Discussione:Dialetto reggiano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Primi commenti[modifica wikitesto]

La sezione di grammatica è completamente da rivedere.

Sono d'accordo, anche perché non si descrive la grammatica, ma la fonetica. Se la sezione di fonologia che ho inserito vi sembra adeguata, continuerei con la sezione di grammatica (cancellando quella attualmente presente). --Malmöbon 12:21, 26 giu 2007 (CEST)[rispondi]

Scusêm mó sisso él italiân?--87.3.172.199 13:28, 3 lug 2007 (CEST) E cal dó l'îv catê?[rispondi]

Riorganizzazione[modifica wikitesto]

Per adesso sto tentando di dare una veste grafica diversa, per migliorare la leggibilità. Fra un po' cercherò di entrare anche nel merito. Un grazie a Malmöbon per il gran lavoro che ha fatto. --Tèstaquêdra 15:42, 3 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Ciao Tèstaquêdra, a sûn Lévi pó 't'é spiêgh... siamo in quella italiana e allora parliamo italiano, mi volevo scusare se prima ti ho intralciato ho fatto alcune correzioni e non mi ero accorto che c'eri anche tu. Comunque stai facendo un bel lavoro di impaginazione, grazie anche per il lavoro fatto a Malmöbon , la cosa diventa interessante anche per l'emiliano romagnolo.Ci vediamo sulla eml.--Life 17:29, 3 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Alcune osservazioni (Life)[modifica wikitesto]

Ho alcune osservazioni da fare, scusatemi le mie non corrette descrizioni ma non sono un linguista, faccio notare alcune cose che non sono, a mio parere, esatte e che io ho notato però non ho coretto perché prima volevo sentire il vostro parere.

Cominciamo da: dl' ôli, dla ' gînta, dl'âcva – dl’ é sbaliato perché dl’ é l’elisione di ed la (della) / ed al (dello) perciò si dovrebbe scrivere: ed la/ ed l’ / ‘d la / ‘d l’ /’d’l’ quindi: ed ‘l’/ ‘d ‘l ôli,ed la/ ‘d la gînta, ed l’ /’d l'âcva. I dimostrativi cul e cal sono, sempre secondo il mio parere delle deformazioni locali di còl, io non ho trovato traccia ne di cul ne di cal in nessuno dei testi dialettali in mio possesso. Invece stal é errato graficamente dovrebbe essere sta ‘l / st’ el elisione di sta el. Sempre secondo il mio parere, dovremmo seguire come base di partenza i testi più recenti e noti e non seguire i localismi che sono un’infinità. Per quanto riguarda la negazione, il passaggio: ed ha poi finito col soppiantare quest’ultima e prendere il suo posto. Delle due, mia è quindi la parte obbligatoria, mentre an quella facoltativa questo non é esatto perché le due forme si usano in funzione del discorso e addirittura secondo la scorrevolezza del discorso stesso. Nei verbi (non solo) eviterei di mettere solo il segno fonetico, se mai metterlo tra parentesi vicino al segno grafico, un altra cosa e gli altri tempi dei verbi: condizionale, imperativo, e gerundio ecc.ecc. verranno aggiunti? Questa è una sezione che dovrebbe essere curata di più delle altre perché é la più controversa in quanto non esiste nessun scritto che dia delle minime basi di partenza, a mia conoscenza. Altra cosa c’la / c’l’ e sbagliato si deve scrivere ch’ la / ch’l’(che la / che l') perchè è la e che viene elisa e non he, come: ló l’gh’à l’esatta grafia è: ló (a)'l gh’à, é l a ad essere elisa. Queste sono le mie osservazioni vorrei un vostro parere prima dell’eventuali correzioni.--Life 12:31, 4 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Risposta alle osservazioni (Malmöbon)[modifica wikitesto]

Per cominciare, ricambio i ringraziamenti a Tèstaquêdra: complimenti per la veste grafica che hai dato al tutto! Ottimo lavoro! Sono anche d'accordo con la maggiorparte dei cambiamenti e delle correzioni che hai apportato migliorando il mio lavoro. Ho solo alcuni piccoli dubbi, che ti comunicherò nei prossimi giorni in modo da poterne discutere.

Molto interessanti le tue osservazioni Life, il fatto che tu non sia un linguista non toglie nessun valore alle tue opinioni. Ti spiego il punto di vista da cui sono partito io: come ho scritto nella sezione sul vocalismo atono, il reggiano è contraddistinto dalla presenza di un certo numero di vocali che etimologicamente non hanno ragione di essere. La loro apparizione, in effetti, è piuttosto dovuta alla copiosa caduta di vocali atone, fenomeno che talvolta renderebbe impronunciabili frasi o parole senza l'aggiunta di queste "vocali extra". Gli esempi che ho messo sono parole isolate, come edman (che in effetti si pronuncia spesso dman se la parola precedente finisce per vocale, cfr. al riva dman con al vin edman), ma in reggiano il fenomeno riguarda TUTTA LA FRASE. Il parlante decide cioè di aggiungere vocali (/a/ o /e/) o toglierle a seconda dei gruppi consonantici con cui si trova a che fare; fermo restando che quasi tutte le vocali di verbi e sostantivi sono obbligatorie! Infatti solo articoli, preposizioni, avverbi e congiunzioni (solitamente tutti atoni) possono 'perdere' e 'guadagnare' vocali. Tutto ciò per dire che se da un lato potremmo vedere dl come la forma abbreviata di edla, dall'altro potremmo vedere edla come una forma eufonica di dla (cioè con l'aggiunta di una /e/ iniziale), che si rende necessaria quando la parola che precede dla finisce in consonante o in gruppo consonantico (non sempre, infatti, una sola consonante che precede dla è sufficiente a far scattare l'aggiunta della 'e'; es.: al muròuz dla Pipóla). Questo modo di ragionare forse non è più giusto di altri, ma oltre ad essere giustificato etimologicamente ha il grande vantaggio di non costringere a mettere centinaia di apostrofi ogni pagina, che renderebbero la scrittura e la lettura del testo un calvario. Per la stessa ragione preferisco non mettere nessun apostrofo quando scrivo dal, anche perché è molto più comune di edal. Lo stesso discorso vale per le diciture d'j-an e dal j-ochi, che con quei trattini mi sembrano inutilmente complesse. Credo che di an e dalj ochi siano più facilmente scrivibili e leggibili, oltre ad essere altrettanto 'corrette'. Come spesso accade, è una questione di convenzioni, ma dato che uno degli obiettivi della valorizzazione del dialetto è la diffusione della sua scrittura a un pubblico il più ampio possibile mi sembra giusto semplificare, se si può.

