Discussione:Chiesa cattolica italiana/Informazioni sull'ICI

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informazioni sull'ICI[modifica wikitesto]

da http://www.avvenire.it[modifica wikitesto]

articolo del 2 dicembre 2005 10.27

L’esenzione riconfermata, ricordano infatti Fioroni (responsabile Enti locali della Margherita) e Mosella (che fa parte della direzione federale dello stesso gruppo), «riguarda attività di indescrivibile valore sociale fatte da enti non lucrativi che nulla hanno a che vedere con le attività commerciali che continueranno a pagare l’Ici». In sostanza, spiega Eufemi, «chi pagava prima continuerà a pagare anche oggi, chi non pagava prima sarà esentato anche adesso"

Ad ogni modo, è falso affermare che con il nuovo provvedimento non pagheranno più l’Ici decine di strutture che prima la pagavano. E per capire come in effetti stanno le cose, basta andare a rileggere la norma del 1992 che esentava dal tributo i beni degli enti non commerciali (una categoria più ampia degli enti ecclesiastici, poiché comprende le Onlus e il settore non profit, indipendentemente dalla confessionalità) adibiti esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive». In sostanza sono sempre state esenti (e continueranno a esserlo) le mense e le case di accoglienza per i poveri, le comunità di recupero per gli emarginati, i centri di ascolto, gli asili nido, le case di cura e gli ambulatori, le scuole, le case per ferie e per esercizi spirituali, i pensionati, gli ostelli per la gioventù, i musei, le biblioteche e i teatri, gli spazi attrezzati per i giochi, le attività sportive.

Non sono mai stati esenti e continueranno a pagare l’Ici, contrariamente a quanto si è detto e scritto in queste ultime settimane, tutti gli altri beni: alberghi, residence, cinema parrocchiali, locali dati in fitto ad attività commerciali, appartamenti e terreni concessi in locazione.

articolo del 7 ottobre 2005 17.21

L’Imposta comunale sugli immobili (Ici) è nata il primo gennaio 1993, figlia del decreto legislativo 504 del ’92. È un’imposta che grava sugli immobili (fabbricati, terreni agricoli e aree fabbricabili) e deve essere versata al Comune. L’importo viene calcolato in riferimento al valore imponibile dell’immobile e sulla base dell’aliquota fissata ogni anno dai Comuni. L’Ici è pagata dai proprietari di fabbricati, aree edificabili e terreni agricoli, dai titolari di diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione), dai locatari in caso di locazione finanziaria (leasing), dai concessionari di aree demaniali. Molte le esenzioni previste dalla legge del ’92.

Sono esenti dall’imposta, ad esempio, gli immobili dello Stato, di Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, Unità sanitarie locali, istituzioni sanitarie pubbliche autonome e Camere di commercio destinati ai compiti istituzionali; i fabbricati beni demaniali e quelli ad usi culturali. Esenti inoltre i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e le loro pertinenze, i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati nel Trattato lateranense del 1929, i fabbricati degli Stati esteri e delle organizzazioni internazionali, gli immobili destinati allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive.


notizia del 7 ottobre 2005 17.22

Venendo agli esempi concreti, ciò significa che non pagano l’Ici ospedali, scuole e case di cura non solo facenti capo alla Chiesa cattolica, ma a uno qualunque degli organismi esentati per legge. Invece gli enti ecclesiastici hanno sempre pagato l’Ici per gli appartamenti di proprietà dati in locazione a terzi, oppure per i locali fittati ad attività commerciali come bar o ristoranti. Più complessa è invece la definizione dell’attività ricettiva. Un conto sono le case adibite a sede di campi scuola estivi da parte di gruppi autogestiti (queste rientranti nell’area dell’esenzione). Un altro conto è invece l’attività alberghiera vera e propria. E un caso particolare è rappresentato, infine, dagli immobili utilizzati in parte per una finalità esente, in parte no. In questi casi occorre fare una divisione catastale, altrimenti l’Ici si paga su tutto l’immobile.

