allenatore viene ingaggiato Guido Mammi. arrivano giocatori importanti come il bomber spallino Pezzato, il "cervello" Romanzini e il terzino Idini. Farina ovviamente si è portato via i giovani più interessanti, con Sanguin, Musella, Perrone e Manzo in testa. La squadra si dimostra equilibrata ma conduce . un torneo discontinuo sempre però in vista della testa della graduatoria, in cui, nella seconda parte ingaggia la lotta per la promozione con Modena e Trento. Alla fine la spuntano i canarini emiliani e la decisione per la seconda promozione viene rinviata allo spareggio tra biancoscudati e gialloblu trentini che si giocar allo stadio Bentegodi di Verona, il 13 giugno 1980 davanti a 20 mila tifosi biancoscudati. La partita si sblocca nella ripresa quando segna Idini, ma nove minuti dopo vengono espulsi Romanzini e Telch e il nervosismo dilaga. Pareggio su rigore di Lutterotti e Marchesi raddoppia. Sembra finita ma il Padova riesce a pareggiare su rigore di Perego per fallo su Idini a nove minuti dal termine. I supplementari non danno esiti e si va ai calci di rigore dove però vince il Trento. Le speranze di promozione devono essere rimandata alla stagione successiva. La squadra si è anche qualificata per la doppia finale di Coppa Italia con la Salernitana. Il 16 giugno gli uomini di Mammi, ancora scossi dall'esito dello spareggio, perdono 3-1 al Vetusti di Salerno. Tre giorni dopo, il 19 giugno, all'Appiani, arriva la rivincita a suon di gol: una tripletta dello scatenato Vitali e un gol di Perego seppelliscono la Salernitana sotto un eloquente 4-0. Arriva la Coppa Italia piccolo segno tangibile dell'avvio della riscossa. Per la stagione successiva il telaio rimane invariato con innesti importanti come l'esperto portiere Bordin, il roccioso stopper Andreuzza e il guizzante Zabbio. Il campionato 1980-81 comincia nel migliore dei modi con un paio di successi importanti, poi una lunga serie di infortuni ad uomini chiave e le cose peggiorano. Dopo il pareggio interno col Pordenone il 9 novembre Pilotto licenzia Mammi e chiama il toscano Mario Caciagli, che ridà fiducia all'ambiente e mette insieme una lunga serie positiva che significa promozione con due punti di vantaggio sulla Civitanovese, seconda classificata.. L'Appiani nel corso della risalita è sempre pieno e alla fine la festa della città sancisce la "pace" tra pubblico e società. Nell'estate del 1981 l'industriale Marino Puggina offre al presidente Pilotto la proprio disponibilità per contribuire a creare un Padova più solido economicamente e strutturato secondo criteri manageriali. Si punta ad un campionato di transizione e vengono ceduti i pezzi migliori come Idini, Pillon e Vitale. Il campionato 1981-82 parte benissimo ma la mancanza di un forte coppia d'attacco limiterà il proseguo del campionato. E con i primi insuccessi arrivano anche le polemiche. Il triumvirato Pilotto, Puggina e Faggion assume come direttore sportivo Enrico Alberti e per Pastorello si conclude l'avventura padovana. Caciagli conquista il sesto posto finale e poi si dimette. Viene ingaggiato Bruno Giorgi, quarantuno anni, alle spalle una promozione in B con la Nocerina e un terzo e quarto posto alla guida di Campobasso e Modena in C1. Il nuovo Padova, però, appare tutt'altro che irresistibile. E' forte in difesa, sostanzioso a centrocampo, non del tutto affidabile in attacco. L'entusiasmo del pubblico è a mille, vengono sottoscritti 2500 abbonamenti e con la Juventus in Coppa Italia si contano oltre 22 mila presenze. In campionato la media degli spettatori supera sempre le 10 mila unità. E' un torneo strano, che verrà deciso a quote di punteggio piuttosto basse, caratterizzato da una costante incertezza. Il Padova parte a corrente alternata, fino al rush finale, quando riesce a piazzare lo spunto vincente, conquistando la seconda posizione alle spalle della dominatrice Triestina. La festa in città esplode come un urlo troppo a lungo trattenuto nella gola: la serie B torna dopo quattordici anni, il Padova sembra finalmente uscito dal gorgo dell'anonimato. Terminati i festeggiamenti, Giorgi, decisivo per la promozione, toglie il disturbo visto i non