Discussione:Mano invisibile

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Trovo discutibile l'impostazione del terzo e del quarto paragrafo del preambolo.

  1. In primo luogo, direi che la questione della mano invisibile non è ancora stata definitivamente chiarita né abbandonata, e addirittura va per la maggiore nell'ambito della microeconomia (non così in macroeconomia, d'altra parte, dove l'intervento dello Stato ha una sua plausibilità).
  2. Vorrei fare inoltre una considerazione di metodo: se l'economia è (o sarà, o ambisce a diventare) una scienza nel senso proprio del termine, all'interno di essa non c'è spazio per dimostrazioni, ma solo per teorie che, in un'ottica Popperiana, non hanno mai carattere definitivo, ma semplicemente sono buone finché non sono rifiutate dal dato empirico, o finché non si trova una teoria migliore - questo non è il caso dell'idea della mano invisibile, almeno non dal punto di vista di un'economista moderno.
  3. Infine, aggiungerei che l'idea della mano invisibile, così come formulata da Adam Smith, è qualcosa più vicino a un artificio retorico che a un modello economico, e non può essere assolutamente intesa alla stregua di un "principio", quale potrebbe essere, per chiarirci, il secondo principio delle termodinamica nella fisica; sarebbe allora il caso di chiedersi cosa esattamente avrebbero dimostrato Arrow, Scarf, o Sen (restando dell'idea che i loro contributi sono più che validi, ma che andrebbero ricondotti a qualcosa di più interessante che alla mano invisibile).

-- alb. (msg) 21 Ago 2005, 20:26 (CEST).

  1. Il fatto che non sia stata abbandonata, implica semplicemente pigrizia. NON esiste, nemmeno in microeconomia. Leggi l'articolo di Scarf.
  2. Se lasci cadere un sasso sui piedi di qualcuno, difficilmente andrà in orbita. Anche Popper sarebbe d'accordo, e pure Feyerabend. Non si può dimostrare correttezza, ma senz'altro si può dimostrare l'infondatezza, ed è stato fatto. A meno di contestare gli assiomi, ma sono chiari, semplici e condivisibili... ti riinvito a leggere l'articolo.
  3. Perfettamente d'accordo: senz'altro la teoria degli agenti e l'econofisica potrebbero rendere conto meglio delle dinamiche economiche. Peccato che molti pretesi economisiti credano che la mano invisibile sia un assioma fondante del mercato e ci giustifica il liberismo più sfrenato, quello del laissez faire. Quante volte sentiamo la frase "Il mercato farà questo" o "È il mercato che decide"? La teoria sociale ed economica di Sen risolve questi problemi, ma non è liberismo "classico".

Salumi e vasi --BW Insultami 08:55, Ago 29, 2005 (CEST)

Mi permetto di insistere, ti assicuro che l'approccio in microeconomia e` la decentralizzazione, e credo che un'enciclopedia - anche una particolare come wikipedia - debba presentare non solo punti di vista originali, ma anche quelli ortodossi (che sono difficili da ignorare, e te lo dico con un certo rammarico visto che fa parte del mio lavoro). Magari discutiamone, si puo` mettere assieme un dibattito a piu' su mano invisibile e temi collegati? alb. (msg) - 2 Set 2005, 12:06 (CEST)

Insisti pure. Sono favorevolissimo ai dibattiti. Ma ti prego di credermi, se ti dico che si può dimostrare (come ha fatto Scarf e puoi verificarlo tu stesso) che quanto sostenuto dalla teoria classica della mano invisibile, a parità di assunti, non è matematicamente valido. Anche perchè lo stesso Keynes fece il suo ragionamento con due persone e due merci. La cosa continua a valere per due persone e più merci, ma per tre persone e due merci già non è più valido. Quindi possiamo discutere quanto vuoi sul modello classico. basta però dire che, secondo ricerche nemmeno tanto recenti (1970) è *errato*. Non voglio fare il bastian contrario o il fissato con le teorie alternative, ma onestamente mi sento di affermare, in tutta convinzione, qunato sopra. Che poi fior fiori di economisti lo ingorino o non lo capiscano, sinceramente, non è un problema mio: casomai loro. --BW Insultami 13:32, Set 2, 2005 (CEST)
m'inserisco "umilmente" in questo dibattito perchè non sono un accdemico, ma un più "semplice" laureando..Da quello che ho capito leggendo il capitolo del libro quarto, per Smith la ricchezza di una nazione coincide col valore di scambio della merce prodotta (contro merce-denaro e contro merce-lavoro). La moneta in circolazione insieme al valore del lavoro incorporati nei beni equivalgono al valore della produzione (che è maggiore, "aggiunto" di ce Sm,ith, a quello delle amterie prime).

