Raphus cucullatus

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Dodo
Calco dello scheletro e ricostruzione basata sugli studi recenti (museo di storia naturale di Oxford)
Stato di conservazione
Estinto[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseAves
OrdineColumbiformes
FamigliaColumbidae
SottofamigliaRaphinae
GenereRaphus
Brisson, 1760
SpecieR. cucullatus
Nomenclatura binomiale
Raphus cucullatus
(Linnaeus, 1758)
Areale

Il dodo o dronte (Raphus cucullatus (Linnaeus, 1758)) è un uccello estinto incapace di volare endemico di Mauritius, un'isola dell'oceano Indiano a est del Madagascar. Suo parente più stretto dal punto di vista genetico era il solitario di Rodriguez, anch'esso scomparso, assieme al quale costituiva la sottofamiglia dei Rafini (Raphinae), un clade di specie incapaci di volare appartenente alla famiglia che comprende tortore e colombi. Tra le creature tuttora viventi, il parente più stretto del dodo è il colombo delle Nicobare. Un tempo si credeva che fosse esistito anche un dodo bianco sulla vicina isola di Réunion, ma oggi si ritiene che questa ipotesi fosse semplicemente il frutto di un errore causato da avvistamenti dell'ibis di Réunion, un'altra specie estinta, e all'esistenza di dipinti che raffigurano dodo bianchi.

I resti subfossili indicano che il dodo misurava circa 1 metro di altezza e poteva pesare in natura 10,6-17,5 kg. Il suo aspetto in vita è testimoniato solo da disegni, dipinti e resoconti scritti del XVII secolo. Poiché gli esemplari ritratti variano considerevolmente, e poiché sappiamo che solo alcune delle illustrazioni sono state tratte da esemplari vivi, quale fosse l'aspetto esatto del dodo in vita rimane tuttora un mistero e il suo comportamento è poco conosciuto. È stato raffigurato con un piumaggio grigio-brunastro, piedi gialli, un ciuffo di penne al posto della coda, una testa grigia e glabra e un becco nero, giallo e verde. Utilizzava gastroliti che lo aiutavano a digerire ciò di cui si nutriva, frutta a quanto pare, e si ritiene che il suo habitat principale fossero le aree boschive delle aree costiere più asciutte di Mauritius. Una testimonianza afferma che la sua covata consisteva in un singolo uovo. Si presume che il dodo avesse perso la capacità di volare a causa della grande disponibilità di cibo e della relativa assenza di predatori sull'isola. Sebbene il dodo sia stato descritto in passato come un uccello grasso e goffo, oggi si pensa che sia stato una specie perfettamente adattata al suo ecosistema.

Il primo riferimento al dodo di cui si ha notizia risale al 1598 ed è opera di alcuni marinai olandesi. Negli anni successivi, l'uccello venne cacciato da marinai e specie invasive, mentre il suo habitat venne distrutto. L'ultimo avvistamento accertato risale al 1662. La sua estinzione non venne immediatamente notata e alcuni ritennero addirittura che si trattasse solo di un mito. Nel XIX secolo furono condotte ricerche su quel poco che rimaneva di quattro esemplari che erano stati portati in Europa all'inizio del XVII secolo. Tra questi resti c'era una testa essiccata, l'unico tessuto molle del dodo giunto fino a noi. Da allora, a Mauritius è stata raccolta una grande quantità di materiale subfossile, soprattutto nell'area della palude chiamata Mare-aux-Songes. L'estinzione del dodo dopo neanche un secolo dalla sua scoperta ha richiamato l'attenzione sul problema precedentemente non riconosciuto del coinvolgimento dell'uomo nella scomparsa di intere specie. Il dodo è divenuto noto al grande pubblico per il ruolo interpretato nella storia di Alice nel Paese delle Meraviglie, e da allora è divenuto un protagonista fisso nella cultura popolare, spesso come simbolo di estinzione e obsolescenza.