facili rapporti col presidente e le incertezze sul futuro tecnico della squadra. Sotto la nuova guida di Giorgio Sereni, tecnico voluto dal consigliere Zarpellon, la squadra viene completamente rinnovata ma non riesce a staccarsi dalla parte bassa della classifica. Dopo la sconfitta di Pescara, a dicembre, Sereni viene sostituito da Aldo Agroppi, ex mediano del Torino. La squadra si riprende, smette di perdere e acquista fiducia. Agroppi resiste però solamente per dieci giornate, periodo in cui il Padova risale in classifica. Il 12 febbraio Agroppi se ne va. Al suo posto Gennaro Rambone, napoletano. Il Padova comincia a vincere e sfiora la promozione finendo al quarto posto. Alberti viene silurato e al suo posto come direttore sportivo arriva Giorgio Vitali. Per il campionato 1984-85 si rinforza l'attacco, punto debole della passata stagione con l'acquisto di Pradella, scuola udinese, e Sorbello, bomber di C1 proveniente dal Campania. A centrocampo il Padova da però l'addio a Franco Cerilli, uomo-guida per tre stagioni; al suo posto Claudio Valigi, ventiduenne, che alla Roma ha preso lezione da Falcao. A lui, il confermatissimo Rambone, affida il compito di giostrare come perno davanti alla difesa; alla fantasia, in fase avanzata, dovrà pensare invece il toscano Sorbi. Sulla carta una squadra destinata a lottare per la promozione. Ma fra Vitali e Rambone non corre buon sangue e i dissidi crescono con il passare del tempo. Dopo appena otto giornate, all'indomani della vittoria sul Varese, Rambone viene licenziato per far posto a Gianni Di Marzio. La squadra non decolla, orientandosi verso la zona retrocessione. Il 16 giugno a Taranto, il Padova raggiunge una rocambolesca salvezza: dopo cinque pareggi consecutivi la squadra vince 2-1 sul campo dei pugliesi, ormai condannati. Il giorno dopo, l'ex allenatore del Taranto Becchetti, esonerato la settimana precedente, denuncia all'Ufficio inchieste della FIGC un illecito relativo alla partita. La ricostruzione dei fatti è spietata: tutto è cominciato il 13 maggio quando Giovanni Sgarbossa, mediano del Taranto ed ex biancoscudato incontra il vicepresidente Dino Zarpellon, per accomodare l'ultima partita in caso i veneti non fossero ancora salvi. Giovedì 13 giugno alcuni giocatori del Taranto raggiungono l'accordo per favorire il Padova; il giorno dopo Zarpellon si incontra con Sgarbossa consegnandoli una prima tranche di 50 milioni, in attesa del saldo dopo il buon esito della partita. Il sabato, tre giocatori del Taranto danno forfait. Becchetti, dopo la partita, chiama Sgarbossa chiedendogli la sua parte. I due si incontrano al casello autostradale di Pesaro per la consegna. Ma Becchetti arriva accompagnato da una persone dell'Ufficio inchieste che registra l'incontro. E' retrocessione in serie C. Zarpellon è inibito per 5 anni, così come per 5 anni sono squalificati i giocatori del Taranto Sgarbossa, Paese, Chimenti e Frappampina. Due anni e mezzo invece all'altro giocatore rossoblu, Bertazzon, reo confesso. L'unico degli incriminati ad uscirne pulito è il presidente Pilotto. Per il torneo 1985-86 si riparte dal girone A della C1. Giorgio Vitali emigra al Monza, Di Marzio viene sostituito da Marino Perani, un tecnico giovane, bisognoso di rilancio dopo alcune esperienze negative. Lascia anche Pilotto ad un gruppo di industriali guidati da Zillo e Puggina. Il nuovo gruppo dirigente possiede mezzi finanziari notevoli, gode dell'appoggio delle istituzioni locali e parla di serie A. Dopo un avvio faticoso la squadra arriva in zona promozione, ma dopo le sconfitte di Ancona e Ferrara si abbandonano i sogni di risalita. A febbraio lascia anche Perani, sostituito da Guido Mammi che porta la squadra al settimo posto. Si riparte per la nuova avventura con Puggina nominato presidente e Adriano Buffoni, segnalatosi nel Cesena, in panchina. E dalla formazione romagnola porta con se lo stagionato attaccante Gibellini e un giovane che farà parecchia strada: Alessandro Bianchi. Via quasi tutta l'ossatura della vecchia "rosa" e dentro energie fresche. Ne esce una squadra priva di stelle ma dotata da Buffoni di una formidabile concretezza. Si parte