Terza convenzione di Ginevra

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La terza convenzione di Ginevra protegge i combattenti legittimi che, nel corso di un conflitto armato internazionale, cadano in potere del nemico.

Il trattamento umanitario previsto dalla III convenzione di Ginevra del 1929 è il frutto di un negoziato fra stati che ha cercato di tenere conto di due esigenze diverse:

  • sicurezza dello Stato che detiene il prigioniero;
  • fedeltà al proprio paese del prigioniero.

Il prigioniero di guerra, infatti, non essendo cittadino della potenza detentrice, non è legato ad essa da alcun dovere di fedeltà, ma anzi come soldato è spesso vincolato al dovere di cercare di combattere per il proprio paese, pertanto, ad esempio, se il prigioniero tenta la fuga e non riesce a raggiungere le proprie linee, potrà essere punito solo disciplinarmente e non penalmente (se però nel tentare la fuga uccide o ferisce qualcuno o compie altri reati allora potrà essere perseguito penalmente in base alle leggi del paese dove è trattenuto).

I prigionieri possono essere internati in campi. Ai soldati semplici può essere assegnato lavoro manuale, ai sottufficiali lavoro di supervisione. Non è permesso assegnare lavoro agli ufficiali, a meno che loro stessi lo richiedano. I prigionieri non possono essere obbligati a lavori di carattere militare.

Ai delegati del Comitato internazionale della Croce Rossa è concessa la visita ai prigionieri senza testimoni.

La terza convenzione di Ginevra è fondata sui diritti dei prigionieri di guerra quali vittime di guerra, mentre le precedenti convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907 sono fondate sul dovere del trattamento da parte dei militari detentori. Fu risottoscritta a Ginevra nel 1949, in sostituzione della precedente convenzione del 17 giugno 1925.

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