Il cranio del museo zoologico di Copenaghen, il cui esame spinse gli studiosi a classificare il dodo tra i colombi nel 1842.

A seconda degli studiosi, il dodo venne inizialmente considerato un piccolo struzzo, un rallo, un albatro o un avvoltoio.[2] Nel 1842, lo zoologo danese Johannes Theodor Reinhardt propose che si trattasse di un colombo terricolo, in base all'analisi di un cranio che aveva scoperto nelle collezioni del museo di storia naturale della Danimarca.[3] Sebbene tale ipotesi venisse considerata ridicola, in seguito venne supportata dai naturalisti inglesi Hugh Edwin Strickland e Alexander Gordon Melville nella loro monografia del 1848 The Dodo and Its Kindred, che tentava di separare il mito dalla realtà.[4] Dopo aver dissezionato la testa e il piede conservati dell'esemplare del museo dell'università di Oxford e averli confrontati con i pochi resti allora disponibili dell'estinto solitario di Rodrigues (Pezophaps solitaria), gli studiosi giunsero alla conclusione che i due erano strettamente imparentati. Strickland affermò che, sebbene non fossero simili nell'aspetto, questi uccelli condividevano molte caratteristiche distintive delle ossa delle zampe note solamente nei colombi.[5]

Strickland e Melville stabilirono che il dodo era anatomicamente simile ai colombi sotto molti aspetti. Ad esempio, accennarono alla brevissima porzione cheratinosa del becco, con la sua parte nasale lunga, sottile e glabra. Anche altri colombi hanno una zona di pelle glabra intorno agli occhi che arriva quasi al becco, proprio come il dodo. La fronte era alta rispetto al becco e le narici erano situate in basso, al centro del becco, ed erano circondate da una zona di pelle – una combinazione di caratteristiche condivise solo con i colombi. Le zampe del dodo erano generalmente più simili a quelle dei colombi terricoli che a quelle di altri uccelli, sia dal punto di vista delle squame che da quello delle caratteristiche scheletriche. Anche il fatto che il dodo venisse sempre raffigurato con un grosso gozzo è un ulteriore punto a favore della parentela con i colombi, dal momento che in questi ultimi tale struttura è più sviluppata che in altri uccelli. I colombi hanno covate poco numerose, e si dice che il dodo deponesse un solo uovo. Come i colombi, il dodo era privo del vomere e del setto delle narici, e condivideva con questi dettagli della mandibola, dell'osso zigomatico, del palato e dell'alluce. Tuttavia, il dodo differiva dagli altri colombi principalmente per le piccole dimensioni delle ali e le grandi dimensioni del becco rispetto al resto del cranio.[5]

Schizzo della testa di Oxford realizzato prima che venisse dissezionata nel 1848.
Litografia del 1848 del piede di Oxford, dal quale è stato estratto il DNA.

Per tutto il XIX secolo, diverse specie furono classificate come congeneri del dodo, tra le quali il solitario di Rodrigues e il solitario di Réunion, ribattezzati rispettivamente Didus solitarius e Raphus solitarius (Didus e Raphus erano entrambi nomi per indicare il genere del dodo utilizzati dagli autori dell'epoca). Una descrizione atipica del XVII secolo di un dodo e di alcune ossa trovate a Rodrigues, che ora sappiamo fossero appartenute al solitario di Rodrigues, portò Abraham Dee Bartlett a classificare una nuova specie, Didus nazarenus, nel 1852.[6] Attualmente tale nome è considerato un sinonimo di Pezophaps solitaria.[7] Anche gli schizzi approssimativi del rallo rosso di Mauritius furono interpretati erroneamente come raffigurazioni di altre specie di dodo: Didus broeckii e Didus herberti.[8]

