Discussione:Eutifrone

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Riporto ciò che è indicato al punto # 1.4 Terza definizione di santo: ciò che tutti gli dèi gradiscono. Obiezioni di Socrate (I corsivi sono miei)

Eutifrone allora si corregge: pio è ciò che tutti quanti gli dei gradiscono ed empio è tutto ciò che tutti gli dèi detestano. Eutifrone è inoltre convinto che la definizione data sia impeccabile. Inizia qui il passo più complesso di tutta l’opera. Socrate non è ancora certo della perfezione della definizione data da Eutifrone, e dunque lo invita a riflettere su un certo punto: una certa azione è pia perché è gradita agli dèi oppure è gradita agli dèi perché è pia? Eutifrone mostra dapprima di non capire, poi protende per la seconda ipotesi. Allora, se è vera la seconda ipotesi bisogna riconoscere che la definizione di santo non è ancora stata data: si è invece caduti in un palese errore di logica formale dacché si è confusa la causa con l’effetto: ciò che è gradito agli dèi non è la pietà. Difatti il fatto che un’azione sia pia non dipende dal seguente apprezzamento degli dèi, ma da qualcos’altro. Socrate sprona ancora Eutifrone a definire il santo.

Secondo me è una sintesi molto weasel - sicuramente fatta in buona fede.

Prima questione "Inizia qui il passo più complesso di tutta l'opera"[modifica wikitesto]

Se con "complesso" si intende "articolato", bisognerebbe mostrare che questo è il punto in cui Eutifrone, l'interlocutore di Socrate, ha maggiori difficoltà, oppure bisognerebbe mostrare come di fatto il dialogo contenga una maggiore densità di argomentazioni.

Se con "complesso" si intende "difficile", abbiamo un giudizio soggettivo, quindi altre due possibilità: o si mette una citazione, ad esempio <<Come afferma X nell'opera Y, questo può definirsi "il più complesso di tutta l'opera">> (dove X potrebbe essere Reale, o Vegetti), oppure possiamo cassare tutta la riga.

Seconda questione: "si è invece caduti in un palese errore di logica formale dacché si è confusa la causa con l’effetto:"[modifica wikitesto]

Tralasciando la punteggiatura (i doppi due punti nel paragrafo), che potrebbe anche andare bene, siamo di fronte ad un'affermazione che, secondo me, è totalmente fuorviante, e comunque non mi pare trovi riscontro nel testo. Ho notato infatti che: - Nella traduzione italiana di Giovanni Reale (Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000) la parola causa compare solo in riferimento alla causa giudiziaria, e specialmente non figura nel passo 11b-e che ci interessa. - Nemmeno nella versione inglese del progetto Gutenberg ([1]) abbiamo il termine cause utilizzato nel contesto di cause-effect La mia ignoranza del greco, però, non mi consente di controllare il testo originale disponibile in [2]

Inoltre, bisogna notare che non solo Socrate non nomina esplicitamente il nesso causa-effetto all'interno del dialogo, ma che il concetto stesso di causa-effetto non è platonico, ma tipicamente aristotelico - o addirittura scolastico (Platone non fu mai chiaro: si pensi al dibattito sulla relazione idee-cose: fu relazione di causa-effetto, comunanza, partecipazione, o altro?). Aggiungo che la stessa individuazione del problema come un problema di logica formale è fuorviante (weasel). Dobbiamo forse presumere che Platone conoscesse la logica formale? Se sì, la chiamava proprio col termine 'logica formale' - termine che ricorda il successivo Aristotele? E anche ammettendo che la chiamasse 'logica formale', è il caso del dialogo Eutifrone?

Noto anch'io la questione di logica formale, perché leggo tra le righe il problema dell'implicazione semplice, ovvero: pio->gradito, oppure gradito->pio? Ridurre però la questione alla logica formale mi sembra eccessivo: Non siamo sicuri che Platone intendesse parlare di un'implicazione. Anche se ne parla, qual è il contenuto dell'implicazione? E' reale, formale? Il formale è reale per Platone? Allora è una questione di idee?

Quindi propongo di cassare l'intera espressione all'interno della voce di wikipedia..., però ho aperto la discussione nel caso qualcuno non fosse d'accordo.

Errore logico[modifica wikitesto]

Eutifrone allora si corregge: pio è ciò che tutti quanti gli dei gradiscono ed empio è tutto ciò che tutti gli dèi detestano. Eutifrone è inoltre convinto che la definizione data sia impeccabile. Inizia qui il passo più complesso di tutta l’opera. Socrate non è ancora certo della perfezione della definizione data da Eutifrone, e dunque lo invita a riflettere su un certo punto: "il pio è amato dagli dèi perché è pio, oppure è pio perché è amato dagli dèi?". Eutifrone mostra dapprima di non capire, poi protende per la seconda ipotesi. Allora, se è vera la seconda ipotesi bisogna riconoscere che la definizione di santo non è ancora stata data: si è infatti confusa la sostanza con l’accidente: essere gradito agli dèi non definisce la pietà, ma è solo qualcosa che le accade. Difatti il fatto che un’azione sia pia non deve dipendere dall'apprezzamento degli dèi, ma da una sua proprietà altrimenti accertata. Socrate sprona ancora Eutifrone a definire il santo.


Eutifrone propende per la prima ipotesi, non per la seconda: egli crede che il santo (o pio) è amato dagli dei perché è santo, non che è santo perché è amato dagli dei. Solo così ha senso dire che da ciò consegue che non si è data una definizione di santo. Se avesse propeso per la seconda ipotesi, "il santo è tale perché è amato dagli dei", allora sarebbe sensata la definizione "il santo è colui che è gradito agli dei", e non vi sarebbe contraddizione.