benissimo con 5 vittorie nelle prime 5 giornate, poi la squadra perde qualche colpo, ma alla fine riesce a raggiungere il secondo posto alle spalle del Piacenza, con 6 punti di vantaggio sulla Reggiana, a lungo il più pericoloso concorrente dei patavini. In attesa che le indispensabili strutture di supporto, nuovo stadio e campo di allenamento, comincino a sorgere (l'anno prima Buffoni aveva provocatoriamente portato i giocatori ad allenarsi a Prato della Valle), la società traccia i piani per affrontare la B con obiettivi di prestigio. Come direttore sportivo torna Pastorello, assunto nel frattempo nella ristretta cerchia dei "big" di mercato. Arrivano il terzino Russo, ex giovane milanista, dal Modena il mediano Piacentini e l'interno Longhi, più l'anziano Casagrande, inesauribile mediano con una lunga carriera ad alto livello alle spalle. In attacco, invece, arriva dal Cesena, il piccolo e sgusciante Simonini affiancato da Fermanelli, scuola Inter. Ma la squadra dopo un buon avvio si assesta al centro classifica chiudendo il campionato 1987-88 all'ottavo posto. Si riparte ancora da Buffoni confermatissimo da Puggina e Pastorello. Intanto il consiglio comunale ha dato il via al progetto per un nuovo stadio. Il torneo 1988-89 si apre con risultati contradditori che portano la società ad intervenire sul mercato autunnale: arriva il giovane interista Massimo Ciocci. Buffoni schiera il tridente Simonini, Fermanelli, Ciocci e in primavera il Padova è a ridosso della zona promozione. Poi la squadra cede e raccoglie solamente 5 punti in dodici partite. Alla fine è quattordicesimo posto ma soprattutto qualcuno tira un sospiro di sollievo; se il campionato fosse durato di più, con una media del genere si sarebbe rischiata la retrocessione

DAL RITORNO IN A AI GIORNI NOSTRI

ll catastrofico finale di stagione impone nell’estate 1989 una salutare opera di rinnovamento. Partono il diesse Pastorello, sostituito da Piero Aggradi, e l’allenatore Buffoni al cui posto viene ingaggiato Enzo Ferrari, che vanta una buona esperienza maturata soprattutto in Triveneto (Udinese e Triestina) con una valida esperienza spagnola nel Real Saragozza. Arrivano il centravanti Pradella, reduce da una stagione alla Sampdoria con Vialli e Mancini; l’interno Miano e il rifinitore Pasa dall’Udinese, il portiere Bistazzoni dai blucerchiati, il libero Albiero dal Como, il difensore esterno Murelli dall’Avellino e un giovanissimo terzino dal Brindisi, Antonio Benarrivo. Ferrari costruisce un Padova basato su Bistazzoni tra i pali, Pasqualetto (poi Murelli) e Benarrivo terzini, Ottoni stopper, Albiero libero, Sola mediano di spinta, Camolese e Pasa interni, Piacentini tornante di destra, Pradella e Fermanelli in attacco. L’avvio di campionato non è strepitoso: secco successo sul Cosenza (3-0), sconfitta a Barletta (0-1), pari a Pescara e all’Appiani con la Reggina. Con la sconfitta a Torino (1-3) il Padova finisce ad un passo dall’ultimo posto. Al mercato autunnale viene ingaggiato l’attaccante Giuseppe Galderisi, scaricato dal Verona e dal Milan, viene ceduto Piacentini alla Roma e arriva dal Perugia il ventitreenne Di Livio, cresciuto nel vivaio giallorosso e valorizzatosi coi grifoni umbri. A novembre la situazione si fa critica, il pareggio all’Appiani con la Reggiana porta il Padova al penultimo posto ed il baratro della retrocessione comincia ad aprirsi sotto i piedi di una squadra che sembra mancare di gioco e di spirito di reazione. Ferrari se ne va e al suo posto il presidente Puggina ingaggia Mario Colautti, tecnico gradito ad Aggradi, che con lui ha conquistato la promozione a Perugia. Colautti cambia la coppia di terzini (da Pasqualetto-Murelli a Murelli-Benarrivo), recupera Ruffini come mediano davanti alla difesa, conferma Camolese a centrocampo ed esclude il deludente Miano, puntando sul giovane Pasa. Il nuovo Padova vince in casa col Messina ed espugna il campo di Catanzaro. A febbraio il tecnico fa esordire il giovane attaccante Filippo Maniero e gli effetti sono esplosivi. La coppia-gol Maniero-Galderisi porta il Padova ad un tranquillo centroclassifica. Alla fine del campionato1989-90 è decimo posto, ma