dal ragionamento pare che ricchezza e valore della produzione, capitale(chiamato reddito nel caso della nazione) e livello di occupazione per una nazione siano la somma algebrica, di capitale, lavoro che può occupare, valore della produzione do ogni individuo. Perciò massimizzare il valore del prodotto di ogni individuo (da cui deriva il suo profitto)equivale a massimizzare il valore del prodotto e della ricchezza nazionale. che a massimizzare il profitto di ogni individuo debba essere l'individuo stesso e non lo stato, è sostenuto da 3 ragioni che credo siano degli assiomi ragionevoli:

  • l'individuo vuole massimizzare il suo profitto
  • sa farlo meglio di un legislatore e statista perchè conosce la realtà locale
  • è più sicuro e democratico che il potere economico di diregere i capitali sia frammentato fra moltissime persone piuttosto che affidato a un solo statista o a un migliaio di "senatori"(dice Smith).

E Scarf, nell'articolo più ignorato nella storia dell'economia, dimostra che quando invece di un singolo prendiamo più singoli che interagiscono, le dinamiche lineari classiche vanno allo sfascio, in quanto ci sono relazioni non lineari tra il valore della merce e quello del mercato. Si può visualizzare agelvolmente considerando la funzione di partizione, o anche considerando che tra due individui ci sono due possibili relazioni di scambio, tra 3 sono 6, tra quattro 12, tra 5 20, e via dicendo... --BW Insultami BWB 13:00, 17 gen 2006 (CET)[rispondi]

sta dicendo che se viene meno una dinamica lineare non vale più la sovrapposizione di cause ed effetti. per cui il valore del prodotto nazionale non è più la somma dei valori dei prodotti degli individui singoli; però se la relazione è non lineare, ma la correlzione è fra i prodotti degli individui è soltanto positiva, ossia il valore del mio prodotto o non influisce o aumenta il valore del prodotto altrui..allora, massimizzare il prodotto totale continua a significare max il prodotto del singolo individuo.. che non diminuisce i termini di correlazione. nel prodotto nazionale, anche con correlazioni positive, il termine che prevale su quelli di correlazione è il prodotto del singolo..ed è quello che più occorre max..oppure le sinergie sono così forti da importare più del prodotto del singolo individuo?per cui occorre max i termini di correlazione positivi fra i prodotti degli individui, stabilire sinergie più che max il prodotto del singolo?.. salta tutto poi se le correlazioni negative; ossia se il valore del mio prodotto abbassa quello del prodotto altrui..a quel punto i prodotto totale è accrwciuto del mio contributo e diminuito di valore del contributo altrui..

È ancora peggio: l'inquinamento, per fare un esempio, distrugge parte della capacità produttiva incrementando le spese sociali per malattie e disinquinamento, ma aumenta il PIL, in quanto il fatturato delle aziende che disinquinano e degli ospedali aumenta per l'inquinamento, molto più di quante ore uomo di efficienza si perdano. E più un'azienda è attiva, più energia consuma e, allo stato attuale, più inquina... Esistono molti altri cicli del genere che aumentano il PIL pur diminuendo l'efficienza... In totale, ovviamente, il PIL è sempre la somma dei singoli, ma la massimizzazione di tutti non è lineare: perseguendo esclusivamente la massimizzazione, potrebbe scatenarsi una spirale ascendente o discendente senza freno. Facciamo un esempio, puramente ipotetico, col petrolio: i prezzi galoppano, ma nessuno, oggi, ne è indipendent. Ipotizziamo una crescita continua dei prezzi. Se le aziende raffinatrici massimizzano i profitti, in alcune condizioni si vengono a creare enormi gruppi di consumatori, che ancora possono pagarsi il petrolio, mentre tutti i piccoli e i medi chiudono. Dato che il petrolio costa troppo per mantenere il livello della produzione totale, l'efficienza cala, se continua a calare la disponibilità di petrolio, il prezzo aumenta, cosicchè mentre le aziende petrolifere prosperano, gli altri perdono efficienza. Dato che sia le aziende petrolifere che i grandi gruppi hanno forti influenze, la dipendenza dal petrolio viene mantenuta alta: dai petroliferi per convenienza, mentre dai grossi gruppi perchè costerebbe troppo la conversione. Per spezzare il ciclo, bisognerebbe intervenire subito per spezzare la dipendenza dal petrolio, incentivando risparmio energetico ed alternetive, quando ancora i piccoli possono affrontare il cambiamento. --BW Insultami BWB 07:30, 18 gen 2006 (CET)[rispondi]

