Utente:Delehaye/Sandbox Convogli "GG" e "SS"

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

I Convogli "GG", "SS", "RR"[modifica | modifica wikitesto]


  • Convoglio "SS" (da Napoli il 29.03.1943 ore 18:00 verso Biserta il 01.04.1943 ore 10:00)
    • Piroscafo cisterna "Bivona"
    • Piroscafo "Aquila"
    • Piroscafo "Giacomo C."
    • Piroscafo "Charles Le Borgne" (tedesco)
    • Cacciatorpediniere "Lubiana" (caposcorta, capitano di fregata Luigi Caneschi)
    • Torpediniera di scorta "Tifone" (capitano di corvetta Stefano Baccarini)
    • Torpediniera "Giuseppe Dezza" (tenente di vascello Aldo Cecchi)
    • Cacciasommergibile "UJ 2205" (tedesco)
    • Cacciasommergibile "UJ 2208" (tedesco)
    • (altra fonte parla dei cacciasommergibili tedeschi UJ 2202, UJ 2203 e UJ 2207)
  • Convoglio "GG" (da Napoli il 29.03.1943 ore 19:30 verso Biserta il ??.04.1943 ore ??:00)
    • Piroscafo "Chieti"
    • Piroscafo "Nuoro" (capitano di lungo corso Angelini)
    • Piroscafo "Crema"
    • Piroscafo "Benevento"
    • Torpediniera "Clio" (capitano di corvetta Carlo Brambilla)
    • Torpediniera "Cigno" (capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia)
    • Torpediniera "Cassiopea" (capitano di corvetta Virginio Nasta)
    • Corvetta "Cicogna" (tenente di vascello Augusto Migliorini)
    • Cacciasommergibile "UJ 2203" (tedesco)
    • Cacciasommergibile "UJ 2210" (tedesco)
    • Torpediniera "Enrico Cosenz" (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli)
  • Convoglio "RR" (da Napoli il 29.03.1943 ore 19:30 verso Tunisi il ??.04.1943 ore ??:00)
    • Motonave "Belluno"
    • Motonave "Pierre Claude" (tedesca)
    • Torpediniera di scorta "Fortunale" (caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco)
    • Torpediniera "Enrico Cosenz" (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli)
    • Torpediniera "Antares"
    • Torpediniera "Sagittario"
    • Cacciasommergibile "UJ 2202" (tedesco)
    • Cacciasommergibile "UJ 2207" (tedesco)

Convoglio "GG"[modifica | modifica wikitesto]

Piroscafo cisterna "Bivona"[modifica | modifica wikitesto]

  • 28 marzo 1943

La Bivona si trova a Napoli quando si verifica nel porto l’esplosione della motonave Caterina Costa, carica di carburante e munizioni, che uccide almeno 549 persone e ne ferisce più di 3000, oltre ad affondare i rimorchiatori Oriente e Cavour e a causare ingenti danni al porto ed alla città. 29 marzo 1943 Alle 18:00 la Bivona, carica di carburante fino agli ombrinali, salpa da Napoli diretta a Biserta insieme ai piroscafi italiani Aquila (con a bordo veicoli, bombe d’aereo e munizioni) e Giacomo C. (con carri armati e munizioni) ed al tedesco Charles Le Borgne (carico di munizioni e bombe d’aereo). Il convoglio, denominato «SS», è scortato dal cacciatorpediniere Lubiana (caposcorta, capitano di fregata Luigi Caneschi), dalla moderna torpediniera di scorta Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini), dalla vetusta torpediniera Giuseppe Dezza (tenente di vascello Aldo Cecchi) e dai cacciasommergibili tedeschi UJ 2205 e UJ 2208, questi ultimi disposti in retroguardia (altra fonte parla dei cacciasommergibili tedeschi UJ 2202, UJ 2203 e UJ 2207). Il convoglio è in franchia alle 19:00, ed assume subito rotta diretta per Tunisi.

  • 30 marzo 1943

Verso le dieci del mattino il convoglio, rallentato dal Giacomo C. che è in avaria, viene superato da un altro convoglio («GG») composto dai piroscafi Nuoro, Crema e Benevento e scortato dalle torpediniere Clio, Cigno e Cassiopea. Alle 12:24 il sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter) avvista a 7 miglia di distanza il convoglio «SS», in navigazione verso sudest. Alle 13:31, ridotte le distanze a 5950 metri, il Tribune lancia tre siluri contro il Benevento in posizione 39°37’ N e 13°15’E (una cinquantina di miglia a nord di Ustica). Nessuna delle armi va a segno, ed alle 13:36 la Dezza passa al contrattacco, lanciando 15 bombe di profondità. Il Tribune, tuttavia, riesce ad eludere indenne la caccia dopo quasi un’ora e mezza. Il convoglio prosegue; il Giacomo C., troppo lento per proseguire con le altre navi, dev’essere però mandato a Palermo, assistito dalla Dezza. Le due navi lasciano il convoglio alle 17:50. Proseguono Bivona, Aquila, Le Borgne, Lubiana, Tifone ed i due cacciasommergibili tedeschi; anche senza il peso rappresentato dal Giacomo C. la velocità dei mercantili è esasperantemente bassa, soltanto sette nodi, ed il mare burrascoso causa forti ritardi che faranno sì che il convoglio doppi Capo Bon solo dopo che sarà calato il buio. Il convoglio «SS», a dispetto del sistematico “pedinamento” crittografico messo in atto dall’organizzazione britannica “ULTRA” (che tra il 29 ed il 31 marzo intercetta e decifra a più riprese numerose comunicazioni dell’Asse relative al convoglio, ricavandone il programma di viaggio e le informazioni relative al procedere della navigazione), supererà indenne gli agguati di sommergibili e motosiluranti e gli attacchi aerei – che invece affonderanno tutti e tre i mercantili del convoglio che l’ha preceduto – solo per andare distrutto a causa del maltempo.

  • 31 marzo 1943

Al largo di Capo Ras Mustafà (dove avviene l’atterraggio) il Lubiana ordina alle navi di disporsi in linea di fila. Le navi si tengono molto vicine alla costa tunisina, per via del pericolo costituito dai campi minati. Al tramonto del 31 marzo, mentre il mare ingrossa da nordovest, le navi giungono in vista di Capo Bon; alle 20.45, appena superato tale Capo, il Lubiana ordina di disporsi in linea di fronte nell’ordine, dal largo verso il lato rivolto alla costa: un cacciasommergibili tedesco, la Bivona, il Le Borgne, l’Aquila e l’altro cacciasommergibili; la Tifone procede in testa al convoglio, a proravia della Bivona, mentre il Lubiana precede la Tifone di circa un miglio, tenendosi a 40-45 gradi a prua sinistra di quest’ultima. Il tempo va peggiorando: mare e vento (vento fresco da nordovest, in aumento) peggiorano e la visibilità cala (solo il fanale di Zembretta è visibile a tratti, unico punto di riferimento per le navi, che lo usano per calcolare la loro posizione con rilevamenti successivi), finché, alle 21.42, il Lubiana, che il vento ha fatto scarrocciare verso terra, s’incaglia malamente presso Ras Ahmer (otto miglia ad ovest di Capo Bon), restando immobilizzato con gravi danni (tanto che sarà poi considerato perduto e abbandonato sul posto) e senza corrente. Quando la Tifone passa accanto al cacciatorpediniere, il comandante di quest’ultimo le ordina col megafono (in mancanza di corrente, la radio non funziona) di scostare al largo, accostando a dritta, ed assumere il ruolo di caposcorta. Mentre la burrasca va peggiorando, la Tifone cerca di segnalare con ogni mezzo ai mercantili di allargare, per evitare di incagliarsi a loro volta, ma nessuno sembra ricevere o capire il messaggio: solo la Bivona, intuito il pericolo (secondo il rapporto del caposcorta Caneschi, fermata al traverso a sinistra del Lubiana), segue la Tifone nella manovra di accostata di 20° a dritta, mentre le altre navi sono sparite nella notte, e non rispondono alle chiamate effettuate col fanale da segnalazione. Il vento continua a sospingere tutte le unità verso terra, e la visibilità è pressoché nulla. Il sottocapo furiere Alberto Ferrari, imbarcato sulla Tifone, ricorderà nel suo libro di memorie "L’ultima torpediniera per Tunisi": «…solo il Bivona ci seguiva, nell’accostata improvvisa, conseguente all’avviso del comandante Caneschi, intuendo il pericolo. (…) Per fortuna il Bivona ci seguiva a vista: le petroliere erano sempre state il nostro debole… Dovevamo attardarci per cercare gli altri (…) Non potemmo far altro che tenerci cara la petroliera, unica indenne, con cui proseguimmo per Biserta. Era quasi l’alba ormai, la tempesta era al suo massimo sviluppo. Non sapevamo allora se gli Alleati avrebbero avuto il fegato di sfidare il “Tifone”, quello in cielo e quello in mare. Il nostro Tifone al comando del capitano di corvetta Stefano Baccarini li attendeva: “Ben vengano, se credono, non ci toccheranno la nave più preziosa del convoglio. Ha tanto carburante per bruciare il paglione anche a loro”…». Il Le Borgne passa vicino al Lubiana, il cui comandante Caneschi gli grida di accostare subito, ma l’equipaggio tedesco del piroscafo non comprende l’avviso, così anch’esso va ad incagliarsi circa cento metri più avanti; l’Aquila, che lo segue, lo sperona a poppa e s’incaglia pure lui. Rimangono così soltanto Bivona e Tifone: la prima segue a vista la seconda, a bordo non si sa niente di cosa sia accaduto alle altre navi, semplicemente perse di vista nel buio della notte. Bivona e Tifone riducono pertanto la velocità, in attesa di qualche segno di vita dalle navi scomparse; la torpediniera, sempre seguita dalla nave cisterna, si attarda sul posto a velocità minima in attesa di avere notizie delle unità disperse ed alle 22.30 s’imbatte nell’Aquila, che è riuscito a disincagliarsi ma è fortemente appruato, causa l’acqua imbarcata dalle falle subite nella collisione, e non risponde ai segnali coi quali gli si chiede cosa sia successo. Sopraggiunge anche uno dei cacciasommergibili: la Tifone riesce ad ordinargli, a mezzo segnali luminosi col proiettore di coffa, di mettersi a cercare l’unità similare e dare assistenza all’Aquila; per parte sua l’unità tedesca riferisce che il Le Borgne è incagliato vicino al Lubiana e che i danni dell’Aquila sono dovuti a collisione con il Le Borgne. Alla Tifone, essendo troppo pericoloso restare ancora in acque tanto insidiose, non resta che proseguire scortando la Bivona, nave più preziosa del convoglio nonché unico mercantile rimasto indenne. L’Aquila si andrà poi ad incagliare presso Capo Zebib, per non affondare, ma andrà comunque perduto.

  • 1° aprile 1943

Subito dopo mezzanotte la torpediniera Sagittario (tenente di vascello Alessandro Senzi), proveniente da Tunisi dove ha lasciato un altro convoglio, giunge incontro a Bivona e Tifone; quest’ultima le ordina di andare ad assistere il Lubiana (che però non sarà recuperabile, al pari di Aquila e Le Borgne). Alle dieci del mattino Bivona e Tifone entrano finalmente a Biserta.

Piroscafo da carico "Aquila"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

Come tanti altri piroscafi ex francesi, l’Aquila ebbe vita brevissima sulle rotte del Canale di Sicilia: il suo primo viaggio per la Tunisia fu anche l’ultimo. Ma non furono i sempre più agguerriti nemici a porre fine alla sua storia, quanto un catastrofico incidente. Alle 18 del 29 marzo 1943, infatti, l’Aquila salpò da Napoli insieme ai piroscafi Giacomo C. (italiano) e Charles Le Borgne (tedesco) ed alla nave cisterna Bivona. Solo il Giacomo C. apparteneva alla flotta mercantile italiana d’anteguerra: le altre navi erano, al pari dell’Aquila, mercantili ex francesi. Il carico dell’Aquila consisteva in automezzi, bombe d’aereo e munizioni. Il convoglio, diretto a Biserta e denominato «SS», era scortato dal cacciatorpediniere Lubiana (capitano di fregata Luigi Caneschi, caposcorta), altra unità di provenienza estera (ex jugoslavo), dalla moderna torpediniera di scorta Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini), dalla vetusta torpediniera Giuseppe Dezza (tenente di vascello Aldo Cecchi) e da due cacciasommergibili tedeschi, l’UJ 2205 e l’UJ 2208 (questi ultimi due posizionati in retroguardia). Alle 19 le navi furono in franchia ed ebbe inizio la navigazione.

  • 30 marzo 1943

Raggiunto e superato alle dieci del mattino del 30 dal convoglio «GG», anch’esso composto da piroscafi ex francesi (Nuoro, Crema e Benevento, tutti affondati prima di giungere a destinazione), il convoglio «SS» non ebbe una navigazione fortunata. Dopo neanche ventiquattr’ore di navigazione, infatti, cominciò a perdere pezzi: alle 17.50 del 30 marzo il Giacomo C., troppo lento per proseguire insieme alle altre navi, dovette essere dirottato su Palermo. La Dezza fu distaccata per scortarlo (le due navi giunsero nel porto siciliano alle due di notte del 31). Il resto del convoglio proseguì nella navigazione, che non fu molestata, cosa quasi incredibile in quel tormentato periodo, da alcun attacco angloamericano. La velocità dei mercantili era esasperantemente bassa, solo sette nodi, ed il mare burrascoso causò forti ritardi che fecero sì che il convoglio doppiasse Capo Bon solo dopo che fu calato il buio.

  • 31 marzo 1943

Atterrate a Ras Mustafà, le sette navi si disposero in linea di fila, su ordine del caposcorta, e proseguirono lungo la costa tunisina (tenendosi molti vicine alla costa, per il pericolo costituito dai campi minati), ma alle 20.45 del 31 marzo, subito dopo che il convoglio aveva superato Capo Bon, il caposcorta Caneschi ordinò di passare in linea di fronte nel seguente ordine, dal largo verso la costa: un cacciasommergibili tedesco, la Bivona, il Le Borgne, l’Aquila ed infine l’altro cacciasommergibili. La Tifone doveva posizionarsi a proravia della Bivona, mentre il Lubiana avrebbe preceduto tutto il convoglio, trovandosi a 2 km per 40° dalla prora sinistra della Tifone (verso terra). Il tempo non era dei migliori: soffiava un vento fresco da nordovest, in aumento, e la visibilità era scarsa. Ciononostante, comunque, risultava visibile il fanale di Zembretta, l’unico in zona che fosse acceso; il Lubiana cercò di regolare la navigazione con rilevamenti successivi di questo fanale, ma alle 21.42 il cacciatorpediniere s’incagliò all’improvviso presso Ras Ahmer, otto miglia ad ovest di Capo Bon. Il sinistro era già grave di per sé, ma il peggio fu che i danni subiti fecero mancare la corrente a bordo del Lubiana: così, il caposcorta non poté contattare il convoglio che lo seguiva per avvertirlo del pericolo. Intanto, il vento spirava sempre più forte ed il mare diveniva sempre più burrascoso, peggiorando la situazione. Solo quando la Tifone passò a portata di voce dalla nave incagliata, Caneschi poté dirle col megafono di accostare a dritta; la torpediniera fece in tempo a fermare anche la Bivona, che la seguì nell’accostata (di 20° a dritta) ed evitò l’incaglio, ma gli altri due piroscafi non risposero alle chiamate che la Tifone effettuava col fanale di segnalazione (Baccarini pensò anche di sparar col cannone poppiero per far capir loro che dovevano allargare, ma alla fine decise di non farlo per non aumentare la confusione), e proseguirono verso la loro rovina. Il Charles Le Borgne, non capendo quello che Caneschi gli gridava al megafono, s’incagliò circa ottanta metri a dritta del Lubiana; l’Aquila, che lo seguiva nella scia, manovrò per evitare il piroscafo tedesco, ma non ci riuscì e lo speronò a poppa, sul lato sinistro. Tifone e Bivona, che avevano perso di vista le altre navi nel buio della notte, ridussero la velocità al minimo per aspettarle; alle 22.30 l’Aquila, che aveva almeno evitato l’incaglio, riuscì faticosamente a raggiungere le altre due navi. Arrancava, visibilmente appruato, e la Tifone gli chiese cosa fosse successo, ma non ebbe risposta. A quel punto il comandante della torpediniera, non volendo sostare ancora in acque pericolose, riprese la navigazione verso Biserta senza attendere il Le Borgne (attesa d’altra parte inutile, visto che si era incagliato; di questo, però, Baccarini era all’oscuro). Il viaggio dell’Aquila, che nella collisione con il Le Borgne – benché questa non fosse stata violenta – aveva riportato uno squarcio a prua, era però giunto al capolinea: il piroscafo imbarcava molta acqua e, per non affondare, dovette portarsi all’incaglio presso Capo Zebib (dove si trovava incagliato anche il piroscafo Benevento del convoglio «GG», danneggiato da motosiluranti poche ore prima) poco dopo le otto del mattino del 1° aprile. La Tifone distaccò uno dei cacciasommergibili tedeschi per assisterlo, poi proseguì per Biserta con la Bivona. Il sottocapo Alberto Ferrari della Tifone ricordò poi: «Per fortuna il Bivona ci seguiva a vista: le petroliere erano sempre state il nostro debole… Dovevamo attardarci per cercare gli altri (…) finalmente, avvistammo l’Aquila tutto appruato. Il comandante Baccarini pensò che, se quella era in simili condizioni, il Le Borgne non doveva essere da meno. L’Aquila non rispose ai nostri segnali: non sapevamo cosa fosse accaduto: mina, siluro, sinistro a bordo? Ci passò accanto un CSMG [cacciasommergibili, nda; uno dei due UJ tedeschi] (…) Il nostro comandante gli ordinò di assistere l’Aquila e rintracciare l’altro suo collega, se era ancora a galla. (…) L’Aquila arrancava penosamente finché, esausta, andò anch’essa ad arenarsi presso Capo Zebib.» Non vi furono perdite tra l’equipaggio dell’Aquila. L’Aquila ed il Benevento, essendo entrambi incagliati a Capo Zebib, alle 16.09 del 4 aprile vennero anche attaccati da aerei: mentre il Benevento fu colpito a prua da alcune bombe, l’Aquila venne mancato. I successivi tentativi di disincagliare la nave, tuttavia, fallirono, ed alla fine l’Aquila – al pari del Benevento – dovette essere abbandonato dov’era (fu ufficialmente considerato perduto il 9 maggio 1943, data dell’occupazione nemica dell’area di Zebib). Parte dei carichi dell’Aquila e del Benevento poté essere recuperata dopo che il mare si fu calmato, ma l’11 aprile, durante le operazioni di trasbordo, andarono perduti per maltempo ben quattro pontoni semoventi (Siebelfähre) tedeschi (SF 211, SF 212, SF 218 e SF 221). Anche Lubiana e Le Borgne, che non poterono essere più disincagliati, dovettero essere abbandonati sul posto e considerati perduti. Merita menzione il fatto che i movimenti del convoglio «SS» non sfuggirono affatto a “ULTRA”: i decrittatori britannici svelarono il programma di viaggio del convoglio e ne seguirono le vicende con continuità dal 29 al 31 marzo, ma il disastro colpì prima delle loro forze aeronavali.

