Bozza:Benvenuto Ferrazzi

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BENVENUTO FERRAZZI (Castel Madama 1892 - Roma 1969) è stato pittore, scultore e poeta.

Nato in una famiglia di artisti, il padre Stanislao (Castel Madama 1861 - Roma 1937) e il fratello Ferruccio (Roma 1891 - 1978). Cresciuto a Roma in via delle Sette Sale sul colle Oppio, ambiente popolare di artisti e artigiani, quindicenne inizia il proprio percorso di indipendenza e libertà; mutando il nome in Benvenuto, a Cellini si ispirerà nel suo doppio percorso artistico e letterario. Pur profondamente legato alla famiglia da valori fondamentali e principi umanistici e sociali, Benvenuto se ne distacca e inizia a dipingere i “suoi” quadri elaborando uno stile molto personale e agilmente riconducibile al proprio linguaggio pittorico. Egli articola sinuosamente sulla carta e sulla tela raffinate linee descrittive e decorative di ascendenza liberty, inserendo invenzioni che si giustappongono armoniosamente ad uno scrupoloso tecnicismo, e completa sapientemente l’opera con decise campiture di colore che gradano dalle tonalità del grigio, ai blu, ai verdi, gli ocra e i rossi, in un vivace e raffinato equilibrio cromatico. I personaggi dei suoi dipinti sono quelli che popolano strade, osterie e conventi, giocatori di carte e delinquenti, ma anche fanciulle e tipici caratteri popolari. Le vedute urbane, spesso costruite con audaci fughe prospettiche, hanno per teatro i luoghi adiacenti via Alessandrina e poi le popolari vie di Trastevere, animate da episodi di vita quotidiana e dal suono delle improvvisazioni dei poeti romaneschi. Sono proprio questi i soggetti che Cipriano Efisio Oppo suggerirà apertamente ad Antonio Muñoz di acquistare per le collezioni museali romane che andava costituendo. Dai suoi dipinti, come dai suoi diari, emergono ad ogni canto testimonianze artistiche oltre che sociali e culturali dell’Italia degli inizi del secolo ventesimo.

Rinvenuta manoscritta in numerosi volumi e fascicoli inediti, l’autobiografia tratta dalle prime stesure giovanili, sarà rielaborata e trascritta negli anni Sessanta. In essa Benvenuto si rivela eccentrico testimone dei grandi eventi sociali, economici ed artistici della propria epoca, partecipe della lotta per la sopravvivenza in una grande città in fermento da poco divenuta Capitale, assiste alla trasformazione storico-economica e sociale del paese, alla Grande Guerra, alla marcia su Roma, al rinnovamento urbanistico, alle esposizioni del Ventennio, alla Seconda Guerra Mondiale e al bombardamento di San Lorenzo.

Gli interlocutori e i compagni occasionali di Benvenuto sono donne e uomini di malaffare, anarchici, regicidi, figure caritatevoli, frati e suore che si intravedono nei chiostri conventuali, i luoghi sono osterie, stamberghe, case chiuse, accademie e atelier d’artisti. La vita è raccontata in un linguaggio semplice e fluente dove la voce narrante descrive con linguaggio visivo centinaia di esperienze e brevi cronache in ambiti e situazioni estreme e umanamente molto crude, osterie e bordelli di infimo ordine, dei quali è assiduo frequentatore. Nell’arco di cinquant’anni cita nomi, fatti e luoghi visti attraverso gli occhi del popolo, attraverso storie e ritratti in ambienti per lo più modesti: cosicché, nel momento della celebrazione della Roma dell’Impero, sceglie di parlare della Roma del popolo e la sua attenzione è mossa dai personaggi che interpretano un “carattere” tipicamente popolaresco, attingendo alla vita quotidiana e dipingendo in pittura e in prosa superbe scene di genere.

Dal racconto quotidiano affiora la Roma vivace degli anni Dieci, l’ambiente artigiano prolifico e variegato, una realtà formativa di scuole e istituti fondati in funzione di una intensa offerta lavorativa nata a seguito dell’ampliamento urbanistico della Capitale. Oltre alle scuole del Nudo dell’Accademia di Francia e dell’Accademia di Belle Arti in via di Ripetta, Benvenuto frequenta la Scuola Preparatoria alle Arti Ornamentali in via di S. Giacomo, poi i corsi artigiani presso la Scuola di Arti e Mestieri in via dell’Umiltà, oltre che il Museo Artistico Industriale di via Capo le Case. Si delinea la rete di assistenza sociale strutturata per affrontare il conseguente intenso inurbamento della città, con l’Opera Pia, la Federazione di Istituti romani per l’assistenza e la Società contro l’accattonaggio, e per arginare la delinquenza minorile il Rifugio dei minorenni in piazza Sonnino a Trastevere diretto dal giudice Raffaello Majetti. Schiudono le loro porte i conventi, quelli dei frati Passionisti e dei Francescani e quello non più esistente dei Cappuccini in via Veneto. Benvenuto racconta della visita della Regina Madre ad una esposizione al Circolo Artistico di via Margutta, ricorda la storia di Ercole Rosa, accenna all’amicizia con i cesellatori Aurelio e Dante Mortet e alla frequentazione delle botteghe di restauratori, antiquari e galleristi. Descrive l’atelier del ceramista decoratore Vincenzo Jerace e quello dello scultore Angelo Zanelli, riporta un esilarante scambio di battute con Ettore Petrolini e una visita a casa di Filippo Tommaso Marinetti, i lazzi di Anton Giulio Bragaglia e quelli di Giuseppe Giosi. Descrive i funerali dell’anarchico Aristide Ceccarelli e l’epilogo del regicida Antonio D’Alba. Si respira l’atmosfera degli aperitivi ai vernissage delle mostre alla Casa d’Arte Bragaglia con le presenze della borghesia romana e internazionale e delle ballerine russe di Sergej Diaghilev, si intravedono le figure di Federico Hermanin ed Antonio Muñoz.

