Utente:Giancarlo Buomprisco/Sandbox

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Il Ruolo dei Media

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Durante la Guerra del Vietnam i media hanno avuto un ruolo fondamentale per smascherare le menzogne della Casa Bianca, spingendo l'opinione pubblica americana verso un'avversione al conflitto che costrinse il governo a porvi fine. Numerosi, infatti, furono i reporter che con coraggio svelarono gli aspetti più brutali e disumani della guerra, dando prova di indipendenza e professionalità. E' proprio durante questo periodo che i media vivono un momento di grande espansione. Un'espansione dovuta soprattutto alla capillare diffusione del medium per eccellenza: la televisione. E' proprio grazie alle immagini televisive che provenivano dall'estremo Oriente che gli americani riuscirono a percepire lo straziante dolore della guerra che intanto stava massacrando il Vietnam e allo stesso tempo milioni di giovani americani. Nel clima complessivo di agitazione culturale e sociale, gli anni 60' e 70' videro così l'affermazione di un nuovo filone di advocacy journalism, un giornalismo impegnato nella difesa della democrazia e permeato da una vena ideologica di sinistra che rendeva più radicali le sue critiche al potere costruito. Oltre alla televisione, i giornali e la radio rimanevano medium di primissimo livello, nonostante una costante diminuizione di lettori dovuta proprio dalla concorrenza con la TV.

Reazione dei media all'inizio guerra

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Sul piano dell'informazione le autorità civili e militari mantennero una linea singolarmente morbida. Sulla base dell'esperienza della seconda guerra mondiale e del conflitto di Corea, in Vietnam, esse si attendevano una sostanziale collaborazione dei cronisti, sulla base di un comune patriottismo. Inoltre, la mancanza di una formale dichiarazione di guerra rendeva giuridicamente difficile adottare norme esplicite. Il controllo fu tuttavia tutt'altro che rigido. I militari, anzi, coinvolsero ampiamente i cronisti nelle operazioni militari. Negli anni che precedevano la guerra, la stampa e l'opinione pubblica erano fortemente favorevoli alla guerra. Presentata come "atto doveroso per arrestare l'avanzata del comunismo in Oriente", la guerra fu appoggiata spesso da giornali e televisioni. Specialmente nei primi anni, furono i direttori a cestinare gli articoli più "scomodi", preferendo dare spazio alle ottimistiche versioni ufficiali del Pentagono. Ecco un esempio di resoconto televisivo:

“I coraggiosi hanno bisogno di leader. Questo è un leader di uomini coraggiosi. Si chiama Hal Moore. Viene da Bardstown, Kentucky. È sposato e padre di 5 figli. Sono i migliori soldati del mondo. In effetti, sono i migliori uomini del mondo. Sono ben preparati, ben disciplinati [...] La loro motivazione è formidabile. Sono venuti qui per vincere”.

Secondarie furono invece le stragi di civili che regolarmente i militari americani compirono in Vietnam. I giornalisti sapevano di queste stragi, ma furono quasi sempre accennate marginalmente o presentate come casuali fatalità. In Vietnam agì un razzismo di fondo che pervadeva il giornalismo di guerra occidentale: le vittime vietnamite, infatti, venivano percepite come molto meno importanti di quelle occidentali.

L'avvento del "giornalismo contro"

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Alla fine degli anni 60' l'informazione divenne più neutrale. Una prima informazione "contro" arrivò dai giornali europei, specialmente da Italia e Francia. L'andamento della guerra, che si stava rivelando molto più lungo (e costoso) di ciò che si aspettavano gli americani, suscitò numerosi dubbi per i giornalisti. Anche i giornalisti americani cominciarono a produrre servizi e reportage che contrastavano con le versioni ufficiali rilasciate dal governo, fornendo così un'immagine più chiara e veritiera della guerra. I giornalisti denunciarono principalmente l'inconcludenza della strategia militare americana e soprattutto le menzogne che la Casa Bianca continuava a propinare al pubblico. In questo clima di crescente critica emersero le storie di atrocità di guerra che fino a prima erano rimarse sepolte nel silenzio. Ciò entrò in sinergia con il vasto movimento di opposizione al conflitto che attraversava l'America, a sua volta connesso alle più ampie proteste studentesche e sociali di quegli anni. L'operato dei reporter si inserì in un contesto di polemiche accesissime, di proteste di piazza contro i crimini di guerra dei soldati americani e la richiesta di ritirare i propri soldati dal Vietnam. Gli anni finali della guerra videro così la stampa americana descrivere la guerra in termini apertamente negativi.