==== Torpediniera di scorta "Tifone":

  • 25-28 marzo 1943

Durante i tre giorni di sosta a Napoli, l’equipaggio provvede a rassettare le attrezzature usurate dal lungo servizio, ripulire i tubi delle caldaie ed anche scendere in franchigia per la prima volta dall’ultima partenza da Taranto. (Il servizio di scorta è infatti così intenso che di solito l’equipaggio non ha mai tempo per scendere a terra, e neanche per riparare i danni e rimediare all’usura della nave: ogni volta ci si rifornisce di acqua, nafta e munizioni e si riparte subito per una nuova missione. Nei porti africani, poi, anche quando si è in porto vengono mantenuti i turni di servizio e di guardia che ci sono in navigazione, dati i continui attacchi aerei. Quasi mai l’occasione di dormire in branda; nessuna attenzione più alla un tempo regolamentare cura della divisa, con vestiti sempre più rabberciati, senza che i commissariati avessero più indumenti da fornire. Come ricorderà Alberto Ferrari: «“Le turbine perdevano vapore?” “Metteteci sopra uno strapuntino”, era la risposta. “Le mitragliere erano roventi dall’usura?” “Pisciateci sopra!” “Equipaggi, siete all’orlo del collasso?” “Presto lascerete con onore questa valle di lacrime”»). Il comandante in seconda Sturlese sbarca, sostituito dal tenente di vascello Luigi Sanfilippo.

  • 28 marzo 1943

La Tifone, già pronta a muovere da Napoli in poche ore per partire come previsto, viene fatta salpare subito verso Torre Annunziata quando viene dato l’allarme per l’incendio della motonave Caterina Costa, carica tra l’altro di benzina e munizioni. Più tardi, quando la Tifone sarà già lontana e al sicuro, la motonave salterà infatti in aria, uccidendo almeno 549 e ferendone oltre 3000, oltre ad affondare i rimorchiatori Oriente e Cavour e a causare ingenti danni al porto ed alla città.

  • 29 marzo 1943

Poco dopo che a Napoli la Caterina Costa è esplosa, la Tifone lascia Torre Annunziata per assumere la scorta di un convoglio (denominato «SS») partito alle 18 e composto dalla nave cisterna Bivona, carica di carburante, dai piroscafi italiani Aquila (con a bordo veicoli, bombe d’aereo e munizioni) e Giacomo C. (con carri armati e munizioni) e dal tedesco Charles Le Borgne (carico di munizioni e bombe d’aereo). A testimonianza della decimazione della flotta mercantile italiana dell’anteguerra, tre su quattro (tranne il Giacomo C.) sono navi ex francesi catturate da pochi mesi. La scorta, oltre che dalla Tifone, è composta dal cacciatorpediniere Lubiana (caposcorta, capitano di fregata Luigi Caneschi) e dalla vetusta torpediniera Giuseppe Dezza (tenente di vascello Aldo Cecchi), più i cacciasommergibili tedeschi UJ 2205 e UJ 2208 in retroguardia. Il convoglio è in franchia alle 19, ed assume subito rotta diretta per Tunisi.

  • 30 marzo 1943

Verso le dieci del mattino il convoglio, rallentato dal Giacomo C. che è in avaria, viene superato da un altro convoglio composto dai piroscafi Nuoro, Crema e Benevento e scortato dalle torpediniere Clio, Cigno e Cassiopea. Il Giacomo C. dev’essere infine mandato a Palermo (alle 17.50), assistito dalla Dezza; proseguono Lubiana, Tifone, Aquila, Bivona e Le Borgne. Il convoglio della Tifone supererà indenne gli agguati di sommergibili e motosiluranti e gli attacchi aerei – che invece affonderanno tutti e tre i mercantili del convoglio che l’ha preceduto – solo per andare distrutto a causa del maltempo.

  • 31 marzo 1943

Al largo di Capo Ras Mustafà (dove avviene l’atterraggio) il Lubiana ordina alle navi di disporsi in linea di fila. Al tramonto del 31 marzo, mentre il mare ingrossa da nordovest, le navi giungono in vista di Capo Bon; alle 20.45 il Lubiana ordina di disporsi in linea di fronte nell’ordine, dal largo verso il lato rivolto alla costa: un cacciasommergibili tedesco, la Bivona, il Le Borgne, l’Aquila e l’altro cacciasommergibili; la Tifone procede in testa al convoglio, a proravia della Bivona, mentre il Lubiana precede la torpediniera di circa un miglio, tenendosi a 40-45 gradi a prua sinistra di quest’ultima (a 2000 metri per 40° dalla sua prua, a sinistra; cioè più verso terra). Il tempo va peggiorando: mare e vento (vento fresco da nordovest, in aumento) peggiorano e la visibilità cala (solo il fanale di Zembretta è visibile a tratti, unico punto di riferimento per le navi, che lo usano per calcolare la loro posizione), finché, alle 21.42, il Lubiana, che il vento ha fatto scarrocciare verso terra, s’incaglia malamente presso Ras Ahmer (otto miglia ad ovest di Capo Bon), restando immobilizzato con gravi danni (tanto che sarà poi considerato perduto e abbandonato sul posto) e senza corrente. Quando la Tifone passa accanto al cacciatorpediniere, il comandante di quest’ultimo, capitano di fregata Caneschi, le ordina col megafono (in mancanza di corrente, la radio non funziona) di scostare al largo (accostando a dritta) ed assumere il ruolo di caposcorta. Mentre la burrasca va peggiorando, la Tifone cerca di segnalare con ogni mezzo ai mercantili di allargare, per evitare di incagliarsi a loro volta, ma nessuno sembra ricevere o capire il messaggio: solo la Bivona, intuito il pericolo, segue la Tifone nella manovra (la torpediniera accosta di 20° a dritta), mentre le altre navi sono sparite nella notte, e non rispondono alle chiamate effettuate col fanale da segnalazione. Il vento continua a sospingere tutte le unità verso terra, e la visibilità è pressoché nulla. Il Le Borgne passa vicino al Lubiana, il cui comandante Caneschi gli grida di accostare subito, ma l’equipaggio tedesco del piroscafo non comprende l’avviso, così anch’esso va ad incagliarsi circa cento metri più avanti; l’Aquila, che lo segue, lo sperona a poppa e s’incaglia pure lui. Di tutto questo, così come della sorte dei cacciasommergibili tedeschi, la Tifone è totalmente all’oscuro: solo la Bivona la segue a vista. Le due navi procedono a bassa velocità, in attesa di qualche segno di vita dalle navi scomparse; la torpediniera torna indietro in cerca delle unità disperse, governando al minimo dei giri, finché alle 22.30 s’imbatte nell’Aquila, che è riuscito a disincagliarsi ma è fortemente appruato, causa l’acqua imbarcata dalle falle subite nella collisione, e non risponde ai segnali coi quali gli si chiede cosa sia successo. Sopraggiunge anche uno dei cacciasommergibili: la Tifone riesce ad ordinargli, a mezzo segnali luminosi col proiettore di coffa, di mettersi a cercare l’unità similare e dare assistenza all’Aquila; per parte sua l’unità tedesca riferisce che il Le Borgne è incagliato vicino al Lubiana e che i danni dell’Aquila sono dovuti a collisione con il Le Borgne. Alla Tifone, essendo troppo pericoloso restare ancora in acque tanto insidiose, non resta che proseguire scortando la Bivona, nave più preziosa del convoglio nonché unico mercantile indenne. L’Aquila si andrà poi ad incagliare presso Capo Zebib, per non affondare, ma andrà comunque perduto.

  • 1° aprile 1943

Alle 00.00 la torpediniera Sagittario, proveniente da Tunisi dove ha lasciato un altro convoglio, viene incontro a Tifone e Bivona; la Tifone le ordina di andare ad assistere il Lubiana (che però non sarà recuperabile, al pari di Aquila e Le Borgne) dopo di che, alle 10 del 1° aprile, entra finalmente a Biserta assieme alla petroliera. L’equipaggio della Tifone inizia subito a riparare i danni causati dalla burrasca, i quali tuttavia si rivelano più estesi di quanto inizialmente pensato, tanto che, contrariamente a quanto previsto, la torpediniera non potrà ripartire con la Bivona il 4 aprile, dovendo essere rimpiazzata dalla Sagittario.

Torpediniera "Giuseppe Dezza"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

Alle 18 la Dezza (tenente di vascello Aldo Cecchi) salpa da Napoli per assumere la scorta di un convoglio (denominato «SS») composto dalla nave cisterna Bivona, carica di carburante, dai piroscafi italiani Aquila (con a bordo veicoli, bombe d’aereo e munizioni) e Giacomo C. (con carri armati e munizioni) e dal tedesco Charles Le Borgne (carico di munizioni e bombe d’aereo). A testimonianza della decimazione della flotta mercantile italiana dell’anteguerra, tre su quattro (tranne il Giacomo C.) sono navi ex francesi catturate da pochi mesi. La scorta, oltre che dalla Dezza, è composta dal cacciatorpediniere Lubiana (caposcorta, capitano di fregata Luigi Caneschi) e dalla moderna torpediniera di scorta Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini), più i cacciasommergibili tedeschi UJ 2205 e UJ 2208 in retroguardia (altra fonte parla dei cacciasommergibili tedeschi UJ 2202, UJ 2203 e UJ 2207). Il convoglio è in franchia alle 19, ed assume subito rotta diretta per Tunisi.

  • 30 marzo 1943

Verso le dieci del mattino il convoglio, rallentato dal Giacomo C. che è in avaria, viene superato da un altro convoglio composto dai piroscafi Nuoro, Crema e Benevento e scortato dalle torpediniere Clio, Cigno e Cassiopea. Alle 12.24 il sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter) avvista a 7 miglia di distanza il convoglio italiano, in navigazione verso sudest. Alle 13.31, ridotte le distanze a 5950 metri, il Tribune lancia tre siluri contro il Benevento in posizione 39°37’ N e 13°15’E (una cinquantina di miglia a nord di Ustica). Nessuna delle armi va a segno, ed alle 13.36 la Dezza passa al contrattacco, lanciando 15 bombe di profondità. Il Tribune, tuttavia, riesce ad eludere indenne la caccia dopo quasi un’ora e mezza. Il convoglio prosegue; il Giacomo C. dev’essere però mandato a Palermo, assistito dalla Dezza. Le due navi lasciano il convoglio alle 17.50.

  • 31 marzo 1943

Dezza e Giacomo C. arrivano a Palermo alle 00.20.

Convoglio "SS"[modifica | modifica wikitesto]

Piroscafo "Nuoro"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

Alle otto di sera del 29 marzo 1943 il Nuoro, al comando del capitano di lungo corso Angelini, partì da Pozzuoli per il suo primo viaggio verso la Tunisia, con destinazione Biserta. A bordo si trovavano 115 anime ed un carico di rifornimenti per le truppe italo-tedesche che combattevano in Tunisia: 850 tonnellate di provviste, 650 tonnellate di munizioni, 70 tonnellate di merci varie, 60 veicoli e quattro pezzi d’artiglieria. L’equipaggio civile era composto da 33 uomini, mentre quello militare, che contava in tutto 35 elementi, era decisamente eterogeneo: tre ufficiali, tutti italiani (il regio commissario, il commissario militare ed un sottotenente del Regio Esercito, incaricato della direzione del tiro); quattro marinai della Regia Marina, addetti alle segnalazioni; tre carabinieri; ventuno artiglieri del Regio Esercito, addetti alle mitragliere contraeree; quattro soldati tedeschi, addetti al pallone aerostatico di sbarramento. Ai 68 civili e militari dell’equipaggio si aggiungevano inoltre 47 militari di passaggio diretti in Nordafrica: in parte erano militari italiani del 38° Autoreparto, in parte soldati tedeschi. Per difendersi dagli attacchi aerei, il Nuoro era armato con quattro mitragliere da 20 mm; inoltre, per quel solo viaggio, erano state aggiunte anche due mitragliere contraeree di tipo tedesco, che vennero piazzate a poppa. C’era infine una difesa passiva, costituita dal già citato pallone aerostatico di sbarramento, che avrebbe dovuto intralciare la manovra di eventuali aerei attaccanti.

La traversata doveva avvenire con un convoglio lento (9 nodi) denominato «GG», insieme ai piroscafi Crema e Benevento; un quarto piroscafo, il Chieti, avrebbe inoltre fatto parte del convoglio fino a Palermo. Mentre il Nuoro partì da Pozzuoli, le altre navi salparono da Napoli alle 19.30 di quella sera, ad eccezione del Benevento, temporaneamente trattenuto in porto da alcune non gravi avarie che ritardarono la sua partenza all’1.30 del 30 marzo. La partenza del convoglio era stata originariamente programmata per il 27 marzo, ma era stata più volte rinviata a causa del maltempo. Lasciata Pozzuoli, il Nuoro si aggregò al resto del convoglio all’altezza di Capo Miseno. La scorta del convoglio era formata da due torpediniere della classe Spica, la Cigno (caposcorta, capitano di corvetta Carlo Maccaferri) e la Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta), e da due cacciasommergibili tedeschi, l’UJ 2203 e l’UJ 2210. Comandante superiore in mare era il capitano di vascello Francesco Camicia, imbarcato sulla Cigno. Una terza torpediniera della stessa classe, la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), rimase a Napoli con l’incarico di scortare il Benevento quando questo fosse potuto partire. Le prime venti ore di navigazione trascorsero senza che si avesse a registrare alcun avvenimento di rilievo. Alle quattro del pomeriggio del 30 marzo si aggregò al convoglio anche la moderna corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini), partita da Trapani, che poco dopo se ne separò insieme al Chieti, la cui destinazione, a differenza delle altre navi, era Palermo; la Cicogna era stata inviata appunto a ‘prelevare’ il Chieti ed accompagnarlo nel capoluogo siciliano. Scortato il Chieti fino al porto siciliano, dove giunse alle 23.35 dello stesso 30 marzo (e dove il piroscafo venne affondato due settimane più tardi da un bombardamento aereo), la Cicogna riprese subito il mare per tornare ad unirsi al convoglio.