Per molti anni il dodo e il solitario di Rodrigues vennero inseriti in una famiglia a parte, i Raphidae (in passato Dididae), in quanto le loro esatte relazioni con gli altri colombi non erano ancora chiare. Ognuno venne inserito anche in una propria famiglia monotipica (Raphidae e Pezophapidae, rispettivamente), poiché gli studiosi pensavano che avessero sviluppato le caratteristiche comuni in modo indipendente.[9] Da allora le analisi osteologiche e del DNA hanno portato alla dissoluzione della famiglia Raphidae, e il dodo e il solitario vengono adesso collocati in una propria sottofamiglia, i Raphinae, all'interno della famiglia Columbidae.[10]

Nel 2002, la genetista americana Beth Shapiro e i suoi colleghi analizzarono il DNA del dodo per la prima volta. Il confronto delle sequenze del citocromo b mitocondriale e del 12S rRNA isolate dal tarso dell'esemplare di Oxford e dal femore di un solitario di Rodrigues confermarono la loro stretta parentela e la loro collocazione all'interno dei Columbidae. La stessa analisi genetica ha indicato il colombo delle Nicobare (Caloenas nicobarica) come loro parente vivente più stretto, seguito dai colombi coronati (Goura sp.) della Nuova Guinea e dal diduncolo (Didunculus strigirostris) delle Samoa, superficialmente simile al dodo (il suo nome si riferisce infatti proprio alla somiglianza del suo becco con quello del dodo). Questo clade è costituito da colombi endemici di varie isole dalle abitudini generalmente terricole. Il seguente cladogramma mostra le relazioni più strette del dodo all'interno dei Columbidae, sulla base di Shapiro et al., 2002:[11][12]

Goura victoria (colombo vittoria)

Caloenas nicobarica (colombo delle Nicobare)

Pezophaps solitaria (solitario di Rodrigues)

Raphus cucullatus (dodo)

Didunculus strigirostris (diduncolo)

Un cladogramma simile venne pubblicato nel 2007, invertendo la posizione di Goura e Didunculus e includendo il colombo fagiano (Otidiphaps nobilis) e il colombo terricolo dal becco grosso (Trugon terrestris) alla base del clade.[13] Il DNA utilizzato in questi studi venne ricavato dal campione di Oxford, ma dal momento che questo materiale era deteriorato e nessun DNA utilizzabile è stato estratto dai resti subfossili, questi risultati devono ancora essere verificati in modo indipendente.[14] Sulla base delle testimonianze comportamentali e morfologiche, Jolyon C. Parish ha proposto di collocare il dodo e il solitario di Rodrigues nella sottofamiglia Gourinae insieme ai colombi del genere Goura e ad altre specie, in accordo con le prove genetiche.[15] Nel 2014 è stato analizzato il DNA dell'unico esemplare museale conosciuto di colombo verde macchiato (Caloenas maculata), scomparso in epoca recente, che è risultato essere un parente stretto del colombo delle Nicobare, e quindi anche del dodo e del solitario di Rodrigues.[16]

Il colombo delle Nicobare è il più stretto parente vivente del dodo.

Lo studio del 2002 indicò che gli antenati del dodo e del solitario presero due strade evolutive diverse più o meno al confine tra Paleogene e Neogene, circa 23,03 milioni di anni fa. Le isole Mascarene (Mauritius, Réunion e Rodrigues) sono di origine vulcanica e la loro formazione risale a meno di 10 milioni di anni fa. Pertanto, gli antenati di entrambe le specie continuarono a mantenere la capacità di volare per un tempo considerevole dopo la separazione delle loro linee evolutive.[17] Il colombo delle Nicobare e quello verde macchiato si trovano alla base della linea evolutiva che conduceva ai Raphinae, il che indica che i rafini incapaci di volare avevano antenati che erano in grado di farlo ed erano creature insulari dalle abitudini semi-terricole. Ciò a sua volta supporta l'ipotesi che gli antenati di questi uccelli abbiano raggiunto le isole Mascarene dall'Asia meridionale passando da un'isola all'altra.[16] La mancanza di mammiferi erbivori che potevano competere con loro per le risorse alimentari consentì al solitario e al dodo di raggiungere dimensioni molto grandi e di perdere la capacità di volare.[18][19] Nonostante la morfologia del cranio differente e gli adattamenti correlati alle dimensioni maggiori, molte caratteristiche dello scheletro rimasero simili a quelle dei più piccoli colombi capaci di volare.[20] Un altro grosso colombo incapace di volare, il colombo gigante di Viti Levu (Natunaornis gigoura), venne descritto nel 2001 a partire da materiale subfossile proveniente dalle Figi. Era solo leggermente più piccolo del dodo e del solitario, e si pensa che anch'esso fosse imparentato con i colombi coronati.[21]