Un nuovo potente medium: la televisione

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La guerra del Vietnam è stata la prima "guerra televisiva" della storia. Negli anni 60' la televisione si diffuse in modo capillare nelle case degli americani. I progressi tecnologici ampliarono le potenzialità del giornalismo televisivo, che diventò la fonte principale di informazione di milioni di persone. La televisione potè così portare la guerra "nel salotto degli americani". In quegli anni esistevano solo tre grandi network nazionali(Abc, Nbc, Cbs): i loro notiziari, condotti da popolarissimi anchorman erano seguiti tutti i giorni da decine di milioni di persone. Una delle principali caratteristiche della televisione era l'estrema persuasione che riusciva ad esercitare sull'opinione pubblica generale. Anche l'informazione televisiva, alle origini del conflitto, ebbe un'atteggiamento positivo nei confronti della guerra. Dalla fine del decennio, tuttavia, anche la TV assunse un atteggiamento più critico. I giornalisti televisivi godevano di un'estrema libertà, ma rispetto ai colleghi che si occupavano dell'informazione cartacea, riuscivano ad avere una potenza comunicativa maggiore. I telegiornali, seppur molto raramente, mostravano le atrocità che gli americani stavano commettendo in Vietnam. Esemplare fu un video trasmesso dalla Cbs nel 1966 che mostrò un villaggio sudvietnamita bruciato con il Napalm, con i civili, tra cui donne e bambini, nettamente visibili sullo sfondo che venivano circondati dalle fiamme. Il Presidente Americano Lyndon Johnson telefonò di persona il direttore della televisione, dicendogli di “aver sparato sulla bandiera americana”. Più genericamente, dai servizi televisivi fu comunque possibile ricavare un'impressione visiva, cruda e diretta dell'orrore della guerra.

La fotografia in Vietnam

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La guerra del Vietnam fu per certi versi l'ultimo trionfo dei fotoreporter. Dotati di nuove macchine più leggere e facili da usare e nuove pellicole a colori, seguirono la guerra ovunque e costituirono una componente essenziale dell'informazione di guerra. Moltissimi fotoreporter lavorano per riviste specializzate, su tutte l'americana "Life". La celebre foto di Nick Ut, bambina vietnamita che fugge dal suo villaggio piangendo e completamente nuda, divenne un'immagine simbolo della guerra, che raffigurava in un istante tutta la sua crudeltà. Altre, invece, raffiguravano i contadini vietnamiti terrorizzati dal Napalm, soldati americani in prima linea, nordvietnamiti che entrano festanti a Saigon. Tra i più celebri fotoreporter della guerra del Vietnam vi è Edward Burrows, rimasto ucciso durante gli scontri come molti altri colleghi.

Donne Reporter

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La guerra del Vietnam registrò, per la prima volta, un'inedita presenza di giornaliste. Quasi 70 vennero accreditate presso il quartier generale americano, spesso per prestigiosissime testate. Tra le reporter non americane spicca il nome di Oriana Fallaci. I servizi della Fallaci riuscirono a far emergere il quadro vivido della guerra soprattutto attraverso incontri con le persone più diverse. Furono interviste di risonanza mondiale quelle realizzate con il generale Vo Nguyen Jap, massima autorità militare nord-vietnamita, e con il presidente sudvietnamita Thieu. Altra personalità di spicco fu quella di Frances Fitzgerald. Autrice di Fire on the lake, considerato uno dei classici di quel vero e proprio sottogenere editoriale che diventò il reportage letterario-giornalistico sulla guerra. Il libro, acclamato per la notevole comprensione della cultura e della mentalità vietnamite, le valse il premio Pulitzer.

Oliviero Bergamini, Specchi di Guerra. Giornalismo e conflitti armati da Napoleone ad oggi., Bari-Roma, Editori Laterza, Giugno 2009.