  • 3 marzo 1943

Quest’ultimo, intanto, aveva raggiunto Trapani all’1.45 di notte del 31 marzo, sostando in quella rada fino alle tre di notte per aspettare il Benevento. Secondo quanto scritto dal comandante Angelini nel suo rapporto, anzi, le navi raggiunsero Trapani già verso le 22 del 30 marzo: a quell’ora il Nuoro, giunto in prossimità della rada di Trapani, ricevette ordine dalla Cigno di dirigere verso lo scoglio Formica e mettervisi alla fonda; dopo un’ora il convoglio rimise in moto per raggiungere l’ancoraggio, manovra che fu portata a termine verso l’una di notte del 31 marzo. Alle tre di notte un rimorchiatore militare si avvicinò e consegnò gli ordini per la prosecuzione della traversata; alle 3.30 arrivò l’ordine di ripartire subito e fare rotta su Biserta, pertanto il convoglio si riformò e lasciò Trapani per iniziare l’attraversamento del Canale di Sicilia. Alle 6.30 del 31 marzo, al largo di Trapani e poco ad ovest delle Isole Egadi, raggiunse il convoglio anche il ritardatario Benevento, scortato dalla Clio e dal cacciasommergibili tedesco UJ 2207; queste ultime andarono a rinforzare la scorta del convoglio, che dieci minuti più tardi fu raggiunto anche dalla Cicogna. Alle 14.43 del 30 marzo Benevento e Clio avevano evitato con la manovra due siluri lanciati dal sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter), una cinquantina di miglia a nord di Ustica. Così riunito, il convoglio «GG» puntò infine su Biserta, con i piroscafi in linea di fronte. La scorta era di tutto rispetto: per proteggere tre piroscafi, erano state mobilitate tre torpediniere, una modernissima corvetta e tre cacciasommergibili, oltre ad una poderosa scorta aerea con velivoli da caccia sia italiani che tedeschi. Caposcorta era sempre la Cigno. Tutti e tre i piroscafi del convoglio «GG» (come pure il Chieti) erano navi ex francesi, consegnate all’Italia in seguito all’occupazione della Francia meridionale; tutti e tre erano al loro primo viaggio verso la Tunisia; nessuno sarebbe mai arrivato a Biserta. I comandi britannici erano al corrente del viaggio di questo convoglio già da giorni: la prima intercettazione da parte dei decrittatori di “ULTRA” di una comunicazione relativa alla partenza per l’Africa di quelle navi risaliva al 27 marzo, quando avevano decifrato un messaggio dal quale risultava che i mercantili Nuoro, Crema, Benevento, Capua e Caterina Costa erano «attesi a breve scadenza in Tunisia, provenienti dall’Italia». Il 28 marzo gli specialisti di “ULTRA” avevano decrittato un’altra comunicazione che aveva rivelato che «Benevento, Nuoro e Crema avrebbero dovuto lasciare Napoli il giorno 27 per la Tunisia, tempo permettendo», e l’indomani un’altra ancora da cui era risultato che «Sono attesi i seguenti arrivi, sempre condizionati dallo stato del tempo: a Tunisi il giorno 31 verso le 23.00 Crema, Nuoro e Benevento». Il 31 marzo, infine, un’ultima intercettazione aveva permesso ad “ULTRA” di apprendere che «Crema, Nuoro e Benevento hanno lasciato Napoli alle 22.00 del giorno 29. Essi doppieranno l’isola di Marettimo alle 6.30 del 31 e procederanno per Biserta». Le forze aeronavali britanniche si erano organizzate di conseguenza.

Alle dieci del mattino del 31 marzo la Cigno comunicò a tutte le navi del convoglio che era stato avvistato un ricognitore nemico; più o meno a quell’ora il convoglio «GG» raggiunse e superò un altro convoglio diretto in Tunisia, l’«SS» (partito da Napoli alle 18 del 29 marzo e diretto a Biserta), formato dai piroscafo Aquila, Giacomo C. e Charles Le Borgne (quest’ultimo tedesco) e dalla nave cisterna Bivona, scortati dal cacciatorpediniere Lubiana, dalla torpediniera di scorta Tifone, dalla torpediniera Giuseppe Dezza e dai cacciasommergibili tedeschi UJ 2205 e UJ 2208. Alle 13.52 venne segnalato a tutte le navi del convoglio «GG» l’avvistamento in quota di bombardieri avversari. In quel momento il convoglio si trovava una decina di miglia ad est del Banco di Skerki; otto bombardieri bimotori, identificati da parte italiana come dei Lockheed Hudson, apparvero volando ad una quota compresa tra i 2500 ed i 3000 metri, scortati da quattro o cinque caccia Lockheed P-38 “Lightning”. Sia i piroscafi che le navi scorta aprirono subito un rabbioso tiro contraereo con le loro mitragliere; nessuno dei velivoli attaccanti, tuttavia, venne colpito. I bombardieri sganciarono le bombe; sebbene il lancio risultasse centrato, nessuno degli ordigni andò a segno, ed il convoglio proseguì indenne. Numerose bombe caddero in mare a 50-100 metri dagli scafi del Nuoro e del Benevento, senza causare danni. In realtà, i bombardieri attaccanti non erano dei Lockheed Hudson, bensì dei North American B-25 “Mitchell” (anch’essi bimotori, e di aspetto somigliante a quello degli Hudson) del 321st Bomb Group dell’USAAF. I bombardieri di questo reparto avevano già compiuto un primo “rastrello antinave” durante il mattino, quando un gruppo di “Mitchell” era decollato alle 7.45 con la scorta di caccia P-38 “Lightning” del 1st Fighter Group. Gli aerei avevano però incontrato maltempo e non avevano trovato niente, interrompendo pertanto la missione e rientrando alla base. Gli aerei che attaccarono il convoglio alle 13.52 erano invece decollati alle 13.45 (12.45 secondo le fonti statunitensi, che mostrano una differenza di un’ora rispetto a quelle italiane, evidentemente dovuta a differenze nel fuso orario); inizialmente la formazione era composta da quattordici B-25 del 321st Bomb Group, scortati da 25 caccia P-38 del 1st Fighter Group, ma sei bombardieri e tredici caccia erano tornati indietro poco più tardi. Il resto degli aerei aveva invece avvistato il convoglio «GG» alle 12.55 (fonti statunitensi, con la già menzionata differenza di fuso orario), una quindicina di miglia a nord di Capo Bon, stimandone la composizione in due grossi mercantili (probabilmente Nuoro e Benevento) ed altre quattro navi. Gli equipaggi statunitensi ritennero erroneamente di aver colpito con una bomba uno dei grossi mercantili, e di aver mancato di poco (“near miss”) un altro mercantile di piccole dimensioni (probabilmente il Crema, il più piccolo dei tre piroscafi). Sebbene il caposcorta Camicia avesse affermato nel suo rapporto che «gli aerei da caccia nazionali e alleati [tedeschi] non hanno avuto contatti con aerei nemici» perché al momento dell’attacco stavano volando a bassa quota, in realtà i “contatti” ci furono eccome: i piloti degli aerei americani riferirono di essere stati attaccati da un totale di sei caccia Messerschmitt Bf 109, tre Focke-Wulf Fw 190 e due Messerschmitt Bf 110. I mitraglieri dei B-25 rivendicarono il danneggiamento di un caccia tedesco ed il probabile abbattimento di un altro; da parte tedesca, i piloti dei Messerschmitt del 7./Jagdgeschwader 53 ritennero erroneamente di aver abbattuto tre B-25 (uno alle 14.25, dal sottotenente Karl Vockelmann, 25 km a nordovest di Capo Bon; uno alla stessa ora, dal sottotenente Walter Hicke, 30 km a nordovest di Capo Bon; uno alle 14.27, dal sergente Günter Seeger, 35 km a nordovest di Capo Bon). In realtà nessun aereo, né statunitense né tedesco, andò perduto in questo scontro. Alle 14.24 le navi del convoglio avvistarono l’anziana torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli), distaccata alle 11.25 di quel mattino dal caposcorta del convoglio «RR» (motonavi Belluno e Pierre Claude, in navigazione da Napoli a Tunisi con la scorta delle torpediniere Fortunale, Antares e Sagittario e di due cacciasommergibili tedeschi), che precedeva il «GG» di una quarantina di miglia, con il compito di rafforzare ulteriormente la scorta di quest’ultimo. Raggiunto il convoglio, la Cosenz funse inoltre da unità pilota sulla rotta di Zembretta; alle 15.45 i piroscafi ricevettero l’ordine di modificare la formazione, passando dalla linea di fronte alla linea di fila, e subito dopo vennero informate di un nuovo avvistamento di velivoli avversari.

Alle 15.57, infatti, quando le navi si trovavano già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, si verificò un nuovo poderoso attacco, da parte di un totale di 31 tra bombardieri ed aerosiluranti angloamericani. Ciò secondo le stime italiane; da parte statunitense risulta che questo attacco fu portato da una formazione di quindici bombardieri B-25 Mitchell del 321st Bomb Group, al loro terzo ed ultimo “rastrello antinave” della giornata, scortati da venticinque caccia P-38 del 95th Squadron dell’82nd Fighter Group. Gli aerei erano decollati alle 13.45 (12.45 per le fonti statunitensi); uno dei B-25 e tre dei P-38 erano però dovuti rientrare alla base poco dopo il decollo. Gli altri avevano avvistato un convoglio al largo di Zembra verso le 15.50 (14.50 per le fonti statunitensi), apprezzandone la composizione come quattro cacciatorpediniere, un trasporto, un pontone Siebel e quattro chiatte, e poco lontano una nave scorta e quattro grossi mercantili, uno dei quali a rimorchio. In realtà, le navi avvistate erano quelle del convoglio «GG». La scorta aerea italo-tedesca reagì prontamente: un singolo bombardiere Junkers Ju 88 del II./Kampfgeschwader 76 riuscì ad attirare su di sé l’attenzione di diverse squadriglie di P-38, portandoli lontano dai bombardieri; i piloti dell’82nd Fighter Group si ritrovarono sotto attacco da parte di un totale di dieci Messerschmitt Bf 109, uno Ju 88 ed alcuni caccia italiani (numero e tipo non specificato). Gli aerei dell’Asse scompaginarono la formazione dei bombardieri, costringendo molti di essi a scaricare le loro bombe in mare ed a ritirarsi senza attaccare; i restanti B-25 attaccarono in due gruppi, dei quali uno effettuò il suo attacco da appena 30 metri di quota, secondo la tattica dello “skip bombing” (nel quale le bombe venivano sganciate dal bombardiere a bassissima quota ed a ridotta distanza dalla nave attaccata, in modo tale da rimbalzare sulla superficie dell’acqua, come un sasso tirato a “rimbalzello”, e colpissero la nave), mentre l’altro sganciò le bombe da alta quota, circa 2440 metri.

Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, i velivoli avversari attaccarono il convoglio in tre ondate, in rapida successione: la prima era composta da otto bombardieri Mitchell (di nuovo erroneamente identificati, da parte italiana, come degli Hudson), scortati da caccia “Lightning”, che sganciarono parecchie bombe da circa 2500 metri di quota, senza colpire niente; la seconda era formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, che attaccarono dalla direzione del sole (ovest, cioè dal lato di dritta del convoglio) e sganciarono svariate bombe e qualche siluro, di nuovo senza colpire nulla. Fu la terza ed ultima ondata, che seguì la seconda a brevissimo intervallo, a fare il danno: sei bombardieri e cinque aerosiluranti attaccarono il convoglio da entrambi i lati. Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, il tiro contraereo delle navi riuscì ad abbattere due dei velivoli attaccanti (secondo quanto riferito allo Stato Maggiore della Kriegsmarine dagli ufficiali tedeschi di collegamento presso Supermarina, invece, le navi dell’Asse avrebbero rivendicato il probabile abbattimento di ben sei aerei, uno da un cacciasommergibili tedesco e gli altri cinque dalle unità italiane), mentre un terzo, un quadrimotore, fu abbattuto dai caccia della Luftwaffe di scorta aerea, che però subirono a loro volta la perdita di due dei loro aerei nei duelli combattuti sul cielo del convoglio. Durante la battaglia aerea combattuta sul cielo del convoglio, i piloti dei P-38 statunitensi rivendicarono l’abbattimento di uno Ju 88 e di un Messerschmitt Bf 109 (rispettivamente da parte dei sottotenenti Marion Moore e Ralph C. Embrey, entrambi una ventina di miglia a nord-nord-est di Cap Zembra), mentre i mitraglieri dei B-25 (tre del 445th Bomb Squadron ed uno del 448th) ritennero di aver certamente abbattuto tre Messerschmitt Bf 109 ed un Focke-Wulf Fw 90, di aver probabilmente abbattuto un altro Bf 109 e di averne danneggiati altri tre. In realtà, le perdite complessive da parte tedesca ammontarono all’abbattimento di un singolo Messerschmitt Bf 109 (il WNr 15039 del caporale Konstantin Benzien del 4./JG. 27, abbattuto da caccia nemici 20 km a nord di Zembra e rimasto ferito) e di uno o due Junkers Ju 88 del 4./Kampfgeschwader 76 (questi ultimi andarono perduti mentre erano impegnati in compiti di scorta convogli; uno fu abbattuto alle 15.50, quasi certamente nel corso dei combattimenti aerei attorno al convoglio «GG», mentre meno sicuro è il coinvolgimento dell’altro Ju 88). I caccia tedeschi del II./Jagdgeschwader 27 e del III./Zerstörergeschwader 1 rivendicarono l’abbattimento di due P-38 e due B-25 (più precisamente, un P-38 dal sottotenente Hans Lewes del 5./JG 27, alle 15.58; un altro dal sergente Bernard Schneider dello stesso reparto; un B-25 dal caporale Hans Reiter del 4./JG 27; un presunto Lockheed Ventura – altro bimotore simile al B-25 – dal tenente Walter Lardy del III./ZG 1; i primi tre alle 15.58 ed il quarto alle 16, tutti 20 km a nordest di Zembra). In effetti, le fonti statunitensi riconoscono la perdita di due P-38 (quelli dei sottotenenti Joseph R. Sheen jr. e Francis M. Molloy, entrambi rimasti uccisi), ad ovest di Zembra, e di due B-25 del 448th Bomb Group, dei quali uno (il 41-13205 del tenente Charles A. McKinney, rimasto ucciso con sei uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 16.14 da caccia nemici, e l’altro (il 41-13209 “Trouble” del tenente Robert G. Hess, morto insieme a cinque uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 15.55 dal tiro contraereo delle navi.

Nonostante le perdite inflitte agli attaccanti, questa volta un siluro – o così si ritenne da parte italiana – andò a segno, colpendo il Nuoro sul lato sinistro e scatenando un incendio. Di siluro parlano le fonti italiane; ma libro "A History of the Mediterranean Air War, 1940-1945", Vol. III "Tunisia and the End in Africa, November 1942-May 1943" non fa alcuna menzione dell’impiego di aerosiluranti in questo attacco. Si può fare questa ipotesi: gli “aerosiluranti” di cui parlano i rapporti italiani, probabilmente, erano in realtà i bombardieri che attaccarono a bassa quota secondo la citata tattica dello “skip bombing”, ed i “siluri” erano in realtà le bombe da essi sganciate. Il metodo dello “skip bombing”, infatti, era stato introdotto nel Mediterraneo da poco tempo, e gli equipaggi italiani probabilmente non ne erano ancora a conoscenza; l’avvicinamento al bersaglio a bassa quota e lo sgancio dell’ordigno a ridotta distanza erano tipici degli attacchi di aerosiluranti, e per marinai abituati a veder piovere le bombe dall’alto, direttamente sulle loro navi, una bomba che arrivava “di rimbalzo” contro il fianco della nave poteva essere scambiata per un siluro, specialmente nella concitazione di un attacco, ed a maggior ragione quando lo “skip bombing” avveniva in contemporanea con il bombardamento “tradizionale” da parte degli altri B-25. Una fonte secondaria afferma che il Nuoro sarebbe stato silurato da velivoli britannici della Fleet Air Arm decollati da Malta, ma sembra probabile un errore, non risultando che aerei britannici abbiano preso parte a questo attacco. Sia il rapporto del comandante del Nuoro che il diario della Divisione Operazioni dello Stato Maggiore della Kriegsmarine, infine, affermano che il piroscafo sarebbe stato colpito da due ordigni: una bomba ed un siluro. I piloti statunitensi – che durante l’attacco notarono che i tre mercantili erano dotati di palloni aerostatici di sbarramento, per ostacolare gli aerei che avessero attaccato a bassa quota – furono estremamente ottimistici nel valutare gli effetti dei loro attacchi: i piloti dei bombardieri che avevano attaccato con lo “skip bombing” ritennero di aver messo tre bombe a segno su un mercantile, che era stato visto appruato dopo l’attacco; i piloti dei B-25 che avevano sganciato le loro bombe da 2400 metri ritennero di aver affondato un mercantile ed incendiato altri tre, cioè uno in più del totale dei piroscafi effettivamente presenti. In realtà, l’unica nave colpita fu il Nuoro, che rimase probabilmente vittima dello “skip bombing”.