Sono d'accordo anche sul discorso di cul e cal. Nel tipo di dialetto cui sono abituato io, cul-lé e còl-lé sono altrettanto comuni, non saprei dire se la variazione dipende da differenze geografiche. Lo stesso discorso, per quanto ne so, vale per cal...lé e còl...lé: li ho sentiti dire entrambi, da parlanti nativi del dialetto, quindi li considero ugualmente giusti. Magari possiamo mettere tutte le forme o spiegare la possibile variazione sotto lo schema.

La forma stal non l'ho messa io, in effetti non la conoscevo. Le forme ste/sta/sti sono poco comuni, per l'esperienza che ho io, ma in ogni caso non metterei apostrofi inutili. A dire il vero, Life, non capisco come stal possa essere l'abbreviazione di sta el con l'elisione di /e/: sta è il singolare, non il plurale, e poi cosa sarebbe el? Comunque lascio a voi questa discussione visto che, come ho detto, questa forma non mi è nota.

Anche a me sembra una buona idea quella di seguire i testi più recenti, ma a due condizioni: a) che i testi in questione rispecchino la lingua parlata e non siano produzioni poetiche (che per definizione deformano le consuetudini grammaticali del parlato) e b) che i testi in questione non siano scritti in modo da rispecchiare esattamente ed in ogni piccolo dettaglio la pronuncia (obiettivo peraltro impossibile, vista la variazione), perché in questo caso diventa un esercizio di fonetica o di linguistica, e non un testo letterario da gustare.

Per quanto riguarda an e mia, Life, dici che "le due forme si usano in funzione del discorso e addirittura secondo la scorrevolezza del discorso stesso". Se capisco bene, le due forme sono altrettanto valide, secondo te, e non c'è una gerarchia tra loro, ma è la situazione discorsiva a decidere. Senza esempi mi è difficile capire, quindi ti chiedo di portarne qualcuno per sostenere la tua tesi. Provo io ad interpretare: per "non vuole mangiare", sono equivalenti al vōl mia magnêr e l'an vōl magnêr? Per "non venire!", sono equivalenti gnir mia! e an gnir!? Io, spontaneamente, direi che le prime sono giuste e le seconde sbagliate, perciò dico che mia ci DEVE essere mentre an ci PUÒ essere, ma non è obbligatorio. Anche da un punto di vista strettamente fonetico e auditivo la cosa è giustificata: la /a/ di an tende a cadere quasi sempre oppure si fonde con i pronomi soggettivi clitici di 1a sing., 3a sing. o di 1a, 2a e 3a pl., per cui la nasale da sola sembra davvero troppo poco per poter funzionare nella lingua parlata senza creare incomprensioni (l'udito umano è limitato!). Comunque è sugli esempi che dobbiamo lavorare, perché le definizioni astratte possono essere fuorvianti.

Per quanto riguarda i modi verbali non ancora discussi (gerundio, participio, imperativo, condizionale e congiuntivo), io posso buttar giù qualcosa, poi vediamo insieme. Comunque la coniugazione di cond. e cong. l'abbiamo negli schemi dei verbi, se poi voi avete dei buoni esempi di frasi in reggiano in cui si usano o non si usano questi modi, possibilmente a condizioni diverse dall'italiano, abbiamo già una buona base di partenza.

È vero che in c'la è solo la /e/ ad essere elisa, ma la acca non è un suono, non si può elidere in nessun modo visto che è solo un segno grafico funzionale, necessario per poter scrivere ciò che foneticamente si scriverebbe /ki/ o /ke/. Scrivere ch'la non avrebbe senso perché normalmente cl si può solo leggere /kl/. D'altra parte ci sono eccezioni a questa regola (vedi scanclêr che non si legge /skanklêr/) quindi in questo senso Life hai ragione. Non saprei, anche qui si tratta di trovare una convenzione, certo che se cominciamo a scrivere ch'la poi dobbiamo scrivere chl (e ghl) in tutte le parole che hanno la stessa combinazione di suoni, e questo sarebbe un po' strano.

Per il momento è tutto, ci risentiamo. --Malmöbon 17:53, 5 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Risposta 2 (Life)[modifica wikitesto]

