Discussione:La ginestra

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La ginestra
Argomento di scuola secondaria di II grado
Materialetteratura italiana
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Progetto Wikipedia e scuola italiana

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Ma il testo non c'è già su Wikisource?--Tf - SCRIVIMI 17:25, 18 dic 2007 (CET)[rispondi]

Questo qui non è il testo originale, è una parafrasi --Bultro 17:43, 18 dic 2007 (CET)[rispondi]

A mio parere la parafrasi non è utile ad una voce di enciclopedia.--Pebbles 13:53, 7 gen 2008 (CET)[rispondi]

La parafrasi, così come si è fatto per altre opere di Leopardi, si deve togliere. La parafrasi è utile indubbiamente a uno studente, ma non può rientrare in una voce enciclopedica, caso mai antologica. E wiki non è una antologia. Pertanto io prendo l'iniziativa di toglierla. Non la elimino. La sposto solo in questa sede in modo che altri possano esprimere un loro parere e decidere che cosa farne.--Paola 19:06, 10 gen 2008 (CET)[rispondi]

Testo rimosso dalla voce
==[[Parafrasi]] e costruzione diretta della poesia==
===Prima strofa===
Qui sulle pendici aride dello spaventevole monte Vesuvio,
dove né fiori né alberi sopravvivono,
tu, diffondi i tuoi cespugli solitari tutt'intorno,
o profumata ginestra,
che vivi bene anche nei deserti. Già io ti vidi
abbellire con i tuoi steli le campagne
che circondano la città di [[Roma]],
la quale fu un tempo dominatrice degli uomini e del mondo
e queste campagne solitarie pare che con serio e silenzioso aspetto
ricordino al passeggero.
Ora ti rivedo in questo luogo
amante dei luoghi tristi e abbandonati dal mondo
e sempre compagna di grandezze cadute.
Questi campi sono cosparsi
di ceneri sterili, e ricoperti
di [[lava]] indurita
che risuona sotto i passi del viandante;
dove si annida e si contorce al sole
la serpe, e dove il coniglio torna nella sua tana buia;
furono un tempo liete città e campi coltivati
in cui si sentiva il biondeggiare delle spighe
e il risuonare dei muggiti del bestiame;
un tempo furono case e giardini
soggiorno gradito all’ozio dei potenti
e furono città famose che il vulcano indomabile
con i suoi torrenti di lava provenienti dalla sua bocca di fuoco
distrusse insieme con i loro abitanti.
Ora tutto intorno una rovina avvolge
Là dove tu dimori, o fiore gentile, e al cielo
Mandi un dolcissimo profumo, in grado di consolare il deserto
Quasi compiangendo le miserie altrui.
In questi luoghi venga colui che con le sue lodi
Esalta la condizione umana, e guardi quanto
La natura amorevole e benigna si curi
Del genere umano. E potrà anche
Giudicare con esattezza la potenza del genere umano
Che la crudele nutrice quando l’uomo meno se lo aspetta
Con lievi movimenti può annientare in parte,
e può con movimenti ancora meno lievi
all’improvviso può distruggere tutto.
Egli vedrà, allora, dipinte in queste terre
le magnifiche e progressive sorti
del genere umano

===Seconda strofa===
Guarda qui e specchiati in questi luoghi
O secolo superbo e sciocco
Che abbandonasti la strada tracciata sino ad allora
Dal pensiero risorto (rinascimento)
E mentre torni indietro ad epoche passate
Del ritornare ti vanti
Ma lo chiami andare avanti
Gli ingegni (intellettuali) tutti di cui
La loro sorte malvagia ti rese padre
Vanno ancora adulando il tuo comportamento
Anche se poi nel loro intimo
Si prendono gioco di te. Io non morirò
Con tale colpa
Ma ti mostrerò più apertamente possibile
Il mio disprezzo,
benché io sappia che la dimenticanza
colpisce chi non fu amato dal proprio tempo.
Di questo male (dell’essere dimenticato) che
Condivido con te fin da ora non me ne importa nulla.
Sogni la libertà ma allo stesso tempo
Vuoi  tuo servo il pensiero
Per il quale noi siamo risorti
Dalla barbarie del medioevo, e per merito nostro
È cresciuta la civiltà che sola guida al meglio
Le pubbliche sorti.
Così ti dispiacque la verità
Del nostro crudele destino e del basso posto
Assegnatoci dalla natura. Per questo
Vigliaccamente hai voltato le spalle alla luce
Che lo rese visibile (il vero): e mentre fuggi
Chiami vile chi lo segue e magnanimo
Soltanto colui che ingannando se stesso e gli altri
Astuto o folle, lo esalta fino alle stelle.