A questo punto è tutto da vedere quano sia appropriato definire il PIL come la ricchezza nazionale, se ad un suo aumento possono corrispondere ineffcienze, il vantagggio di molti a discapito dell'interesse della maggioranza. Alla fine non solo c'è una correlazione negativa per cui max il proprio prodotto, riduce quello degli altri; la correlazione è particolare nel senso che nonostante questa correlazione negativa il prodotto nazionale aumenta, per cui max il prodotto del singolo significa nmax quello totale. il punto è che non significa max la ricchezza nazionale che non coincide con il prodotto nazionale( onon è solamante quello9, stando agli esempi fatti.-Marco

Ulteriore discussione (EN) http://www.wscsd.org/ejournal/article.php3?id_article=121 --BW Insultami BWB 13:15, 18 gen 2006 (CET)[rispondi]

Una nota su un fatto marginale ...[modifica wikitesto]

Provo ad inserirmi nella discussione. Non sono un economista e non entro nel merito, anche se sono d'accordo con l'impostazione generale di demistificare i molti "credo" dei professori di economia. Uno di questi è il PIL assunto come misura della ricchezza prodotta. Volevo però fare un osservazione sulla parte riguardante il determinismo, che forse è un po' frettolosa. In fisica c'è più di una negazione del determinismo. Il determinismo laplaciano, paradigma implicito fino a tutto l'ottocento, introduce un indeterminismo epistemico: le leggi sono deterministe, ma la nostra conoscenza è imperfetta, e quindi imperfette sono le nostre previsioni (solo dio sa tutto con infinita precisione, e quindi prevede tutto di qui all'eternità). Già questo basterebbe per contestare una perfetta predicibilità nell'economia, dove l'imprecisione nella descrizione del sistema è sia soggetta ad errori di misura (come in fisica), sia ad errori concettuali, come quando si indentifica il PIL con la misura della ricchezza prodotta. La meccanica quantistica introduce la probabilità non a livello epistemico, ma come costituente della realtà fisica. E' questo l'aspetto che refutò Einstein, non l'incertezza in sé. Infine, abbiamo da una trentina d'anni l'imprevedibilità deterministica, la cosiddetta "teoria del caos", la cui definizione più calzante è a mio avviso quella di Rouelle: "sensibilità alle condizioni iniziali". Un sistema non lineare, in generale, non conserva l'errore. Può amplificarlo, o anche ridurlo (anche a zero). Nella stragrande maggioranza dei sistemi interessanti (e utili) l'errore si amplifica, e dunque esiste un orizzonte temporale oltre il quale non ha più senso fare previsioni. Questo, anche nell'ipotesi di leggi ferreamente deterministe (equazioni differenziali) e di precisione finita, ma illimitatamente riducibile, delle misure. Un esempio contrario è il lavandino. Qualunque siano le condizioni iniziali, tutta l'acqua finirà abbastanza rapidamente nello scarico (lo chiamo: iperdeterminismo). Dietro questo iperdeterminismo (e anche dietro il caos deterministico) c'è però un'invariante: la quantità di acqua nel lavello è uguale a quella che transita nello scarico. La cosa ha secondo me più di un rilievo nelle discipline economiche. Forse gli economisti invece che impegnarsi nell'elaborazione di modelli matematici di previsione che a poco servono, dovrebbero concentrarsi di più sull'individuazione di invarianti, e su una descrizione concettualmente sensata dell'universo economico, cosa che apparentemente (visto da un occhio esterno come il mio) manca. Inoltre, bisognerebbe che gli economisti non dimenticassero (o imparassero) che ogni misura non restituisce un numero, ma un intervallo, e che pertanto la matematica del mondo è la matematica degli intervalli, non dei numeri. Eviteremmo di leggere cose (e di credere in cose) come l'inflazione che è diminuita da 1.2 a 1.1 punti percentuali. A proposito di Keynes: ma non disse forse "se sposo la mia governante, il PIL diminuisce?". Due soggetti, una "merce".