Fin qui la norma del 1992, che – ripetiamo – non riguarda solo la Chiesa cattolica e che è stata pacificamente applicata in tutti questi anni. Ovviamente, trattandosi di una tassa comunale, singole controversie interpretative si sono avute qua e là. Ma la mole del contenzioso risulta abbastanza limitata. La vera difficoltà nasce in seguito a una sentenza della Cassazione del 2004, che è chiamata a decidere sull’attività di ospitalità svolta da un istituto religioso (bisogna ricordare a questo proposito che i due terzi dei beni ecclesiastici esenti dall’Ici sono di istituti religiosi e non fanno capo a parrocchie o a diocesi, né tanto meno alla Cei). L’attività sottoposta a giudizio è ricettiva (e dunque esente) o alberghiera? La Corte prima ribadisce i due requisiti fondamentali dell’esenzione (ente non commerciale e immobile destinato esclusivamente a una delle finalità previste dalla legge), poi introduce un terzo requisito che non è previsto dalla legge stessa. L’attività, afferma, deve essere oggettivamente non commerciale. La sentenza, però, crea tutta una serie di difficoltà pratiche e giuridiche. Ad esempio, se l’attività deve essere oggettivamente non commerciale, come si può gestire una scuola o un ospedale senza porre in essere operazioni commerciali? Senza contare che, proprio per legge, l’attività ricettiva, ammessa all’esenzione, è sempre considerata commerciale ai fini fiscali. Di qui la necessità di un intervento interpretativo del legislatore. Tale è, appunto, l’articolo 6 del decreto legge approvato l’altroieri al Senato. Il quale ribadisce semplicemente che sono esenti dall’Ici gli immobili degli enti ecclesiastici utilizzati «per attività di assistenza, beneficenza, istruzione, educazione e cultura, pur svolte in forma commerciale, se connesse a finalità di religione o di culto». Ed è proprio in quell’inciso la natura interpretativa della norma. Se, infatti, non fosse intervenuto il legislatore, la sentenza del 2004, portata alle estreme conseguenze, avrebbe fatto sì che mentre gli altri enti non commerciali potrebbero continuare a usufruire dell’esenzione per tutti gli immobili previsti nella legge del 1992, gli enti ecclesiastici non pagherebbero l’Ici solo per le chiese, i seminari e poco altro. Non c’è, dunque, alcuna estensione dell’esenzione. Ma solo un provvedimento che impedisce un’arbitraria discriminazione.

da http://www.lavoce.info[modifica wikitesto]

L’esenzione dall’Ici degli enti ecclesiastici: genesi di un’interpretazione “autentica”[modifica wikitesto]

di Maria Cecilia Guerra

Alcuni lettori ci hanno chiesto di chiarire i termini della vicenda dell’esenzione dall’Ici degli edifici destinati da enti ecclesiastici ad attività commerciali. Proponiamo di seguito una ricostruzione, sintetica, delle principali tappe di questa vicenda, riportando gli estremi delle norme, e citando testualmente dalle norme, dalle sentenze e da i documenti rilevanti per permettere al lettore di formarsi una propria valutazione sul tema (grassetti e corsivi nostri). L’antefatto L’art. 16 della legge n. 222 del 1985 distingue, agli effetti della legislazione civile, le attività degli enti costituiti o approvati dall'autorità ecclesiastica (enti ecclesiastici) in due categorie e denomina: “a) attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.”

La norma controversa[modifica wikitesto]

