Oreste (Draconzio)

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'Oreste'
Titolo originale'Orestis tragoedia'
Oreste perseguitato dalle Erinni, dipinto di William-Adolphe Bouguereau, 1862, Norfolk (Virginia), Chrysler Collection
AutoreBlossio Emilio Draconzio
1ª ed. originale450 d.C.?
1ª ed. italiana1951
Editio princepsBerna, 1760
GenereEpillio
Lingua originalelatino

Oreste (nell'originale latino Orestis Tragoedia), spesso rappresentato col titolo La tragedia di Oreste, è un epillio latino del V secolo di Blossio Emilio Draconzio, scrittore e poeta cristiano cartaginese.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Draconzio inizia con una prefazione programmatica, delineando prima brevemente la sua trama (1-12), per poi invitare Melpomene, la Musa della tragedia, ad assisterlo con i suoi calzari tragici; con notevole consapevolezza del genere, dichiara che il giambo deve tacere a favore del metro dattilico dell'epica, come ausilio alla sua capacità di raccontare i dettagli della storia (13-24):

«Luttuosa gioia canto e trionfo orrendo,
il vincitor che viene assassinato
invece che onorato, ed empia gioia
l'Amor del sangue e l'empio desiderio
della moglie troiana che, però,
non riuscì a tagliar d'Atride la gola,
le corone di alloro arrossato
dal sangue reale, e il diadema del capo
macchiato dalla tabe lì versata.
Io canterò d'Oreste che, per uccidere
sua madre, ricordò e dimenticò
la propria genitrice, pio figlio
per mancanza di pietà filiale,
fedele con slealtà, e gli dèi iniqui,
ma con buona ragione, nel loro scopo
crudele, e il colpevole innocente,
il Tempio tracio che allor consegnava
le Furie, dove una vergine ebbe in sorte
non la morte ma la salvezza, falsa
sacerdotessa con un pio inganno, lei, pur sorella.
Melpomene, ti prego, or abbandona
il tragico coturno, e resti muto
il giambo, risuonando il pie' dattilico.
Dammi il potere di evocare il lodevole
sacrilegio del figlio e di giustificare
pubblicamente il condannato dalle Furie,
l'unico che infiamma il risentimento,
che eccita l'onore, che la rabbia
fa alzare in piedi, che il coraggio anima,
che i sentimenti esaltano e che un bello
slancio sollecita (è uno smarrimento
pio che a lui fé prendere le armi,
è una pietà criminale che gli diede
il ferro), quello, infine, che il trasporto
di salutar furore, di urgenza
di restaurare onori spenti e armi
vittoriose sepolte: e anzi, il reo
di quel delitto mutilò l'ultore
del delitto, il difensore del talamo
fu ucciso innanzi alla coniuge, e l'amico
del letto nuziale giace innanzi
a questo stesso letto.»

Si inizia con la descrizione della caduta di Troia, con Agamennone sulla via del ritorno a Micene (25-40). Il suo viaggio viene interrotto da una tempesta che lo porta in Tauride, dove si ricongiunge con Ifigenia (25-40), ormai sacerdotessa di Diana: Agamennone cerca il perdono di Diana per aver sacrificato Ifigenia per ottenere i venti favorevoli verso Troia, ma la dea si infuria ed egli fugge e torna a Micene (41-107) dove, intanto, la flotta reale è arrivata senza di lui e Clitennestra ne osserva l'arrivo con l'amante Egisto, preoccupata per la possibilità che il marito scopra il loro adulterio (108-132). Tra il bottino di guerra c'è la profetessa Cassandra, che si rivolge alla regina con una visione di ciò che sta per accadere, causando a Clitennestra un certo disagio, che la costringe a ritirarsi all'interno del palazzo per convincere Egisto che sarebbe meglio liberarsi del marito per evitare che si vendichi come ha fatto con i Troiani (133-231).

