La cavalla storna: differenze tra le versioni

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'''''La cavalla storna''''' è una poesia composta da [[ Giovanni Pascoli]] in memoria del padre Ruggero, assassinato in circostanze apparentemente misteriose il 10 agosto 1867, quando il poeta aveva quasi dodici anni.


È costituita da trentuno strofe di due versi ([[distico]]), composte da [[endecasillabi]] canonici. Le rime sono baciate con schema AA BB CC DD.
È costituita da trentuno strofe di due versi ([[distico]]), composte da [[endecasillabi]] canonici. Le rime sono baciate con schema AA BB CC DD.

Versione delle 17:46, 7 mar 2015

La cavalla storna
AutoreGiovanni Pascoli
1ª ed. originale1903
Generepoesia
Lingua originaleitaliano

È costituita da trentuno strofe di due versi (distico), composte da endecasillabi canonici. Le rime sono baciate con schema AA BB CC DD.

Testo

Nella torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla”.

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia...”

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole”.

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera

“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.

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