Chiedo scusa[modifica wikitesto]

La voce mi pare un po' "sospesa in aria". Sembra dare per scontato che in Smith ci sia una "teoria della mano invisibile", una tesi piuttosto difficile da sostenere.

L'espressione "mano invisibile" ricorre una sola volta sia nella Ricchezza delle nazioni che nella Teoria dei sentimenti morali. E si trova una sola volta nelle opere precedenti. In tutto tre volte (sei parole).

Come se non bastasse, la citazione del macellaio fa pensare che, per Smith, la "mano invisibile" che guida il "libero mercato" fa sì che la ricerca dell'interesse individuale si traduce immediatamente in benefici effetti per l'interesse generale.

In realtà, come diceva Jacob Viner, in Smith si trovano "munizioni sufficienti per parecchi comizi socialisti" (citato in Blaug, Storia e critica della teoria economica, Boringhieri, 1977, p. 90).

Ad esempio, nel Cap. XI del Libro I della Ricchezza delle nazioni, Smith dice che solo gli interessi dei proprietari terrieri e dei lavoratori coincidono con l'interesse generale, mentre invece "l'interesse di coloro che trattano in un certo ramo commerciale o manifatturiero è sempre, sotto qualche aspetto, diverso da quello del pubblico, e anche opposto".

Quel "libero mercato" in favore del quale Smith chiede (ma non indiscriminatamente) l'abolizione di dazi, tariffe, ecc., inoltre, è per lui solo una irrealizzabile utopia: "Attendersi che la libertà commerciale possa mai essere interamente ripristinata in Gran Bretagna è cosa tanto assurda quanto aspettarsi che vi possa essere instaurato il regno di Oceania o di Utopia. Vi si oppongono irresistibilmente non solo i pregiudizi del pubblico, ma anche, cosa molto più decisiva, l'interesse privato di molti individui". Tali individui sono "i padroni delle manifatture", che sono divenuti "temibili per il governo e intimidiscono in molte occasioni il legislatore", al punto che è diventato pericoloso "tentare di diminuire per qualche aspetto il monopolio che i nostri manufatturieri hanno ottenuto contro di noi". Il membro del parlamento che si opponga a tale monopolio incorre non solo in "insulti personali", ma anche nell'"effettivo pericolo che deriva dalla violenza insolente dei monopolisti furiosi e delusi" (Libro IV, Cap. II).

Si dovrebbe probabilmente anche sottolineare che Smith non è affatto "liberista" nel senso dello "stato minimo". Ad esempio, quando nel Libro V tratta della tassazione, si dichiara nettamente in favore della scuola pubblica. Più in generale, come dice sempre Viner, "i moderni apologeti del laissez faire che sostengono che la partecipazione governativa agli affari è fondamentalmente un'invasione di un campo riservato per natura all'impresa privata non possono trovare nella Ricchezza delle nazioni alcun supporto alla loro tesi" (citato in Blaug, p. 99).

Si può anche aggiungere che Smith non "assiste alla nascita di tutte le trasformazioni economiche e sociali che coinvolgono l'Inghilterra dell'epoca" (come scritto nella voce). Al contrario, come nota Blaug (p. 65), Smith ignora tutte le innovazioni che caratterizzano la rivoluzione industriale e continua a credere che l'agricoltura sia la fonte principale della ricchezza ("Il piantare o il dissodare spesso regolano, più che animare, l'attiva fertilità della natura; e dopo che queste operazioni sono state compiute, gran parte del lavoro è sempre lei a doverlo fare. I lavoratori e gli animali da lavoro impiegati nell'agricoltura, pertanto, non solo danno luogo, come gli operai delle manifatture, alla riproduzione di un valore uguale al loro consumo, ossia uguale al capitale che li impiega, aumentato dei profitti del suo proprietario, ma danno luogo a un valore molto maggiore [...] Nessuna uguale quantità di lavoro produttivo impiegata nelle manifatture può mai dar luogo ad una così grande riproduzione di valore. Nelle manifatture la natura non agisce affatto ed è l'uomo che fa tutto". Ricchezza delle nazioni, Libro II, Cap. V).