L’esordio artistico, dunque, avviene nel vivace milieu romano e trae dal clima del tardo simbolismo uno stile personale in aperto confronto con le esperienze futuriste e metafisiche ma soprattutto quelle tendenze primitiviste e tonali che erano alla base delle sperimentazioni della Scuola romana. Alla Galleria dell’Epoca, nel 1918, espone per la prima volta nella collettiva Mostra Indipendente pro Croce Rossa, insieme a Giorgio de Chirico, Carlo Carrà ed Enrico Prampolini, e nel 1919 alla Casa d’Arte Bragaglia inaugura la prima personale al primo piano di via Condotti 21, che ospiterà negli stessi mesi anche quelle di Giacomo Balla, Giorgio de Chirico e Pablo Picasso. La sua visione originale e tragica della realtà in dipinti e disegni di interni tragici e silenziosi richiama l’attenzione di critici e collezionisti, tra i primi sono Angelo Signorelli e la contessa Lucia Bechet che, oltre alle vedute di Roma, prediligono appunto i soggetti più difficili come i ritratti dal vero eseguiti nella camera mortuaria dei Santi Cosma e Damiano al Foro Romano dove vive e lavora per un decennio. Ben introdotto dunque negli ambienti artistici d’avanguardia, dopo aver partecipato alla prima edizione della Biennale Romana, nel 1922 espone la seconda personale alla Casa d’Arte Bragaglia, contestualmente a quelle di Deiva De Angelis e dell’architetto futurista Virgilio Marchi. La galleria, nel frattempo, si era spostata in via degli Avignonesi 8 e Bragaglia aveva maturato un modo di vivere l’arte e il collezionismo in una dimensione moderna ed europea: le mostre erano aperte fino a tarda notte e negli ampi spazi espositivi sotterranei si danzava e vi conveniva la mondanità romana.

Ma Benvenuto intanto si rivela un artista anticonformista e anticonvenzionale, ribelle alle costrizioni sociali e ai compromessi artistici; vive con spirito fiero e indipendente e sceglie una esistenza solitaria e volutamente povera, appropriata ad un personaggio tipico della letteratura ottocentesca. Non si lega a nessuna donna ma è amante di tutte, sceglie di avere una indipendenza assoluta senza compromessi con galleristi, regole di mercato e di convivenza sociale. Il successo economico è a portata di mano, ma egli decide di scegliere la libertà e preferisce vivere e lavorare nei conventi e in studi improvvisati a Roma, Napoli, e in alcuni piccoli centri del Lazio e dell’Abruzzo. Nonostante questo atteggiamento, la sua pittura acquista notorietà a Roma, grazie alle successive tre personali allestite tra il 1923, il 1926 e il 1934 da Anton Giulio Bragaglia nelle sedi della propria galleria, l’ultima allo Scalone Mignanelli 11, e alla partecipazione costante agli Amatori e Cultori di Belle Arti, alle Biennali, alle Rassegne Sindacali Fasciste e alle Quadriennali e le sue opere vengono celebrate tra gli altri nelle recensioni di Giuseppe Pensabene, Virgilio Guzzi, Pietro Scarpa, Francesco Càllari, Corrado Pavolini e Cipriano Efisio Oppo. Negli anni Trenta e Quaranta Benvenuto si concentra sulla veduta urbana, al punto che in numerosi articoli di cronaca d’arte di Giuseppe Pensabene e Cipriano Efisio Oppo, Segretario della Quadriennale, è celebrato come il più interessante artista italiano degli anni Trenta. Sono questi gli anni in cui elabora in pittura e in prosa un ritratto unico ed originale della città che andava ormai scomparendo, fino a diventare il novello “pittore della Roma sparita”, dei quartieri antichi, “pittore di Trastevere” e di Borgo. Negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo aver alfine raggiunto la stabilità coniugale, prosegue nell’evoluzione artistica che si permea di spunti surrealisti, nelle vedute di Roma, nei paesaggi e nelle composizioni in interno e si fa particolarmente raffinato nelle nature morte. Oggi, i suoi dipinti si conservano presso i musei della capitale, il Museo di Roma in Palazzo Braschi, la Galleria di Arte Moderna di Roma Capitale e La Galleria Nazionale, oltre che in importanti collezioni private italiane.


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