Dioniso del Tevere

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Dioniso del Tevere
Autoresconosciuto
DataII secolo d.C.
Materialebronzo
Altezza158 cm
UbicazioneMuseo nazionale romano di Palazzo Massimo, Roma

Il Dioniso del Tevere è una statua in bronzo che ritrae Dioniso, il dio greco del vino. Questa statua misura 150 centimetri di altezza e presenta delle somiglianze con le opere di Prassitele e degli artisti più rinomati dell'epoca di Adriano e Antonino Pio.[1] Attualmente è conservata al Museo Nazionale Romano presso il Palazzo Massimo alle Terme di Roma.[2]

La statua venne scoperta nel 1885, durante la costruzione di uno dei piloni del ponte Garibaldi, progettato dall'architetto Angelo Vescovali.[3][4] Nel 1891, nella stessa area venne scoperto l'Apollo del Tevere, che si trova nel medesimo museo.[2] Tra il 1984 e il 1985 l'opera fu soggetta a un restauro conservativo.[4] Il suo numero d'inventario è 1060.

Un dettaglio del volto di Dioniso.

La statua ritrae un Dioniso nudo, di tipo giovanile, appoggiato sulla gamba destra, mentre la sinistra è flessa marcatamente. Il dio è appoggiato sull'avampiede e con il braccio sinistro regge un tirso, un suo attributo tradizionale.[5] La sua testa è cinta da una coroncina con dei pampini, un altro suo attributo.

L'opera fa riferimento a un modello famoso, il cosiddetto "Dioniso di Woburn Abbey", creato alla metà del IV secolo a.C., del quale si conoscono più di venti copie e varianti. Questo è il primo tipo di statua che ritrae il dio nudo e giovane, ed ebbe un grande successo nelle epoche ellenistica e romana. La posizione del braccio sinistro, tuttavia, differisce da quella che si vede negli esemplari della gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen e nella statua degli Horti Lamiani dei Musei Capitolini. Paul Zanker sostiene che la composizione della statua tiberina deriva dal cosiddetto "Atleta Stefano", una creazione romana classicista del I secolo a.C., modificata con l'aggiunta della capigliatura lunga e ondulata.[6] Ciò fa dell'opera una creazione eclettica dell'epoca imperiale e che indica il gusto classico di questa epoca. Le pupille incise e lo spessore notevole delle palpebre superiori suggeriscono una datazione adrianea o antonina ed è stata proposta una provenienza campana.[5]

  1. ^ Armando Ravaglioli, Roma anno 2750 ab Urbe condita. Storia, monumenti, personaggi, prospettive, Roma, Tascabili, 1997, p. 53.
  2. ^ a b Touring club italiano, Roma, Touring Editore, 1999, p. 168, ISBN 978-88-365-1324-6. URL consultato il 5 giugno 2024.
  3. ^ (EN) Italy: Handbook for Travellers. Second Part: Central Italy and Rome, K. Baedeker, 1893, p. 146. URL consultato il 5 giugno 2024.
  4. ^ a b Museo nazionale romano, Palazzo Massimo alle Terme, Electa, 1998, p. 147, ISBN 978-88-435-6609-9. URL consultato il 5 giugno 2024.
  5. ^ a b Luisa Franchi Dell'Orto e Italy Soprintendenza archeologica di Pompei, Ercolano 1738-1988: 250 anni di ricerca archeologica : atti del convegno internazionale, Ravello-Ercolano-Napoli-Pompei : 30 ottobre-5 novembre 1988, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 1993, p. 389, ISBN 978-88-7062-807-4. URL consultato il 5 giugno 2024.
  6. ^ (DE) Niels Hannestad, "P. Zanker, Klassizistische Statuen: Studien zur Veränderung des Kunstgeschmacks in der Römischen Kaiserzeit. Mainz: P. von Zabern" in Journal of Roman Studies, 1974, 67, pp. 221–222.

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