L’esenzione dall’Ici di cui si parla è concessa dal decreto legislativo n. 504/1992 che ha istituito l’imposta, all’art. 7 lettera i), agli: " immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c), del T.U. delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni(e cioè "gli immobili utilizzati da gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali", a condizione che siano destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222 (e cioè le "attività di religione o di culto”) ". Le opposte interpretazioni della Cei e de lla Corte di cassazione Come va interpretata questa norma? L’oggetto del contendere è se l’esenzione dall’Ici vada riconosciuta anche quando un ente ecclesiastico utilizza un immobile per svolgere in forma commerciale (e cioè traendone un profitto) un’attività che pure è ricompresa fra quelle elencate nell’art. 7 lettera i). L’interpretazione data dai comuni non è stata univoca. Riconducono a tassazione tutti gli immobili (o le porzioni di immobili) comunque destinati ad attività commerciali molti comuni in cui è diffusa la presenza di immobili di enti ecclesiastici, con effetti di gettito rilevanti. Alcuni esempi: Roma (9 milioni di euro all’anno), Napoli (5 milioni di euro) Firenze(600 mila euro), Assisi (300 mila euro), Padova (335 mila di euro). Secondo la Conferenza episcopale italiana, invece, (come confermato, da ultimo, nella Nota dell’Ufficio Nazionale per i problemi giuridici Roma, 29 settembre 2005) non vi sono dubbi: la norma controversa prevede “l’esenzione dall’imposta nel caso di immobili utilizzati in maniera esclusiva da enti non commerciali (fra cui rientrano per definizione gli enti ecclesiastici) per le attività espressamente elencate. In questi casi l’esenzione si applica anche quando l’attività è considerata commerciale ai fini fiscali.” La questione ha sollecitato un ampio contenzioso che ha portato ad una importante sentenza della Corte di cassazione : n. 4645 del 2/10/2004, depositata l’8/3/2004. La tesi della Cassazione è opposta a quella della Cei. La Corte sostiene infatti che, perché si abbia diritto all’esenzione Ici: “occorre che si verifichino contemporaneamente entrambe le condizioni, quella soggettiva dell'appartenenza dell'immobile ad uno dei soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c) del T.U.I.R., e quello oggettivo della destinazione esclusiva dell'immobile allo svolgimento di una delle attività ritenute dal legislatore meritevoli di un trattamento fiscale di favore - elencate nella lettera i) dell'art. 7, e, tra esse, di una di quelle previste nella lettera a) dell'art. 16 della legge n. 222 del 1985” La Corte nega quindi che tutte le attività svolte da enti ecclesiastici possano per questa sola ragione (requisito soggettivo) godere della previsione agevolativa in esame. La Corte ricorda infatti che la legge istitutiva dell’Ici richiama esclusivamente le attività degli enti ecclesiastici di cui alla lettera a) dell’art. 16 della l. 222/1985. Con riferimento alle attività di cui alla lettera b), fra cui rientrano, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro, la Corte sottolinea che “questo secondo ambito, non propriamente religioso o strettamente connesso a quello religioso, delle possibili attività degli enti ecclesiastici, non è richiamato dall'art. 7 della legge I.C.I.” e ne trae l’indicazione che per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura eventualmente svolte da enti ecclesiastici in forma commerciale manchi il requisito oggettivo per il riconoscimento dell’esenzione.

Compare la prima interpretazione autentica[modifica wikitesto]

A seguito di questa pronuncia della Corte di cassazione gli enti ecclesiastici che non lo hanno già fatto corrono il rischio di essere chiamati a versare l’Ici, per gli immobili destinati ad attività commerciali, da essi dovuta ne gli ultimi cinque anni (gli anni precedenti sono prescritti). Non basterebbe ad evitare questo effetto una nuova nor ma che li esenti da ora anche in relazione agli immobili destinati ad attività commerciali. Una via di uscita potrebbe essere una norma che smentisca la Corte di Cassazione, fornendo un’interpretazione autentica dell’art. 7 lettera i) del decreto legislativo del 1992. Se l’esenzione viene riconosciuta con interpretazione autentica, infatti, si può sostenere che essa vale non da oggi ma dal 1992. In questa ipotesi, il contenzioso in essere si risolverebbe a favore degli enti ecclesiastici, con l’implicazione che quelli di essi che hanno pagato l’Ici potrebbero rivalersi sui comuni per richiedere la restituzione dell’Ici indebitamente pagata (negli ultimi cinque anni). La prima formulazione di una norma di interpretazione autentica a favore della Chiesa Cattolica è stata inserita (e poi ritirata) nell’art. 6 del decreto legge 17 agosto 2005, n. 163 (cosiddetto decreto infrastrutture), che recitava: “L’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione educazione e cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur svolte in forma commerciale, se connesse a finalità di religione o di culto”. E’ interessante notare che questa interpretazione mette in discussione l’applicabilità dell’Ici nel caso di attività commerciali, svolte esclusivamente da parte di enti ecclesiastici (attraverso l’esplicito richiamo alla legge 222/1985). Restano invece esclusi dall’esenzione tutti gli edifici utilizzati per attività commerciali da enti di altre appartenenze religiose, nonché da tutti gli enti non commerciali non religiosi. I possibili profili di incostituzionalità di questa norma, che avrebbe discriminato le diverse confessioni religiose, ne hanno determinato il ritiro.

