Fuori posto (poesia)

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Fuori posto (poesia)
Titolo originaleDisplaced
AutoreCharles Bukowski
1ª ed. originale1990
Generepoesia
Lingua originaleinglese

Fuori posto (Displaced in lingua originale) è una poesia[1] di Charles Bukowski, pubblicata negli Stati Uniti nel 1990[2] e in Italia nel 2009 contenuta nel libro Cena a sbafo.[3] È tra le poesie dello scrittore statunitense più note in Italia.[senza fonte]

Interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

Bukowski era una persona solitaria che conduceva una vita sregolata, afflitta da una perenne insoddisfazione esistenziale. Lo scrittore e poeta statunitense non provava nessuna gioia nel vivere quotidiano: le uniche distrazioni erano l'alcool, le donne, la scrittura e lo scommettere sulle corse dei cavalli.

«Brucia all'inferno questa parte di me che non si trova bene in nessun posto mentre le altre persone trovano cose da fare nel tempo che hanno posti dove andare insieme cose da dirsi.»

Per Bukowski la sua vita era una disfatta esistenziale. Raramente riusciva a intravedere flebili raggi di luce nella sua triste esistenza, sentendosi pertanto come se stesse bruciando all'inferno per tutto il dolore che l'ha sempre accompagnato, a partire dagli anni universitari (non riuscirà mai a laurearsi). La sua sofferenza era talmente tanta che, metaforicamente, si sentiva come un terreno sterile ed arido impossibilitato alla crescita di fiori (intesi come simbolo di gioia).

«Io sto bruciando all'inferno da qualche parte nel nord del Messico. Qui i fiori non crescono.»

Lo scrittore e poeta statunitense non si definiva come le altre persone, perché ha provato troppa sofferenza nella sua vita, una sofferenza che ha fatti sì s'elevasse spiritualmente all'essere umano comune.

«Non sono come gli altri, gli altri sono come gli altri.»

Bukowski sottolinea come le persone si assomiglino tutte, potendo godere di un'illusoria felicità di vita. Per lo scrittore neanche fra duecento persone è possibile intravedere un solo vero essere umano, come ha riportato in u'altra sua poesia. Rispetto a queste persone Bukowski si sente molto vecchio, ma non nell'età, bensì nello spirito, proprio grazie alla sua elevazione spirituale; questo ne consegue la poca capacità di sopportazione della gente.

«Si assomigliano tutti: si riuniscano, si ritrovano, si accalcano, sono allegri e soddisfatti e io sto, bruciando all'inferno. Il mio cuore ha mille anni. Non sono come gli altri. Morirei nei loro prati da picnic soffocato dalle loro bandiere, indebolito dalle loro canzoni, non amato dai loro soldati, trafitto dal loro umorismo, assassinato dalle loro preoccupazioni.»

Bukowski conclude la poesia riconoscendo l'inferno in se stesso, in quanto era consapevole che tutto il suo dolore nasceva dentro di sé. Tuttavia non potrà mai scacciarlo, perché ormai ad essere mutato con gli anni è anche il suo spirito: questo lo renderà per sempre prigioniero dell'inferno che alberga dentro di se.

«Non sono come gli altri. Io sto bruciando all'inferno: l'inferno di me stesso.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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