Generatore termoelettrico a radioisotopi: differenze tra le versioni

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Versione delle 06:59, 4 set 2012

Particolare del generatore termoelettrico a radioisotopi della sonda Cassini
Schema di un RTG usato sulla sonda Cassini
Voce principale: Propulsione.

Un generatore termoelettrico a radioisotopi o radioisotope thermoelectric generator (RTG) è un semplice generatore di energia elettrica basato sul decadimento di isotopi radioattivi.

È composto da due parti: una fonte di calore e un sistema per la conversione del calore in elettricità. La fonte di calore, il modulo General Purpose Heat Source (GPHS), contiene un radioisotopo, il plutonio 238, che diventa fisicamente caldo a causa del proprio decadimento radioattivo. Il calore è trasformato in elettricità da un convertitore termoelettrico che sfrutta l'effetto Seebeck, un principio base della termoelettricità scoperto nel 1821. Una forza elettromotrice è prodotta dalla diffusione di elettroni attraverso l'unione di due differenti materiali (metalli o semiconduttori) che formano un circuito quando i capi del convertitore si trovano a temperature differenti.

Per la missione Cassini il generatore termoelettrico contiene 18 moduli separati, mentre per il Multi-Mission Radioisotope Thermoelectric Generator (MMRTG), usato ad esempio per il Mars Science Laboratory, è composto da 8 moduli e fornisce 120 W di potenza elettrica[1]. I moduli sono progettati per resistere ad ogni possibile eventualità: esplosione o incendio del veicolo di lancio, rientro in atmosfera seguito da impatto sul terreno o in acqua, e situazioni seguenti all'impatto. Uno schermo esterno in grafite provvede alla protezione contro i danni strutturali, termici e corrosivi di un potenziale rientro; inoltre, il combustibile è in forma di biossido di plutonio 238, un materiale ceramico resistente alla rottura. In tre diverse occasioni RTG erano a bordo di satelliti nella fase di rientro, ma non hanno portato alla dispersione di materiale radioattivo[2].

I generatori RTG sono progettati accuratamente e intensamente testati e sono usati a partire dalle missioni Apollo sulla Luna in modo sicuro nel campo dell'esplorazione spaziale. Tuttavia, in seguito all'incidente dello Space Shuttle Challenger, avvenuto il 28 gennaio 1986, venne considerata la possibilità di applicare uno schermo aggiuntivo al generatore; ma anche se questo potesse garantire protezione nelle vicinanze della zona di lancio, la sua notevole complessità aumenterebbe i rischi di una missione. In caso di avaria, uno schermo aggiuntivo potrebbe aumentare in maniera significativa le conseguenze di un impatto con il suolo.

Note

Voci correlate

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