Discussione:EC3/ter «Gufo»

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Ecco la relazione di Supermarina, e una segnalazione dell'ammiraglio Bergamini, sull'azione dell'incrociatore SCIPIONE AFRICANO. Come si può constatare l'avvistamento delle motosiluranti britanniche fu effettuato otticamente, e il "Gufo" della nave non effettuo la scoperta. C'é sempre qualcuno che vuol dimostrare che quell'apparato aveva fatto una scoperta inesistente. Per questo, ripeto, stare attenti a chi lavora per fantasia o per sentito dire:

ATTACCO DI MOTOSILURANTI BRITANNICHE ALL’INCROCIATORE LEGGERO SCIPIONE AFRICANO NELLO STRETTO DI MESSINA LA NOTTE DEL 17 LUGLIO 1943

_______________________


SUPERMARINA

2 Settembre 1943

DANNI INFLITTI AL NEMICO

17 Luglio 1943 ore 02.10

Riferimento: Rapporto n. 969 data 20.7.43 dello SCIPIOME e n. 846 data 20.7.43 della PARTENOPE.

Comandante: Cap. Freg. Ernesto PELLEGRINI

Elementi denunciati: In transito nello Stretto di Messina per trasferimento da Napoli a Taranto, alle 0204 circa al traverso di S. Ranieri, l’Incrociatore AVVISTA 4 Motosiluranti che sbarrano la rotta poco a Sud del parallelo di Reggio. Nel dubbio possano essere nazionali l’Incrociatore manovra opportunamente poi, accertato delle loro contromanovre trattandosi di unità nemiche, mette la prua sulle motosiluranti. Due di esse dirigono subito all’attacco, mentre le altre due invece si allontanano. Dopo pochi secondi la Motosilurante più vicina da circa 2 – 300 metri lancia i siluri e nello stesso tempo l’Incrociatore apre il fuoco con tutte le armi. Delle due Motosiluranti di ponente una, colpita in pieno, affondava verticalmente, l’altra si fermava con incendio. Di quelle di levante, l’Incrociatore avendo accostato verso di esse, la più vicina, a circa 50 metri dalla nostra unità, esplodeva in pezzi, alcuni dei quali cadevano sull’Incrociatore troncandogli alcuni aerei della radio. Alle 0223 la quarta Motosilurante, che si era dileguata verso levante, tornando all’attacco con lancio di due siluri, senza conseguenze, e subito si disimpegnava sotto costa raggiunta forse solo da alcuni colpi di mitragliera.

Elementi di controllo: La Torpediniera PARTENOPE, che seguiva a breve distanza lo SCIPIONE, alle 0218 avvista una grande vampata che illumina lo scafo dell’Incrociatore. Successivamente, nella stessa direzione, vede divampare un incendio con alte fiammate per cui, non rilevando più azioni di tiro, la Torpediniera ritiene che lo SCIPIONE sia incendiato. Alle 0343 la Torpediniera (che scortava un Sommergibile) è al traverso dell’incendio che ancora perdura. Alle 0530, da intercettazioni radio telegrafiche la Torpediniera apprende che lo SCIPIONE staa proseguendo la missione e, avendo intanto lasciato la scorta, si reca sul punto dell’incendio (lat. 38°01’ long. 15°35’, dove trova il relitto prodiero della Motosilurante inglese n. 305, rottami vari e una salma. Le fasi dello scontro sono state osservate anche dalla Torpediniera FR 22 (che seguiva a sua volta la PARTENOPE) la quale pure ha visto un’esplosione, una forte fiammata con incendio, e pure ha ritenuto che si riferisse allo SCIPIONE. In definitiva è accertato che una Motosilurante è esplosa ed una Motosilurante (n. 305) si è gravemente incendiata ed è andata perduta: i naufraghi sono stati probabilmente salvati nel frattempo dalla unità indenne. Una terza Motosilurante secondo lo SCIPIONE è istantaneamente affondata, il che non può mettersi in dubbio, data l’ottima visibilità e non essendosi la Motosilurante più manifestata, né avvistata.

Apprezzamento:

L’Incrociatore SCIPIONE ha distrutto tre Motosiluranti nemiche, una delle quali distinta con il n. 305.


COMANDO IN CAPO FORZE NAVALI DA BATTAGLIA R. NAVE “LITTORIO”

Bordo, 18 Luglio 1943.