Una nuova, e diversa, interpretazione autentica[modifica wikitesto]

La norma è però ricomparsa, opportunamente riformulata, come emendamento alla Finanziaria, proposto dal presidente della Commissione Finanze e tesoro del Senato ed è stata approvata da tale Commissione il 27 ottobre, in questa formulazione: “L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”. Questa nuova formulazione aggira l’ostacolo di incostituzionalità, estendendo l’esenzione Ici alle attività commerciali svolte, non solo da tutte le confessioni religiose, ma da tutti gli enti no profit (es. tutte le Onlus). Le conseguenze di questo emendamento (se sopravviverà al dibattito parlamentare), in termini di violazione della concorrenza, sono evidenti. Alcuni esempi: le università e gli ospedali cattolici non pagheranno l’Ici, quelli privati for profit sì; gli alberghi e le altre strutture ricettive della Chiesa cattolica, a Roma, non pagheranno l’Ici, gli altri alberghi sì.

L’onere per i Comuni e il precedente del 2003[modifica wikitesto]

Ma la norma in questione ha importanti conseguenze anche sotto il profilo del finanziamento di quei comuni che sino ad ora hanno preteso ed ottenuto il pagamento dell’Ici sugli immobili destinati a finalità commerciali, anche quando di proprietà di enti non commerciali. Stimare la perdita di gettito aggregata per tali enti non è agevole. Una prima valutazione dell’Anci parlava di 300 milioni di euro all’anno per i soli immobili di proprietà di enti ecclesiastici, ma ora che l’esenzione ricomprende anche le altre confessioni religiose e le Onlus, il conto sarà indubbiamente più salato. Chi si deve fare carico di questa perdita di gettito? Nel dibattito sul decreto infrastrutture, la Commissione Bilancio del Senato aveva considerato incostituzionale l’emendamento proposto, per assenza di copertura. Seguendo un iter assolutamente inedito, l’aula ha chiesto alla Commissione di ripronunciarsi, ottene ndo il ritiro dell’eccezione di incostituzionalità, sulla base dell’argomentazione, sostenuta fra gli altri dal sottosegretario Maria Teresa Armosino, che la copertura dell’emendamento non è necessaria in quanto esso “non produce effetti finanziari negativi per la finanza pubblica”. Il problema è stato riproposto nella discussione sul nuovo emendamento alla Finanziaria ed è all’attenzione della Commissione Bilancio. Si pronunciano a favore dell’esplicita indicazione di una copertura i senatori che ritengono che la norma in discussione introduca una nuova agevolazione . C’è un importante precedente che dovrebbe fare riflettere sulla validità di questa argomentazione, come sulla natura meramente interpretativa dell’emendamento proposto. Sull’argomento dell’esenzione Ici era già intervenuta una precedente disposizione normativa: la legge n. 206 del 2003, con la finalità di riconoscere l’esenzione Ici anche alle attività di oratorio o similari, svolte dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, e dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato un'intesa. Alla luce della interpretazione autentica fornita oggi, queste attività, in quanto svolte da enti ecclesiastici e similari, con finalità educative, ricreative, culturali e di assistenza, avrebbero dovuto essere considerate esenti fin dal 1992 e nulla sarebbe stato dovuto per compensare i comuni di tale esenzione. Nel 2003 la si pensava invece diversamente: per garantire l’esenzione in questione si è deciso di considerare gli immobili e le attrezzature fisse destinate alle attività di oratorio e similari dagli enti di cui si è detto quali pertinenze degli edifici di culto. In questo modo li si è fatti rientrare nella lettera d) dell’art. 7 del decreto legislativo 504/1992, istitutivo dell’Ici che esenta “i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze”. Contemporaneamente si è però riconosciuto che la disposizione introduceva una nuova agevolazione, e si è disposto quindi che le minori entrate ad essa conseguenti venissero rimborsate ai comuni dallo stato (come sta avvenendo secondo le istruzioni contenute nella Circolare 28/2005).