E infatti (i dati sulle innovazioni sono tratti da Ashton, La rivoluzione industriale 1760-1780, Laterza, 1998):

  • la Ricchezza delle nazioni venne pubblicata nel 1776, dopo una lunga gestazione;
  • nel 1709 Darby riuscì ad ottenere ghisa fondendola con il coke, ma il procedimento divenne concretamente utilizzabile solo a seguito delle ulteriori innovazioni introdotte da Cort nel 1783-1784 (Ashton, pp. 46-47 e 73);
  • la "navetta di Kay", ideata nel 1733, divenne d'uso comune solo dopo il 1760 (pp. 39-40);
  • la jenny di Hargreaves risale al 1764-1767, ma il filato prodotto era debole e adatto solo per la trama, non per l'ordito, per il quale si doveva ancora usare il telaio a mano (p. 78);
  • il telaio di Arkwright venne costruito nel 1768, ma il primo vero opificio a energia idraulica risale al 1771 (p. 79);
  • il "mulo" di Crompton (così detto perché era un ibrido con caratteristiche sia della jenny di Hargreaves che del telaio di Arkwright) risale al 1785 (p. 80);
  • conseguentemente, Smith ignora del tutto l'industria del cotone (vero e proprio battesimo del fuoco della rivoluzione industriale) ed elogia piuttosto la produzione inglese di lana ("le sete francesi sono migliori e più a buon mercato di quelle inglesi [...] ma [...] i panni di lana grossa fabbricati in Inghilterra sono incomparabilmente superiori a quelli francesi, e anche molto più a buon mercato a parità di qualità", Libro I, Cap. I);
  • James Watt realizzò gradualmente la macchina a vapore rotativa: l'eccentrico venne brevettato nel 1781, il movimento parallelo nel 1784, il volano regolatore nel 1788 (Ashton, pp. 75-77).

In sostanza, "non deve sorprendere che Adam Smith non abbia previsto la rivoluzione industriale" (Blaug, p. 65).

Per finire, l'influenza "liberista" di Smith sulla politica economica del suo tempo è stata praticamente trascurabile (al più un poco, ma proprio poco, su William Pitt; cfr. Evans, The Forging of the Modern State. Early Industrial Britain 1783-1870, Pearson, 2001, p. 51).

In conclusione, mi sembrerebbe più corretto esporre la "teoria" della mano invisibile come una "idelogia", che attraversa varie fasi tra le quali:

  • l'orginaria richiesta del laissez faire da parte dei fisiocratici;
  • la lotta degli industriali e degli esportatori di Manchester, riunitisi nel 1838 nella Anti-Corn Law League, contro le leggi sul grano;
  • l'attuale neoliberismo.

Se la volessimo considerare una "teoria", non solo difficilmente potremmo attribuirla - come teoria - a Smith, ma non potremmo che intenderla nel senso dell'affermazione dell'esistenza di un meccanismo automatico che conduce all'equilibrio il mercato concorrenziale, ed è stato ormai dimostrato non solo da Scarf, ma anche, e direi soprattutto, da Sonnenschein, che i requisiti necessari di un tale equilibrio (esistenza, unicità e stabilità) non sussistono (cfr., ad esempio, http://cepa.newschool.edu/het/profiles/sonnens.htm, oppure Screpanti e Zamagni, Profilo di storia del profilo economico, Carocci, 2000, pp. 381-385, oppure ancora, per una trattazione rigorosa degli aspetti matematici, Mas-Colell,Whinston e Green, Microeconomic Theory, Oxford University Press, 1995, pp. 598-606).

Grazie per l'attenzione, leitfaden 10/8/2006.