Malmöbon quando io ho detto che dovremmo seguire come base di partenza i testi più recenti e noti e non seguire i localismi che sono un’infinità intendevo dire testi come: il vocabolario e il dizionario di Ferrari e Serra, “A’s fà per môd éd dîr “del Mazzaperlini, “La véta ed l’òm” del Ficarelli e pochi altri e non certamente testi di poesie o di canzoni dialettali con le loro licenze poetiche. Questa premessa per dire anche che tutto il mio discorso era incentrato sul fatto che bisogna avere un punto certo di partenza per andare verso punti di allargamento della conoscenza del nostro dialetto e questi testi sono gli unici che abbiamo a disposizione nel reggiano. Io, come ho detto anche nella elm , non ho fatto studi etimologici e linguisti ma vivo il mio dialetto in modo pratico e basandomi su quello che ho letto e quello è stato fatto e pubblicato fino ad ora da altri. Tu dici: “Come spesso accade, è una questione di convenzioni...”, si ma con chi e su che base facciamo queste convenzioni? Le facciamo io, te e pochi altri perché secondo il nostro punto di vista le riteniamo valide o non piuttosto mantenendo quello che è già noto e divulgato da testi accettati e riconosciuti da molti? Continui dicendo “...ma dato che uno degli obiettivi della valorizzazione del dialetto è la diffusione della sua scrittura a un pubblico il più ampio possibile mi sembra giusto semplificare, se si può.”, anche su questo dissento perché dobbiamo anche, e non solo, ragionare da un punto di vista di approccio di un soggetto che non conosce il dialetto e la pronuncia, se noi semplifichiamo perché ci è comodo o perché riteniamo superflui certi segni diacritici come fa uno a capire, per esempio, che” ‘na” è l’elisione di “òna” se tu togli l’apostrofo? O come fa usando il vocabolario a trovare la traduzione di “na” se sul vocabolario trova: “òna ,’na”? Poi non vorrei che si arrivasse all’assurdo di quell’autore dialettale che ha detto che lui il dialetto lo scrive come lo pronuncia e lo scrive senza accenti tonici, apostrofi e cose varie perché quando parla lui non li vede! e allora il dialetto non si diffonde ma si restringe a quei pochi che lo praticano da generazioni e si tramandano le caratteristiche di pronuncia: a voce e basta. Io vivo (forse ingenuamente) i segni nel dialetto, come anche nella mia lingua madre, come i segnali stradali che mi indicano cosa devo fare e come devo comportarmi in presenza di un certo segnale, se tolgono i segnali, io che conosco la strada arrivo senz’altro alla destinazione, ma uno che non conosce la strada difficilmente arriva alla meta perché non sa come comportarsi nel percorso, poi se si tolgono tutti i segnali allora è inutile anche il codice stradale. Per il resto, tu nel fatto teorico avrai senz’altro ragione, d’altro canto non ho la cultura per contraddirti, ma io vivo nel lato pratico e mi accorgo anche che tu, molto probabilmente, non sei in possesso di nessun testo del dialetto come un vocabolario, perché ti accorgeresti che domani è “dmân” e non “edman” (è aggiunta la e eufonica (dicono) - così dice il Devoto / Oli:”Eufonia- Armonico accostamento di suoni gradevole all’orecchio”.) e questo vale anche per”j” davanti a “ôchi” e “ân” e ti accorgeresti che “dalj” non esiste, mi fai l’esempio su “dla” con “Al muròus dla Pipóla”che è il titolo di una commedia comico-brillante in due atti di Ugo Ragni questo ci riporta al discorso detto sopra dei testi validi e certi, vedresti che “edal” non esiste, vedresti che “el” esiste ed è una variante di “al”.
Per quanto riguarda la negazione io mi rifaccio a quella che per me e il cugino del nostro dialetto cioè quello modenese, dice Ermanno Rovatti (riporto alcuni passi solamente):
“La forma negativa ...Si ottiene anteponendo al verbo la negazione N, preceduta dai Pronomi Personali es.:
(Nuèter) A-n cantàm Noi non cantiamo
(Lór) I-n san Essi non sanno...”
Più avanti:
“Può accadere che la forma negativa si completi con un avverbio negativo come: BRÌSA, GNINT, GNANCH, MAI, PIÒ, posposto al verbo, che ha anche funzione di rafforzativo della forma negativa stessa. es.:
A-n magn gnanch Non mangio neanche
Té-n cant mai Non canti mai
(Lò) A-n scrév ménga Non scrive mica ...”
Poi:
“Ciò vale sia per i tempi semplici che per quelli composti, ricordando che, con questi ultimi, gli avverbi negativi si pongono tra l'Ausiliare e il Participio Passato. es.:
A-n n'ho BRÌSA vlû Non ho voluto affatto
A-n gh sàm MÉNGA andê Non ci siamo mica andati...”
Qui, secondo me, si dice una cosa un po' diversa da quello che tu affermi ed è adattabile perfettamente al dialetto reggiano come per tante altre parti della grammatica del dialetto modenese.
Per i verbi che tu hai fatto, va bene ed leggibile è per il resto dei tempi che, come dicevo, non esiste nessun scritto che dia delle minime basi di partenza e vorrei che si potesse fare qualcosa.
Per “c’la” rimango della mia opinione e cioè che dovrebbe essere scritto “ch’ la” come ”gh’à” , d’accordo che la h non è un suono e nessuno dice il contrario ma che sia un segno grafico lo è ed è appunto questo che io intendo, come è giusto scrivere “gh’à” come si vede su la maggior parte dei testi, in quanto a “scanclêr” non mi pronuncio non so cosa vuol dire e non ho trovato traccia nei due vocabolari e non ho cercato negli altri testi. E non dobbiamo scrivere “chl” e “ghl” perché sono combinazioni grafiche che nel dialetto non esistono anche se può esserci un qualche suono. E non è detto che una lingua si diffonde perché è scritta semplice ma, secondo me, si diffonde quando è capita nella sua costruzione e se noi cominciamo a togliere segni o vocaboli che hanno un significato di origine questo non accadrà. Come non dobbiamo inventare neologismi, come per esempio quello che io ho trovato in uno voce Wichi elm, non ricordo dove, e cioè: paradimgatîch! , ma dobbiamo usare tutto quello che ci mette a disposizione il reggiano e non è poco.
Comunque io, oltre che alle forme di scrittura del mio dialetto, amo anche la musicalità dell’insieme della parlata dialettale ed per questo che parlando della negazione ho detto che:”... le due forme si usano in funzione del discorso e addirittura secondo la scorrevolezza del discorso stesso” e forse ho esagerato ma io quando traduco un testo vado alla ricerca della scorrevolezza del discorso e delle volte rileggo varie volte una traduzione o un testo per il gusto di sentirne la musicalità.
A questo punto caro Malmöbon ci vorrebbe un arbitro...che c’è ed è nascosto e vorrei che intervenisse... Un salót a l’arzâna.--Life 18:24, 6 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Risposta 3 (Malmöbon)[modifica wikitesto]

No, non credo ci sia bisogno di arbitri nascosti, almeno non dal mio punto di vista, visto che io non ritengo di "giocarti contro", per riprendere la tua metafora agonistica. Semmai aiuto, questo sì sarebbe utile. Se ti sembra che io voglia "ostacolare" in qualche modo i lavori in corso, mi dispiace molto, ma ti garantisco che non è nelle mie intenzioni. Tra l'altro io sono d'accordo con la maggiorparte delle cose che affermi, quindi ancor meno capisco il riferimento ad un'eventuale "sfida". Non è di questo che si tratta, almeno non per me.

Mi sembra ottimo il discorso che fai sulle fonti, anche per me il vocabolario di Ferrari e Serra è stato un punto di riferimento essenziale quando ho scritto la mia tesina, e mi sembra giustissimo prenderlo come punto di partenza. In effetti, proprio per avere qualche certezza in più, mentre scrivevo la tesina ho incontrato il maestro Ferrari stesso a casa sua in 5 o 6 occasioni, ricevendo tantissime informazioni fondamentali per il mio lavoro. Alcuni dei dubbi che esprimo qui li ho espressi con lo stesso Ferrari, l'ho fatto per cercare di capire, non per mettere in discussione la sua conoscenza del dialetto, ovviamente. È vero: qui con me non ho il vocabolario, purtroppo, ma il fatto che tu e Tèstaquêdra, che ha corretto diverse parti del mio testo originale mentre ne migliorava anche la grafica, siate attenti a controllare i miei errori, è per me un’ottima garanzia. Del resto, ho chiesto io il vostro aiuto ancora prima di scrivere qualsiasi cosa su Wikipedia.