soprattutto c’è la consapevolezza che il gruppo non potrà che crescere. Nell’estate 1990 Aggradi ingaggia tre centrocampisti di sostanza: Zanoncelli, nazionale Under 21 di scuola Milan, l’ex Longhi e Carmine Nunziata. Il libero Parlato (dal Latina) è il nome nuovo della difesa assieme al portiere Dal Bianco, rientrato dal Vicenza. La squadra però dopo le prime giornate non gira. Nei cinque turni iniziali il Padova raccoglie due pareggi a reti bianche e tre sconfitte; altri tre zero a zero e la sconfitta (0-2) a Reggio Emilia fanno precipitare il Padova al penultimo posto. Aggradi corre ai ripari ingaggiando dal Milan di Berlusconi un giovane centrocampista diciannovenne: Demetrio Albertini. Scende in campo l’11 novembre, quando il Padova è penultimo in classifica (cinque punti, uno in più dell’Udinese, ultima) e non ha ancora vinto: la squadra biancoscudata vince con l’Ascoli con gol di Galderisi al termine di una dimostrazione di gioco che sorprende ed entusiasma il pubblico. Albertini prende in mano la squadra e ne registra la manovra, trovando un’intesa immediata con Galderisi, pienamente a proprio agio con un interlocutore alla sua altezza tecnica. E’ l’inizio della riscossa. Il Padova risale rapidamente in classifica. Zanoncelli acquisisce sempre maggior sicurezza come pilota del reparto arretrato, mentre il centrocampo incarna la vera forza della squadra, grazie al fosforo di Albertini, alla precisione di Nunziata, alla fantasia di Di Livio e alla continuità di Longhi. A febbraio il Padova è undicesimo in classifica, in acque tranquille. Colautti e i suoi decidono di crederci e grazie al fantastico pubblico dell’Appiani in aprile il Padova è sesto. Il 26 maggio, a tre turni dal termine, i biancoscudati sono quinti, dopo lo strepitoso successo sulla Reggina, e la promozione non è più una chimera. La domenica successiva, un buon pareggio sul campo della Cremonese, terza in classifica, appaia il Padova all’Ascoli al quarto posto. Penultima giornata: all’Appiani arriva il Barletta, ormai condannato; ma la voglia di vincere gioca brutti scherzi e i pugliesi vanno in vantaggio con Consonni e raddoppiano con Signorelli. Sembra finita ma Galderisi segna a cinque minuti dall’intervallo, poi nella ripresa raddoppia su rigore. L’Appiani esplode quando Benarrivo trova il gol del vantaggio, ma la gioia dura poco, altri cinque minuti e il giovane La Notte pareggia. Ci pensa Longhi a temposcaduto a raddrizzare la situazione: 4-3 per i biancoscudati. Per l’ultima partita il Padova va a Lucca, l’Ascoli è impegnato a Reggio Emilia. La Lucchese va in vantaggio, mentre i bianoconeri sono sotto di due reti con i granata reggiani. I marchigiani riequilibrano la situazione con Cvektovic e Pergolizzi, ma anche a Lucca prima dell’intervallo Galderisi riesce a pareggiare. Nella ripresa Melchiori segna per la Reggiana e il Padova è in A; pareggia Casagrande e si va allo spareggio. Poi all’89 Simonetta per la Lucchese coglie il gol della vittoria e il Padova deve lasciare la massima serie all’Ascoli. La delusione è forte e non mancano i sospetti sulla strana combinazione che ha visto la Lucchese, priva di interessi di classifica, giocare allo stremo pur di battere i biancoscudati. Per la nuova stagione Albertini ritorna al Milan e anche Benarrivo viene ceduto al Parma. A centrocampo giunge Franceschetti, cresciuto nel Milan e proveniente dal Pergocrema, mentre la difesa viene potenziata con gli arrivi dalla Juventus del portiere Bonaiuti e del difensore Rosa. In panchina il posto di Colautti viene preso da Bruno Mazzia. La nostalgia dell’Appiani per le prodezze di Albertini, non svanisce certo al cospetto del grigio gioco di Mazzia, ideale per mantenere la squadra al centroclassifica, ma privo di prospettive più ambiziose. Ad aprile dopo due sconfitte consecutive la dirigenza, che a resistito per settimane alla pressione di critica e pubblico per il licenziamento di Mazzia, non può che prendere atto di una situazione grave con la squadra appena un punto sopra al quartetto di coda. Viene così deciso di promuovere il vice di Mazzia, Mauro Sandreani. Ex giocatore della Roma, tecnico giovane (trentotto