Battaglia di Colle

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File:BATTAGLIA 1269.gif
Miniatura del sec. XIV, Roma Biblioteca Chigiana: un fante porta sull’asta la testa di Provenzan Salvani

La battaglia di Colle si svolse tra il 16 ed il 17 giugno del 1269 presso Colle di Val d'Elsa tra le truppe ghibelline di Siena e quelle guelfe di Carlo d'Angiò e di Firenze rappresentate da meno di 200 cavalieri comandati da Neri de'Bardi

Dopo la battaglia di Montaperti dove la ghibellina Siena vinse sulla guelfa Firenze il 4 settembre 1260, Colle si trovava dalla parte guelfa

Fu infatti di quegli anni l'esilio di molti guelfi dalla città e la persecuzione che porterà i loro concittadini ghibellini ad inseguire i fuoriusciti fino a Lucca.

Il 27 agosto 1268 un'ennesima battaglia fra Re Carlo d'Angiò, accorso in difesa del Pontefice Clemente IV, e il nipote Corradino alla guida dei ghibellini, decretò nei dintorni di Roma la vittoria dei guelfi. Ma i ghibellini, nonostante la sconfitta, proseguirono nella loro opera di persecuzione dei guelfi e, durante l'inseguimento verso Lucca, si attestarono nel castello di Ulignano.

Fu così che i comuni circostanti (Colle e San Gimignano in testa), decisero di attaccare il Castello e di inseguire i fuggitivi verso Pisa e Poggibonsi, fino a quando il grosso delle milizie ghibelline si ritrovò fra le mura di Pisa e Siena.

Nel giugno del 1269 il Capitano Provenzano Salvani ed il Potestà Conte Guido Novello partirono da Siena con 1400 cavalieri e 8000 fanti fra senesi, pisani, tedeschi, spagnoli, fuoriusciti fiorentini, e altri toscani, accampandosi nell'altopiano della Badia nei pressi dell'Abbazia di Spugna.

I Colligiani, che non si aspettavano questo assedio, si rinchiusero fra le fortificazioni di Colle Alta e mandarono dei messaggeri che chiedessero aiuto a Firenze.

Il giorno successivo truppe francesi agli ordini del maresciallo Giambertoldo, Vicario del Re Carlo d'Angiò, giunsero a Colle, seguite – di sole ventiquattro ore – da un altro contingente di 400 fiorentini(che non giunsero in tempo per la battaglia).

Durante la notte il Maresciallo schierò i francesi sulle mura di Colle Alta e fece conquistare il castello ghibellino dentro Colle, la mattina seguente alle prime luci la torre ghibellina segnalò l'avvicinarsi delle truppe inviate da Firenze ( in realtà al momento della battaglia l'esercito fiorentino era ancora a Barberino, e ordinò che si suonassero le trombe e che si gridasse a squarciagola "con impegno" in modo da far credere ai ghibellini che le truppe da combattere erano molte più di quante essi non credessero. Sembra che lo scherzo funzionò, perché di primo mattino i ghibellini si ritirarono verso San Marziale, attestandosi su una collinetta Poggio ai berci.

Il maresciallo Giambertoldo diede ordine alle milizie colligiane di aggirare quella collina rimanendo nascoste fino al momento in cui lui fosse apparso con le insegne fiorentine di fronte ai senesi e li avesse attaccati. Durante la sua avanzata il Maresciallo fece abbattere il ponte di S. Marziale per impedire ai suoi una ritirata, ma anche per rallentare la fuga senese.

Arrivato in vista dei ghibellini, Gianbertoldo diede inizio alla battaglia, mentre dietro alle file senesi i colligiani sbucavano gridando e brandendo le armi, dando così la sensazione che altre truppe fossero in attesa di attaccare.

Per quanto il Capitano Salvani minacciasse, promettesse compensi e gridasse, i soldati ghibellini combatterono solo poco e male, ritirandosi ben presto e dandosi alla fuga. Molti furono inseguiti e uccisi dai guelfi, mentre Salvani, non volendo tornare sconfitto a Siena, si gettò nella mischia e fu ucciso da Regolino Tolomei, suo nemico giurato.

Gianbertoldo era riuscito, con soli 800 cavalieri e circa 300 fanti colligiani, a sconfiggere con l'astuzia un esercito di ben 9.400 uomini. Tutto questo accadeva sotto gli occhi della senese Sapia Salvani, cantata da Dante nella Divina Commedia (Purg. C. XIII e segg.), che seguì la battaglia pregando per la sconfitta dei suoi concittadini.

«Quegli è, rispose, Provenzan Salvani ed è qui perché fu presuntuoso

a recar Siena tutta alle sue mani.

Ito è così, e va senza riposo,

poi ché morì: cotal' moneta rende

a soddisfar, chi è di là tropp’osò»

«Rotti fur quivi, e volti negli amari passi di fuga, e veggendo la caccia, letizia presi ad ogni altra dispari [...]»