Incisione del 1601 che raffigura le attività olandesi sulla costa di Mauritius; la prima raffigurazione di un dodo (n° 2), qui chiamato Walchvoghel, si trova a sinistra.

Uno dei primi nomi originariamente attribuiti al dodo fu l'olandese Walghvoghel, che compare per la prima volta nel diario del viceammiraglio olandese Wybrand van Warwijck, che visitò Mauritius durante la seconda spedizione olandese in Indonesia nel 1598.[22] Walghe significa «insapore», «insipido» o «malaticcio» e voghel significa «uccello». Tale nome venne tradotto in tedesco da Jakob Friedlib come Walchstök o Walchvögel.[23] Il rapporto originale olandese intitolato Waarachtige Beschryving è andato perduto, ma la sua traduzione in inglese è sopravvissuta:[24]

«Alla loro sinistra c'era una piccola isola che chiamarono Heemskirk Island, e in essa una baia che chiamarono Warwick Bay [...] Lì rimasero per 12 giorni a riposare, in quanto trovarono in questo luogo una grande quantità di uccelli selvatici grandi il doppio dei cigni, che chiamarono Walghstocks o Wallowbirdes; la loro carne era molto buona. Ma poi, trovando un'abbondanza di piccioni e pappagalli, disdegnarono di mangiare quei grandi pennuti definendoli Wallowbirdes, cioè ripugnanti.[25][26]»

Un altro resoconto di quel viaggio, forse il primo in cui viene menzionato il dodo, afferma che i portoghesi chiamavano questi uccelli «pinguini». È probabile che tale nome non si riferisse propriamente ai pinguini (che all'epoca venivano chiamati fotilicaios dai portoghesi), ma fosse correlato al termine «pignone», l'articolazione distale dell'ala, in riferimento alle piccole ali.[22] Nel 1602, l'equipaggio della nave olandese Gelderland chiamò questo uccello dronte (che significa «gonfio»), un nome che viene tuttora usato in alcune lingue.[27] Lo stesso equipaggio utilizzò anche i termini griff-eendt e kermisgans, in riferimento ai polli che venivano ingrassati appositamente per la festa della Kermesse di Amsterdam, che si teneva proprio il giorno dopo l'approdo della nave a Mauritius.[28]

Schizzo firmato 1634 di Thomas Herbert, con raffigurati un pappagallo dal becco largo (Cacato), un rallo di Mauritius (Hen) e un dodo.

L'etimologia del nome dodo è incerta. Alcuni lo fanno derivare dalla parola olandese dodoor, «pigro», ma probabilmente è più correlata a Dodaars, che può significare sia «culo grasso» che «fiocco sul culo», in riferimento al ciuffo di piume sull'estremità posteriore.[29] Il nome Dodaars comparve per la prima volta sul diario del capitano Willem Van West-Zanen nel 1602.[30] Lo scrittore inglese Thomas Herbert fu il primo a usare il nome dodo su un'opera data alla stampa, il suo diario di viaggio del 1634, dove affermò che l'animale veniva chiamato in questo modo dai portoghesi, che avevano visitato Mauritius nel 1507.[28] Un altro inglese, Emmanuel Altham, aveva già usato la stessa parola in una lettera del 1628, dove anch'esso sosteneva che il termine fosse di origine portoghese. Il nome dodar venne introdotto in inglese contemporaneamente a dodo, ma venne utilizzato solo fino al XVIII secolo.[31] A quanto sappiamo, i portoghesi non hanno mai fatto menzione della specie. Tuttavia, alcune fonti ancora affermano che la parola dodo derivi dalla parola portoghese doudo (attualmente doido), che significa «sciocco» o «pazzo». È stato anche suggerito che dodo fosse un'approssimazione onomatopeica del richiamo dell'uccello, un verso di due note simile al tubare di un piccione – doo-doo.[32]