Ho cancellato quanto avevo scritto sotto questo titolo, in quanto ho preferito intervenire sulla voce. Alcune note:

  • ho integrato la voce inglese Invisible Hand, ma non sono riuscito a trovare un modo di integrare quella italiana (per i motivi detti sopra) e l'ho quindi riscritta da capo;
  • la seconda parte della nuova voce è "scarna", in quanto credo meglio migliorare le pagine a cui si fa riferimento:
    • concorrenza perfetta (da migliorare, come anche concorrenza imperfetta);
    • equilibrio economico generale (tutta da scrivere - ci farò un pensierino...) e relative critiche: (ir)razionalità delle preferenze, andamento delle curve dei costi, problema dell'esistenza/unicità/stabilità, asimmetria informativa, selezione avversa, ecc.;
    • economia del benessere (da migliorare) e relative critiche (Arrow, Sen, ecc.);
    • liberismo (da migliorare) e relative critiche (non solo Sen...);
    • neoliberismo (da migliorare - anche nella versione inglese) e relative critiche (Stiglitz, Hutton, Fligstein, ecc.).

In parole povere, ho preferito non appesantire la voce con considerazioni che... cercherò di inserire in altre voci da creare o migliorare.

Ho cominciato solo pochi giorni fa (il 10 agosto) a contribuire regolarmente a Wikipedia (cotone, zucchero, gas naturale) e spero di aver agito in modo conforme alle regole. In caso contrario... il testo precedente della voce può essere ripristinato e sono pronto ad accettare qualsiasi critica.

Grazie. --Leitfaden 12:41, 25 ago 2006 (CEST)[rispondi]

Me la leggo con comodo, poi ne discutiamo. --BW Insultami BWB 12:54, 25 ago 2006 (CEST)[rispondi]

PS: Scarf pubblica il saggio sui mercati nel 1962, 10 anni prima del teorema DSM, ma contemporaneamente al suo lavoro con debreu sul nucleo di convergenza. --BW Insultami BWB 13:01, 25 ago 2006 (CEST)[rispondi]

Attendo con interesse.

Ho aggiunto alcuni riferimenti all'ultima parte, dopo aver letto le pagine su attendibilità e verifica dei fatti (citare sempre le fonti, evitare espressioni come "alcuni dicono" ecc.). --Leitfaden 15:32, 25 ago 2006 (CEST)[rispondi]

Sempre nell'ultima parte, ho sostituito il riferimento ad un articolo inglese di Stiglitz con quello ad un libro tradotto in italiano. Nel libro Stiglitz critica in più punti la "mano invisibile" come principio fondante del (neo)liberismo (la prima volta a p. 12, l'ultima a p. 296) e, a pag. 147, riprende le considerazioni su Kahneman che aveva svolto nell'articolo "There is no invisible hand" sul Guardian subito dopo la concessione a Kahneman del premio Nobel. --Leitfaden 12:51, 27 ago 2006 (CEST)[rispondi]

Qualche nota, e una perplessità, da un non economista[modifica wikitesto]

A me pare che non si possanno applicare a ritroso categorie attuali senza tenee conto del costesto storico. Quando si definisce "liberista" Smith, vedo che si mettono gisutamente le virgolette. Smit h scriveva e pensava alla fine del settecento, in un mondo radicalmente diverso dal nostro, prima della rivoluzione industriale "globale", come giustamente si scrive. In tutta Europa ancora le innovazioni tecnologiche in agricoltura (prima il passaggio dal tiro a bue a tiro a cavallo nell'aratura, poi la rotazione delle colture) ancora non avevano esercitato tutto il loro potenziale creando superproduzine in agricoltura. L'europa era ancora dominata dal problema della fame, e chiunque si occupasse di queste cose non poteva che sensatamente considerare l'agricoltura come il settore economico primario, e la produzione agricola come "il" problema.

Riguardo al "liberismo", il legislatore (e lo Stato) di Smith non hanno niente a che vedere con lo Stato moderno: in Europa vi erano ancora Stati assolutisti e autoritari. Siamo ben lontani dallo stato liberale e democratico che si affermerà nel corso dell'ottocento e del novecento. Che senso ha "riportare" piattamente l'attitudine di un "pensatore" (non di un "economista", categoria che esiste oggi, non allora, e nemmeno nell'ottocento) verso uno Stato che niente ha a che fare con quello odierno?

