Che fare? (miniserie televisiva)

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File:Trade Che fare?.jpg
Cofanetto Rai Trade"
Paese di produzioneItalia
Durata392 minuti
GenereSceneggiato
RegiaGianni Serra
SoggettoNikolaj Cernysevskij
SceneggiaturaMaria Stella Sernas, Tomaso Sherman, Gianni Serra
ProduttoreRai 2
MusicheLuis Bacalov
ScenografiaGianfranco Padovani
CostumiMariolina Bono
Interpreti e personaggi
  • Elisabetta Pozzi
  • Remo Girone
  • Marzio Margine
  • Anna Maestri
  • Roberto Alpi
  • Bruno Cirino
  • Isabella Guidotti
  • Lucrezia Love

Che fare? (Sceneggiato televisivo)

Che fare? è uno sceneggiato televisivo italiano in cinque puntate in elettronica diretto da Gianni Serra nel 1977 e trasmesso in data: 07/02/1979 - 07/03/1979[1]. Sceneggiatura di Maria Stella Sernas, Tomaso Sherman, Gianni Serra.

Soggetto

Lo sceneggiato Che fare? è ricavato dal romanzo omonimo di Nikolaj Cernysevskij, scritto tra il 1862 e il 1863 nella Fortezza di Pietro e Paolo, dove l’autore era stato imprigionato dal regime zarista[2]. Questo romanzo fu diffuso clandestinamente con enorme successo sia in Russia che fuori Russia. Per la gioventù “rivoluzionaria” di fine 800 e primi 900 divenne un “libro da capezzale”. Il titolo del Che fare? di Lenin fu un omaggio all’autore e al romanzo.

Nikolaj Cernysevskij fu condannato a quattordici anni di lavori forzati e all’esilio a vita in Siberia. Morì poco  dopo il 1888.

Trama

Una ragazza, Vera Pavlovna, si ribella all’educazione e alla vita che la madre Marja Aleksevna vorrebbe imporle, tentando di farle sposare un uomo ricco e sciocco. Vera, al contrario, intreccia relazioni con il suo precettore, lo studente di medicina Lopuchov, e anche col giovane medico Kirsanov, amico fraterno di Lopuchov. Rifiutando il partito sostenuto dalla madre, va a vivere con il suo insegnante. Con questa decisione, Vera diventa uno dei primi casi di emancipazione della donna, di femminismo “ante litteram”. Con Lopuchov condivide l’ideale degli “uomini nuovi”, modelli di scelte rivoluzionarie, di cui il loro idolo di nome Rachmetov è il capo. Rachmetov è un  uomo “particolare”, ha una dimensione leggendaria, è nettamente differenziato dagli altri uomini nuovi. “È un’aquila“, dice di lui Vera. “È più importante di noi tutti messi assieme”, dirà di lui Kirsanov. Rachmetov ha rapporti organici con il popolo. Di antica origine aristocratica, lotta per non diventare un uomo “superfluo”, un pigmeo dell’azione. Si fa strumento essenziale, insostituibile, dell’azione pratica, del “fare”. Su impulso di Lopuchov, Vera decide di aprire una sartoria, e la organizza come un cooperativa. Ha successo, apre altre sartorie, dimostrando coi fatti che una nuova organizzazione del lavoro non è soltanto socialmente utile, ma “rende”. Vive felice. Arriva tuttavia un giorno in cui scopre di essere innamorata, riamata, di Kirsanov, il medico amico fraterno di Lopuchov. Lopuchov intuisce il dramma che tormenta la donna amata. Decide di partire, “scomparendo” dal mondo in modo tale che Vera pensa si sia suicidato. Vera ha una reazione violenta contro se stessa e Kirsanov, colpevolizzandosi. Ma dopo qualche anno, anni in cui l’inquieta Vera ha deciso di seguire Kirsanov sia nella professione di medico sia come donna compagna, Lopuchov ritorna, in coppia con una nuova ragazza, Ekaterina. Dopo questo avvenimento, definito da una Vera commossa ed esultante come una “pasqua di resurrezione”, le due coppie decidono di vivere insieme, in una comunità di vita e di pensiero.