Ora, per tornare alle questioni concrete, cercherò di riassumere e commentare gli appunti che mi muovi, per punti:

  • convenzioni di scrittura - Hai ragione, le convenzioni non le possiamo fare noi due e pochi altri, non avrebbe senso e non è il mio obiettivo. Detto questo, possiamo: a) seguire pedissequamente il Ferrari-Serra per tutto ciò che riguarda le convenzioni da adottare, evitando così alcuni problemi, ma sapendo che ci saranno comunque lacune da riempire visto che qualsiasi vocabolario, per valido che sia, non può essere onnicomprensivo; b) prendere il Ferrari-Serra come punto di riferimento per le discussioni, tenendo però a mente che in ogni campo i miglioramenti nascono dall’analisi critica dei lavori precedenti, la comprensione delle loro logiche e finalmente la messa in dubbio della loro validità.

Se scegliamo a), è sufficiente consultare il Ferrari-Serra e mantenere le proposte degli autori, senza riflettere sul perché delle loro scelte, almeno fino a quando non vi siamo costretti dalle lacune; se scegliamo b), prendiamo il Ferrari-Serra come manuale di partenza e apriamo un ”dibattito”, al quale gli stessi autori sarebbero senz’altro felici di partecipare, che ci dia una comprensione delle loro scelte ed eventualmente delle strade da seguire per migliorare il loro lavoro. Quest’ultimo è il mio scopo, ma è ovvio che perseguendolo da solo i miei risultati non possono che essere limitati.

Di sicuro c’è che io non voglio in nessun modo eliminare i segni diacritici anzi, come te, li ritengo fondamentali e sottoscrivo anche il tuo paragone col codice stradale. Credo però che sia necessario stare attenti al pericolo di prendere la lingua nazionale come metro di valutazione del dialetto reggiano, come se quest’ultimo fosse un’imitazione imperfetta dell’italiano e non un sistema indipendente. Mi spiego con un esempio da te citato, quello di na. Io lo scrivo senza apostrofo perché non c’è niente che cada davanti alla /n/. Infatti non esiste nessun articolo indeterminativo femm. sing. che abbia la forma /x/na (x = qualsiasi lettera o suono). Óna (o òna, come tu scrivi) non può mai essere un art. indet. (che è sempre atono, a differenza di óna che è tonico), ma è sempre un numerale con funzione pronominale. Tra l’altro sarebbe molto curioso se na fosse la forma aferetica di óna, visto che a cadere sarebbe proprio la vocale tonica! Credo che la confusione nasca dal fatto che in italiano ”una” ha la stessa forma scritta quando è art. indet. e quando è pron. num.; per chiarire forse è meglio usare l’inglese, dove le due forme sono ben distinte. In inglese, l’art. indet. è ’a’ (I want a beer – a vòj na béra), mentre il pron.num. è ’one’ (It’s one of those – L’è óna ed còli-lé). Sospetto che la tentazione di mettere un apostrofo derivi dal fatto che ”pensiamo in italiano” quando analizziamo il sistema del reggiano, rischiando così di commettere errori. Oltretutto, se posso permettermi di correggere il tuo ragionamento, un lettore che non capendo ’na in un testo lo cercasse sul dizionario, non avrebbe nessun tipo di aiuto dall’apostrofo, visto che l’apostrofo stesso non segnala quale lettera è stata elisa. Perché dovrebbe essere più facile sapere che ’na si trova sotto óna? Pur sapendo che c’è stata un’elisione, il lettore dovrebbe cercare sotto tutte le lettere dell’alfabeto (o almeno fino alla 'o')per trovare il vocabolo: l’apostrofo insomma non avrebbe comunque nessuna utilità in questo caso. Il tuo esempio rinforza la mia posizione, spero tu ne convenga.

  • vocaboli scritti in modo erroneo – mi scuso se ho scritto erroneamente alcuni vocaboli che non esistono e ti ringrazio di rimarcarlo: quindi scriveremo dman e non edman (variante che pure si sente spesso, con l’aggiunta della vocale eufonica, dato il già difficile nesso consonantico iniziale /dm/ che mal tollererebbe una consonante finale nella parola che la preceda) così come toglieremo la /j/ da dalj, come tu suggerisci. Mi sembrava di aver preso queste informazioni durante gli incontri con Ferrari, ma se hai controllato significa che ho annotato appunti sbagliati.

Per gli altri casi, devo fare alcune rettifiche. Ho citato l’esempio di ”al muròuz dla Pipóla”, ma avrei potuto scrivere ”al muròuz dla Gina”, per me la cosa non cambia, non vedo nessun inconveniente nel fatto di scrivere dla; d’altra parte non ho niente in contrario ad accettare le modifiche di scrittura che proponi per i partitivi (in questo caso ed la, ’dla o ’d la, se capisco bene), quindi procedi pure. Su edal sono d’accordo, anche secondo me non esiste, l’ho citato perché l’hai proposto tu (scrivendolo staccato: ed al), ma è una forma che non si presenta praticamente mai, una ragione in più per evitare l’apostrofo, quindi. Anche su el come variante di al sono d’accordo, esiste ed è menzionabile. Tuttavia continuo a non capire come stal possa essere la contrazione di sta el, come sostieni. Ribadisco anche che, non conoscendo quella forma e non avendola inserita io, lascio la questione al giudizio altrui.