ORDINE DEL GIORNO N. 11

ARTICOLO UNICO

Nella notte sul 17 luglio l’Incrociatore “SCIPIONE” in missione di guerra incontrava a sud dello stretto di Messina, successivamente, due gruppi di motosiluranti nemiche. L’Incrociatore evita con abile manovra numerosi siluri lanciati e con la precisa ed immediata reazione delle sue artiglierie provocava la distruzione di tre motosiluranti e portava a termine senza danni la sua delicata missione. All’Incrociatore “SCIPIONE” ho diretto il seguente telegramma:

Prendo ora conoscenza rapporto telegrafico azione navale notte sul 17 (alt) Brillanti risultati raggiunti dimostrano alta perizia spirito combattivo, pronta decisione con cui azione est stata condotta et confermano quanto già sapevo circa elevato grado preparazione bellica e spirituale dello “SCIPIONE” (alt) A voi Comandante che con mano sicura guidate la nave affidatavi al vostro stato maggiore al valoroso equipaggio giunga espressione della grande et giustificata soddisfazione mia et di tutte le FF. NN. B. con l’augurio più affettuoso per future immancabili et meritate fortune (alt) Inviate comn massima urgenza proposta ricompense (alt). F/to BERGAMINI

IL COMANDANTE IN CAPO Ammiraglio di Squadra F/to Carlo BERGAMINI


FRANCESCO MATTESINI - 9 Agosto 2019 ______________________________


Facciamo adesso un esame critico sulle difficoltà italiane di costruire radiolocalizzatori e radiotelemetri, e sui difetti da essi riscontrati. Lo stesso argomento é stato oggi postato nel Forum dell'AIDEM. Si possono raccogliere, come proposto da Cest, tutti i miei interventi in questo Sito.

La mancanza di componenti elettroniche molto sofisticate, nella fattispecie tubi e valvole di grande affidabilità, non permise all’industria italiana, soprattutto negli anni 1940-1941 (prima dell’aiuto tedesco), di sperimentare e poi produrre radiotelemetri all’altezza dei tempi, assieme alla gamma degli apparati ad essi collegati, quali i sistemi di riconoscimento, di intercettazione e di radiodisturbo, campi in cui partivamo da zero essendo sconosciuti. Ciò significò di non poter restare al passo con quanto veniva realizzato con continue migliorie nelle nazioni più progredite nel ramo dell’elettronica, ragion per cui la quantità e la qualità degli apparati prodotti in Italia, che era subordinata alle forniture di materiale proveniente dalla Germania, risultò nel corso della seconda guerra mondiale di entità molto modesta.

Fu solo dopo lunghe prove tecniche che poté avere inizio, a partire dai primi mesi del 1943, la riproduzione in serie dell’EC.3/ter Gufo di tipo navale, ordinato in un totale di 100 esemplari alla Ditta SAFAR. Ma all’atto della sistemazione sulle navi tale apparato – come sottolineò in più occasione l’ammiraglio Bergamini, ed anche Maristat, denunciò tutta una serie di lacune di funzionamenti e strutturali che lo rendevano inaffidabile per la scoperta navale e soprattutto per quella aerea.

Profilo dei cacciatorpediniere classe “Comandanti Medaglia d’Oro, mai entrati in servizio. Sopra al telemetro è ben visibile l’antenna a doppia tromba del radiotelemetro EC.3/ter Gufo.

Seguì, nell’ordine delle costruzioni per la Marina, il più moderno apparato Folaga, realizzato dalla Società Magneti Marelli nel 1942, che fu anche ottimizzato per l’impiego aereo nei laboratori della Regia Aeronautica di Guidonia; ma entrambi gli apparati non ebbero modo di dimostrare appieno il loro valore, essendo rimasti allo stato di prototipi.

La stessa sorte subì il Gufo G.III, prodotto dalla Ditta SAFAR per l’impiego navale. Montato su piattaforma girevole a comando elettrico tipo WARD – Leonhard, fornito di un unico riflettore parabolico recante i dipoli per la trasmissione e la ricezione, ed agendo su lunghezza d’onda compresa tra i 65 e gli 80 centimetri, il Gufo G.III era in grado di rilevare navali fino a 50 chilometri di distanza. Potendo inoltre lavorare anche su settori limitati, agendo verso il mare da una postazione terrestre, questo apparato poteva esplorare costantemente la zona interessata migliorando notevolmente le possibilità di scoperta. Purtroppo anche questo interessante prodotto non arrivò in tempo, prima dell’armistizio, per essere sperimentato sulle unità della flotta, in modo da fornire l’esatta capacità d’impiego e, eventualmente, sostituire il lacunoso EC.3/ter Gufo.