anni) dalle idee moderne e dallo spirito vincente, il nuovo tecnico conduce la squadra al dodicesimo posto. I lavori per lo stadio nuovo sono ormai in stato avanzato e la società per la stagione 1992-93 punta decisamente alla massima serie. Arrivano alla corte di Sandreani, l’ex palermitano Modica, Cuicchi dall’Avellino, il fluidificante Gabrieli dal Messina e ritorna a Padova il bomber Pippo Maniero, che era andato a fare esperienza prima all’Atalanta, poi all’Ascoli. Il Padova parte abbastanza bene, vince 3-2 il derby col Verona alla 5° giornata con doppietta di Galderisi e gol di Montone, poi rallenta (doppia sconfitta con Lecce e Bologna), ma nonostante i risultati altalenanti alla fine del girone di andata si trova a pochi punti dalla zona promozione. A quattro giornate dalla fine, dopo una vittoria per 3-2 sulla Spal, il Padova è ad un punto dal quarto posto occupato da Lecce ed Ascoli. Un pareggio a Reggio Emilia con i granata già promossi, la vittoria sul Taranto all’Appiani, e un nuovo pareggio a Lucca portano la squadra biancoscudata a giocarsi, nell’ultima giornata, la promozione in A contro l’Ascoli, il Lecce e il Piacenza che precedono il Padova di un punto.Il calendario propone per l’ultimadrammatica giornata lo scontro diretto Padova-Ascoli, Cosenza-Piacenza e Bologna-Lecce. L’Ascoli va subito in vantaggio con una doppietta di Oliver Bierhoff al 1° e al 31° del primo tempo; sembra la fine di un sogno. Poi la rimonta, due minuti dopo Simonetta accorcia le distanze e nel secondo tempo Gabrieli al 78° e Montrone ad un minuto dalla fine ribaltano la situazione. Sembra fatta ma il Lecce vince a Bologna per 2-1 condannando i rossoblu alla serie C, mentre il Piacenza riesce a superare il Cosenza con un gol dell’ex biancoscudato Simonini. Il Padova resta in B, mentre salgono in A Lecce e Piacenza con un punto di vantaggio sulla formazione biancoscudata. Dopo la beffa della mancata promozione all'ultima giornata (la seconda in tre anni), il Padova ricomincia la stagione 1993-94 con nuovo entusiasmo convinto che questo possa essere l’anno buono per il ritorno nella massima serie, attesa da trentadue anni. L’organico viene riconfermato, ad eccezione di Di Livio che passa alla Juventus. Dal punto di vista tattico, il Padova edizione 1993-94 non si discosta molto da quello del precedente campionato. La difesa è ormai affiatata: Bonaiuti tra i pali è una garanzia, Gabrieli assicura velocità (e qualche gol) sulla fascia sinistra; in marcatura Cuicchi (o Siviero) a destra e Rosa al centro, con Franceschetti libero di grande duttilità e visione di gioco. Senza dimenticare Ottoni, la cui esperienza e serietà professionali torneranno utili nel corso della stagione. Il centrocampo è forse il reparto qualitativamente migliore del Padova con l’arrivo di Coppola, che completa il reparto con Franceschetti, Pellizzaro, Longhi e Nunziata. In attacco Maniero e Galderisi con Simonetta prima alternativa. Il Padova parte bene con due vittorie consecutive e dopo 12 giornate è al terzo posto solitario a tre punti dalla capolista Fiorentina. Zona promozione che viene mantenuta per gran parte del campionato. Ma solo quattro punti nelle ultime giornate rallentano la corsa del Padova verso la serie A e la squadra biancoscudata viene raggiunta al quarto posto dal Cesena. E’ spareggio. A Cremona il 15 giugno 1994 il Padova si gioca la serie A contro la formazione bianconera. E le cose si mettono subito male: Hubner al settimo del primo tempo porta in vantaggio i romagnoli e tornano alla mente i drammatici finali degli anni precedenti. Ma Cuicchi, con una spettacolare rovesciata al 18° riporta le squadre in parità. Nel secondo tempo Coppola segna il gol che decide la sfida: è serie A! Il presidente Puggina però lascia e al suo posto subentra Giordani. Arrivano nuovi rinforzi per affrontare la massima serie: il pilastro della nazionale statunitense Alexi Lalas, la speranza croata Goran Vlaovic, il laterale David Balleri dal Parma, Perrone, Zoratto e l’olandese Michel Kreek dall’Ajax. Ma la serie A è un autentico shock per chi vi rimette piede dopo trentadue anni. Sul neutro di Bologna, i biancoscudati