Tecnica realizzativa

Il “Che fare?” è inizialmente nato con una sceneggiatura strumentale. Strumentale perché scritta sulla scorta di una mediocre edizione del romanzo, quella di Garzanti, tradotta, tagliata, manipolata da Federigo Verdinois[3], e perché doveva servire alla definizione d’un piano di lavorazione e al suo varo realizzativo. D’accordo con il responsabile Rai, Giovanni Leto, la sceneggiatura definitiva, si formò con l’aiuto e la stretta collaborazione della regista e sceneggiatrice Gioia Benelli, la quale, pochi giorni prima dell’inizio della sala prove con gli attori, fece pervenire al regista Gianni Serra l’edizione Editori Riuniti appena uscita, curata da Ignazio Ambrogio e da lui tradotta dall’ultima edizione integrale russa[4]. Fu così che a contatto con gli attori, durante il lungo periodo di sala prove nella sede Rai di Torino, presero via via corpo nuovi dialoghi e nuove scene. Per esempio, grazie al libro di Ambrogio, il regista decise d’introdurre, come avviene nel romanzo, la voce fuori campo di un personaggio invisibile, l’autore Cernysevskij, che accompagna i personaggi, dialoga con essi, commenta gli accadimenti, interviene, ironizza, giudica, cita se stesso, spiega, e anche complica le emozioni. E durante la sala prove prese forma l’idea del linguaggio realizzativo:  lunghissimi piani sequenza e continuità di spazi-ambiente, vale a dire ambienti contigui, con porte, senza porte, comunque atti ad un passaggio ininterrotto della telecamera da uno all’altro, spazi spesso ripetuti esattamente uguali nell’arredamento per non interrompere un percorso, ambienti-cellule come si fosse in un alveare. E infatti, nel finale dello spettacolo, una ripresa in totale dall’alto scopre il meccanismo scenografico creato da Gianfranco Padovani, il sistema con cui è costruito lo spazio che ha reso possibile il percorso ininterrotto della telecamera nel labirinto della vita dei personaggi e della storia. Labirinto e non convenzione, cioè gli stessi caratteri seguiti da Nikolaj Cernysevskij nel suo romanzo. In questo senso la reinvenzione del “Che fare?” come spettacolo fu fedelissima al testo. I piani sequenza tanto prolungati rispondevano alle esigenze favolistiche del racconto, degli eventi. Nel “Che fare?” televisivo - altro particolare anti convenzione - c’è uno studio particolare del colore e della luce. In ogni puntata decolorazione e luminosità sono progressivamente in aumento: per sottolineare la limpida e felice apertura dei rapporti di coppia, dell’organizzazione del lavoro, della qualità di vita dei giovani protagonisti. La tecnica del piano-sequenza in movimento comportò l’utilizzo di una sola telecamera. E questo provocò spesso problemi “rompicapo”. Non ultimo, il puzzle della sistemazione del cavo che collega la telecamera con le apparecchiature fisse: un cavo lungo, che si snodava e arrotolava come un serpente; e che, per effettuare ad esempio una ripresa circolare a 360 gradi ripetuta varie volte, doveva essere arrotolato attorno alla telecamera con un numero di giri accuratamente calcolato. L’utilizzo di lunghissimi piani sequenza facilitò ovviamente il montaggio. I reali flash di montaggio esistenti nel “Che fare?”, furono utilizzati, e parcamente, non per comodità o per superare problemi. Hanno lo scopo di sottolineare, drammatizzare, rompere i ritmi e anticipare: vedi ad esempio il primo piano di un attore e il dettaglio degli occhi della protagonista che lo guardano, mentre bacia il suo compagno: questi occhi guardano il futuro amore, sono un’immagine a stacco improvviso che intende suggerire una “premonizione”. Il piano di lavorazione ha sempre seguito, nei limiti del possibile, l’ordine progressivo della sceneggiatura, del racconto: dall’inizio alla fine. Con evidente vantaggio per gli attori.

Accoglienza

Trasmesso settimanalmente, su richiesta del pubblico fu presto replicato. Evidentemente gli spettatori non erano stati sconcertati dall’inusuale minutaggio di ciascuna puntata, ciascuna di durata diversa e superiore al tempo tradizionale. Lo sceneggiato “Che fare?” fu invitato a Pescara, nell’ambito del Premio Flaiano, sia per ricevere il premio per la sceneggiatura sia per un seminario sull’uso del colore.

Promozione

Nessuna particolare promozione da parte della Rai. Soltanto vari anni più tardi “Rai Trade - la Rai per la Cultura” lo inserì nel suo catalogo alla voce “I grandi sceneggiati - Capolavori della letteratura russa”, commercializzandolo, e dunque cedendo i diritti all'acquirente, in un cofanetto contenente 3 Dvd: nel 1° le puntate 1 e 2 per la durata di 156’ - nel 2° le puntate 3 e 4 per la durata di 163’ - nel 3° la puntata 5 di 73’ e un’intervista all’autore fatta da Guido Davico Bonino[5].

Produzione

“Che fare?” fu prodotto dalla Rai e realizzato in uno studio di Torino.

Distribuzione

“Che fare?” fu venduto all’estero secondo i normali canali. Il cofanetto “Rai Trade” sopra ricordato fu un utile canale di distribuzione. Il Museo Saratov, città natale di Cernysevskij, ne detiene una copia. Anna Roberti, che dirige a Torino l'Associazione Culturale Russkij Mir, tiene i collegamenti con questo Museo[6], dove spesso si reca per presentare brani dello sceneggiato italiano e collaborare con i curatori[7][8].

Premi

Premio Chianciano per la regia nel 1980 e Premio Flaiano 1980 per la sceneggiatura[9] 

Note

Bibliografia

  • Ignazio Ambrogio, Il "fare" di Cernysevskij, prefazione di Che fare di Cernysevskij, Editori Riuniti, Roma, 1977, (pp. 7-49)
  • Gli albori del socialismo in Russia, In: G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista, vol.II: Marxismo e anarchismo, Laterza, Bari, 1967 (pp.54-60)
  • Franco Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino, 1972, (Cernyscevski al capitolo 5°, pp.237-339)
  • V.I.Lenin, "Riforma contadina" e rivoluzione proletaria contadina, ora in Opere Complet, v.17. Roma,1966, pp. 110, 111-112.
  • Per il testo del Che fare? cfr. N.G.Cernysevskij, Polnoe sobranie socinenij, cit., v. XI, a cura di N.A.Alekseev e di A.P.Skaftymov.

Collegamenti esterni

http://www.toplike.us/play.php?i=BsvXwKqVzH4

http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=50455