Ho infine dei dubbi sul significato che la parola "Provvidenza" assume presso Smith, e su come sembra interpretarla la voce. La lettura di testi così "antichi" presenta molte difficoltà e trappole, e non può essere svolta sulla base di sole cognizioni economiche, ci vuole la filosofia e la storia, e molta sapienza. Credo (confortato da opinioni autorevoli) che Smith (come Cartesio) avesse la preoccupazione opposta di quella di pensare ad un mondo agito dalla Provvidenza divina, ma piuttosto di fondare una visione del mondo come autonomo e regolato da leggi autonome e conoscibili. Non ci si deve fare ingannare dalle parole: pure La Mettrie usa la parola "spirito", ma questo non impedisce che sia un materialista, critico e delle visioni provvidenziali mediovali, e di quelle di Cartesio.

Ho infine una perplessità: vedo che vengono spesso eliminati link a siti esterni con la motivazione che sarebbero spam. Viene fatto anche relativamente ad un sito che spesso inserisco io, e che non ha nessun carattere commerciale, ma solo documentativo. In questo specifico caso, vedo che è stato eliminato con questa motivazione un link alla voce su Smith del sito "filosofico.net". Preciso che trovo quella voce particolarmente orribile (anche se il sito è di addetti ai lavori), ma non capisco né perché un link del genere possa essere considerato spam, né perché voler impedire agli utenti di wikipedia di conoscere un diverso modo di vedere le stesse questioni. Lasciamo siano loro a giudicare della qualità di ciò che leggono, una volta stabilito che i documenti soddisfano dei criteri minimi e universali di professionalità, e sono rilevanti rispetto alla voce.

--85.20.210.140 13:56, 27 mag 2007 (CEST)[rispondi]

Esternalità[modifica wikitesto]

Ho cancellato un paragrafo in cui si sosteneva che "La scoperta delle esternalità ha messo definitivamente in crisi l'illusione della mano invisibile di Smith" perché mi pare un'affermazione storicamente e teoricamente infondata. Dal punto di vista della storia del pensiero economico, in particolare, le esternalità si conoscono da un pezzo e i lavori di Scarf e di Sonnenschein sono molto più recenti. --Leitfaden 18:06, 3 nov 2007 (CET)[rispondi]

Sono stato io ad inserirlo... Il fatto che siano più recenti non vuol dire nulla.

Il discorso è estremamente articolato e riguarda circa gli ultimi cinquanta anni di evoluzione delle teorie economiche. Tuttavia è sufficiente dire come una crescita della ricchezza senza freni non sia desiderabile dal punto di vista della collettività, ma solo dal punto di vista individuale. Proprio perché la crescita presenta dei costi che poi è la società a dover pagare, e non il singolo.

Il classico esempio è quello dell'inquinamento, l'individuo non sostiene nessun costo nell'inquinare un fiume, il costo viene pagato dalla collettività che, magari, è molto più alto del ricavo incassato dal singolo.

Quindi nelle scelte di produzione l'imprenditore non fa rientrare dei costi (perchè non li sostiene) e produce più di quanto socialmente auspicabile.

Quindi il perseguimento di interessi individuali genera inefficienze, anche nel caso della concorrenza perfetta.

Non conosco i lavori più recenti di Scarf e di Sonnenschein, tuttavia quanto ho appena esposto è brillantemente riportato in Robert H. Frank, Microeconomia , trad. italiana a cura di Gilberto Turati, McGraw Hill, Milano 2003. --Riccardodivirgilio 10:50, 8 nov 2007 (CET)[rispondi]

Provo ad articolare un po' di più.