Da parte sua, il comandante Angelini del Nuoro scrisse nel suo rapporto che gli aerei nemici si avvicinarono a volo radente, facendo fuoco con le loro mitragliatrici; il Nuoro rispose col tiro delle proprie mitragliere, ma dopo pochi secondi il piroscafo venne scosso da due violentissime esplosioni, a breve intervallo l’una dall’altra. Tutti i vetri andarono in pezzi, comprese le lampadine della plancia. Secondo Angelini, gli immediati accertamenti da parte dell’equipaggio permisero di appurare che una delle esplosioni era stata causata da una bomba caduta sul lato di dritta, tra lo scafo ed una delle lance di salvataggio, mentre l’altra era stata provocata dallo scoppio di un siluro, che aveva anch’esso colpito il Nuoro sulla dritta, in corrispondenza della sala macchine. Il comandante del Nuoro diede l’ordine di fermare le macchine, ma non ci fu verso di farlo giungere a destinazione: il telegrafo di macchina, infatti, era fuori uso, ed il tubo portaordini era stato divelto dallo spostamento d’aria. Tutte le comunicazioni tra la plancia e la sala macchine erano così interrotte, e le motrici del Nuoro continuavano a spingere la nave in avanti, mentre dalla stiva numero 3, interamente scoperchiata, si alzavano fumo e fiamme. All’interno di quella stiva si trovavano dieci vagoni di munizioni: entro breve le fiamme li avrebbero raggiunti, e la nave sarebbe saltata in aria. Il comandante Angelini ordinò pertanto a tutti di correre a poppa e buttarsi in acqua; egli stesso si diresse da quella parte insieme al primo ufficiale. Arrivati a poppa, i due ufficiali notarono uno zatterino sul tetto di un veicolo, pertanto lo asportarono e lo buttarono in mare, dopo di che si tuffarono a loro volta, lo raggiunsero nuotando contro la corrente, e vi si arrampicarono a bordo. Un marinaio che li aveva seguiti, Giacalone, non riuscì a fare lo stesso: la deriva lo spinse via, lontano dallo zatterino. Mentre il resto del convoglio proseguiva verso Biserta, la Cicogna venne distaccata a prestare assistenza al piroscafo danneggiato; abbandonato dall’equipaggio, il Nuoro saltò in aria alle 16.34, 28 miglia a nord di Zembra (per altra fonte, 15 miglia a nordest di Zembretta).

Il comandante Angelini stimò che fossero passati una decina di minuti tra il momento in cui si tuffò in mare e quello in cui il Nuoro eruppe in un’«esplosione formidabile» e scomparve in pochi istanti. A raccogliere i superstiti rimase la Cicogna: avvicinatasi ai naufraghi, la corvetta mise a mare una piccola imbarcazione con a bordo due marinai, che iniziarono a raccogliere gli uomini dal mare. Dal suo zatterino, Angelini ed il primo ufficiale videro con gioia che anche il marinaio Giacalone era stato issato a bordo dell’imbarcazione. Anche Angelini chiese soccorso alla lancia della Cicogna, ma la piccola imbarcazione, già piena di naufraghi fino al limite della capacità, non poté prenderli a bordo: prese invece a rimorchio il loro zatterino, intorno al quale si raccolsero altre zattere e naufraghi. Tutti credevano che presto sarebbero stati recuperati dalla corvetta, ma li attendeva una cocente delusione: dopo mezz’ora, infatti, videro la Cicogna avvicinarsi, pensarono per prenderli a bordo; ma giunta a duecento metri dalle zattere, la corvetta si fermò, richiamò la lancia, ne imbarcò gli occupanti e poi se ne andò, lasciando la lancia vuota alla deriva, senza raccogliere gli uomini sulle zattere né comunicare loro alcunché. Secondo il volume USMM “La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia”, ciò che era successo era che la Cicogna aveva dovuto interrompere le operazioni di salvataggio perché il forte vento la stava facendo scarrocciare verso una zona minata; confrontando questa notizia con il rapporto del comandante Angelini, tuttavia, non è molto chiaro perché il salvataggio non fosse proseguito a mezzo della lancia, che per giunta aveva già a rimorchio alcune zattere i cui occupanti, inspiegabilmente, non vennero recuperati. Fatto sta che la Cicogna, dopo aver ripescato 44 superstiti del Nuoro (compresi diversi feriti), cioè meno della metà degli uomini che si trovavano in mare o sulle zattere, lasciò la zona e fece rotta su Trapani, dove arrivò alle 2.15 del 1° aprile; in mare rimasero decine di altri naufraghi, abbandonati ad un passo dalla salvezza, per i quali iniziava una terribile odissea.

Lo zatterino su cui si trovavano il comandante Angelini ed il primo ufficiale, insieme ad altri naufraghi, versava in condizioni tutt’altro che buone: di fabbricazione francese, era privo di dotazioni d’emergenza, acqua compresa, e per giunta imbarcava acqua sia perché era stato forato da colpi di mitragliatrice e da schegge durante l’attacco aereo, sia perché durante l’imbarco delle merci a Livorno era stato danneggiato ad un cassone d’aria. Nel pomeriggio il mare rimase leggermente mosso, ma verso sera cominciò a diventare via via più agitato, fino a raggiungere nella notte forza 6-7. La situazione dei naufraghi, in balia delle onde su quei piccoli galleggianti, divenne grave: zattere e zatterini iniziarono a disperdersi, alcuni dei loro occupanti furono gettati in mare. Così passarono ventiquattr’ore, l’intera giornata del 1° aprile. Il comandante Angelini rivide anche la lancia della Cicogna, lasciata da quest’ultima a circa 600-700 metri, vuota ed inutile. Giunse il 2 aprile: quel giorno il primo ufficiale spirò, “molto probabilmente per esaurimento”, scrisse Angelini. “Pensai che di tanti, eravamo rimasti in cinque, quando mi accorsi che anche un altro naufrago si era spento”: si trattava di un autiere, rannicchiato, che sembrava addormentato. All’alba, tuttavia, i naufraghi si resero conto di trovarsi ad appena otto miglia dalla costa di Pantelleria: al contempo il vento da ponente si era disposto a greco, sospingendo la zattera verso la costa, che era verso sud. Per favorire lo scarroccio in direzione della terra, gli occupanti dello zatterino asportarono due doghe dal fondo del galleggiante e vi issarono due salvagente, in modo che fungessero da vela. Tra mezzogiorno e l’una lo zatterino venne avvistato da un idrovolante italiano, che lo sorvolò a più riprese; dopo mezz’ora, infine, sopraggiunsero un MAS italiano ed una motosilurante tedesca. Fu quest’ultima a raccogliere finalmente il comandante Angelini e gli altri occupanti della sua zattera, dopo più di quarantatrè ore trascorse alla deriva. La Schnellboot portò i naufraghi a Pantelleria, dove Angelini ed i compagni vennero ricoverati nella sezione chirurgica dell’ospedale della Regia Marina: qui si trovavano già ricoverati altri naufraghi del Nuoro, recuperati in precedenza, tra cui il fuochista Bosazzi ed i marinai Seppini, Verboso e Milanese. Questi raccontarono la loro storia: dopo che Angelini aveva ordinato di abbandonare la nave, i quattro avevano tentato di ammainare la lancia di sinistra, ma quando l’imbarcazione aveva toccato l’acqua, con il Nuoro ancora in movimento ad elevata velocità, aveva iniziato subito ad imbarcare acqua, mandando in tensione tutte le manovre correnti. Ad evitare il peggio era stato il pronto intervento del marinaio Seppini, che aveva tagliato le barbette d’accosto e la vetta prodiera del paranco a colpi d’accetta. I quattro marittimi avevano poi vuotato la lancia dell’acqua imbarcata ed avevano issato a bordo sette militari finiti in mare, dopo di che le loro traversie non erano state molto diverse da quelle della zattera del comandante Angelini, fino al salvataggio finale.

Alle 11.45 del 10 aprile i sopravvissuti dell’equipaggio civile ricoverati a Pantelleria partirono in aereo per Castelvetrano, dove atterrarono a mezzogiorno e mezzo; raggiunsero poi Palermo in treno, e qui si divisero, ognuno per la propria destinazione.

Secondo il già citato volume dell’Ufficio Storico della Marina Militare, furono in tutto 50 i naufraghi del Nuoro tratti in salvo da unità minori inviate sul posto dopo la partenza della Cicogna. Ciò significherebbe che in totale i superstiti del Nuoro sarebbero stati 94 (44 recuperati dalla Cicogna e 50 dalle unità minori), mentre le vittime – dato un totale di 115 uomini imbarcati – sarebbero state 21. Tuttavia, secondo il sito “Giornale Nautico Parte Prima”, basato in massima parte su documenti dell’archivio della società Adriatica, su 33 uomini che componevano l’equipaggio civile del Nuoro soltanto in undici si sarebbero salvati: gli altri 22 sarebbero stati dichiarati dispersi o deceduti. Ciò appare evidentemente in contrasto con un bilancio di 21 vittime, sia perché risulterebbe esservi stata almeno una vittima in più, sia perché sembra difficile credere che, a fronte della morte dei due terzi dell’equipaggio civile, non vi siano state vittime tra l’equipaggio militare ed i militari di passaggio.

Neanche Crema e Benevento giunsero a destinazione: nelle prime ore del 1° aprile, infatti, i due piroscafi vennero attaccati da motosiluranti britanniche, che affondarono il Crema e danneggiarono il Benevento tanto gravemente che questo, dopo essere stato portato ad incagliare, venne considerato perduto. Per altri quattro giorni, dopo la distruzione del convoglio «GG», “ULTRA” continuò ad intercettare e decifrare altre comunicazioni italiane dalle quali i britannici poterono ricostruire l’accaduto; il 3 aprile i decrittatori britannici poterono compilare un dispaccio nel quale, sulla scorta delle decrittazioni dei giorni precedenti, riassumevano la sorte del convoglio («Il Nuoro è stato affondato da attacchi aerei a circa 25 miglia a nord-nord-est di Zembretta alle 17.00 del 31. Il Crema è stato colato a picco da motosiluranti britanniche a 9 miglia a sudest dell’Isola di Cani alle 23.59 del 31. Il Benevento è stato silurato nello stesso attacco ed è stato portato ad incagliare a Capo Zebib a 8 miglia a est di Biserta»).

Piroscafo da carico "Crema"[modifica | modifica wikitesto]

La storia del Crema e del suo convoglio è un esempio tragicamente eloquente di come la rotta per la Tunisia si sia guadagnata, tra gli equipaggi, la nomea di “rotta della morte”. Il Crema partì da Napoli per Biserta alle 19.30 del 29 marzo, insieme ai piroscafi Chieti (diretto a Palermo) e Nuoro, coi quali formava un convoglio lento (9 nodi) denominato «GG». Doveva fare parte del convoglio anche un quarto piroscafo, il Benevento, che tuttavia fu trattenuto in porto da alcune non gravi avarie e partì pertanto da Napoli in ritardo, all’1.30 del 30 marzo. La partenza delle navi era stata originariamente programmata per il 27 marzo, ma era stata più volte rinviata a causa del maltempo. A bordo del Crema si trovavano un carico di 1594 tonnellate di merci varie e 70 uomini: 60 di equipaggio (27 civili e 33 militari) e dieci militari di scorta al carico. La scorta del convoglio era formata da due torpediniere della classe Spica, la Cigno (caposcorta, capitano di corvetta Carlo Maccaferri) e la Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta), e da due cacciasommergibili tedeschi, l’UJ 2203 e l’UJ 2210. Comandante superiore in mare era il capitano di vascello Francesco Camicia, imbarcato sulla Cigno. Una terza torpediniera della stessa classe, la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), rimase a Napoli con l’incarico di scortare il Benevento quando questo fosse potuto partire. Alle quattro del pomeriggio del 30 marzo si aggregò al convoglio anche la moderna corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini), partita da Trapani, che poco dopo se ne separò insieme al Chieti, la cui destinazione, a differenza delle altre navi, era Palermo. Scortato il Chieti fino al porto siciliano, dove giunse alle 23.35 dello stesso 30 marzo (e dove il piroscafo venne affondato due settimane più tardi da un bombardamento aereo), la Cicogna riprese subito il mare per tornare ad unirsi al convoglio. Quest’ultimo, intanto, aveva raggiunto Trapani all’1.45 di notte del 31 marzo, sostando in quella rada fino alle tre di notte per aspettare il Benevento. Scortato dalla Clio e dal cacciasommergibili tedesco UJ 2207, il Benevento si riunì al convoglio – che intanto era ripartito da Trapani facendo rotta per Biserta – alle 6.30 del 31 marzo (per altra versione alle 5.30), al largo di Trapani e poco ad ovest delle Isole Egadi. Clio e UJ 2207 andarono a rinforzare la scorta del convoglio; dieci minuti più tardi, raggiunse il convoglio anche la Cicogna. Alle 14.43 del 30 marzo Benevento e Clio avevano evitato con la manovra due siluri lanciati dal sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter), una cinquantina di miglia a nord di Ustica. Così riunito, il convoglio «GG» puntò infine su Biserta. La scorta era di tutto rispetto: per proteggere tre piroscafi, erano state mobilitate tre torpediniere, una modernissima corvetta e tre cacciasommergibili, oltre ad una poderosa scorta aerea. Tutti e tre i piroscafi del convoglio «GG» (come pure il Chieti) erano navi ex francesi, consegnate all’Italia in seguito all’occupazione della Francia meridionale; tutti e tre erano al loro primo viaggio verso la Tunisia; nessuno sarebbe mai arrivato a Biserta. I comandi britannici erano al corrente del viaggio di questo convoglio già da giorni: la prima intercettazione da parte dei decrittatori di “ULTRA” di una comunicazione relativa alla partenza per l’Africa di quelle navi risaliva al 27 marzo, quando avevano decifrato un messaggio dal quale risultava che i mercantili Crema, Nuoro, Benevento, Capua e Caterina Costa erano «attesi a breve scadenza in Tunisia, provenienti dall’Italia». Il 28 marzo gli specialisti di “ULTRA” avevano decrittato un’altra comunicazione che aveva rivelato che «Benevento, Nuoro e Crema avrebbero dovuto lasciare Napoli il giorno 27 per la Tunisia, tempo permettendo», e l’indomani un’altra ancora da cui era risultato che «Sono attesi i seguenti arrivi, sempre condizionati dallo stato del tempo: a Tunisi il giorno 31 verso le 23.00 Crema, Nuoro e Benevento». Il 31 marzo, infine, un’ultima intercettazione aveva permesso ad “ULTRA” di apprendere che «Crema, Nuoro e Benevento hanno lasciato Napoli alle 22.00 del giorno 29. Essi doppieranno l’isola di Marettimo alle 6.30 del 31 e procederanno per Biserta». Le forze aeronavali britanniche si erano organizzate di conseguenza.