L'appellativo latino cucullatus («incappucciato») venne usato per la prima volta da Juan Eusebio Nieremberg nel 1635 nel nome Cygnus cucullatus, in riferimento alla descrizione del dodo fatta da Carolus Clusius nel 1605. Nella sua opera classica del XVIII secolo Systema Naturae, Linneo utilizzò cucullatus come epiteto specifico, ma combinandolo al nome generico Struthio (struzzo).[5] Mathurin Jacques Brisson coniò il nome generico Raphus (in riferimento alle otarde) nel 1760, impiegato nell'attuale nome scientifico Raphus cucullatus. Nel 1766 Linneo introdusse il nuovo nome scientifico Didus ineptus (che significa «dodo inetto»), oggi considerato un sinonimo del nome precedente a causa del principio di priorità.[33]

La metà destra della testa di Oxford (la metà sinistra è separata)
Varie vedute del cranio dell'esemplare di Oxford in una litografia del 1848

Poiché non esistono esemplari completi di dodo, il suo aspetto esterno, come il piumaggio e la colorazione, è difficile da determinare.[22] Le illustrazioni e i resoconti scritti da chi aveva visto questo animale tra la sua scoperta e la sua estinzione (1598-1662) sono le fonti principali per determinare il suo aspetto esteriore.[34] Secondo la maggior parte delle rappresentazioni, il dodo aveva un piumaggio grigiastro o brunastro, con le remiganti primarie più chiare e un ciuffo di piume chiare arricciate posto alla sommità dell'estremità posteriore. La testa era grigia e glabra, il becco verde, nero e giallo, e le zampe erano robuste e giallastre e munite di artigli neri.[35] Lo studio delle poche piume rimaste sulla testa dell'esemplare di Oxford ha mostrato che non si trattava di piumino, ma di penne vere e proprie, molto simili a quelle degli altri colombi.[36]

I resti subfossili e quel poco che rimane degli esemplari che erano stati portati in Europa nel XVII secolo indicano che i dodi erano uccelli molto grandi, alti fino a un metro. I due sessi differivano: i maschi erano più grandi e avevano becchi proporzionalmente più lunghi. Le stime del peso variano da uno studio all'altro. Nel 1993, Bradley C. Livezey propose un peso di 21 kg per i maschi e di 17 kg per le femmine.[37] Sempre nel 1993, Andrew C. Kitchener attribuì le elevate stime del peso fatte dai contemporanei e le forme rotondeggianti dei dodo raffigurati dal vivo in Europa ad esemplari che erano stati sovralimentati in cattività: secondo lo studioso, in natura questi animali avrebbero avuto un peso compreso tra 10,6 e 17,5 kg, ma gli esemplari ingrassati avrebbero potuto raggiungere tranquillamente i 21,7-27,8 kg.[38] Una stima del 2011 fatta da Angst e dai suoi colleghi ha fornito un peso medio di soli 10,2 kg.[39] Anche questo studio, tuttavia, è stato messo in discussione e tra gli specialisti non vi è ancora chiarezza riguardo alla stima del peso.[40][41] Uno studio del 2016, sulla base di scansioni TAC di scheletri compositi, ha stimato un peso compreso tra 10,6 e 14,3 kg.[42] È stato anche ipotizzato che il peso dipendesse dalla stagione e che gli individui fossero più grassi durante le stagioni fresche e più magri durante quelle calde.[43]

Un dodo e vari uccelli indiani in un dipinto di Ustad Mansur (1625 ca.), forse la più accurata rappresentazione di un dodo dal vivo.

