Utente:Amato Roberta/Sandbox

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Ossessioni collettive: critica dei social media

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Ossessioni collettive: critica dei social media, Milano, Egea,2012 è un saggio scritto da Geert Lovink (Amsterdam,1959); traduzione italiana dell’originale "Networks without a cause: a critique of social media", Cambridge, Polity ,2011. Il saggio composto da Geert Lovink, affronta in chiave critica i nodi tematici delle culture di rete analizzando la fine della predominanza dei network digitali –indicati con la sigla 2.0- per fare spazio alle nuove modalità di accesso alla rete attraverso le mobile apps.

Con l'avvento del web 2.0 si riteneva che Internet potesse portare maggiore libertà di espressione e di informazione, altresì in ambito sociopolitico, per chiunque avesse a disposizione dispositivi informatici. Jodi Dean parla di “capitalismo comunicativo”, dove è presente il discorso, ma è assente un valido contenuto politico. Col web 2.0 “finisce l’era di internet” come serie di protocolli informatici e acquista la credibilità della vita reale. Il web 2.0 prospetta tre caratteristiche fondamentali:

  • semplice da usare;
  • facilita la socialità;
  • offre piattaforme gratuite.

Andrew Keen nel suo: “The cult of the amateur”[1], è uno dei primi critici del Web 2.0 che considera come: “darwinismo digitale”, cioè una selezione naturale in cui resiste solo il più forte.Nicholas Carr in “The big switch”[2] afferma che, con la nascita del cloud computing, termina l'epoca dei pc autonomi per lasciare spazio a quelli collegati tra loro. Il problema comune che emerge dalla lettura di questi critici è la perdita d'interesse nei confronti della lettura, dell'interazione con gli altri nel mondo reale e della riduzione del proprio "Io" ad un qualcosa di semplicemente sussistente in modo passivo. Si è connessi 24 ore su 24 e il grande colosso Google si muove tramite i link inseriti dai suoi utenti nei vari siti web e documenti. I link servono a passare da una pagina d'informazione ad un'altra. Col web 1.0 la rete era un mezzo per tenere alla larga i legislatori, ma dopo il 1995 ciò divenne impossibile a causa dell’apertura di internet alle masse. Per questo nascono cybercrime e programmi finalizzati a monitorare il web Nazionale.

La sovrabbondanza di informazioni in rete

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Il sovraccarico di informazioni non è altro che l’impossibilità di gestire un imponente numero di dati e accumularli fino a quando il sistema regge. La società è ormai considerata statica, immutabile, e i giovani indifferenti e incapaci di impegnarsi per qualcosa che non produca il loro piacere personale. L’effetto Carr[3] da voce ai timori generali sull’impatto a lungo termine che il Web potrà produrre sulla società. La facilità di ritrovare informazioni riduce la difficoltà della ricerca e la possibilità di creare un pensiero critico autonomo capace di mettere in rilievo le passioni e le propensioni delle nuove generazioni. Con l'avvento dei social network si è manifestata l'ossessione, da parte di ognuno, di celare la propria identità attraverso falsi profili e pseudonimi. Facebook è il principale responsabile. In seguito agli attentati terroristici dell'11 Settembre però, l'anonimato assoluto, non è risultato più praticabile dati i severi controlli e le nuove norme messe in atto dalle autorità. Altro aspetto che viene a mancare con il rivoluzionario avvento dei social network, è quello della critica, di cui risentono ovviamente i critici degli editori e tutti coloro che svolgono questi ruoli professionalmente. Più si pubblicano notizie e più gli utenti sono spinti a lasciare commenti per dar voce al pensiero in maniera libera, disinteressata e mancante di criteri oggettivi. Queste sono ormai le nuove forme di dialogo che caratterizzano le relazioni tra gli utenti. I siti caratterizzati dall'opportunità di commento, hanno l'obiettivo di capire il pensiero dei visitatori, e registrare le loro reazioni. G. Lovink parla così della “teoria critica della rete” con lo scopo di studiare le varie modalità di recensione che si trovano online. Perché la teoria possa affermarsi, dice Lovink, questa deve essere strettamente intrecciata con la tecnologia. Sia la cultura di rete sia la teoria della rete rimandano a contesti più ampi: il termine rete parla contemporaneamente dell'ambito sociale e tecnico; mentre la cultura di rete distrugge le reti televisive ed altri enti perché già dotata di accordi istituzionali e strutture sociali. Il termine “culture di rete” è quindi una strategia per capire internet attraverso le discipline umanistiche con l’obiettivo di sviluppare una nuova alfabetizzazione mediatica.