  • la negazione – non conosco abbastanza bene il dialetto modenese e tantomeno i lavori di Rovatti, ma credo che sia rischioso affidarsi a descrizioni di un altro dialetto, seppur vicino come il modenese, per trarre conclusioni sul reggiano. Mi sembra invece più utile e anche metodologicamente più corretto analizzare la grammaticalità o meno di un buon numero frasi in reggiano e su tale base giungere a regole sicure. Il fatto che siano dialetti vicini non significa che condividano tutte le strutture in modo identico. Sulla pagina del dialetto modenese ho letto la frase A-n dîr dal caiunèdi! (Non dire stupidate!). Ora, se per te questa frase sarebbe adattabile al reggiano e ne condivideresti la grammaticalità, è sicuramente necessario apportare delle modifiche alla sezione sulla negazione, come affermi. Io non sono a conoscenza di questa possibilità, e nessuno dei parlanti nativi del reggiano che ho avuto l’occasione di ascoltare riconoscerebbe la frase come corretta, ma direbbe piuttosto: Dir mia dal caiunêdi!. Sarebbe interessante cercare di capire se la variazione è di tipo geografico, stilistico, oppure generazionale. Avrai sicuramente materiale (testi e persone) su cui approfondire la cosa, quindi ti suggerisco di non affidarti ciecamente alle descrizioni grammaticali del modenese.
  • modi mancanti – hai ragione, sicuramente possiamo fare qualcosa per i modi verbali mancanti. Si tratta di aggiungere il participio (spiegando la formazione dei tempi composti, che peraltro non differisce sostanzialmente da quella dell’italiano, se non vado errato), il gerundio (in linea di massima per segnalarne la scomparsa in reggiano, almeno per quanto ne so io, visto che non l’ho mai sentito usare, al massimo l’ho letto su qualche testo che non rispecchia il parlato) e l’imperativo (lasciando per il momento aperta la questione dell’imperativo negativo). Per quel che riguarda condizionale e congiuntivo abbiamo le forme, e questo è già qualcosa. Quello che si dovrebbe fare è vedere se il loro utilizzo è legato alle stesse condizioni dell’italiano o se vi sono differenze. Per esempio, in subordinate rette da verbi come crèder o pinsêr è normale usare l’indicativo o il congiuntivo? A crèd c’al vin o A crèd c’al vègna? A pinsêva c’al gniva, A pinsêva c’al gnésa o A pinsêva c’al sré gnu? Si tratta solo di qualche esempio tanto per cominciare, naturalmente.
  • c’la o ch’la – anch’io rimango della mia opinione. Se, come tu dici, chl è una combinazione che nel dialetto non esiste non vedo perché dovremmo usarla, visto che non si pronuncerebbe diversamente da cl. D’altra parte, se è presente nella maggiorparte dei testi non ho niente in contrario a modificarla, quindi procedi pure.
  • diffusione del reggiano – hai ragione, una lingua non si diffonde quando viene scritta in modo semplificato (l’inglese ne è un ottimo esempio, vista l’illogicità della sua ortografia), ma hai anche torto, una lingua non si diffonde quando è capita nella sua costruzione (e l’inglese è un ottimo esempio anche di questo, visto che moltissimi al mondo lo “parlucchiano” pur non avendone conoscenze strutturali ben precise). Una lingua si diffonde quando viene percepita come lo strumento comunicativo di un “centro” economico e culturale, ed è per questo che l’italiano ha sostituito i dialetti in buona parte del paese e che quasi tutte le lingue del mondo inseriscono parole dell’inglese nel proprio vocabolario. Sarebbe bello che il reggiano fosse utilizzato un po’ di più, senza che chi lo usa venga stigmatizzato come “retrogrado” o ancora peggio “ignorante”. D’altra parte, credo che sarebbe controproducente “bloccare” il nostro dialetto impedendo l’ingresso di vocaboli nuovi. Non è così che se ne favorisce la diffusione, anzi. Tu fai l’esempio di paradigmâtich; io non so in che contesto sia stato usato, ma vi sono casi in cui il vocabolario di una lingua presenta lacune che in qualche modo devono essere riempite, e spesso e volentieri si ricorre al prestito da un’altra lingua. Non è un fenomeno di cui preoccuparsi o vergognarsi, anzi, è del tutto congenito alla storia di tutte le lingue. In italiano si introduce un numero enorme di vocaboli inglesi, più o meno giustificatamente. Del resto, l’inglese a suo tempo ha attinto a piene mani dal latino, che a sua volta aveva avuto bisogno di fare uso di moltissime parole greche. È vero che vi sono lingue che cercano di impedire questo fenomeno, è il caso dell’islandese, che traduce ogni fenomeno nuovo con espressioni (leggi: traduzioni) autoctone. Seguendo questo modus operandi, in reggiano potremmo ad esempio chiamare il computer “la cuntadōra”. Credo che l’assimilazione di parole non-reggiane, quando ve ne sia la necessità, sia invece la testimonianza della vivacità di una lingua: ricordo di aver sentito tante volte mio nonno dire “al trájner edl’Inter al capés gnînt!”, senza che questo causasse scandalo tra gli interlocutori (a parte le questioni strettamente calcistiche, s’intende). Sottoscrivo comunque la tua conclusione: il reggiano ci mette a disposizione molto materiale, che va perciò usato fino in fondo.

Mi fa piacere sapere che ami la musicalità d’insieme della parlata dialettale, non lo metto in dubbio e ti dico che anch’io, pur nella mia imperfetta conoscenza, l’apprezzo sinceramente. Sta bèin, a’s sintòm! --Malmöbon 11:55, 9 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Risposta 4 (Life)[modifica wikitesto]