Agamennone torna a casa e i due amanti adulteri lo uccidono (232-270); a questo punto, il poeta divaga per alcuni versi, declinando la possibilità che qualcuno che ha potuto conquistare una città così potente, sia in grado di essere abbattuto da una persona relativamente insignificante e di bassa estrazione (271-283). In seguito, Elettra porta Oreste ad Atene, dove ci viene detto che trascorrerà la sua giovinezza all'insegna dello sport e della retorica (284-304) ed Egisto si insedia come sovrano a Micene, mentre Dorylas, schiavo e pedagogo di Oreste, si reca da Clitennestra con una storia fittizia per proteggere i figli di Agamennone, dicendo che Elettra e Oreste sono annegati (305-378). Clitennestra si rivolge poi ai cittadini di Micene, che se ne vanno sbalorditi e increduli che un sovrano così grande come Agamennone possa cadere in disgrazia per una morte tanto ignobile (379-426).

Passano sette anni e otto mesi; Dorylas e alcuni altri schiavi si recano alla tomba di Agamennone e lo implorano di vendicare la sua morte (453-514). Il fantasma di Agamennone acconsente e vola ad Atene, dove, in un sogno, esorta Oreste e il suo amico Pilade a cessare le loro attività giovanili e a compiere il loro dovere di vendetta (515-551). Al risveglio, Oreste non è convinto, e Pilade si mette a esortarlo all'azione (515-551), sicché i due si mettono in viaggio verso Micene, dove Pilade uccide prima Egisto e Oreste, dopo alcuni scambi con la madre, la uccide (552-625) e la popolazione lo riconosce come proprio sovrano (798-802).

Nel frattempo, arriva un messaggero che annuncia che Ermione, figlia di Menelao e cugina di Oreste, è stata rapita da Pirro, figlio di Achille. Oreste va a salvarla, uccidendo Pirro in un tempio non specificato (803-819). Tornato a Micene, Oreste riceve la visita dell'ombra di Clitennestra, che ora assomiglia a una Furia, e successivamente viene condotto alla pazzia (820-861) e portato da Pilade in Tauride, dove, catturato dagli abitanti dell'isola, deve essere sacrificato (820-86) e Ifigenia lo riconosce quando delirando pronuncia il nome di Agamennone; a quel punto, lo tiene lì per tutta la notte e lo guarisce dalla sua follia (862-886) e, il giorno dopo, partono tutti per Atene, dove Oreste viene processato da Molosso per l'omicidio di suo padre Pirro. Dopo diversi discorsi, i giudici si trovano in una situazione di stallo e Minerva esprime il voto decisivo a favore dell'assoluzione di Oreste. Dopo vari festeggiamenti, Oreste torna a Micene insieme a Pilade, Ifigenia ed Elettra (887-962).

Il poeta chiude l'epillio con un'ultima supplica agli dei affinché proteggano i Greci da altri mali (963-974).

Critica[modifica | modifica wikitesto]

L'opera, composta da 974 esametri sul mito di Oreste, fu pubblicata per la prima volta nel 1858 a cura di C. W. Müller che, basandosi su criteri linguistici, rifiutò, senza però fornire ulteriori dettagli, di attribuirla a un poeta del periodo classico[1]. La critica è giunta a considerare l'opera come autonoma, nonostante rimanga ancora qualche dubbio che l'Oreste facesse parte dei Romulea, una raccolta di carmi giovanili[2]. Nell'epillio sono ravvisabili influenze di opere e autori precedenti, come la presenza di Seneca, particolarmente evidente sia nelle citazioni testuali, sia nell'atmosfera, «tendente all'orrido e al macabro»[3]. Molto probabilmente, Draconzio attinse anche a tragedie più recenti di altri autori, andate però perdute[4].