incontrano la Sampdoria che li sommerge con cinque reti. Eppure il Padova gioca discretamente, ma il calendario, si sa, non è tenero con le matricole sicché a Nunziata e soci tocca subito dopo il Parma, lanciato da Nevio Scala sulle piste dei grandi traguardi. Zero a tre all’Euganeo e si riparte da Torino contro i granata, ugualmente a secco dopo due giornate. Il pareggio resiste per quarantacinque minuti poi Scienza azzecca due tiri fenomenali e il Toro incamera i suoi primi tre punti. Per la quarta giornata all’Euganeo arriva il neopromosso Bari, e sembra che arriveranno anche i primi punti per la squadra di Sandreani. Invece i biancorossi baresi dominano all’Euganeo, Guerrero fallisce pure un rigore, poi Gerson e Pedone firmano lo zero a due. Il sospetto avanza in città: vuoi vedere che la A è già compromessa? Per i critici di tutta Italia non ci sono dubbi, il campionato ha trovato in Veneto un comodo materasso. Si va a Napoli ed è già ultima spiaggia. Gli azzurri vanno subito sullo due a zero con Rincon e Agostini. Longhi accorcia su rigore, ma Rincon lo imita. Tre a uno a cinque minuti dalla fine, sembra finita ma Maniero vola di testa ad infilare Tagliatatela e dopo sessanta secondi sigla il pari quasi dalla linea di fondo. Esplode la gioia sulla panchina biancoscudata: l’incubo sembra finito. Arriva il Milan e l’entusiasmo è tale che i ragazzi di Sandreani non hanno più paura di niente. Lalas perfora Rossi, poi Gabrieli da venticinque metri infila un pallone nel sette del portiere rossonero. Per gli uomini di Sandreani è la prova che tutto è possibile, dunque anche la salvezza. A Firenze arriva una sconfitta pesante per quattro a uno, ma la domenica successiva i biancoscudati colgono il secondo pareggio, in casa con il lanciatissimo Foggia di Catuzzi (ma Galderisi sbaglia un rigore) poi, sempre all’Euganeo, sconfiggono il Brescia nell’acquitrino di una giornata impossibile con Kreek e Coppola. Ma ricomincia la paura della retrocessione: all’Olimpico il Padova viene travolto cinque a uno dalla Lazio, all’Euganeo la Juventus passa con Ravanelli a dieci minuti dalla fine dopo i gol di Baggio e Kreek, e la nuova trasferta all’Olimpico, sponda giallorossa non si conclude meglio dell’altra: Aldair e Caprioli firmano il due a zero per la Roma. Serve una scossa, che arriva la domenica successiva vincendo all’Euganeo con Cagliari, ma la trasferta a Reggio Emilia finisce male: tre a zero per i granata. Dopo la sosta all’Euganeo arriva la Cremonese, concorrente diretta per la salvezza, e il capitano Longhi con una tripletta raffredda le velleità dei grigiorossi: alla fine è 3-2. La domenica successiva in casa del Genoa si tenta il colpaccio: Kreek pareggia il gol di Vant’Schip e i biancoscudati vanno all’assalto: a quel punto entra Miura e inventa il gol della vittoria di Manicone ad un minuto dalla fine. Ormai però è un Padova consapevole della propria forza, che sa reagire con orgoglio. Arriva all’Euganeo l’Inter di Ottavio Bianchi. Il Padova parte bene ma Pagliuca resiste. E quando Sandreani manda negli spogliatoi Vlaovic il pubblico per la prima volta contesta il tecnico. A quattro minuti dalla fine, però, Rosa trafigge Pagliuca. Sandreani vuole andarsene ma il presidente Giordani lo convince a desistere dall’insano proposito, grazie anche a una occhiata alla classifica: Genoa e Cremonese sono agguantate. Comincia il girone di ritorno e la Sampdoria ripete l'ottima prestazione dell'andata (4-1), a Parma il dominio dei biancoscudati (li ferma un’ottimo Bucci) viene suggellato da…Zola, che raccoglie una respinta di Bonaiuti e porta a casa i tre punti. Ma dalla successiva gara col Toro i biancoscudati iniziano un periodo vincente: 4 a 2 ai granata, vittoria a Bari con gol di Vlaovic, 2 a 0 al Napoli di Boskov. L’Italia del pallone comincia a parlare di questo miracoloso Padova che si fa strada col gioco e sa sfruttare la regola dei tre punti. Poco male se non bastano i miracoli di Bonaiuti per non perdere a S.Siro col Milan (1-0 gol di Simone) e se all’Euganeo, in notturna, contro la Fiorentina si è puniti da Rui Costa. Ormai il Padova crede nella salvezza. Si lascia brutalizzare dal