Il primo attacco aereo si verificò alle 13.52 del 31 marzo. In quel momento il convoglio si trovava una decina di miglia ad est del Banco di Skerki; otto bombardieri bimotori, identificati da parte italiana come Lockheed Hudson, apparvero volando ad una quota compresa tra i 2500 ed i 3000 metri, scortati da quattro o cinque caccia Lockheed P-38 “Lightning”. Sia i piroscafi che le navi scorta aprirono subito un rabbioso tiro contraereo con le loro mitragliere; nessuno dei velivoli attaccanti, tuttavia, venne colpito. I bombardieri sganciarono le bombe; sebbene il lancio risultasse centrato, nessuno degli ordigni andò a segno, ed il convoglio proseguì indenne. In realtà, i bombardieri attaccanti non erano dei Lockheed Hudson, bensì dei North American B-25 “Mitchell” (anch’essi bimotori, e di aspetto vagamente somigliante a quello degli Hudson) del 321st Bomb Group dell’USAAF. I bombardieri di questo reparto avevano già compiuto un primo “rastrello antinave” durante il mattino, quando un gruppo di “Mitchell” era decollato alle 7.45 con la scorta di caccia P-38 “Lightning” del 1st Fighter Group. Gli aerei avevano però incontrato maltempo e non avevano trovato nulla, interrompendo pertanto la missione e rientrando alla base. Gli aerei che attaccarono il convoglio alle 13.52 erano invece decollati alle 13.45 (12.45 secondo le fonti statunitensi, che mostrano una differenza di un’ora rispetto a quelle italiane, evidentemente dovuta a differenze nel fuso orario); inizialmente la formazione era composta da quattordici B-25 del 321st Bomb Group, scortati da 25 caccia P-38 del 1st Fighter Group, ma sei bombardieri e tredici caccia erano tornati indietro poco più tardi. Il resto degli aerei aveva invece avvistato il convoglio «GG» alle 12.55 (fonti statunitensi, con la già menzionata differenza di fuso orario), una quindicina di miglia a nord di Capo Bon, stimandone la composizione in due grossi mercantili (probabilmente Nuoro e Benevento) ed altre quattro navi. Gli equipaggi statunitensi ritennero erroneamente di aver colpito con una bomba uno dei grossi mercantili, e di aver mancato di poco (“near miss”) un altro mercantile di piccole dimensioni (probabilmente il Crema, il più piccolo dei tre piroscafi). Sebbene il caposcorta Camicia avesse affermato nel suo rapporto che «gli aerei da caccia nazionali e alleati [tedeschi] non hanno avuto contatti con aerei nemici» perché al momento dell’attacco stavano volando a bassa quota, in realtà i “contatti” ci furono eccome: i piloti degli aerei americani riferirono di essere stati attaccati da un totale di sei caccia Messerschmitt Bf 109, tre Focke-Wulf Fw 190 e due Messerschmitt Bf 110. I mitraglieri dei B-25 rivendicarono il danneggiamento di un caccia tedesco ed il probabile abbattimento di un altro; da parte tedesca, i piloti dei Messerschmitt del 7./Jagdgeschwader 53 ritennero erroneamente di aver abbattuto tre B-25 (uno alle 14.25, dal sottotenente Karl Vockelmann, 25 km a nordovest di Capo Bon; uno alla stessa ora, dal sottotenente Walter Hicke, 30 km a nordovest di Capo Bon; uno alle 14.27, dal sergente Günter Seeger, 35 km a nordovest di Capo Bon). In realtà nessun aereo, né statunitense né tedesco, andò perduto in questo scontro. Alle 14.24 le navi del convoglio avvistarono l’anziana torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli), distaccata alle 11.25 di quel mattino dal caposcorta del convoglio «RR» (motonavi Belluno e Pierre Claude, in navigazione da Napoli a Tunisi con la scorta delle torpediniere Fortunale, Antares e Sagittario e di due cacciasommergibili tedeschi), che precedeva il «GG» di una quarantina di miglia, con il compito di rafforzare ulteriormente la scorta di quest’ultimo. Raggiunto il convoglio, la Cosenz funse inoltre da unità pilota sulla rotta di Zembretta; alle 15.57 le navi si trovavano già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, quando vennero attaccate da un totale di 31 tra bombardieri ed aerosiluranti angloamericani. Ciò secondo le stime italiane; da parte statunitense risulta che questo attacco fu portato da una formazione di quindici bombardieri B-25 Mitchell del 321st Bomb Group, al loro terzo ed ultimo “rastrello antinave” della giornata, scortati da venticinque caccia P-38 del 95th Squadron dell’82nd Fighter Group. Gli aerei erano decollati alle 13.45 (12.45 per le fonti statunitensi); uno dei B-25 e tre dei P-38 erano però dovuti rientrare alla base poco dopo il decollo. Gli altri avevano avvistato un convoglio al largo di Zembra verso le 15.50 (14.50 per le fonti statunitensi), apprezzandone la composizione come quattro cacciatorpediniere, un trasporto, un pontone Siebel e quattro chiatte, e poco lontano una nave scorta e quattro grossi mercantili, uno dei quali a rimorchio. In realtà, le navi avvistate erano quelle del convoglio «GG». La scorta aerea italo-tedesca reagì prontamente: un singolo bombardiere Junkers Ju 88 del II./Kampfgeschwader 76 riuscì ad attirare su di sé l’attenzione di diverse squadriglie di P-38, portandoli lontano dai bombardieri; i piloti dell’82nd Fighter Group si ritrovarono sotto attacco da parte di un totale di dieci Messerschmitt Bf 109, uno Ju 88 ed alcuni caccia italiani (numero e tipo non specificato). Gli aerei dell’Asse scompaginarono la formazione dei bombardieri, costringendo molti di essi a scaricare le loro bombe in mare ed a ritirarsi senza attaccare; i restanti B-25 attaccarono in due gruppi, dei quali uno effettuò il suo attacco da appena 30 metri di quota, secondo la tattica dello “skip bombing” (nel quale le bombe venivano sganciate dal bombardiere a bassissima quota ed a ridotta distanza dalla nave attaccata, in modo tale da rimbalzare sulla superficie dell’acqua, come un sasso tirato a “rimbalzello”, e colpissero la nave), mentre l’altro sganciò le bombe da alta quota, circa 2440 metri.

Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, i velivoli avversari attaccarono il convoglio in tre ondate, in rapida successione: la prima era composta da otto bombardieri Mitchell (di nuovo erroneamente identificati, da parte italiana, come degli Hudson), scortati da caccia “Lightning”, che sganciarono parecchie bombe da circa 2500 metri di quota, senza colpire nulla; la seconda era formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, che attaccarono dalla direzione del sole (ovest, cioè dal lato di dritta del convoglio) e sganciarono svariate bombe e qualche siluro, di nuovo senza colpire nulla. Fu la terza ed ultima ondata, che seguì la seconda a brevissimo intervallo, a fare il danno: sei bombardieri e cinque aerosiluranti attaccarono il convoglio da entrambi i lati. Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, il tiro contraereo delle navi riuscì ad abbattere due dei velivoli attaccanti (secondo quanto riferito allo Stato Maggiore della Kriegsmarine dagli ufficiali tedeschi di collegamento presso Supermarina, invece, le navi dell’Asse avrebbero rivendicato il probabile abbattimento di ben sei aerei, uno da un cacciasommergibili tedesco e gli altri cinque dalle unità italiane), mentre un terzo, un quadrimotore, fu abbattuto dai caccia della Luftwaffe di scorta aerea, che però subirono a loro volta la perdita di due dei loro aerei nei duelli combattuti sul cielo del convoglio. Durante la battaglia aerea combattuta sul cielo del convoglio, i piloti dei P-38 statunitensi rivendicarono l’abbattimento di uno Ju 88 e di un Messerschmitt Bf 109 (rispettivamente da parte dei sottotenenti Marion Moore e Ralph C. Embrey, entrambi una ventina di miglia a nord-nord-est di Cap Zembra), mentre i mitraglieri dei B-25 (tre del 445th Bomb Squadron ed uno del 448th) ritennero di aver certamente abbattuto tre Messerschmitt Bf 109 ed un Focke-Wulf Fw 90, di aver probabilmente abbattuto un altro Bf 109 e di averne danneggiati altri tre. In realtà, le perdite complessive da parte tedesca ammontarono all’abbattimento di un singolo Messerschmitt Bf 109 (il WNr 15039 del caporale Konstantin Benzien del 4./JG. 27, abbattuto da caccia nemici 20 km a nord di Zembra e rimasto ferito) e di uno o due Junkers Ju 88 del 4./Kampfgeschwader 76 (questi ultimi andarono perduti mentre erano impegnati in compiti di scorta convogli; uno fu abbattuto alle 15.50, quasi certamente nel corso dei combattimenti aerei attorno al convoglio «GG», mentre meno sicuro è il coinvolgimento dell’altro Ju 88). I caccia tedeschi del II./Jagdgeschwader 27 e del III./Zerstörergeschwader 1 rivendicarono l’abbattimento di due P-38 e due B-25 (più precisamente, un P-38 dal sottotenente Hans Lewes del 5./JG 27, alle 15.58; un altro dal sergente Bernard Schneider dello stesso reparto; un B-25 dal caporale Hans Reiter del 4./JG 27; un presunto Lockheed Ventura – altro bimotore simile al B-25 – dal tenente Walter Lardy del III./ZG 1; i primi tre alle 15.58 ed il quarto alle 16, tutti 20 km a nordest di Zembra). In effetti, le fonti statunitensi riconoscono la perdita di due P-38 (quelli dei sottotenenti Joseph R. Sheen jr. e Francis M. Molloy, entrambi rimasti uccisi), ad ovest di Zembra, e di due B-25 del 448th Bomb Group, dei quali uno (il 41-13205 del tenente Charles A. McKinney, rimasto ucciso con sei uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 16.14 da caccia nemici, e l’altro (il 41-13209 “Trouble” del tenente Robert G. Hess, morto insieme a cinque uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 15.55 dal tiro contraereo delle navi. Nonostante le perdite inflitte agli attaccanti, questa volta un siluro – o così si ritenne da parte italiana – andò a segno, colpendo il Nuoro sul lato sinistro. Il piroscafo, carico di munizioni, s’incendiò e venne abbandonato dall’equipaggio, saltando in aria alle 16.34. La Cicogna fu distaccata per recuperarne i naufraghi (fece poi rotta per Trapani, dove giunse alle 2.15 del 1° aprile), mentre il resto del convoglio proseguiva verso Biserta. È da notare che il libro "A History of the Mediterranean Air War, 1940-1945", Vol. III "Tunisia and the End in Africa, November 1942-May 1943", non fa alcuna menzione dell’impiego di aerosiluranti in questo attacco. Si può fare questa ipotesi: gli “aerosiluranti” di cui parlano i rapporti italiani, probabilmente, erano in realtà i bombardieri che attaccarono a bassa quota secondo la citata tattica dello “skip bombing”, ed i “siluri” erano in realtà le bombe da essi sganciate. Il metodo dello “skip bombing”, infatti, era stato introdotto nel Mediterraneo da poco tempo, e gli equipaggi italiani probabilmente non ne erano ancora a conoscenza; l’avvicinamento al bersaglio a bassa quota e lo sgancio dell’ordigno a ridotta distanza erano tipici degli attacchi di aerosiluranti, e per marinai abituati a veder piovere le bombe dall’alto, direttamente sulle loro navi, una bomba che arrivava “di rimbalzo” contro il fianco della nave poteva essere scambiata per un siluro, specialmente nella concitazione di un attacco, ed a maggior ragione quando lo “skip bombing” avveniva in contemporanea con il bombardamento “tradizionale” da parte degli altri B-25. (Una fonte secondaria afferma che il Nuoro sarebbe stato silurato da velivoli britannici della Fleet Air Arm, ma sembra probabile un errore). I piloti statunitensi – che durante l’attacco notarono che i tre mercantili erano dotati di palloni aerostatici di sbarramento, per ostacolare gli aerei che avessero attaccato a bassa quota – furono estremamente ottimistici nel valutare gli effetti dei loro attacchi: i piloti dei bombardieri che avevano attaccato con lo “skip bombing” ritennero di aver messo tre bombe a segno su un mercantile, che era stato visto appruato dopo l’attacco; i piloti dei B-25 che avevano sganciato le loro bombe da 2400 metri ritennero di aver affondato un mercantile ed incendiato altri tre, cioè uno in più del totale dei piroscafi effettivamente presenti. In realtà, l’unica nave colpita fu il Nuoro, che rimase probabilmente vittima dello “skip bombing”.

Calò il buio; dopo le quattro del pomeriggio non si manifestarono altri attacchi aerei, ma all’una di notte del 1° aprile (all’1.45, secondo il diario del reparto operazioni dello Stato Maggiore della Kriegsmarine), quando ormai il convoglio era giunto a sole dieci miglia da Biserta, due motosiluranti britanniche – la MTB 266 e la MTB 315 – attaccarono la formazione dal lato di dritta. Le piccole unità nemiche facevano parte delle 10a e 15a Flottiglie Motosiluranti britanniche (10th e 15th MTB Flotilla), interamente composta da motosiluranti ELCO di origine americana, cedute dalla Marina statunitense a quella britannica nell’ambito del programma lend-lease: la 10th MTB Flotilla era formata da motosiluranti del tipo ELCO da 70 piedi, la 15th MTB Flotilla da unità del tipo ELCO da 77 piedi. La MTB 266 era la ex PT 17 statunitense (trasferita alla Royal Navy nell’aprile 1941), del tipo ELCO da 70 piedi; la MTB 315 era una motosilurante del tipo ELCO da 77 piedi, leggermente più grande, costruita negli Stati Uniti direttamente per la Royal Navy. In origine le motosiluranti partite da Bona (Algeria) alle sei di sera del 31 marzo, con il compito di intercettare un convoglio italiano che era stato loro segnalato (probabilmente sulla scorta delle informazioni di “ULTRA”), erano state quattro: oltre alle MTB 266 e 315 c’erano anche la MTB 265, gemella della MTB 266, e la MTB 316, gemella della MTB 315 (una fonte afferma che avrebbe partecipato al successivo attacco anche la MTB 311, ma si tratta probabilmente di un errore). Sulla MTB 316 imbarcava il capo formazione, tenente di vascello Denis Jermain. Alle 21.50, tuttavia, al largo di Capo Serrat, la MTB 265 aveva perso un uomo, caduto in mare, ed era stata distaccata per cercarlo, dopo di che aveva ricevuto ordine di non ricongiungersi con la formazione. Un’ora più tardi era stata la MTB 316 a dover abbandonare la formazione, a causa di problemi ai motori; essendo il mare troppo mosso per consentire il trasbordo del tenente di vascello Jermain su una delle due rimanenti unità, aveva assunto il comando della dimezzata formazione il tenente di vascello Richard Routledge Smith, comandante della MTB 266. Alle 00.10 del 1° aprile la MTB 266 e la MTB 315 avevano raggiunto il punto prestabilito per l’agguato, un miglio a nord di Capo Zebib (e tre miglia a sud/sudovest dell’Isola dei Cani); fermati i motori, si erano messe ad attendere l’arrivo del convoglio, ferme e acquattate nel buio. Alle 00.50 gli equipaggi britannici avvistarono delle navi in avvicinamento da est; entrambe le motosiluranti misero subito in moto i loro motori ed iniziarono a lento moto l’avvicinamento al convoglio, del quale apprezzarono la composizione come tre navi mercantili scortate da due cacciatorpediniere e diverse motosiluranti (“E-Boats”). Cogliendo di sorpresa il convoglio, le due MTB silurarono sia il Crema che il Benevento e subito dopo si dileguarono a tutta forza nell’oscurità, con il mare in poppa, nonostante una rapida e confusa mischia – nella quale la MTB 315 subì leggeri danni ed un ferito lieve tra l’equipaggio – con la Cassiopea e l’UJ 2203 (quest’ultimo ritenne infatti di aver “almeno danneggiato” una delle motosiluranti), che proteggevano i due mercantili sul lato di dritta. La MTB 266, in particolare, lanciò entrambi i suoi siluri al secondo mercantile della formazione – il Crema – ed osservò l’esplosione di una delle armi tra la plancia ed il fumaiolo del bersaglio, che ritenne essere poi affondato, mentre ripiegava per allontanarsi. La motosilurante avvistò poi un “cacciatorpediniere” (evidentemente una delle torpediniere classe Spica) e tentò di attaccarlo con le sue bombe di profondità, ma fu respinta dalla sua violenta reazione. Intanto, la MTB 315 aveva silurato il Benevento. Mentre quest’ultimo, un’unità di oltre 5000 tsl, resse inizialmente il danno e riuscì a trascinarsi fino alla vicina costa, andandosi ad incagliare presso Capo Zebib (il che permise di recuperare il carico ma non la nave, che venne considerata perduta), il ben più piccolo Crema, colpito da entrambi i siluri della MTB 266, affondò in meno di due minuti in un punto variamente indicato come 37°40’ N e 10°06’ E (forse troppo a nord rispetto al vero), 18 miglia ad est di Biserta, cinque miglia a nord di Capo Farina od a tre miglia per 210° dall’Isola dei Cani. Il comandante della MTB 266, tenente di vascello Richard Routledge Smith, descrisse così, in seguito, lo svolgimento dell’attacco: “Misi in moto i motori ed iniziai ad avvicinarmi al nemico a bassa velocità per un attacco silenzioso. La notte era molto buia, e la visibilità era ulteriormente ridotta da una leggera foschia e dagli spruzzi causati dal mare mosso. Inizialmente risultò molto difficile distinguere tra le navi mercantili e le loro unità di scorta. Infine identificai due cacciatorpediniere e diverse E-Boat che setacciavano il mare poco a proravia di tre navi mercantili; ridussi la velocità per permettere a questo schermo di passarmi davanti. La velocità venne poi aumentata per compiere un attacco con i siluri contro la seconda nave del convoglio”. Cioè il Crema; “alle 00.05 [cioè l’1.05 per l’orario italiano] due siluri vennero lanciati contro questa nave. Una delle navi scorta ed una nave mercantile aprirono poi il fuoco ed io ripiegai e, procedendo ad alta velocità, passai a proravia della terza nave mercantile, che la MTB 315 stava attaccando. Osservai uno dei miei siluri colpire tra la plancia ed il fumaiolo della nave mercantile [il Crema] ed è probabile che anche il secondo [siluro] abbia colpito, dato che la nave affondò molto rapidamente; [visto che] la [MTB] 315 passò in mezzo ai naufraghi circa due minuti dopo. La MTB 315 osservò il primo siluro colpire il lato sinistro della [nave] nemica [che era il Benevento], immediatamente a proravia dell’albero di trinchetto; poi passò sotto la poppa del nemico e lanciò dal traverso a dritta del nemico. Ne risultò un’ulteriore esplosione, e quando l’acqua si fu calmata la nave era completamente scomparsa [in realtà, come detto, il Benevento non affondò subito: evidentemente la MTB 315 lo perse di vista dopo l’esplosione e ritenne erroneamente che fosse affondato]. Io cercai di avvicinarmi al cacciatorpediniere [che si trovava] a poppavia dritta del convoglio per attaccarlo con le bombe di profondità, ma il cacciatorpediniere aprì il fuoco mentre mi trovavo ancora ad una certa distanza ed a questo punto ripiegai e passai attraverso lo schermo poppiero senza subire alcun danno. La MTB 315 si disimpegnò [passando] a proravia di questo cacciatorpediniere a poppavia dritta e, procedendo verso nord, si ritrovò sotto il tiro accurato di cacciatorpediniere ed E-Boat. La 315 subì danni superficiali ed un ferito lieve. Le motosiluranti si riunirono in un punto al largo dell’Isola dei Cani, e venne fatta rotta per Bona”. Completato l’attacco, la MTB 266 e la MTB 315 fecero rotta per Bona. La burrasca in peggioramento le costrinse a ridurre la velocità dapprima a 13 nodi e poi, dopo un’ora, a otto nodi; la MTB 266 imbarcava parecchia acqua nel locale motori e nel compartimento poppiero, costringendo l’equipaggio a sgottare ininterrottamente per tenere il livello degli allagamenti sotto controllo, e le sue estremità prodiera e poppiera si “piegavano” in modo preoccupante (di 12-15 centimetri) quando era sulla cresta di un’onda (Routledge Smith ritenne che ciò fosse dovuto alla rottura della chiglia della motosilurante, con conseguente apertura del fasciame del fondo e del lato dello scafo), ma entrambe le piccole unità raggiunsero Tabarka (Tunisia) a mezzogiorno. Il fatto che le motosiluranti fossero riuscite ad attaccare nonostante il mare forza 4-5 portò i Comandi italo-tedeschi a ritenere che dovesse trattarsi di motosiluranti di grosse dimensioni.