No, non era una persona fisica che io “evocavo” ma era il buon senso, era solo una metafora per trovare una soluzione di mezzo della discussione e che io non vedo, come non vedi tu, una sfida, ma solo uno scambio di opinioni. Io questa discussione, impari per ovvi motivi, la vedo così: tu dici: teoricamente alcune forme del dialetto non sono giuste e spieghi la ragioni di questi errori e proponi una forma diversa nell’interpretarle; io dico: ok io non dico che non siano giuste perché teoricamente non sono in grado di confutarle, aggiungo però che ci sono dei testi, e sono gli unici che abbiamo, che dicono diversamente, dico anche che è sbagliato andare contro queste forme scritte e documentate perché sempre secondo me andiamo a creare confusione in chi si avvicina al dialetto. Allora, ecco che secondo me dove interviene il “personaggio nascosto” e cioè il buon senso, allora dicevo la soluzione di mezzo sarebbe dal mio punto di vista questa: mantenere lo status quo del dialetto e, discutendo tu e gente più dotta di me, ovviare a questi “errori” che tu hai notato nel dialetto, poi il vostro lavoro venga pubblicato cioè “ufficializzato” ed anche io mi atterrò, come tutti gli altri, a queste vostre deduzioni che hanno portato ad alcune regole nuove e più adatte ai tempi. Tutto qua, mi scuso se ti ho dato, senza volerlo impressioni diverse da un semplice scambio di opinioni in amicizia e con lo stesso fine, quello di divulgare il nostro dialetto o se ti é sembrato che ti accusassi di qualche cosa, non era nelle mie intenzioni farlo ma io ho voluto parlare per assurdi non certo incolpare te. Come ti ripeto non entro nel merito delle teorie che tu esponi che senz’altro sono giuste, io ti ho portato esempi presi dal modenese perché mi sembra quello più vicino al nostro ed ovvio che non possiamo prendere alla lettera tutto quello che c’è ma lo portavo come punto di paragone su un punto che ha molte somiglianze con il reggiano. Per quanto riguarda i neologismi è ovvio che bisogna che il nostro dialetto sia aperto, pena l’estinzione, però quello che ho voluto dire è che se in posto del paradigmatîch si fosse usato: esèimpi o mudèl avremmo raggiunto lo stesso scopo e non avremmo “inquinato” il dialetto, ed è ovvio che se un parola come internet (arz: internèt ?) o computer (arz:compiûter?) , delle quali non c’è nessun giro di parole, a meno che di scrivere un libro, che possa far intendere il concetto, siamo “costretti” a trovare una forma “dialettizzata”, in poche parole usare il reggiano in tutte le sue forme e non trovare scorciatoie che finiscono per inquinare lo stesso dialetto . Questa discussione per me finisce qua, non per vigliaccheria ne per astio, ma solo perché io “combatto” cun al tirasâs e tu cun al fuşil ed precisiòunl. Con il mio gardo di cultura la discussione è gia arrivatoa nello spazio ipergalattico! Spero che, questa volta si, qualcuno abbia letto questo nostro scambio di idee e intervenga per continuare con te un eventuale approfondimento di quanto discusso, e che si ampli la discussione stessa sempre con lo stesso fine: allargare la conoscenza del reggiano. Scusami di nuovo dei fraintendimenti creati, e degli eventuali strafalcioni.Stam bèin.--Life 19:56, 9 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Commenti sull'articolo[modifica wikitesto]

Ciao Malmöbon, provo a buttare giù qualche commento sull'articolo. Divido il tutto in sottosezioni, così si può commentare più facilmente. --Tèstaquêdra 00:37, 24 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Parti mancanti[modifica wikitesto]

Secondo me la pagina è già piuttosto lunga e dettagliata, non penso dovrebbe ancora crescere troppo in lunghezza. Quando sarà portata sulla wikipedia eml sarà spezzata in varie sottopagine, ma mi sembra che la convenzione qui sia di non spezzare le pagine dialettali. Comunque aggiungerei qualche nota sui seguenti argomenti (uno o due paragrafi al massimo per nota).

  • Bibliografia: i riferimenti bibliografici a dizionari ed opere di consultazione generale sono già abbastanza completi. Se vuoi aggiungere qualche opera minore che affronta il problema linguistico fa pure, tu dovresti avere una bibliografia più accurata nella tua tesi. Piuttosto aggiungerei i riferimenti alle tesi di laurea che sono state fatte a proposito del dialetto reggiano, forse quattro o cinque negli ultimi cinquanta annni (ivi inclusa la tua). Queste sono necessarie a capire da dove viene la maggior parte dei dettagli.
  • Distribuzione: aggiungerei un paragrafo all'inizio che parla della distribuzione del dialetto e del grado di conoscenza fra i locali. Se sono disponibili, aggiungerei anche dati riguardo alle sottovarietà ed alle zone in cui si parlano. Una cartina potrebbe essere molto esplicativa, se mi lasci i dati la produco io. Inoltre qualche cenno alla produzione letterale non guasterebbe; magari si può semplicemente rimandare all'opera del Bellocchi per questo.
  • Etimologia: qualche nota sull'origine del lessico è fondamentale. Così come è strutturata la voce adesso sembra che il dialetto reggiano sia latino puro. Invece ci sono parecchi influssi, specie dal francese (es. paletò) e dal longobardo (es. stós). Questa parte sarebbe molto interessante.

Cambiamenti alle parti esistenti[modifica wikitesto]

  • Semplificazione: forse la pagina pecca in alcuni punti di tecnicismi. Questa è una critica che ha rivolto anche il Lévi. Bisognerebbe mettersi nei panni di chi un linguista non è, e fare dei discorsi più semplici. Probabilmente il termine semplificazione è sbagliato, piuttosto servirebbero delle "traduzioni in lingua della strada" di alcune spiegazioni. Se non hai niente in contrario, proverei a lavorare io in questo senso aggiungendo al tuo testo delle versioni per non linguisti.
  • Fonetica: mi interesserebbe approfondire l'argomento "ṣ" versus "z". Mi spiego, per il dialetto che parlo io la "z" praticamente non esiste. Io scrivo per convenzione arzân, ma pronuncio veramente arṣan; suppongo che questa sia una differenza locale, tuttavia vorrei capire come si fa a sapere se una parola ha "z/ṣ" (oltre che guardando in un dizionario, ed ancora, mi piacerebbe sapere se la scelta del Ferrari-Serra è consistente o no). Inoltre, esiste una "â" tonica lunga in opposizione ad una "à" tonica breve? Da come scrivi tu sembra che tutte le "a" toniche siano lunghe, così che il segno si possa tralasciare.
  • Tempi e modi verbali: bisognerebbe aggiungere l'imperativo (positivo e negativo), il participio passato, ed il passato remoto indicativo. L'ultima aggiunta sarebbe particolarmente interessante; nonstante sia praticamente sparito dalla lingua parlata al giorno d'oggi, se ne trovano abbondanti esempi nei testi di un secolo fa (es. Ficarelli, Ramusani, don Bedogni). Infine, bisognerebbe aggiungere che i tempi composti si formano come in italiano.
  • Alcune forme: la forma stal l'ho aggiunta io. A me sembra di averla sentita usare spesse volte, e, naturalmente, non ho alcuna idea della sua origine etimologica. Ma stâl dòni mi suona molto meglio di sti dòni. Il verbo scanclêr forse andava scritto scanc'lêr, per indicare che si pronuncia /skanʧlɛ:r/ e non /skanklɛ:r/. Io comunque avrei scritto scanzlêr o meglio scanṣlêr.
  • Uso del congiuntivo: io direi E crèd c’al vègna e E pinsêva c’al sré gnû. Ed inoltre la cuntadōra mi piace un totale, molto di più del calculadōr e dal compiûter :-)

Commento (di Malmöbon)[modifica wikitesto]

Ciao Tèstaquêdra, bene così per le questioni formali. Per risponderti:

  • Bibliografia: non ci sono, che io sappia, lavori linguistici solo sul dialetto reggiano, ma ce ne sono diversi sui dialetti italiani settentrionali in generale, in particolare gli studi di Vanelli e Benincà sono molto interessanti per quanto riguarda l'evoluzione del sistema pronominale. I titoli più pertinenti sono: Benincà, P. "La variazione sintattica. Studi di dialettologia romanza" e Vanelli, L. "I dialetti italiani settentrionali nel panorama romanzo. Studi di sintassi e morfologia". Non so se è il caso di aggiungerli, visto che non si fa riferimento solo al reggiano (in particolare nella prima opera si trattano altri dialetti, mentre nella seconda si considerano molti dialetti insieme sulla base di somiglianze formali). La biblioteca Panizzi possiede diverse opere sul dialetto ([1]), ma di tesi ce n'è solo una, ed è del '76. La mia l'ho consegnata alla biblioteca l'anno scorso ma sul catalogo non c'è, quindi o non l'hanno ancora inserita, o non l'hanno voluta inserire, o è andata persa. Insomma, linguisticamente parlando sul dialetto reggiano non è stato fatto niente di serio (a parte naturalmente i dizionari che però affrontano solo il lessico).
  • Distribuzione: ottima l'idea, ma non so se siano stati fatti studi in proposito, non credo. Sarebbe bellissimo inserire una cartina con la suddivisione nelle diverse varietà, ma davvero non so dove si possano trovare tali informazioni se non "in loco". Sarebbe un progetto davvero stupendo: bisognerebbe cominciare con delle registrazioni nei vari "centri" intorno a Reggio (Scandiano, Montecchio, Guastalla, Castelnuovo Monti, ecc.) e da lì estrarre le informazioni per disegnare la mappa linguistica. Non è una cosa facile ma neanche impossibile, si tratta di conoscere qualcuno interessato nei diversi paesi e di avere tempo di fare le registrazioni.
  • Etimologia: il dialetto reggiano non è "latino puro", ma è un dialetto romanzo e per comprendere l'evoluzione fonetica è necessario prendere il latino volgare come punto di riferimento. Una cosa è la derivazione linguistica (latino > reggiano) altra cosa è il prestito linguistico. Bertani ha fatto un piccolo lavoretto sui prestiti del reggiano dal longobardo, alcune cose sono interessanti anche se la metodologia usata è quantomeno discutibile. Senz'altro si può fare molto, io mi procurerò l'ultimo dizionario di Ferrari-Serra appena possibile (probabilmente in settembre) e poi ne riparleremo.
  • Semplificazione: sicuramente avrai ragione, io ci ho pensato mentre scrivevo e ho cercato di spiegare brevemente alcune parole tecniche che ovviamente non si possono conoscere se non si studia la materia, ma alcuni termini si devono dare per scontati, altrimenti è impossibile parlare di grammatica o di fonetica. Comunque, proprio per far fronte a questa esigenza di chiarezza ho pensato che la cosa migliore fosse aggiungere un numero quasi sovrabbondante di esempi, in modo che il lettore possa cogliere la struttura istintivamente. Fa' pure tutte le aggiunte che ritieni necessarie.
  • Fonetica: anche a me piacerebbe molto approfondire l'argomento "ṣ" vs "z", soprattutto perché non ho ancora capito a che fonema corrisponde, nell'Alfabeto Fonetico Internazionale, ciò che viene scritto "ṣ", e in che cosa si differenzia da /z/. Ho posto la stessa esatta domanda a Ferrari e la sua risposta non mi ha convinto molto, visto che la sua opinione si basava esclusivamente su impressioni acustiche ("io sento una differenza", mi diceva) e non su studi di fonetica articolatoria. Per me è sufficiente usare sempre /z/. Non ho approfondito la questione ma mi riprometto di farlo perché credo che le scelte del Ferrari-Serra siano discutibili e che le differenze, se ve ne sono, siano di intensità e/o di distribuzione del suono all'interno della parola, e non si tratti di vere e proprie qualità articolatorie distintive. Per fare un esempio: qual'è la differenza tra le varie /z/ in parole come znêr, azèj, rózna e dēz? Anche qui naturalmente bisognerebbe partire da registrazioni di parlanti del dialetto, possibilmente provenienti da diverse zone. Per quanto riguarda "â" vs "à", secondo me la /a/ tonica è sempre lunga se si tratta di parole derivate in modo spontaneo e non di prestiti. Questi, essendo molto più limitati, sono meno interessanti per una teoria fonetica, ma renderebbero comunque necessaria la presenza di "à" per parole come "pàgina" (che dev'essere un prestito dall'italiano perché se così non fosse si direbbe probabilmente "pâzna") o la già citata "tràjner". Se facciamo una lista di parole usate in dialetto con la /a/ tonica breve, in teoria dovrebbe essere molto corta. Vale la pena controllare, comunque.
  • Tempi e modi verbali: sono d'accordo, ma sul passato remoto non so molto, quindi per il momento non mi azzardo a scrivere nulla.
  • Alcune forme: cerca una conferma per "stal", scanc'lêr presenta il problema dell'apostrofo, che però effettivamente è necessario per non pronunciarlo /kle/. Non mi piace ma non ho un'altra soluzione.

Saluti, --Malmöbon 12:49, 25 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Punto della situazione[modifica wikitesto]

Ciao Malmöbon, ho finito di aggiungere le spiegazioni per il non linguista, e en passant ho anche fatto qualche correzione grafica alla pagina. L'ho anche segnalata nel bar del Progetto:dialetti, ma purtroppo non mi sembra che ci sia molta attività. Non sono eccessivamente contento della mia volgarizzazione, ma per ora non ho idee su come fare meglio, nè tempo (le vacanze incombono). Se vuoi dare un'occhiata che non abbia scritto maronate, ovviamente ... in particolare per le tavole delle tre coniugazioni (dove c'erano delle colonne ripetute, oppure non ho capito niente). Ed ancora, nelle tavole dell'alternanza vocalica, ci sono quattro righe che contesto. Ora rispondo a qualche tuo punto