Foggia (1-4) in Puglia, poi si scatena con la serie più travolgente della stagione: 3-1 a Brescia, 2-0 in casa con la Lazio, infine l’apoteosi a Torino. I biancoscudati si concedono addirittura il lusso di violare il campo della Juventus lanciata verso lo scudetto; punizione magistrale di Kreek ed è festa. Il Padova ha cinque squadre alle spalle, con cinque punti di vantaggio sulla Cremonese e sei sulla coppia Foggia-Genoa. Ma il pareggio a reti bianche con la Roma fa da preludio all’incubo che rischia di compromettere un intero campionato: due gol incassati a Cagliari, un facile tre a zero sulla ormai retrocessa Reggiana e una memorabile batosta a Cremona (0-3) riaprono i giochi per la salvezza, con il Genoa prossimo avversario dei biancoscudati all’Euganeo. Segna Ruotolo ma Gabrieli riesce a pareggiare, rimandando tutto all’ultima giornata con l’Inter a San Siro. Il Genoa è a tre punti, deve superare in casa il Torino, mentre al Padova basta un pareggio coi nerazzurri per rimanere in A. A San Siro si vede un ottimo Padova con Maniero che porta in vantaggio i biancoscudati. Sembra una giornata trionfale invece Orlandini pareggia e al secondo minuto di recupero, su un angolo di Ruben Sosa, Del Vecchio firma la vittoria interista. E mentre il tifo nerazzurro festeggia la qualificazione Uefa il Padova va la secondo spareggio consecutivo visto che il Genoa vince con il Torino che non aveva più nulla da chiedere al campionato. La sfida che vale una stagione si gioca a Firenze con gli uomini di Maselli, che in tre partite hanno recuperato sei punti, favoriti per la vittoria. Ma il Padova gioca bene, passa in vantaggio con Vlaovic, subisce il pareggio genoano con Skuhravy, domina il secondo tempo ma non riesce a passare. Si va ai rigori con Galante che spreca e Kreek che segna il rigore decisivo che vale la salvezza. Il campionato successivo non è fortunato per il Padova e la squadra biancoscudata ritorna fra i cadetti dopo una stagione che più travagliata non si può. L’episodio più grave rimane la malattia di Goran Vlaovic. Operato in Belgio al cervello, fortunatamente guarisce ma al suo ritorno in squadra, la situazione è già molto difficile. All’inizio del 1996, mentre il Padova da segni di risveglio, ecco la seconda “botta”, Lalas e Galderisi, due giocatori che avevano fatto la differenza nel campionato precedente, rescindono il contratto e volano negli States per disputare il primo campionato di soccer professionistico. Subito dopo arriva la spallata definitiva: l’annuncio del presidente Giordani di aver ceduto la società al trio Fioretti, Corrubolo e Viganò. Undici sconfitte consecutive e la serie B è certezza con tanti rimpianti e molte polemiche. Il Padova riparte dalla serie B, nella stagione 1996/97, con molte novità. I biancoscudati, grazie anche ad una campagna trasferimenti condotta in maniera “vistosa”, godono dei favori del pronostico. Un allenatore considerato vincente, Giuseppe Materazzi, giocatori come Zenga, Lantignotti, Lucarelli, Pelizzaro e Bergodi sembrano veramente una sicurezza, ed invece la squadra non decolla. Materazzi rischia di saltare una prima volta alla tredicesima giornata. Si salva grazie alla vittoria di Cesena per 3-2. Alla lunga però, l’allenatore verrà esonerato. Gli subentra Adriano Fedele. A complicare le cose arriva la “grana” Zenga che, come Lalas e Galderisi, a metà campionato saluta tutti e vola in America per giocare il “soccer”. Alla fine il Padova riesce a salvarsi, e seppur con qualche patema termina al 12° posto in classifica con 48 punti. Resta in serie B ma la delusione per quello che doveva essere il campionato del ritorno in A è fortissima in tutti i tifosi. Il campionato 1997-98 è quello del ritorno in C. Le prime novità arrivano dalla società. Se ne vanno Fioretti e Corrubolo; Cesarino Viganò resta presidente e nomina il rag.Guerino Perego amministratore delegato. La prima mossa è applaudita dall’intera Italia del pallone: l’ingaggio di Giuseppe Pillon, allenatore vincente e artefice del “miracolo” Treviso che in tre anni è salito dal campionato nazionale dilettanti alla serie B. La rosa viene rinforzata con giocatori quali