===Terza strofa===
Un uomo di povere condizioni e di salute fragile,
ma che sia generoso e nobile nell'animo,
non si proclama nè si considera
nè ricco nè forte
e non dà ridicolo spettacolo di sé tra persone di vita splendida e vigorosa,
ma senza vergogna lascia apparire se stesso povero di tesori
e tale si dichiara apertamente e giudica le sue cose conformemente alla verità.
O essere umano, io non credo già (a niente),
ma credo stolto colui che destinato a morire
e nutrito dalla sofferenza si vanta di essere nato per essere felice
e di spregevole orgoglio
riempie i suoi scritti promettendo ai popoli splendidi destini e grande felicità
che perfino il cielo ignora
a popoli che un maremoto, un'epidemia o un terremoto
possono distruggere con tanta violenza
da non lasciarne che un vago ricordo.
Nobile natura è, invece, quella
che ha coraggio di guardare in faccia
il comune destino e che con parole oneste,
senza nulla togliere alla verità,
accetta il male che fu dato in sorte agli uomini
e la miserevole condizione umana:
quella natura che si mostra grande e forte nelle sofferenze
e non accresce alle sue miserie gli odi e le ire fraterne
ancora più gravi di ogni altro male,
incolpando l'uomo del suo dolore
ma dà la colpa a quella veramente la colpevole,
madre dei mortali perché li genera
e loro matrigna  perché gli è ostile nella volontà.
L'uomo nobile di spirito e di pensiero chiama costei (la natura) nemica,
e pensando come del resto è verità
la società umana unita e organizzata incontro alla natura
ritiene tutti gli uomini confederati fra sé
e tutti abbraccia con vero amore
porgendo e aspettando nei pericoli e nelle sofferenze della guerra comune.
La nobile natura crede che sarebbe stolto alle offese dell'uomo armare la mano destra
e porre insidie e ostacoli al vicio erede
così come sarebbe in un accampamento circondato dal nemico
nel più aspro infuriare dei combattimenti,
dimenticando i nemici
aspre lotte intraprendere con gli amici,
e mettere in fuga e uccidere con la spada i propri compagni d'armi.
così questi pensieri,
quando saranno, come lo furono un tempo, chiari dal popolo,
e sarà ricondotto da un sapere veritiero
quel terrore che spinse gli uomini
a stringere legami contro la malvagia natura
allora l'onesto e il leale vivere civile
e la giustizia e la pietà umana
avranno allora altre radici
che non quelle vane e superbe fantasie
fondandosi sulle quali la virtù civile
si reggerebbe in piedi con la stessa precarietà
con la quale può stare in piedi la propria sede nell'errore
(Le idee della restaurazione politica e le credenze religiose dei cattolici).

===Quarta strofa===
Spesso io mi siedo in queste terre desolate  che la lava riveste di scuro e sembra che i flussi  pietrificati ondeggino; e dalla solitaria landa vedo le stelle brillare nel purissimo cielo, che  da lontano riflette il mare, e vedo attorno brillare tutto il mondo nei vuoti spazi celesti. E poi quando fisso i miei occhi alle stelle che a loro sono un punto mentre, invece, sono immense, cosi ché la terra e il mare in confronto a loro sono un punto; in confronto a loro non solo l'uomo è sconosciuto, ma anche la terra è del tutta sconosciuta e quando guardo le nebulose, quei nodi di stelle lontanissime, che a noi appaiono come nebbia, nei confronti delle quali non solo l'uomo e non solo la terra, ma anche tutte le nostre stelle, infinite per numero e per grandezza, e tutto il sistema solare sono ignoti o al massimo appaiono come le nebulose alla terra, cioè un punto annebbiato; di fronte a questi spazi immensi, stirpe dell'uomo, che cosa sembri al pensier mio? E ricordando la tua condizione quaggiù di cui dà segno il suolo che io calpesto, e ricordando, dall'altra parte, che tu , o uomo, ti ritieni fine dell'universo; e quante volte hai immaginato che gli Dei per tuo motivo scendessero in questo oscuro granello di sabbia che ha nome di terra, e hai immaginato che conversassero con te piacevolmente; e pensando che perfino l'età presente, che sembra superare tutte le precedenti in sapere ed in civiltà, ha riesumato le antiche credenze (medievali) che offendono i saggi; quale sentimento e quale pensiero, o infelice razza umana, mi stringe il cuore  finalmente verso di te? Non so se il riso (per la tua superbia o per la tua stupidità) o la pietà (per la tua misera condizione) debba prevalere.