I media studies

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Si parlava di media studies per indicare un costrutto manageriale [4] interessato fra la letteratura, le radio, la tv, il cinema e i nuovi mezzi. L'interesse generale è rivolto verso i new media, la cultura digitale, internet e gli studi sul software. I new media devono ritrovare la loro autonomia per potersi rivolgere direttamente alla società e non essere contrastati dalle istituzioni. Per essere al passo con il cambiamento tecnologico i media studies devono trattare a parte la sfera digitale attribuendole metodologie e linguaggio specifici. Principale problema dei MS è la scarsa capacità di attirare l’attenzione, soprattutto quella dei più giovani. I media studies ritengono di dover abbandonare la dialettica tra vecchio e nuovo e la concorrenza con carta stampata e radio-TV. Si concentra quindi l'attenzione sulle piattaforme emergenti, sul lavoro in rete e la pressione che imprime la scansione del tempo reale. Quelle che continuano a perdere però sono le discipline umanistiche e artistiche sottomesse alla predominanza della scienza, che continua a ricevere l’80% dei fondi della ricerca. Siti emergenti sono i Blog che creano un esclusivo miscuglio tra l'ambito privato e pubblico, in cui si comunicano le proprie esperienze, non informazioni anonime. E' in questo settore che l'autore ci presenta diverse interpretazioni e pensieri sui blog in: Germania, Francia e Iraq sottolineando come le differenze politiche e culturali assumano un ruolo decisivo nella creazione di diverse scuole di pensiero circa la pubblicazione in rete di eventi personali.

Video e audio online: YouTube

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L'enorme materiale disponibile riguarda anche gli audio online. Da qui la domanda se possa esserci un ritorno delle radio. Le ricerche sugli scenari radiofonici portarono alla teoria dei “media sovrani”[5], cioè del passaggio da spazi di trasmissione politica a momenti liberi in cui ciascuno gestica il proprio tempo per far ascoltare l'estro personale. Radio come le emittenti De Vrije Keyser, di taglio politico, gestite da un numero di attivisti, e la Radio M2M, sono l’esempio di media indipendenti che puntano a creare uno spazio, in diretta, in cui le persone possano intervenire telefonicamente per mettere in questione quelli che sono temi di attualità o problematiche personali. Per questo l'interesse si concentra sulla voce degli “emarginati” dalla società, rispetto alla musica. Toek è riuscito a trasformare il sito web DFM in una fitta rete di ascoltatori e produttori sonori, collegati via chat room durante le trasmissioni dal vivo sul web. E’ la stessa comunity che dona a piacere piccole somme di denaro per la sopravvivenza e l’indipendenza economica della rete. I pessimisti culturali si uniscono in un unico coro, che urla a gran voce il crollo della narrativa: si leggono meno libri, si guardano meno film e tv. Con broswer capaci di offrire visualizzazione video, YouTube (trasmetti te stesso) è riuscito a raggiungere una massa critica di utenti e contenuti. Il successo di YouTube dipende, non solo dal fatto che alla gente piace curiosare tra video clip, ma permette ad ognuno di mostrare il proprio talento senza rigide limitazioni. La pubblicazione dei video sta portando alla nascita di veri e proprie professionisti, si crede infatti che interverranno le industrie cinematografico-televisive: o per limitare le piattaforme di video online come YouTube, o per portare a se le personalità emerse e più apprezzate in base alla popolarità.

L'ape regina: Google

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Google fornisce agli utenti piattaforme di servizi. Questo è accusato da G. Lovink di non voler affatto produrre e amministrare un archivio online, ma guadagnare, non costruire archivi pubblici sostenibili. “The internets uncontrolled world power”è il primo libro europeo di critica su Google e si focalizza sulla paura dei tedeschi nei confronti dell’azienda statunitense e della loro fame di dati. I suoi critici però risiedono soprattutto negli Stati Uniti. Internet sta dando forma all’organizzazione dei movimenti sociali in quanto tali a causa della diminuzione dei luoghi fisci dove riunirsi. La scarsità di spazi urbani ha spinto online gli attivisti. Prima dell’avvento dei nuovi media, gli attivisti erano soliti riunirsi fisicamente in luoghi segreti per condividere idee e opinioni. Con l’”attivismo di massa”[6], dove le persone si riuniscono e accordano in luoghi virtuali, viene meno l’unità e la collaborazione presente negli attivisti puri, ma si riescono ad unire molti più utenti. Dovremo informarci meglio sulle reti organizzate: queste spostano la produzione della cultura all’interno della rete. Bisognerebbe progettare strutture in grado di facilitare e coordinare l’attività collaborativa in ambito culturale, politico e didattico.

WikiLeaks è il maggiore rivelatore di notizie della storia. Le sue rivelazioni sono la conseguenza dell’enorme diffusione delle tecnologie dell’informazione e l’evidente difficoltà di tenere sotto chiave i segreti istituzionali e imprenditoriali. WL si è quindi proiettata nel regno della politica internazionale di alto livello. WL non è chiaro se opera come un fornitore di contenuti o come semplice condotto dei dati riservati. Una volta il giornalismo d’inchiesta tradizionale comprendeva tre fasi: scoprire i fatti, verificarli e contestualizzarli in un racconto comprensibile. WL fa la prima cosa, dice di fare la seconda, ma lascia in bianco la terza. WL ha il desiderio di contribuire a migliorare il mondo e illuminare le masse smascherando le menzogne politiche e istituzionali. In una struttura come WL i documenti vanno ricevuti in modo anonimo e vanno ulteriormente resi anonimi prima di essere diffusi online. Le piattaforme possono essere chiuse, quel che resta di WikiLeaks è l’affermazione dell’idea di poter diffondere informazioni riservate.


  1. ^ Geert Lovink,pag.10
  2. ^ Geert Lovink,pag.10
  3. ^ Geert Lovink,pag.51
  4. ^ Geert Lovink,pag.127
  5. ^ Geert Lovink,pag.186
  6. ^ Geert Lovink,pag.248