Allegri, Bacchin, Brioschi e Mazzeo. Nonostante questo la squadra parte malissimo, quattro sconfitte e tre pareggi in sette partite. Si capisce subito che risalire la china sarà difficile. Si cambia allenatore e direttore sportivo richiamando due ex beniamini quali Mario Colautti e Piero Aggradi. Ma la situazione non muta; alla fine è retrocessione in C1, penultimo posto in classifica con 36 punti e il motto “Mai più in serie C” lanciato dal presidente Puggina sette anni prima, suona per i tifosi come una atroce beffa. Il Padova, dunque, si trova ai nastri di partenza del campionato 1998/99, nella serie C1 girone A, ma gode, dei favori del pronostico. Quanto meno i play off sembrano assicurati. La la partenza, però, non è delle migliori: in sette giornate sei pareggi e la sconfitta ad Alzano. Non varia il resto del campionato e il Padova non si avvicina mai alle prime cinque piazze della classifica, anzi, si capisce che l’obiettivo massimo è la salvezza per la disperazione dei tifosi che non accettano tale situazione. Si arriva così all’episodio che condanna il Padova alla C2. Si gioca Padova-Varese e in caso di vittoria i biancoscudati possono dirsi praticamente salvi. A tre minuti dalla fine con il Padova in vantaggio per due reti a zero, l’allenatore Fedele toglie dal campo l’unico giocatore nato nel 1978 che, da regolamento, avrebbe dovuto terminare la gara o essere sostituito da un pari età. La conseguenza fu l'inevitabile sconfitta a tavolino e l’insperata salvezza del Varese, con il Padova costretto ai play out persi con il Lecco (1-1 e 0-1) che aveva terminato il campionato al penultimo posto con 13 punti di distacco dai biancoscudati. Il Padova riparte dalla C2 con Beruatto in panchina. La promozione sembra non poter sfuggire, ma al di là della parte centrale del torneo, il Padova non riesce a decollare e termina il torneo al 6° posto, fuori anche dai playoff. Termina il torneo e termina anche l'avventura patavina di Viganò, il quale cede la società ad Alberto Mazzocco, industriale padovano. Nella stagione 2003/2004 la squadra viene rivoluzionata. La guida tecnica è affidata ad Ezio Glerean, mentre il nuovo diesse è Sergio Vignoni, navigato uomo mercato che a suo tempo fece le fortune del Vicenza di Guidolin. In estate all'ombra del Santo arrivano giocatori di buona caratura come Romondini, Guidetti, Muslimovic, e l'argentino La Grotteria, ma si registrano anche i graditi ritorni di due giovani cresciuti nel vivaio biancoscudato: Maurizo Bedin e Gianpiero Zecchin. Il Padova è una delle favorite per la promozione e sin dalle prime giornate si assesta nelle posizioni alte della classifica grazie ad una difesa di ferro e un rendimento eccellente tra le mura amiche dell'Euganeo. Per contro Porrini e compagni faticano molto in trasferta dove raccoglieranno i primi tre punti solo alla 18° giornata (0-1 a Reggio Emilia) e in attacco sono menomati dagli infortuni che mettono spesso fuori causa il "gaucho" La Grotteria, uno degli uomini di punta del modulo Glerean. Nella seconda parte del campionato il Padova continua a rimanere in zona play-off, ma si vede sfuggire prima l'Arezzo, che terminerà primo dopo un campionato straordinario, e poi il Lumezzane. Alle difficoltà della squadra che non sempre riesce ad esprimere un gioco convincente si sommano quelle di Ezio Glerean che viene colpito da un grave lutto familiare che non gli consente più di concentrarsi sul suo lavoro. L'allenatore di San Vito al Tagliamento rassegna le dimissioni alla vigilia del delicato incontro con il Lumezzane. Vignoni si mette subito al lavoro e in tempi brevissimi piazza un colpo a sensazione: il nuovo allenatore del Padova è Renzo Ulivieri. Il tecnico toscano cerca da subito di dare la sua impronta alla squadra, ma si trova senza uomini di fascia, inutili nel modulo di Glerean. La squadra continua ad avere alti e bassi e piano piano scivola fuori dalla zona spareggi. Ulivieri ha comunque il merito di tenere saldo il gruppo e evitare un tracollo quando il Padova si trova a pochi punti dalla zona play-out. La stagione termina con un settimo posto e con l'amara sensazione di avere sprecato una grande opportunità.