  • Bibliografia: ho aggiunto i due riferimenti che mi hai dato, ma non come bibliografia generale, bensì riguardo alla sezione pronomi. Quello della Vanelli lo conoscevo già, quello del Benincà mi è nuovo. Anche se non riguardano solo il dialetto reggiano, mi sembra valga la pena di aggiungerli (una volta che qualcuno si degna di mettere qualcosa per iscritto ...). Per le tesi, proverò a dare un'occhiata quando passo in biblioteca, non so quando.
  • Etimologia: ho avuto la sfortuna di acquistare il libretto del Bertani prima di sapere cosa davvero ci fosse dentro. Ora fa da spessore sotto qualche mobile. Purtroppo, vere fonti etimologiche non si trovano in giro. Meglio riparlarne a settembre allora.
  • Fonetica: per come la capisco io, il segno "z" nei testi in reggiano indica il fonema /ʣ/ (la "zeta sonora", che io non ho mai sentito), mentre il segno "ṣ" indica il fonema /z/, che secondo me, almeno in città, è l'unico esistente. Poi, se vogliamo essere precisi, le /s/ e /z/ reggiane non sono le /s/ e /z/ italiane, vedi [2] (paragrafo "Costrittive"); sicuramente il Canepari avrà un segno per indicare questi due foni emiliani, ma nell'IPA mi pare non ci sia speranza. Condivido la tua opinione, Ferrari e Serra sono un po' arbitrari fra "ṣ" e "z", mi sembra che si siano lasciati trascinare un poco dall'etimologia e dalla tradizione. Ridiscuteremo anche di questo. Per la "à", oltre alle parole "moderne" mi sembra sia necessaria per qualche monosillabo; per esempio: /ki'loal'ga/, mai /ki'loal'ga:/.
  • Rimandiamo anche per il passato remoto, ma io continuo a pensare che si possa estrarre dai testi, e prima o poi mi ci metto. Inoltre, ricontrollerò la storia di "stal". Per ora è tutto, buone vacanze e a settembre.

--Tèstaquêdra 15:58, 31 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Ciao, ho dato un'occhiata e fatto alcune correzioni/modifiche, niente di che ma spero che tu sia d'accordo sui cambiamenti. L'unico punto che non ho corretto riguarda il congiuntivo presente dei verbi di terza coniugazione, che hai cambiato rispetto a ciò che avevo scritto io. Le forme che ho messo io (le forme del cong. pres. e quelle del cong. imp. erano quasi tutte uguali) si basavano sulle mie conversazioni con Ferrari, e sono piuttosto sicuro di aver preso appunti giusti, ma naturalmente variazioni geografiche sono possibilissime anche su questo punto. Si potrebbero mettere entrambe le possibilità.

Per quanto riguarda l'alternanza vocalica, la cosa è ancora più delicata, visto che lì le variazioni geografiche sono enormi. Anche quelle forme sono state prese da Ferrari, e devo dire che mi trovo d'accordo con lui anche su quelle che tu contesti, eccetto forse paghêr. Quali sono le tue proposte?

Il discorso "ṣ" e "z" è abbastanza complesso. Per il momento, mi limito ad due riflessioni generali: se la "z sonora" indica il fonema /dz/ (come in "mezzo" - /mεddzo/), nel reggiano che parlo io non esiste; è vero, le /s/ e /z/ reggiane non sono le /s/ e /z/ italiane: per la scrittura questo non è molto rilevante, ma per la descrizione fonetica sì.

Buone vacanze e a risentirci. --Malmöbon 14:11, 4 ago 2007 (CEST)[rispondi]

Molt bon dia,

vi scrivo dalla Catalunya, non sono italiano -quindi scusate gli errori-

ho letto con grande interesse il vostro articolo, vi ringrazio per tutto quello che fate per la vostra parlata.

Avrei comunque un paio di commenti:

-"Nell'Appennino reggiano, in particolar modo dalla linea Vetto-Baiso verso l'alto crinale, sono parlati un insieme di dialetti che presentano molte somiglianze col dialetto lombardo occidentale"

questo fatto è molto interessante ma può anche apparire sconcertante (ci sarebbero dei dialetti lombardi nella metà sud di Reggio), forse vi si potrebbe aggiungere una referenza bibliografica; ad esempio il Biondelli https://archive.org/stream/saggiosuidialet02biongoog#page/n252/mode/1up

oppure l´articolo sul vicino dialetto frignanese. https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetto_frignanese

-"Eccezione nell'eccezione, non rientrano in alcune delle limitazioni precedenti i verbi èser, avèir usati come ausiliari, che richiedono sempre la presenza del clitico soggetto alla terza persona singolare"

parlate quindi di ausiliare, ma non sarebbe piuttosto la semplice presenza del verbo essere a far cambiare la morfologia del pronome? In un esempio della pagina leggiamo Al dîṣ ch’l’é trôp têrdi. Dice che è troppo tardi. qui il pronome è “l´” ma il verbo essere non è ausiliare

(e io dico “cambiare la morfologia del pronome” invece di “cambiare di pronome” perche credo che in realtà forse non si tratti del pronome personale ma della realizzazione del espletivo “a” davanti a vocale)


 salutacions des de Catalunya!

Collegamenti esterni modificati[modifica wikitesto]

Gentili utenti,

ho appena modificato 1 collegamento/i esterno/i sulla pagina Dialetto reggiano. Per cortesia controllate la mia modifica. Se avete qualche domanda o se fosse necessario far sì che il bot ignori i link o l'intera pagina, date un'occhiata a queste FAQ. Ho effettuato le seguenti modifiche:

Fate riferimento alle FAQ per informazioni su come correggere gli errori del bot

Saluti.—InternetArchiveBot (Segnala un errore) 22:24, 27 feb 2018 (CET)[rispondi]

Collegamenti esterni modificati[modifica wikitesto]

Gentili utenti,

ho appena modificato 1 collegamento esterno sulla pagina Dialetto reggiano. Per cortesia controllate la mia modifica. Se avete qualche domanda o se fosse necessario far sì che il bot ignori i link o l'intera pagina, date un'occhiata a queste FAQ. Ho effettuato le seguenti modifiche:

Fate riferimento alle FAQ per informazioni su come correggere gli errori del bot.

Saluti.—InternetArchiveBot (Segnala un errore) 14:53, 7 apr 2019 (CEST)[rispondi]

An ghe dubi[modifica wikitesto]

Nell'esempio dato alla frase "an ghe dubi' vien dato senso affermativo, tanto che è tradotta con 'senz'altro'. Il fatto è pero che nell'uso reggiano la frase è impiegata come negazione rafforzata, traducibile "assolutamente no", ovvero "neanche per idea"