Ctenidio

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Con ctenìdio (dal vocabolo greco 'κτείς' ='pettine' ed il suffisso diminutivo -ídion, e quindi "piccolo pettine, pettinino") viene indicata in genere una parte anatomica che richiama per certi aspetti la forma o l'idea di un pettine (solitamente perché munita di più o meno numerosi e fitti dentelli, ciglia o lamelle). Il termine è perciò applicabile e applicato a forme e strutture anatomiche diverse e in diversi animali.[1]

Dal sostantivo ctenìdio deriva l'aggettivo ctenidàle, che ha il significato di "relativo allo ctenidio o agli ctenidi" (come nel caso dei "vasi ctenidali" afferenti o efferenti dei molluschi),[2] ma esiste anche l'aggettivo ctenòide che, discendendo direttamente dal greco ktenós = pettine ed èidos = specie o somiglianza, significa "simile a un pettine" (come nella "scaglia ctenoide" dei pesci ossei).[3]

Schema della testa di una pulce del gatto in cui sono evidenziati due tipi di ctenidio, quello genale e quello pronotale.

Nelle pulci[modifica | modifica wikitesto]

Nei sifonatteri (le comuni pulci), gli ctenidi sono le cortissime appendici articolate in tre segmenti (antennòmeri) che sporgono dal loro capo e che sono utilizzate per meglio aderire al pelo degli animali che le ospitano. Propriamente il termine viene utilizzato per il genere denominato appunto Ctenocephalides (la pulce del gatto o quella del cane, ad esempio), mentre negli altri casi si preferiscono i nomi antenne, setole o spine.[4]

Nei molluschi[modifica | modifica wikitesto]

In vari molluschi lo ctenidio è l'equivalente della branchia dei pesci ed è quindi un organo di respirazione: arricchisce di ossigeno l'emolinfa (il liquido circolante dei molluschi dotati di un apparato circolatorio aperto, ovvero tutte le classi di molluschi ad eccezione dei cefalopodi, che sono dotati di apparato circolatorio chiuso) o il sangue (nel caso dei cefalopodi). L'emolinfa o il sangue ossigenati, mediante i vasi ctenidali efferenti, giungono agli atrii; a conclusione del circolo sanguigno o emolinfatico sono poi i vasi ctenidali afferenti a riportarla in ogni ctenidio per un nuovo ciclo.

Di norma gli ctenidi sono due, ma i neogasteropodi ne presentano quasi sempre uno solo e con un'unica serie di filamenti, mentre più usuale è la disposizione a doppio pettine (o bipettinata). Il loro numero comunque varia sensibilmente da classe a classe: se infatti i polmonati (le comuni chiocciole), gli scafopodi e alcuni aplacofori ne sono totalmente sprovvisti, vi sono dei poliplacofori che ne contano addirittura 80 paia. Gli ctenidi, se presenti, sono situati nella cavità palleale. [5]

Negli ctenofori[modifica | modifica wikitesto]

Anche negli ctenofori lo ctenidio è una sorta di pettine o paletta vibratile munita di ciglia distribuite in alcune serie lungo il corpo dell'animale: battendo in modo coordinato fra loro, gli ctenidi permettono all'organismo di spostarsi lentamente nell'acqua. Tale battito coordinato è regolato da una statocisti, un organo di senso statico detto "apicale" perché posto nella parte superiore del corpo (il "polo apicale"); essa collega il sistema nervoso a ogni ctenidio e permette a ciascuna serie ciliata di vibrare con la stessa frequenza, o con frequenze diverse, a seconda del movimento che l'animale intende compiere.[6]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Il Vocabolario on line della Treccani e il Grande Dizionario Hoepli lo riservano però esclusivamente alla branchia dei molluschi, mentre il Dizionario di Sapere.it ne estende l'uso anche alle appendici delle pulci.
  2. ^ Uberto Fazzini, "Apparato circolatorio e scambi gassosi", in Molluschi Archiviato il 27 settembre 2004 in Internet Archive..
  3. ^ Dall'Atlante di anatomia comparata Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive. del Dipartimento di Biologia animale e dell'uomo dell'Università degli studi di Torino.
  4. ^ Immagini di ctenidi di alcuni tipi di pulci si possono vedere in Vincenzo Petrarca, Schede del corso di Parassitologia - Pidocchi e pulci[collegamento interrotto], p. 19.
  5. ^ Uberto Fazzini, "Classificazione", in Molluschi Archiviato il 17 dicembre 2004 in Internet Archive..
  6. ^ Alcune immagini di ctenidi di ctenofori sono riportate nella Guida al riconoscimento del plancton neritico dei mari italiani, Roma, Ministero dell'Ambiente[collegamento interrotto], 2006, vol. II-Tavole, p. 193.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Robert L. Dorit, Warren Franklin Walker e Robert D. Barnes, Zoology, Belmont, Thomson-Brooks/Cole, 1991. ISBN 0-03-030504-7. Trad. it. di Aldo Grigolo e Luciano Sacchi: Zoologia (a cura di Aldo Grigolo), Bologna, Zanichelli, 1997. ISBN 88-08-09254-2.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]