Dei 70 uomini imbarcati sul Crema, soltanto 26 poterono essere salvati dalle unità della scorta: 14 membri dell’equipaggio civile, 9 militari italiani e tre militari tedeschi, che furono tutti sbarcati a Trapani. Sulla sorte degli altri 44 uomini del Crema, il 3 aprile 1943 un telegramma della Capitaneria di Porto di Trapani a quella di Genova riportava solamente: «Ignorasi sorte rimanenti persone imbarcate». Un marinaio superstite raccontò alla moglie del secondo ufficiale del Crema Lorenzo Gianetto, suo compaesano e deceduto nell’affondamento, che a salvarsi erano stati coloro che erano scesi in mare da un lato della nave (lui compreso); quelli che avevano tentato di scendere in mare dal lato opposto, erano stati mitragliati. Anche quel marinaio, trasferito su un altro mercantile, trovò la morte pochissimo tempo dopo, quando anche la sua “nuova” nave venne affondata durante un’altra navigazione in convoglio. (Lorenzo Gianetto, prima di imbarcarsi sul Crema come secondo ufficiale di coperta, era stato un piccolo armatore, proprietario e comandante di una goletta affondata in guerra. Aveva combattuto in fanteria nella prima guerra mondiale, venendo decorato; all’età di sessantun anni, con due figli di quattro anni e dieci mesi, doveva ancora navigare per necessità).

Le vittime tra l’equipaggio civile del Crema: (nomi tratti dall’Albo d’Oro della Marina Mercantile, si ringrazia Carlo Di Nitto)

Antonio Accardo, fuochista, da Torre del Greco Francesco Ascione, cameriere, da Torre del Greco Guglielmo Cacace, carbonaio, da Meta di Sorrento Angelo D’Angelo, marinaio, da Pozzallo Donato Del Gatto, carbonaio, da Torre del Greco Vincenzo Ferraiolo, ingrassatore Mario Fevola, garzone, da Genova Raffaele Gargiulo, ufficiale di coperta, da Positano Lorenzo Gianetto, secondo ufficiale, da Voltri Antonio Montaldo, fuochista, da Rivarolo (Genova) Ferdinando Natali, cuoco, da Santa Margherita Ligure Beniamino Schiazzano, fuochista, da Bacoli Camillo Totano, fuochista, da Napoli

Per altri quattro giorni, dopo la distruzione del convoglio «GG», “ULTRA” continuò ad intercettare e decifrare altre comunicazioni italiane dalle quali i britannici poterono ricostruire l’accaduto; il 3 aprile i decrittatori britannici poterono compilare un dispaccio nel quale, sulla scorta delle decrittazioni dei giorni precedenti, riassumevano la sorte del convoglio («Il Nuoro è stato affondato da attacchi aerei a circa 25 miglia a nord-nord-est di Zembretta alle 17.00 del 31. Il Crema è stato colato a picco da motosiluranti britanniche a 9 miglia a sudest dell’Isola di Cani alle 23.59 del 31. Il Benevento è stato silurato nello stesso attacco ed è stato portato ad incagliare a Capo Zebib a 8 miglia a est di Biserta»). Per il successo conseguito contro il convoglio «GG», il tenente di vascello Richard Routledge Smith (soprannominato “Stinker”) sarebbe stato decorato con la Distinguished Service Cross; anche il resto dell’equipaggio della MTB 266 sarebbe stato decorato, con la Distinguisherd Service Medal per il sottocapo (Leading Seaman) nocchiere John Wilson ed il sottufficiale Robert Leonard Capindale (“For an attack by M.T.B.s 266 and 315 on a heavily escorted enemy convoy off Cape Zebib; as a result of the attack two of the three enemy ships in the convoy were sunk. Motor Mechanic Capindale, by displaying coolness in an emergency and by getting the centre engine started quickly, contributed largely to the safe withdrawal of M.T.B. 266 from the scene of action. He has always been untiring in his work of keeping his engines in running order and it is due to his work that no engine failures have occurred at sea”), e la “menzione nei dispacci” per il sottotenente di vascello John Norman Broad (comandante in seconda della MTB 266) ed il marinaio John Hyslop. Per tutti la motivazione era 'For bravery in skilful and determined attacks on enemy shipping in the Mediterranean made from light coastal craft and from the air' ("per il coraggio [mostrato] in abili e determinati attacchi contro naviglio nemico nel Mediterraneo, condotti da unità veloci costiere e dall’aria"). Il racconto dell’azione che portò all’affondamento del Crema nelle parole del tenente di vascello Richard Routledge Smith, comandante della MTB 266: “I started engines and commenced to close the enemy at slow speed for a silent attack. The night was very dark, and visibility was further reduced by a slight haze and the spray caused by heavy seas. It was extremely difficult to distinguish at first between merchant ships and their escort. I finally identified two destroyers and a number of E-Boats [in fact Italian torpedo boats] sweeping close ahead of three merchant ships; I reduced speed to allow this screen to pass ahead of me. Speed was then increased to carry out a torpedo attack on the second ship in the convoy. At 0005 two torpedoes were fired at this ship. One of the escort and one merchant ship then opened fire and I turned away and, proceeding at high speed, ran across the bows of the third merchant ship which M.T.B. 315 was attacking. I observed one of my torpedoes explode between the bridge and the funnel of the merchant ship and it is probable that the second was also a hit, as the ship sank very quickly; 315 running through the survivors about two minutes later. M.T.B. 315 observed the first torpedo hit the enemy's port side, just abaft the foremast; he then crossed under the enemy's stern and fired from the enemy's starboard beam. A further explosion resulted and when this subsided the ship had completely disappeared. I attempted to close the destroyer on the starboard quarter of the convoy to attack her with depth charges, but the destroyer opened fire whilst I was still some distance away and I then turned away and passed between the after screen without sustaining any damage. M.T.B. 315 disengaged ahead of this destroyer on the starboard quarter and, steering due North came under accurate fire from the destroyers and E-Boats. 315 sustained superficial damage and one slight casualty. The boats reformed in position off Cani Rocks and course was set for Bone. The sea had now increased considerably and the boats were only able to make 13 knots: after one hours' steaming speed had to be reduced to 8 knots. It was found that M.T.B. 266 was making water fast in the Engine Room and after compartment, and constant bailing was requied to keep the water under control. The leaks were apparently due to the boat's back breaking and the side and bottom planking opening out. When daylight came the whole of the after deck could be seen to sag about five or six inches every time the boat crossed a swell (…)”.

Torpediniera "Clio"[modifica | modifica wikitesto]

  • 30 marzo 1943

All’1.30 la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2207 salpano da Napoli scortando il piroscafo Benevento, che deve unirsi al convoglio «GG», partito da Napoli per Biserta alcune ore prima e formato dai piroscafi Crema e Nuoro scortati dalle torpediniere Cigno (al comando del capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia) e Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta) e dai cacciasommergibili tedeschi UJ 2203 e UJ 2210. Il Benevento sarebbe dovuto partire insieme alle altre navi, ma la sua partenza è stata ritardata da alcune avarie. (Secondo Uboat.net, insieme a Clio e Benevento avrebbero viaggiato anche il Nuoro, l’UJ 2203, la torpediniera Giuseppe Dezza ed altri due cacciasommergibili tedeschi, UJ 2202 e UJ 2207). Alle 13.24 il sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter) avvista a sette miglia di distanza il fumaiolo e le alberature del Benevento, in navigazione verso sudovest; alle 13.50 identifica il bersaglio come un mercantile di 6000 tsl a pieno carico, preceduto da due pescherecci armatie e seguito da una torpediniera classe Spica (la Clio), con diversi aerei in pattugliamento nel cielo della formazione. Il Tribune non riesce ad avvicinarsi a meno di 6 km prima di lanciare, alle 14.31 – in posizione 39°37' N e 13°15' E, una cinquantina di miglia a nord di Ustica – tre siluri (intenzione di Porter sarebbe stata di lanciarne quattro). Clio e Benevento avvistano le scie di due siluri, che evitano con la manovra (l’orario indicato dalle fonti italiane sono le 14.43); a dare la caccia al sommergibile attaccante viene inviata la vecchia torpediniera Giuseppe Dezza (il Tribune, che cinque minuti dopo il lancio ha avvertito una forte esplosione erroneamente attribuita ad un siluro andato a segno, rileva un contrattacco a partire dalle 14.36, con il lancio in totale di 15 bombe di profondità e diverse bombe d’aereo, senza subire danni ma sprofondando fino a 116 metri a causa di problemi di assetto, per poi riuscire a sottrarsi alla caccia dopo quasi un’ora e mezza).

  • 31 marzo 1943

Alle 6.30, poco ad ovest delle Egadi, Clio, Benevento ed UJ 2207 raggiungono il convoglio, cui dieci minuti dopo si unisce anche la corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini). Si tratta di un convoglio lento, con una velocità di nove nodi; le navi godono di forte scorta aerea. Già da giorni i decrittatori britannici di “ULTRA” seguono attentamente gli spostamenti del convoglio: il 27 marzo hanno decifrato un messaggio dal quale risultava che i mercantili Crema, Nuoro, Benevento, Capua e Caterina Costa erano «attesi a breve scadenza in Tunisia, provenienti dall’Italia», il 28 marzo hanno intercettato un’altra comunicazione che ha rivelato che «Benevento, Nuoro e Crema avrebbero dovuto lasciare Napoli il giorno 27 per la Tunisia, tempo permettendo», e l’indomani un’altra ancora da cui è risultato che «Sono attesi i seguenti arrivi, sempre condizionati dallo stato del tempo: a Tunisi il giorno 31 verso le 23.00 Crema, Nuoro e Benevento». Il 31 marzo, infine, un’ultima intercettazione ha permesso ad “ULTRA” di apprendere che «Crema, Nuoro e Benevento hanno lasciato Napoli alle 22.00 del giorno 29. Essi doppieranno l’isola di Marettimo alle 6.30 del 31 e procederanno per Biserta». Sulla scorta di queste informazioni, la Marina e l’aviazione Alleate sottopongono il convoglio ad una successione di attacchi aerei e navali. Alle 13.52, mentre il convoglio è dieci miglia ad est del banco Skerki, si verifica il primo attacco da parte di otto bombardieri (identificati da parte italiana come Lockheed Hudson, mentre in realtà si tratta di North American B-25 “Mitchell” del 321st Bomb Group dell’USAAF: ne erano originariamente decollati quattordici dalle basi nordafricane alle 13.45, scortati da 25 caccia P-38 del 1st Fighter Group, ma sei bombardieri e tredici caccia sono tornati indietro poco più tardi), scortati da 4-5 caccia Lockheed Lighting, che sganciano le bombe da 2500-3000 metri di quota, senza colpire alcuna nave. Sia i mercantili che le navi di scorta reagiscono violentemente con le proprie mitragliere, ma non colpiscono alcun aereo; priva di risultati è anche la battaglia aerea ingaggiata con i caccia italiani e tedeschi di scorta al convoglio, nonostante le opposte rivendicazioni (da parte statunitense, il danneggiamento di un caccia tedesco ed il probabile abbattimento di un altro da parte di un B-25; da parte tedesca, l’abbattimento di tre B-25 da parte dei Messerschmitt del 7./Jagdgeschwader 53). Alle 14.24 si unisce alla scorta la torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli), distaccata alle 11.25 mattino dal caposcorta del convoglio «RR» (motonavi Belluno e Pierre Claude, in navigazione da Napoli a Tunisi con la scorta delle torpediniere Fortunale, Antares e Sagittario e di due cacciasommergibili tedeschi), che precede il «GG» di una quarantina di miglia, con il compito di rafforzare ulteriormente la scorta di quest’ultimo. Raggiunto il convoglio, la Cosenz funge inoltre da unità pilota sulla rotta di Zembretta. Alle 15.57, mentre il convoglio si trova già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, subisce un attacco di tre ondate di aerei, una dopo l’altra: la prima, composta da altri otto bombardieri identificati come Hudson scortati da caccia Lighting, sgancia molte bombe da 2500 metri, senza colpire nulla; la seconda, formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, sopraggiunge da ovest (direzione del sole, lato dritto del convoglio) e sgancia molte bombe ed alcuni siluri, di nuovo senza fare danni; alle 16 la terza ondata di sei bombardieri e cinque aerosiluranti attacca il convoglio su entrambi i lati. (Secondo fonti statunitensi, questi attacchi furono portati da una formazione di quindici bombardieri B-25 Mitchell del 321st Bomb Group, decollati alle 13.45 e scortati da venticinque caccia P-38 del 95th Squadron dell’82nd Fighter Group; uno dei B-25 e tre dei P-38 erano dovuti rientrare alla base poco dopo il decollo). La scorta aerea italo-tedesca reagisce prontamente: un singolo bombardiere Junkers Ju 88 del II./Kampfgeschwader 76 riesce ad attirare su di sé l’attenzione di diverse squadriglie di P-38, portandoli lontano dai bombardieri; i piloti dell’82nd Fighter Group si ritrovano sotto attacco da parte di un totale di dieci Messerschmitt Bf 109, uno Ju 88 ed alcuni caccia italiani (numero e tipo non specificato). Gli aerei dell’Asse scompaginano la formazione dei bombardieri, costringendo molti di essi a scaricare le loro bombe in mare ed a ritirarsi senza attaccare; i restanti B-25 attaccano in due gruppi, dei quali uno effettua il suo attacco da appena 30 metri di quota, secondo la tattica dello “skip bombing” (nel quale le bombe vengono sganciate dal bombardiere a bassissima quota ed a ridotta distanza dalla nave attaccata, in modo tale da rimbalzare sulla superficie dell’acqua, come un sasso tirato a “rimbalzello”, e colpiscano la nave), mentre l’altro sgancia le bombe da alta quota, circa 2440 metri. Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, il tiro contraereo delle navi riesce ad abbattere due dei velivoli attaccanti (secondo quanto riferito allo Stato Maggiore della Kriegsmarine dagli ufficiali tedeschi di collegamento presso Supermarina, invece, le navi dell’Asse avrebbero rivendicato il probabile abbattimento di ben sei aerei, uno da un cacciasommergibili tedesco e gli altri cinque dalle unità italiane), mentre un terzo, un quadrimotore, viene abbattuto dai caccia della Luftwaffe di scorta aerea, che però subiscono a loro volta la perdita di due dei loro aerei nei duelli combattuti sul cielo del convoglio. Durante la battaglia aerea combattuta sul cielo del convoglio, i piloti dei P-38 statunitensi rivendicano l’abbattimento di uno Ju 88 e di un Messerschmitt Bf 109 (rispettivamente da parte dei sottotenenti Marion Moore e Ralph C. Embrey, entrambi una ventina di miglia a nord-nord-est di Cap Zembra), mentre i mitraglieri dei B-25 (tre del 445th Bomb Squadron ed uno del 448th) ritengono di aver certamente abbattuto tre Messerschmitt Bf 109 ed un Focke-Wulf Fw 90, di aver probabilmente abbattuto un altro Bf 109 e di averne danneggiati altri tre. In realtà, le perdite complessive da parte tedesca ammontano all’abbattimento di un singolo Messerschmitt Bf 109 (il WNr 15039 del caporale Konstantin Benzien del 4./JG. 27, abbattuto da caccia nemici 20 km a nord di Zembra e rimasto ferito) e di uno o due Junkers Ju 88 del 4./Kampfgeschwader 76 (questi ultimi andati perduti mentre erano impegnati in compiti di scorta convogli; uno abbattuto alle 15.50, quasi certamente nel corso dei combattimenti aerei attorno al convoglio «GG», mentre meno sicuro è il coinvolgimento dell’altro Ju 88). I caccia tedeschi del II./Jagdgeschwader 27 e del III./Zerstörergeschwader 1 rivendicano l’abbattimento di due P-38 e due B-25 (più precisamente, un P-38 dal sottotenente Hans Lewes del 5./JG 27, alle 15.58; un altro dal sergente Bernard Schneider dello stesso reparto; un B-25 dal caporale Hans Reiter del 4./JG 27; un presunto Lockheed Ventura – altro bimotore simile al B-25 – dal tenente Walter Lardy del III./ZG 1; i primi tre alle 15.58 ed il quarto alle 16, tutti 20 km a nordest di Zembra). In effetti, le fonti statunitensi riconoscono la perdita di due P-38 (quelli dei sottotenenti Joseph R. Sheen jr. e Francis M. Molloy, entrambi rimasti uccisi), ad ovest di Zembra, e di due B-25 del 448th Bomb Group, dei quali uno (il 41-13205 del tenente Charles A. McKinney, rimasto ucciso con sei uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 16.14 da caccia nemici, e l’altro (il 41-13209 “Trouble” del tenente Robert G. Hess, morto insieme a cinque uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 15.55 dal tiro contraereo delle navi. Stavolta – sono le 16 – il Nuoro viene colpito sul lato sinistro da un siluro (o così si ritiene a bordo: non essendo però l’attacco stato svolto da aerosiluranti, è più probabile che si sia trattato di una delle bombe lanciate con la tecnica dello “skip bombing”, scambiata dall’equipaggio per un siluro), e scoppia un incendio a bordo. Il Nuoro viene lasciato indietro con l’assistenza della Cicogna (esploderà alle 16.34, dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio), mentre il resto del convoglio prosegue. Per il resto del pomeriggio e della sera non si verificano altri attacchi aerei.