Il titolo di Orestis tragoedia, fornito dal migliore dei due manoscritti[5] che conservano l'opera, potrebbe risalire a Draconzio stesso, poiché il poeta si rivolge così a Melpomene, musa della tragedia, nei primi versi del poema[6]: Te rogo, Melpomene, tragicis discende cothumis / et pede dactylico risonante quiescat iambus, indicando, quindi, che intende trattare nel modo epico un soggetto mutuato dal repertorio tragico, con l'«intento di sistemazione unitaria del ciclo oresteo»[7].

L'epillio, inoltre, presenta un gusto per la scena "a effetto", che spinge Draconzio ad introdurre nella trama della sua narrazione avventure romanzesche di cui non troviamo traccia altrove: la più notevole, tra queste, è l'incontro tra Agamennone e Ifigenia nel tempio di Diana in Tauride[8] o, ancora, l'invenzione del personaggio di Dorylas [9], pedagogo di Oreste, la cui utilità drammatica è, tuttavia, nulla, poiché interviene dopo che Elettra ha portato Oreste a Atene con la storia del naufragio, essendo entrambi i giovani già fuori dalla portata degli assassini.

Scritto da un autore che visse ai margini dell'impero al tempo della sua caduta, l'epillio testimonia l'invasione e la cattura da parte dei vandali, con il tragico dilemma tra fedeltà al vecchio mondo (metaforicamente indicato da Agamennone) e integrazione nel nuovo, simboleggiato da Egisto. Inoltre, il poeta ripercorre in poco meno di mille versi l’intera vicenda – dal rientro di Agamennone all’uccisione di Egisto e Clitennestra, a quella di Pirro e fino al proscioglimento di Oreste – per richiamare l’attenzione sulla problematica morale[10], insita nelle ragioni della vendetta e dell’accusa, nonché dell’autodifesa e dell’assoluzione, legandola alle proprie vicende: si comprende come la privazione della libertà di pensiero e di espressione ideologica lo inducesse a rifugiarsi nel mito non solo come patria della fantasia e fonte d’ispirazione, bensì come metafora della cupa realtà storico-politica[11].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ C. W. Müller, Carmen epicum inscriptum Orestis tragedia quod ex codicibus Bongarsiano et Ambrosiano primum edidit C. W. M., Rudolstadt, 1858.
  2. ^ G. Polara, Letteratura latina tardoantica e altomedievale, Roma, Jouvence, 1987, p. 73.
  3. ^ F. Corsaro, La presenza di Seneca Tragico nella “Spätantike”: L’Agamennon di Seneca e l’Orestis Tragoedia di Draconzio, in "Siculorum Gymnasium", n. 2 (1979), pp. 321-349.
  4. ^ G. Polara, Letteratura latina tardoantica e altomedievale, Roma, Jouvence, 1987, p. 74.
  5. ^ Il codice Bernensis 45 del sec. X e l’Ambrosianus 0 74 del sec. XV.
  6. ^ Vv. 13-14.
  7. ^ A. M. Quartiroli, Gli epilli di Draconzio, in "Athenaeum", n. 25 (1947), p. 28.
  8. ^ Vv. 41-107.
  9. ^ Vv. 350-381.
  10. ^ Secondo L. Alfonsi, «Dracontiana. Su un momento cristiano dell’Orestis tragoedia», in Oikoumene, Catania, Reina, 1964, pp. 11-14, nella genesi e nella composizione dell’epillio si riconoscerebbe l’influsso dei valori propri del Cristianesimo.
  11. ^ M. E. Consoli, Nefas e Ius nell’Orestis tragoedia di Draconzio, in "Koinonia", n. 44/I (2020), pp. 321-322.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Draconzio, La tragedia di Oreste, introduzione, testo e commento di Emanuele Rapisarda, Catania, Università di Catania – Centro di studi di letteratura cristiana antica, 1951.
  • M. E. Consoli, Nefas e Ius nell’Orestis tragoedia di Draconzio, in "Koinonia", n. 44/I (2020), pp. 315-330.

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