===Quinta strofa===
Come un piccolo pomo, cadendo da un albero senza nessuna forza, sul finire dell'autunno,  distrugge devasta e schiaccia in un solo momento i dolci nidi di un popolo di formiche, le quali con tanta fatica e con gran lavoro avevano provveduto nell'estate a costruire, così la lava, scagliata in alto dal profondo vulcano cade o scendendo tra gli arbusti lungo il fianco della montagna piena di terra infuocata  distrugge e seppellisce in un solo momento le città che erano bagnate dal mare; per cui oggi su questi posti la capra vi pasce e altre città, nate da quelle sepolte, ora  vi sorgono e sembra che il tremendo vulcano ancora oggi  vuole calpestare le città distrutte. La natura non stima di più gli uomini che le formiche; e se le distruzioni sono di più fra le formiche e non fra gli uomini ciò è dovuto perché gli uomini hanno generazioni meno feconde.

===Sesta strofa===
Ben mille e ottocento anni sono passati da quando le popolose città di [[Pompei]] ed [[Ercolano]] sono state distrutte dalla forza della lava eppure ancora oggi il contadinello che coltiva ai suoi vigneti, che la terra morte e incenerita a stento nutre, alza lo sguardo ansioso alla vetta del [[vulcano]], che per nulla domata ancora è là e ancora minaccia di distruggere i suoi pochi averi a lui e ai suoi figli. E spesso il contadino, guardando dal tetto della sua modesta casa e balzando in piedi di notte, osserva il sentiero della lava che arriva fino alla spiaggia e al cui bagliore rilucono e rosseggiano la marina di [[Capri (Italia)|Capri]] e il porto di [[Napoli]] e [[Mergellina]]. Il contadino, se  lo vede avvicinarsi o se sente nel fondo del pozzo gorgogliare l'acqua, allora sveglia la moglie e i figlioli, e fugge via con quante cose può portare con sé, e da lontano guarda la sua abituale dimora e guarda il suo piccolo campo che era il suo unico mezzo di sostentamento, e intanto inesorabilmente  arriva la [[lava]], crepitando, la quale si sovrappone durevolmente sopra i campi. Pompei, dopo la lunga dimenticanza, torna alla luce del sole, come uno scheletro dissotterrato, per l'avidità di scoprire nuovi tesori o per la pietà dei resti antichi; e se il visitatore guarda dal centro della piazza lungo le file delle colonne spezzate, allora vede la doppia cima del monte  e vede li cono fumante che ancora oggi minaccia di distruggere le rovine rimaste. E il fuoco della lava mortale scende attraverso l'ombra della notte e rosseggia e tinge tutt'intorno e scorre attraverso l'orrore della secreta notte e passa per i vuoti teatri e per i templi diroccati e attraversa le case abbandonate, dove i pipistrelli nascondono i figli, come una fiaccola sinistra e fumosa vaga per i vuoti palazzi. La natura, incurante degli uomini e del tempo che passa, che egli chiama età antiche, e incurante delle generazioni di padre in nipoti, se ne sta sempre uguale se stessa e procede cosi lenta  tanto che sembra che stia ferma. Intanto gli stati cadono, i popoli e i linguaggi passano; e lei di tutto di ciò non se ne avvede eppure l'uomo si vanta di essere eterno.

===Settima strofa===
E tu, fragile [[Ginestra]], che abbellisci con i tuoi fiori profumati queste desolate campagne, anche tu sarai distrutta dalla crudele forza della lava, che ritornando al luogo già colpito dall'eruzione stenderà la sua ombra avida sui tuoi fragili cespugli. E tu piegherai il capo innocente sotto il peso mortale senza  fare nessuna resistenza:  ma tu non hai piegato fino allora il capo invano, codardamente, e non hai supplicato il tuo futuro oppressore; ma non hai eretto il capo con forsennato orgoglio né contro le stelle ne contro il deserto, dove tu avesti la nascita e la sede non per tuo volere ma per caso; ma tu sei tanto più saggia dell'uomo, ma tu sei tanto meno malata di orgoglio, perché non hai creduto che i tuoi fragili arbusti siano stati fatti immortali né dal destino né da te stessa.

La citazione in greco[modifica wikitesto]

Probabilmente sarà già stato spiegato altrove, ma non capisco perché, inserendo l'alfabeto Greco antico, non si riescano ad eliminare quei fastidiosi quadratini al posto di certe vocali.--Pebbles (msg) 14:31, 4 dic 2008 (CET)[rispondi]