  • 1° aprile 1943

Intorno all’una di notte, mentre il convoglio si trova tre miglia a sud-sudovest dell’isola dei Cani ed a dieci miglia da Biserta, si verifica un improvviso attacco di motosiluranti britanniche, che erano rimaste ferme in agguato ed attaccano sulla dritta del convoglio. In origine erano salpate da Bona quattro motosiluranti: MTB 265, MTB 266, MTB 315 e MTB 316; le MTB 265 e 316, tuttavia, sono state costrette a lasciare la formazione, la prima per cercare un uomo caduto in mare, l’altra a causa di un’avaria ai motori. Le rimanenti due unità, sotto il comando del tenente di vascello Richard Routledge Smith della MTB 266, hanno raggiunto il punto prestabilito per l’agguato, un miglio a nord di Capo Zebib (e tre miglia a sud/sudovest dell’Isola dei Cani), alle 00.10 del 1° aprile; fermati i motori, si sono messe ad attendere l’arrivo del convoglio, ferme e acquattate nel buio. Alle 00.50 gli equipaggi britannici avvistano delle navi in avvicinamento da est; entrambe le motosiluranti mettono subito in moto i loro motori ed iniziano a lento moto l’avvicinamento al convoglio, del quale apprezzano la composizione come tre navi mercantili scortate da due cacciatorpediniere e diverse motosiluranti (“E-Boats”). Cogliendo di sorpresa il convoglio, le due MTB silurano sia il Crema che il Benevento e subito dopo si dileguano a tutta forza nell’oscurità, con il mare in poppa, nonostante una rapida e confusa mischia – nella quale la MTB 315 subisce leggeri danni ed un ferito lieve tra l’equipaggio – con la Cassiopea e l’UJ 2203 (quest’ultimo riterrà infatti di aver “almeno danneggiato” una delle motosiluranti), che proteggono i due mercantili sul lato di dritta. (Dopo aver lanciato contro il Crema, la MTB 266 cerca di avvicinarsi al “cacciatorpediniere” che si trova a poppavia dritta del convoglio – probabilmente la Cassiopea – per attaccarlo con bombe di profondità, ma viene ben presto dissuasa dall’intenso fuoco aperto da questi, che la induce a ripiegare ed allontanarsi. Anche la MTB 315 si disimpegna passando a proravia di questo “cacciatorpediniere” e, ritirandosi verso nord, viene presa sotto un tiro piuttosto accurato da parte del “cacciatorpediniere” e di uno dei cacciasommergbili tedeschi, subendo qualche danno superficiale). Il Crema affonda in soli due minuti a tre miglia per 210° dall’Isola dei Cani, mentre il Benevento può essere portato ad incagliare presso Capo Zebib, ma andrà egualmente perduto (permettendo però di recuperarne il carico). Su 70 uomini imbarcati sul Crema, soltanto in 26 possono essere tratti in salvo, a causa dell’oscurità e del maltempo che intralciano i soccorsi.

Torpediniera "Cigno"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

La Cigno (al comando del capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia) salpa da Napoli alle 19.30, scortando i piroscafi Crema, Chieti e Nuoro diretti a Biserta. Il resto della scorta è formato dalla Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta) e dai cacciasommergibili tedeschi UJ 2203 e UJ 2210.

  • 30 marzo 1943

Alle 16 si unisce al convoglio la corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini), giunta da Trapani, che lo lascia dopo qualche ora insieme al Chieti, diretto a Palermo.

  • 31 marzo 1943

Dall’1.45 alle tre di notte il convoglio sosta a Trapani, per attendere il piroscafo Benevento (partito da Napoli in ritardo per alcune avarie). Alle 6.30 si uniscono al convoglio, poco ad ovest delle Egadi, il piroscafo Benevento, la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2207, così formando un unico convoglio denominato «GG». Alle 6.40 si unisce di nuovo al convoglio la Cicogna; le navi godono inoltre di forte scorta aerea. Alle 13.52, mentre il convoglio è dieci miglia ad est del banco Skerki, il convoglio viene attaccato da otto bombardieri Lockheed Hudson, scortati da 4-5 caccia Lockheed Lighting, che sganciano le bombe da 2500-3000 metri di quota, senza colpire alcuna nave. Sia i mercantili che le navi di scorta reagiscono violentemente con le proprie mitragliere, ma non colpiscono alcun aereo; anche i caccia italiani e tedeschi della scorta aerea, trovandosi a bassa quota al momento dell’attacco, non riescono ad aver contatto con i velivoli avversari. Alle 14.24 si unisce alla scorta la torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli). Alle 15.57, mentre il convoglio si trova già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, subisce un attacco di tre ondate di aerei, una dopo l’altra: la prima, composta da altri otto bombardieri Hudson scortati da caccia Lighting, sgancia molte bombe da 2500 metri, senza colpire nulla; la seconda, formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, sopraggiunge da ovest (direzione del sole, lato dritto del convoglio) e sgancia molte bombe ed alcuni siluri, di nuovo senza fare danni; alle 16 la terza ondata di sei bombardieri e cinque aerosiluranti attacca il convoglio su entrambi i lati. Stavolta – sono le 16 – il Nuoro viene colpito sul lato sinistro da un siluro, e scoppia un incendio a bordo. Le navi abbattono due aerei, i caccia tedeschi ne abbattono un terzo – un bombardiere quadrimotore – ma subendo la perdita di due velivoli. Il Nuoro viene lasciato indietro con l’assistenza della Cicogna (esploderà alle 16.34, dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio), mentre il resto del convoglio prosegue.

  • 1° aprile 1943

Intorno all’una di notte, mentre il convoglio si trova tre miglia a sud-sudovest dell’isola dei Cani ed a dieci miglia da Biserta, si verifica un improvviso attacco di motosiluranti, che erano rimaste ferme in agguato ed attaccano sulla dritta del convoglio: Crema e Benevento vengono silurati, e le motosiluranti, dopo breve mischia con Cassiopea ed UJ 2203 (che proteggevano la dritta del convoglio), si dileguano nella notte. Il Crema affonda, mentre il Benevento può essere portato ad incagliare presso Capo Zebib, ma andrà egualmente perduto (permettendo però di recuperarne il carico).

Torpediniera "Cassiopea"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

La Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta) salpa da Napoli alle 19.30, scortando i piroscafi Crema, Chieti e Nuoro diretti a Biserta, insieme alla Cigno (al comando del capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia) ed ai cacciasommergibili tedeschi UJ 2203 e UJ 2210.

  • 30 marzo 1943

Alle 16 si unisce al convoglio la corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini), giunta da Trapani, che lo lascia dopo qualche ora insieme al Chieti, diretto a Palermo.

  • 31 marzo 1943

Dall’1.45 alle tre di notte il convoglio sosta a Trapani, per attendere il piroscafo Benevento (partito da Napoli in ritardo per alcune avarie). Alle 6.30 si uniscono al convoglio, poco ad ovest delle Egadi, il Benevento, la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2207, così formando un unico convoglio denominato «GG». Si tratta di un convoglio lento, con una velocità di nove nodi. Alle 6.40 si unisce di nuovo al convoglio la Cicogna; le navi godono inoltre di forte scorta aerea. Già da giorni i decrittatori britannici di “ULTRA” seguono attentamente gli spostamenti del convoglio: il 27 marzo hanno decifrato un messaggio dal quale risultava che i mercantili Crema, Nuoro, Benevento, Capua e Caterina Costa erano «attesi a breve scadenza in Tunisia, provenienti dall’Italia», il 28 marzo hanno intercettato un’altra comunicazione che ha rivelato che «Benevento, Nuoro e Crema avrebbero dovuto lasciare Napoli il giorno 27 per la Tunisia, tempo permettendo», e l’indomani un’altra ancora da cui è risultato che «Sono attesi i seguenti arrivi, sempre condizionati dallo stato del tempo: a Tunisi il giorno 31 verso le 23.00 Crema, Nuoro e Benevento». Il 31 marzo, infine, un’ultima intercettazione ha permesso ad “ULTRA” di apprendere che «Crema, Nuoro e Benevento hanno lasciato Napoli alle 22.00 del giorno 29. Essi doppieranno l’isola di Marettimo alle 6.30 del 31 e procederanno per Biserta». Sulla scorta di queste informazioni, la Marina e l’aviazione Alleate sottopongono il convoglio ad una successione di attacchi aerei e navali. Alle 13.52, mentre il convoglio è dieci miglia ad est del banco Skerki, si verifica il primo attacco da parte di otto bombardieri (identificati da parte italiana come Lockheed Hudson, mentre in realtà si tratta di North American B-25 “Mitchell” del 321st Bomb Group dell’USAAF: ne erano originariamente decollati quattordici dalle basi nordafricane alle 13.45, scortati da 25 caccia P-38 del 1st Fighter Group, ma sei bombardieri e tredici caccia sono tornati indietro poco più tardi), scortati da 4-5 caccia Lockheed Lighting, che sganciano le bombe da 2500-3000 metri di quota, senza colpire alcuna nave. Sia i mercantili che le navi di scorta reagiscono violentemente con le proprie mitragliere, ma non colpiscono alcun aereo; priva di risultati è anche la battaglia aerea ingaggiata con i caccia italiani e tedeschi di scorta al convoglio, nonostante le opposte rivendicazioni (da parte statunitense, il danneggiamento di un caccia tedesco ed il probabile abbattimento di un altro da parte di un B-25; da parte tedesca, l’abbattimento di tre B-25 da parte dei Messerschmitt del 7./Jagdgeschwader 53). Alle 14.24 si unisce alla scorta la torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli), distaccata alle 11.25 mattino dal caposcorta del convoglio «RR» (motonavi Belluno e Pierre Claude, in navigazione da Napoli a Tunisi con la scorta delle torpediniere Fortunale, Antares e Sagittario e di due cacciasommergibili tedeschi), che precede il «GG» di una quarantina di miglia, con il compito di rafforzare ulteriormente la scorta di quest’ultimo. Raggiunto il convoglio, la Cosenz funge inoltre da unità pilota sulla rotta di Zembretta. Alle 15.57, mentre il convoglio si trova già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, subisce un attacco di tre ondate di aerei, una dopo l’altra: la prima, composta da altri otto bombardieri identificati come Hudson scortati da caccia Lighting, sgancia molte bombe da 2500 metri, senza colpire nulla; la seconda, formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, sopraggiunge da ovest (direzione del sole, lato dritto del convoglio) e sgancia molte bombe ed alcuni siluri, di nuovo senza fare danni; alle 16 la terza ondata di sei bombardieri e cinque aerosiluranti attacca il convoglio su entrambi i lati. (Secondo fonti statunitensi, questi attacchi furono portati da una formazione di quindici bombardieri B-25 Mitchell del 321st Bomb Group, decollati alle 13.45 e scortati da venticinque caccia P-38 del 95th Squadron dell’82nd Fighter Group; uno dei B-25 e tre dei P-38 erano dovuti rientrare alla base poco dopo il decollo). La scorta aerea italo-tedesca reagisce prontamente: un singolo bombardiere Junkers Ju 88 del II./Kampfgeschwader 76 riesce ad attirare su di sé l’attenzione di diverse squadriglie di P-38, portandoli lontano dai bombardieri; i piloti dell’82nd Fighter Group si ritrovano sotto attacco da parte di un totale di dieci Messerschmitt Bf 109, uno Ju 88 ed alcuni caccia italiani (numero e tipo non specificato). Gli aerei dell’Asse scompaginano la formazione dei bombardieri, costringendo molti di essi a scaricare le loro bombe in mare ed a ritirarsi senza attaccare; i restanti B-25 attaccano in due gruppi, dei quali uno effettua il suo attacco da appena 30 metri di quota, secondo la tattica dello “skip bombing” (nel quale le bombe vengono sganciate dal bombardiere a bassissima quota ed a ridotta distanza dalla nave attaccata, in modo tale da rimbalzare sulla superficie dell’acqua, come un sasso tirato a “rimbalzello”, e colpiscano la nave), mentre l’altro sgancia le bombe da alta quota, circa 2440 metri. Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, il tiro contraereo delle navi riesce ad abbattere due dei velivoli attaccanti (secondo quanto riferito allo Stato Maggiore della Kriegsmarine dagli ufficiali tedeschi di collegamento presso Supermarina, invece, le navi dell’Asse avrebbero rivendicato il probabile abbattimento di ben sei aerei, uno da un cacciasommergibili tedesco e gli altri cinque dalle unità italiane), mentre un terzo, un quadrimotore, viene abbattuto dai caccia della Luftwaffe di scorta aerea, che però subiscono a loro volta la perdita di due dei loro aerei nei duelli combattuti sul cielo del convoglio. Durante la battaglia aerea combattuta sul cielo del convoglio, i piloti dei P-38 statunitensi rivendicano l’abbattimento di uno Ju 88 e di un Messerschmitt Bf 109 (rispettivamente da parte dei sottotenenti Marion Moore e Ralph C. Embrey, entrambi una ventina di miglia a nord-nord-est di Cap Zembra), mentre i mitraglieri dei B-25 (tre del 445th Bomb Squadron ed uno del 448th) ritengono di aver certamente abbattuto tre Messerschmitt Bf 109 ed un Focke-Wulf Fw 90, di aver probabilmente abbattuto un altro Bf 109 e di averne danneggiati altri tre. In realtà, le perdite complessive da parte tedesca ammontano all’abbattimento di un singolo Messerschmitt Bf 109 (il WNr 15039 del caporale Konstantin Benzien del 4./JG. 27, abbattuto da caccia nemici 20 km a nord di Zembra e rimasto ferito) e di uno o due Junkers Ju 88 del 4./Kampfgeschwader 76 (questi ultimi andati perduti mentre erano impegnati in compiti di scorta convogli; uno abbattuto alle 15.50, quasi certamente nel corso dei combattimenti aerei attorno al convoglio «GG», mentre meno sicuro è il coinvolgimento dell’altro Ju 88). I caccia tedeschi del II./Jagdgeschwader 27 e del III./Zerstörergeschwader 1 rivendicano l’abbattimento di due P-38 e due B-25 (più precisamente, un P-38 dal sottotenente Hans Lewes del 5./JG 27, alle 15.58; un altro dal sergente Bernard Schneider dello stesso reparto; un B-25 dal caporale Hans Reiter del 4./JG 27; un presunto Lockheed Ventura – altro bimotore simile al B-25 – dal tenente Walter Lardy del III./ZG 1; i primi tre alle 15.58 ed il quarto alle 16, tutti 20 km a nordest di Zembra). In effetti, le fonti statunitensi riconoscono la perdita di due P-38 (quelli dei sottotenenti Joseph R. Sheen jr. e Francis M. Molloy, entrambi rimasti uccisi), ad ovest di Zembra, e di due B-25 del 448th Bomb Group, dei quali uno (il 41-13205 del tenente Charles A. McKinney, rimasto ucciso con sei uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 16.14 da caccia nemici, e l’altro (il 41-13209 “Trouble” del tenente Robert G. Hess, morto insieme a cinque uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 15.55 dal tiro contraereo delle navi. Stavolta – sono le 16 – il Nuoro viene colpito sul lato sinistro da un siluro (o così si ritiene a bordo: non essendo però l’attacco stato svolto da aerosiluranti, è più probabile che si sia trattato di una delle bombe lanciate con la tecnica dello “skip bombing”, scambiata dall’equipaggio per un siluro), e scoppia un incendio a bordo. Il Nuoro viene lasciato indietro con l’assistenza della Cicogna (esploderà alle 16.34, dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio), mentre il resto del convoglio prosegue. Per il resto del pomeriggio e della sera non si verificano altri attacchi aerei.

