Utente:Janopico/Sandbox

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Relazione Tommasi[modifica | modifica wikitesto]

Relazione Tommasi è il termine con cui si indica l'indagine svolta dal Comando Supremo dopo la scofitta subita dall'esercito italiano a Caporetto (24 ottobre - 12 novembre 1917).

Le indagini[modifica | modifica wikitesto]

Soldati italiani prigionieri a Cividale dopo la disfatta di Caporetto

Nel periodo delle indagini compiute dalla Commissione d’inchiesta su Caporetto, il ruolo di Avvocato generale militare era ricoperto da Donato Antonio Tommasi, il quale tenne la carica dal gennaio 1918 al 1923. Il Tommasi fu una figura piuttosto controversa – definito dallo stesso Vittorio Emanuele Orlando come un «valent’uomo, appartenente a una vecchia razza di magistrati eminenti»[1] - che agì negli ultimi mesi di guerra per limitare lo strapotere dei comandi: propose infatti di includere l’omicidio come uno tra i casi possibili di lesione dovuta a un abuso di potere da parte dei superiori ma, allo stesso tempo, fu favorevole al mantenimento della pena di morte, limitatamente al solo Codice militare, anche in periodo di pace.

Il 28 luglio 1919 l’Avvocato generale ricevette l’incarico, da parte del Ministro della Guerra Alberico Albricci, di condurre un’inchiesta, corredata da una valutazione giuri-dica, di tutti i casi di esecuzioni sommarie, decimazioni incluse, documentate nel corso del conflitto. Il risultato finale fu una relazione dattiloscritta datata settembre 1919, che si apriva con un’introduzione dal titolo «Esecuzione sommaria e facoltà di decimazione da parte dei comandanti militari secondo le norme del vigente diritto penale militare»[2].

Analisi[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver elencato i vari reati in grado di giustificare un’esecuzione sommaria ed essersi soffermato sull’importanza del concetto di “flagranza di reato”, Tommasi si proponeva di valutare l’operato dei coman-danti per giudicare se avessero agito nel miglior modo possibile: in linea generale, secondo l’autore, gli ufficiali erano ricorsi a esecuzioni sommarie in situazioni particolarmente ostiche, tali da richiedere un intervento deciso, e mai per motivi personali nei confronti dei soldati condannati. L’unico motivo di biasimo poteva essere il fatto che non sempre l’azione repressiva fosse stata contenuta entro i limiti e i casi fissati dalla legge, perché non sussistevano tutte le condizioni necessarie o perché i mezzi utilizzati risultavano eccessivi. La repressione quindi, secondo l’Avvocato, era sempre giustificata nei casi analizzati, sebbene in alcuni casi fosse stata perseguita con eccessiva ferocia e richiedesse, quindi, la presentazione dei principali promotori di fronte a un tribunale.

La critica[modifica | modifica wikitesto]

La critica sostanziale del Tommasi era rivolta principalmente alle direttive generali del Comando Supremo per la gestione della giustizia militare, accusato di vedere nella recrudescenza delle pene una soluzione ai sintomi di stanchezza e di ribellione presenti in maniera sempre più diffusa nel corso della guerra. Il bersaglio principale era lo stesso Cadorna, accusato di agire come se fosse stato a capo «di un esercito di mercenari, non di un esercito di cittadini»[3].

Per quanto riguarda i capi militari che avevano ordinato esecuzioni sommarie poi giudicate illegittime, essi spesso non potevano più essere processati: spettava infatti al Comandante Supremo promuovere un’azione penale nei loro confronti ma, avendo proprio quest’ultimo approvato all’epoca dei fatti le esecuzioni senza processo, tutto questo circolo poteva concludersi semplicemente con un nulla di fatto. Con questa affermazione il Tommasi scaricava gran parte delle responsabilità non su chi aveva direttamente ordinato l’esecuzione, ma su chi dall’alto della sua autorità aveva permesso che questo genere di condanna potesse avvenire del tutto legalmente.

Suddivisione dei reati[modifica | modifica wikitesto]

I singoli episodi analizzati dall’Avvocato nella Relazione erano raggruppati in quattro se-zioni:

• Esecuzioni sommarie che, dall’esame dei rapporti e documenti, appaiono giustificate;

• Esecuzioni sommarie che, dall’esame dei rapporti e documenti, appaiono ingiustificate;

• Esecuzioni sommarie per le quali l’azione militare è improcedibile;

• Esecuzioni sommarie per le quali manca nei rapporti e documenti esaminati ogni elemento di giudizio.

L’opera si concludeva con l’ammissione della mancanza di documentazione necessaria per formulare un giudizio finale e con l’elenco dei comandi e dei comandanti che ave-vano ordinato esecuzioni sommarie non giustificate dagli atti o per le quali mancava ogni elemento di giudizio.

Casi di decimazioni[modifica | modifica wikitesto]

Nel suo lavoro Tommasi esaminò la circolare telegrafica riservata n. 2910 del 1° novembre 1916, con la quale il Capo di Stato Maggiore Cadorna legittimava la pratica della decimazione: nei casi in cui, infatti, non fosse possibile determinare in maniera precisa i responsabili di un particolare reato all’interno di un reparto, era diritto e dovere dei comandanti «estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte»[4]. Egli rivolgeva un’aspra critica verso la decisione di Cadorna, il quale, affermando che «a codesto dovere nessuno che sia conscio d’una ferrea disciplina di guerra può sottrarsi»[5], ammetteva che non vi fosse alcun altro metodo repressivo per ridurre i reati collettivi e che fosse lecita la decimazione anche in casi in cui non si fosse in grado di determinare con certezza i colpevoli. Tommasi negava inoltre che gli ordini dovessero essere eseguiti sempre e comunque: i comandanti dovevano infatti valutare la legittimità di un ordine, in questo caso emesso da un Comando Supremo giudicato incompetente. I capi militari che si erano attenuti a queste disposizioni, paradossalmente avrebbero dovuto rispondere di «mandato in omicidio per eccesso nell’osservanza di disposizioni di legge»[6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Vittorio Emanuele Orlando, Memorie (1915-1919), Milano, Rizzoli, 1960, p. 216.
  2. ^ Marco Pluviano e Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale, Udine, Gaspari, 2004.
  3. ^ Affermazione del deputato indipendente di sinistra Giuseppe De Felice-Giuffrida contenuta in Atti parlamentari, 6 settembre 1919, p. 20905 cit. in M. Pluviano, p. 46.
  4. ^ Marco Pluviano e Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale, Udine, Gaspari, 2004, p. 46.
  5. ^ Marco Pluviano e Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale, Udine, Gaspari, 2004, p. 46.
  6. ^ Marco Pluviano e Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale, Udine, Gaspari, 2004, p. 47.