  • Non si può pensare alle esternalità senza pensare a Marshall (principale teorico al riguardo, oggi ripreso, tra gli altri, da Romer), ma arriviamo al 1924, cioè agli anni in cui si era appena cominciato a lavorare, a Vienna, ad una soluzione del problema dell'equilibrio economico generale, strettamente connesso all'economia del benessere.
  • Le esternalità sono certo un problema, ma non un prolema teoricamente insormontabile dal punto di vista dell'economia del benessere. Si è infatti pensato a "internalizzazioni", oppure a "diritti negoziabili" (cfr. Teorema di Coase).
  • Il modello di concorrenza perfetta incarnato dall'equilibrio economico generale, invece, non mi risulta abbia risolto i problemi di esistenza, unicità e stabilità della soluzione (condizioni essenziali perché si possa parlare di "equilibrio"). Su Scarf non trovo granché su Internet, ma puoi vedere le pagine a lui dedicate nella Microeconomic Theory di Mas-Collel, Whinston e Green; su Sonnenschein puoi dare un'occhiata a [1]. L'argomento è discusso anche in Bruna Ingrao e Giorgio Israel, La mano invisibile. L'equilibrio economico nella storia della scienza, oppure in Ernesto Screpanti e Stefano Zamagni, Profilo di storia del pensiero economico.

--Leitfaden 15:44, 8 nov 2007 (CET)[rispondi]

Su Scarf trovi materiale nelle sue pubblicazioni http://cowles.econ.yale.edu/~hes/pubs.htm --BW Insultami 17:35, 8 nov 2007 (CET)[rispondi]

Infatti i diritti negoziabili sono un intervento pubblico, squisitamente legislativo. Che è esattamente quello che io ho scritto e che è stato cancellato. Nel senso che il mercato da solo non riesce a raggiungere l'equilibrio, per farlo c'è bisogno di un intervento pubblico.

Per i beni pubblici la cosa è più grave. Prendiamo il caso delle automobili. Una sovrappopolazione di automobili non è certo desiderabile. Sarebbe auspicabile ridurre l'offerta di automobili per aumentare l'utilità complessiva. L'offerta di automobili non verrà mai ristretta a causa del traffico, questo costo deve essere assegnato dallo stato.

Quindi senza un intervento pubblico, anche solamente legislativo, la mano invisibile non funziona. Ma non funziona di brutto, nel senso che i più grandi problemi ambientali del nostro periodo sono proprio dovuti all'incapacità del mercato di sostenere i costi delle esternalità (inquinamento) e di affrontare i problemi legati all'utilizzo eccessivo dei beni pubblici (questione dell'immigrazione e della sovrappopolazione).

Io penso che sia importante inserire dentro Wikipedia questa informazione. Io lo so che la mano invisibile non funziona, ho studiato a lungo questi meccanismi. Però ci sono persone più ignoranti di noi che usufruiscono di wikipedia per avere una conoscenza sommaria e devono sapere che la Mano Invisibile è una illusione.

Propongo anzi che venga fatto un brevissimo paragrafo Ad Hoc per informare gli utenti del fatto che recenti studi hanno dimostrato quanto detto fino ad ora, con gli appositi link. --Riccardodivirgilio 22:23, 13 nov 2007 (CET)[rispondi]

Fatto http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Mano_invisibile&diff=12010683&oldid=11998299. --BW Insultami 07:49, 14 nov 2007 (CET)[rispondi]

Be', l'aggiunta di BW non copre tutto quanto proposto da Riccardo ;-).

Torniamo al paragrafo cancellato: "La scoperta delle esternalità ha messo definitivamente in crisi l'illusione della mano invisibile di Smith, dimostrando come il perseguimento dei fini individuali causasse dei costi nascosti che vengono scaricati sulla società, generando inefficienze che possono essere corrette solo con l'intervento pubblico (anche solo un intervento squisitamente legislativo)". Direi che la prima frase è criticabile perché, a quanto mi risulta (e come ho già detto), è stato altro che ha messo "definitivamente in crisi" l'illusione della mano invisibile.

Lo sostituirei quindi con qualcosa di più simile a quanto Riccardo ha ora precisato. Ad esempio (scrivo veloce perché... vado di corsa; è solo una bozza): "Da altro punto di vista, le teorie del benessere basate sull'ipotesi della concorrenza perfetta ignorano le esternalità, in particolare i costi sociali generati dal perseguimento di fini individuali (l'inquinamento ne è esempio classico). Le inefficiente generate da tali costi possono essere corrette solo con l'intervento pubblico (cfr. Teorema di Coase) e, pertanto, il mercato non può comunque raggiungere da solo soluzioni efficienti dal punto di vista sociale." --Leitfaden 10:32, 19 nov 2007 (CET)[rispondi]

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