  • 1° aprile 1943

Intorno all’una di notte, mentre il convoglio si trova tre miglia a sud-sudovest dell’isola dei Cani ed a dieci miglia da Biserta, si verifica un improvviso attacco di motosiluranti britanniche, che erano rimaste ferme in agguato ed attaccano sulla dritta del convoglio. In origine erano salpate da Bona quattro motosiluranti: MTB 265, MTB 266, MTB 315 e MTB 316; le MTB 265 e 316, tuttavia, sono state costrette a lasciare la formazione, la prima per cercare un uomo caduto in mare, l’altra a causa di un’avaria ai motori. Le rimanenti due unità, sotto il comando del tenente di vascello Richard Routledge Smith della MTB 266, hanno raggiunto il punto prestabilito per l’agguato, un miglio a nord di Capo Zebib (e tre miglia a sud/sudovest dell’Isola dei Cani), alle 00.10 del 1° aprile; fermati i motori, si sono messe ad attendere l’arrivo del convoglio, ferme e acquattate nel buio. Alle 00.50 gli equipaggi britannici avvistano delle navi in avvicinamento da est; entrambe le motosiluranti mettono subito in moto i loro motori ed iniziano a lento moto l’avvicinamento al convoglio, del quale apprezzano la composizione come tre navi mercantili scortate da due cacciatorpediniere e diverse motosiluranti (“E-Boats”). Cogliendo di sorpresa il convoglio, le due MTB silurano sia il Crema che il Benevento e subito dopo si dileguano a tutta forza nell’oscurità, con il mare in poppa, nonostante una rapida e confusa mischia – nella quale la MTB 315 subisce leggeri danni ed un ferito lieve tra l’equipaggio – con la Cassiopea e l’UJ 2203 (quest’ultimo riterrà infatti di aver “almeno danneggiato” una delle motosiluranti), che proteggono i due mercantili sul lato di dritta. (Dopo aver lanciato contro il Crema, la MTB 266 cerca di avvicinarsi al “cacciatorpediniere” che si trova a poppavia dritta del convoglio – probabilmente proprio la Cassiopea – per attaccarlo con bombe di profondità, ma viene ben presto dissuasa dall’intenso fuoco aperto da questi, che la induce a ripiegare ed allontanarsi. Anche la MTB 315 si disimpegna passando a proravia di questo “cacciatorpediniere” e, ritirandosi verso nord, viene presa sotto un tiro piuttosto accurato da parte del “cacciatorpediniere” e di uno dei cacciasommergbili tedeschi, subendo qualche danno superficiale). Il Crema affonda in soli due minuti a tre miglia per 210° dall’Isola dei Cani, mentre il Benevento può essere portato ad incagliare presso Capo Zebib, ma andrà egualmente perduto (permettendo però di recuperarne il carico). La Cassiopea partecipa al salvataggio dei naufraghi; su 70 uomini imbarcati sul Crema, soltanto in 26 possono essere tratti in salvo, a causa dell’oscurità e del maltempo che intralciano i soccorsi. Due membri dell’equipaggio della torpediniera, i nocchieri Aniceto Fortini e Salvatore Sorrentino, verranno decorati con la Croce di Guerra al Valor Militare per il loro ruolo nel salvataggio (per Fortini, con motivazione "Imbarcato su torpediniera di scorta a convoglio attaccato in primo tempo da aerei e successivamente da motosiluranti avversarie, colpiti da siluri ed affondati due piroscafi, si prodigava con slancio, abnegazione e perizia nelle difficili operazioni di ricupero dei naufraghi, svolte nottetempo in avverse condizioni di mare"; per Sorrentino, con motivazione "Imbarcato su torpediniera di scorta a convoglio attaccato in primo tempo da aerei e successivamente da motosiluranti avversarie, colpiti da siluri ed affondati due piroscafi, si prodigava nel salvataggio dei naufraghi, effettuato nottetempo in difficili condizioni di mare, e si tuffava più volte per soccorrere i pericolanti. Esempio di generoso altruismo"); il comandante Nasta riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Comandante di silurante di scorta a convoglio attaccato ripetutamente da aerei, contribuiva con azione decisa all'abbattimento di due velivoli avversari, e, durante la notte, ad effettuare pronta e vivace reazione contro motosiluranti avversarie. Colpiti da siluri due piroscafi scortati, perdurando la minaccia avversaria, ed in particolari condizioni di luce e di mare, dirigeva con perizia e decisione le operazioni di ricerca e ricupero di numerosi naufraghi".

Torpediniera "Cicogna"[modifica | modifica wikitesto]

  • 30 marzo 1943

Partita da Trapani, alle 16 la Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini) si unisce alla scorta del convoglio «GG», salpato da Napoli per Biserta il giorno precedente e formato dai piroscafi Crema, Chieti e Nuoro scortati dalle torpediniere Cigno (al comando del capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia) e Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta) e dai cacciasommergibili tedeschi UJ 2203 e UJ 2210. Qualche ora dopo, tuttavia, la Cicogna lascia il convoglio per scortare il Chieti a Palermo; qui le due navi giungono alle 23.35, dopo di che la corvetta riprende subito il mare per tornare ad unirsi al convoglio «GG».

  • 31 marzo 1943

Alle 6.40, poco ad ovest delle Egadi, la Cicogna si ricongiunge con il convoglio «GG», cui poco prima si sono uniti il piroscafo Benevento, la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2207. Le navi godono inoltre di forte scorta aerea. Alle 13.52, mentre il convoglio è dieci miglia ad est del banco Skerki, viene attaccato da otto bombardieri Lockheed Hudson, scortati da 4-5 caccia Lockheed Lighting, che sganciano le bombe da 2500-3000 metri di quota, senza colpire alcuna nave. Sia i mercantili che le navi di scorta reagiscono violentemente con le proprie mitragliere, ma non colpiscono alcun aereo; anche i caccia italiani e tedeschi della scorta aerea, trovandosi a bassa quota al momento dell’attacco, non riescono ad aver contatto con i velivoli avversari. Alle 14.24 si unisce alla scorta la torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli). Alle 15.57, mentre il convoglio si trova già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, subisce un attacco di tre ondate di aerei, una dopo l’altra: la prima, composta da altri otto bombardieri Hudson scortati da caccia Lighting, sgancia molte bombe da 2500 metri, senza colpire nulla; la seconda, formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, sopraggiunge da ovest (direzione del sole, lato dritto del convoglio) e sgancia molte bombe ed alcuni siluri, di nuovo senza fare danni; alle 16 la terza ondata di sei bombardieri e cinque aerosiluranti attacca il convoglio su entrambi i lati. Stavolta – sono le 16 – il Nuoro viene colpito sul lato sinistro da un siluro, e scoppia un incendio a bordo. Le navi abbattono due aerei, i caccia tedeschi ne abbattono un terzo – un bombardiere quadrimotore – ma subendo la perdita di due velivoli (secondo altra fonte, le navi avrebbero abbattuto due aerei e la scorta aerea della Luftwaffe altri quattro). La Cicogna viene distaccata per prestare assistenza al Nuoro, mentre il resto del convoglio prosegue. Abbandonato dall’equipaggio, il Nuoro salta in aria alle 16.34, 28 miglia a nord dell’isola di Zembra, quando le fiamme raggiungono il carico di munizioni che ha nelle stive; la Cicogna non può fare altro che recuperare i naufraghi, ma riesce a trarne in salvo soltanto 44 – meno della metà del totale – prima che il forte vento, che la sta facendo scarrocciare pericolosamente verso un campo minato, induca il comandante Migliorini ad interrompere l’operazione e fare rotta verso Trapani. Altri 50 sopravvissuti del Nuoro verranno salvati successivamente da mezzi minori inviati sul posto, mentre alcuni dei naufraghi perderanno la vita durante la lunga permanenza in mare. Il comandante del Nuoro, capitano Angelini (rimasto alla deriva per oltre ventiquattr’ore prima di essere tratto in salvo da alcune unità minori), descriverà nel suo rapporto il comportamento della Cicogna in modo piuttosto critico: «…Nel frattempo la corvetta C 15 si era avvicinata per raccogliere i naufraghi ed aveva messo a mare la sua piccola imbarcazione, con a bordo due marinai e sulla quale, scorgemmo con gioia che il GIACALONE [un marinaio del Nuoro] era stato tratto a bordo. Intanto però lo zatterino di provenienza francese, sprovvisto di acqua e delle altre dotazioni, sul quale avevamo trovato posto, aveva iniziato ad imbarcare acqua (…) Così decidemmo di chiedere soccorso all'imbarcazione della C15, la quale non avendo più posti disponibili a bordo, ci prese a rimorchio in attesa della corvetta. Attorno a noi si raccolsero altre zattere e naufraghi. Non eravamo preoccupati della situazione perché la corvetta era in zona e speravamo che presto, saremmo definitivamente stati tutti tratti in salvo. Trascorsero altri 30 minuti e vedemmo la corvetta dirigere verso la nostra parte. A circa 200 metri si fermò ed invece di imbarcare i naufraghi, richiamò la lancia e non appena imbarcati i suoi due marinai, lasciò la stessa e partì senza che nulla ci fosse comunicato».

  • 1° aprile 1943

Alle 2.15 la Cicogna raggiunge Trapani e vi sbarca i 44 naufraghi del Nuoro, tra i quali vi sono diversi feriti.

Convoglio "RR"[modifica | modifica wikitesto]

Torpediniera "Enrico Cosenz"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

La Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli) parte da Napoli per Tunisi, insieme alle torpediniere Antares e Sagittario, alla torpediniera di scorta Fortunale (caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco) ed ai cacciasommergibili tedeschi UJ 2202 e UJ 2207, scortando il convoglio «RR» (motonavi Belluno, italiana, e Pierre Claude, tedesca).

  • 31 marzo 1943

Alle 11.25, su ordine del caposcorta, la Cosenz lascia il convoglio «RR» per andare a rafforzare la scorta del convoglio «GG» (piroscafi Nuoro, Crema e Benevento, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle torpediniere Cigno, Clio e Cassiopea, della corvetta Cicogna e dei cacciasommergibili tedeschi UJ 2203, UJ 2207 e UJ 2210), che segue l’«RR» a circa 40 miglia di distanza. La Cosenz raggiunge il convoglio «GG» alle 14.24, e si unisce alla sua scorta. Alle 15.57, quando il convoglio è già in linea di fila per passare sulla rotta obbligata di Zembretta, viene attaccato da tre ondate successive di aerei: la prima (otto bombardieri bimotori Lockheed Hudson scortati da caccia Lockheed P-38 “Lightning”) sgancia molte bombe da 2500 metri, senza colpire nulla; la seconda (otto bombardieri e quattro aerosiluranti) attacca da ovest, dalla direzione del sole (cioè dal lato dritto del convoglio) e sgancia alcuni siluri e parecchie bombe, di nuovo senza risultato; la terza (sei bombardieri e cinque aerosiluranti), che viene subito dopo la seconda, attacca il convoglio da entrambi i lati e questa volta ottiene un risultato: il Nuoro viene colpito da un siluro sul lato sinistro, e si ferma con incendio a bordo. Il tiro delle navi abbatte due aerei, mentre i caccia della Luftwaffe di scorta aerea abbattono un quadrimotore nemico ma perdono a loro volta due aerei. Il Nuoro viene lasciato indietro con la Cicogna ad assisterlo (esploderà alle 16.34, quando le fiamme raggiungeranno le munizioni che fanno parte del carico), mentre il resto del convoglio prosegue per la sua rotta.

  • 1° aprile 1943

Verso l’una di notte, quando il convoglio è tre miglia a sud/sudovest dell’Isola dei Cani (a dieci miglia da Biserta), alcune motosiluranti britanniche ferme in agguato attaccano all’improvviso il convoglio sul lato di dritta; colpendo a sorpresa, riescono a silurare sia il Crema che il Benevento e poi, dopo breve e confusa schermaglia con Cassiopea ed UJ 2203, si dileguano ad alta velocità nel buio della notte. Il Crema affonda, mentre il Benevento riesce a raggiungere la vicina costa tunisina e si porta all’incaglio presso Capo Zebib (risulterà irrecuperabile, anche se sarà possibile recuperarne il carico).

Torpediniera "Antares"[modifica | modifica wikitesto]

  • 29 marzo 1943

L’Antares, la Sagittario, la Fortunale (caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco) e la vecchia torpediniera Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli) partono da Napoli per Tunisi alle 16.30, insieme i cacciasommergibili tedeschi UJ 2202 e UJ 2207, scortando il convoglio «RR» (motonavi Belluno, italiana, e Pierre Claude, tedesca). 30 marzo 1943 Il convoglio si ridossa a Favignana dalle 17.30 fino alle tre di notte del giorno successivo.

  • 31 marzo 1943

Alle 3.45 il sommergibile britannico United (tenente di vascello John Charles Young Roxburgh) avvista il convoglio «RR» (del quale apprezza erroneamente la composizione in tre mercantili e due cacciatorpediniere) in posizione 37°54’ N e 11°42’ E. La manovra d’attacco iniziata dall’United viene però frustrata quando una delle torpediniere accosta nella sua direzione, inducendolo ad immergersi in profondità. Alle 11.25, su ordine del caposcorta, la Cosenz lascia il convoglio «RR» per andare a rafforzare la scorta del convoglio «GG» (piroscafi Nuoro, Crema e Benevento, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle torpediniere Cigno, Clio e Cassiopea, della corvetta Cicogna e dei cacciasommergibili tedeschi UJ 2203, UJ 2207 e UJ 2210), che segue l’«RR» a circa 40 miglia di distanza. Successivamente anche la Sagittario lascia il convoglio. L’Antares e le altre navi arrivano a Tunisi alle 14.50.

Altre navi a napoli il 28 marzo 1943[modifica | modifica wikitesto]

Cacciatorpediniere "Corazziere"[modifica | modifica wikitesto]

  • 28 marzo 1943

Il 28 marzo 1943, quando i lavori di riparazione necessari al trasferimento a Genova erano stati quasi completati ed il Corazziere era quasi pronto a partire, Napoli venne sconvolta dall’esplosione della motonave Caterina Costa, carica di carburante e munizioni da trasportare in Tunisia. La nave, incendiatasi per cause rimaste ignote (incidente o forse sabotaggio), esplose infine alle 17.39 con effetti catastrofici: l’esplosione investì e affondò i due rimorchiatori, Oriente e Cavour, che stavano cercando di portare la Caterina Costa fuori dal porto, mandò in pezzi porte e finestre nei quartieri attorno all’area portuale, e lanciò lamiere e rottami infuocati di ogni dimensione sulla città, provocando altri incendi e crolli, danneggiando facciate, sfondando tetti e uccidendo passanti. Le vittime furono almeno 549, i feriti circa 3000. Il Corazziere, che si trovava ormeggiato vicino alla stazione marittima (abbastanza lontano dal molo dov’era ormeggiata la Caterina Costa), non subì danni, ma due membri del suo equipaggio, il marinaio cannoniere Walter Floriani (di 20 anni, da Padova) ed il sottocapo silurista Carlo Giovannetti (di 25 anni, da Campiglia Marittima), che al momento del disastro si trovavano a terra, furono tra le decine di persone uccise in città dalla pioggia di rottami lanciati ovunque dall’esplosione della Caterina Costa. Giovannetti, che era sceso a terra per fare un ultimo giro in città prima di partire per Genova, fu ucciso da una scheggia che lo colpì alla testa.

Piroscafo da carico "Campobasso"[modifica | modifica wikitesto]

  • 28 marzo 1943

Verso le 17.25, mentre il Campobasso è ancora ormeggiato nel porto di Napoli, viene avvertita una violentissima esplosione proveniente dalla sinistra: per tutto il porto risuona un cupo boato, dopo di che un fortissimo spostamento d’aria investe il piroscafo, che viene anche colpito da schegge e rottami. È esplosa la motonave Caterina Costa: carica di 790 tonnellate di carburante e 1700 di munizioni, aveva preso fuoco qualche ora prima in circostanze poco chiare. Le vittime dell’esplosione, che arreca molti danni al porto ed alla città, sono almeno 549, i feriti circa 3000. Molte navi vengono danneggiate dall’esplosione della Caterina Costa, e tra di esse è anche il Campobasso: passato lo spostamento d’aria, infatti, si nota sul piroscafo che fumo e fiamme si levano dalla stima numero 4. Non appena il personale ha modo di avvicinarsi, viene constatato che sul fondo della stiva giace una lamiera del peso stimato di circa 800 kg, “caduta dal cielo”. Si tratta di uno dei molti rottami infuocati della Caterina Costa che l’esplosione ha lanciato per tutto il porto e la città. Le tre incerate che servono a coprire i boccaporti del Campobasso, e le relative chiusure, stanno bruciando; tutte le serrette ed il pagliolato sono frantumati, al pari dei bagli mobili e delle lamiere della mastra. Pochi giorni dopo, il comandante Tarabotto viene rimpiazzato dal capitano di lungo corso Stanislao Leoni, che sarà ultimo comandante del Campobasso.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]


Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]