La più interessante realizzazione dell’industria nazionale, fose l’unica che poteva competere con i Funkmess tedeschi, fu costituita dall’Argo. Si trattava di un apparato dotato di grande antenna rotante, prodotto dalla Divisione Radio di Guidonia per la Regia Aeronautica, allo scopo di utilizzarlo per l’avvistamento a distanza. Esso aveva una portata di circa 150 chilometri, ed era quindi corrispondente al Freya. All’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Argo si trovava ancora allo stato di prototipo in fase di realizzazione a Pratica di Mare, dove fu catturato dai tedeschi e portato in Germania per le sperimentazioni.

Nelle medesime condizioni si trovava un radiolocalizzatore di dimensioni molto più ridotte, derivato dall’Argo e denominato Vespa o più affezionatamente Arghetto, il quale , avendo dato buone prove come apparato funzionante a bordo di velivoli da bombardamento (Cant.Z.1007 bis e Cant.Z.1018), era stato ordinato all’industria. Anche l’Arghetto non poté essere realizzato in tempo, al pari del Lepre, apparato ancora di dimensioni minori di quelle del Vespa, che era stato studiato fin dalla fine del 1941 per impiegarlo nella caccia notturna su velivoli intercettori. La stessa cosa capitò al Veltro, un radiotelemetro di seconda generazione autocarrato, destinato all’artiglieria contraerea, e al Lince, radiolocalizzatore di terza generazione, destinato anch’esso al controllo del tiro contraereo. Entrambi non superarono la fase di sperimentazione.

Il fatto che nei vari settori dell’avvistamento navale, terrestre, aereo e di guida caccia non fosse stato possibile rendere operativi i radiolocalizzatori realizzati in Italia, ad eccezione del mediocre EC.3/ter Gufo, sta a dimostrare il fallimento in cui andò incontro l’industria radaristica nazionale. Infatti, la realizzazione di discreti apparati sperimentali e di prototipi, resi possibili dalla fornitura di materiali tedeschi e dalla conoscenza della tecnica e delle cognizioni scientifiche tedesche nel campo della radioricerca – Ricordiamo la costituzione della Telefunken italiana che iniziò a riprodurre i Raro da assegnare all’Italia su disegni della case madre di Berlino – non permisero all’industria italiana di superare la fase sperimentale, nonostante i molti anni trascorsi nella realizzazione degli apparati.

Conseguentemente – è bene sottolinearlo per la “Verità Storica” – la guerra elettronica combattuta nel Mediterraneo dalle Forze Armate del Regno non fu suffragata da uno sforzo adeguato, e risultò, nel complesso, di modestissima entità

Tuttavia, anche se fosse stata istituita una efficiente organizzazione nel settore della Radioricerca, ben poco l’Italia avrebbe potuto fare, con la sua modesta industria e la scarsa quantità di tecnici specializzati in elettronica, per reggere il passo con i progressi della Germania e, soprattutto per fronteggiare la colossale organizzazione scientifica e produttiva della Gran Bretagna (con fabbriche aeronautiche anche in Canada) e, in particolare, degli Stati Uniti d’America. Questi ultimi, grazie a ben dotati istituti di ricerca elettronica, di norma costituiti presso le Università, collegati da un lato ad un potenziale industriale poderoso e dall’altro con le Forze Armate, poterono sfornare una grande quantità di tecnici da dedicare allo studio e alla realizzazione in serie di un gran numero di apparati radar e sussidiari di ogni genere.


Francesco Mattesini

Roma, Agosto 2019

Dal Saggio di Francesco Mattesini, “I radiolocalizzatori della Regia Marina”: Parte Prima, "Dalle prime esperienze sulle onde elettromagnetiche alle realizzazioni di Marinelettro Livorno", Settembre 1995; Parte Seconda, "L’aiuto fornito dalla Germania", Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre e Dicembre 1995.

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