Il cranio del dodo differiva molto da quello degli altri colombi: era infatti più robusto, era dotato di un becco che terminava con una punta uncinata ed era piuttosto corto se paragonato alle mascelle. Il ramo superiore del becco era lungo quasi il doppio del cranio, che era corto rispetto a quello dei colombi con cui era più strettamente imparentato. Le aperture delle narici ossee erano allungate per tutta la lunghezza del becco ed erano prive di setto osseo. Il cranio (escluso il becco) era più largo che lungo e l'osso frontale formava una sorta di cupola, con il punto più alto in corrispondenza della parte posteriore delle orbite. Nella parte posteriore, il cranio era inclinato verso il basso. Le orbite occupavano gran parte della parte posteriore del cranio. Gli anelli sclerotici all'interno dell'occhio erano formati da undici ossicini, un numero simile a quello degli ossicini di altri colombi. La mandibola era leggermente ricurva, e ciascuna metà presentava una singola apertura, come negli altri colombi.[20]

Il dodo aveva circa diciannove vertebre presinsacrali (quelle del collo e del torace, di cui tre fuse in un notarium), sedici vertebre sinsacrali (quelle della regione lombare e dell'osso sacro), sei vertebre libere della coda (caudali) e un pigostilo. Il collo era dotato di aree ben sviluppate per l'adesione di muscoli e legamenti, probabilmente per sostenere il peso di cranio e becco. Su ogni lato vi erano sei costole, quattro delle quali articolate con lo sterno attraverso costole sternali. Lo sterno era grande, ma piccolo rispetto al corpo se paragonato a quello di colombi molto più piccoli che sono in grado di volare. Esso era ben pneumatizzato, largo e di sezione relativamente spessa. Le ossa della cintura scapolare e delle ali avevano dimensioni ridotte rispetto a quelle dei colombi volatori, ed erano più gracili rispetto a quelle del solitario di Rodrigues, ma nessuna delle singole componenti scheletriche era scomparsa. Il carpometacarpo del dodo era però più robusto di quello del solitario. Il bacino era più largo di quello del solitario e di altri parenti stretti, ma era paragonabile in proporzione a quello di alcuni colombi volatori più piccoli. La maggior parte delle ossa delle zampe era più robusta di quella dei colombi esistenti e del solitario, ma le proporzioni della lunghezza erano leggermente diverse.[20]

Molte delle caratteristiche scheletriche che distinguono il dodo e il solitario di Rodrigues, il suo parente più prossimo, dagli altri colombi sono state attribuite alla perdita della capacità di volare. Gli elementi pelvici erano più spessi di quelli dei colombi volatori per sostenere un peso maggiore, e la regione pettorale e le piccole ali erano pedomorfiche, cioè erano sottosviluppate e conservavano caratteristiche giovanili. Il cranio, il tronco e gli arti pelvici erano invece peramorfici, cioè cambiavano considerevolmente con l'età. Il dodo condivideva molti altri tratti con il solitario di Rodrigues, comprese caratteristiche del cranio, del bacino e dello sterno, nonché le grandi dimensioni. Si differenziava però sotto altri aspetti, come per il fatto di essere più robusto e più corto del solitario e per avere un tetto cranico arrotondato e orbite più piccole. Il collo e le zampe del dodo erano proporzionalmente più corti, e non vi era un equivalente della protuberanza presente sui polsi del solitario.[37]

Le descrizioni dei contemporanei

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La maggior parte delle descrizioni del dodo ad opera di chi lo aveva visto con i propri occhi si trova nei registri e nei giornali di bordo delle navi della Compagnia olandese delle Indie orientali che attraccarono a Mauritius quando l'isola era sotto il dominio olandese. Questi resoconti furono in seguito utilizzati come guide di viaggio dai visitatori successivi.[14] Tuttavia, solo poche testimonianze contemporanee sono affidabili, poiché molte sembrano essere basate su resoconti precedenti e nessuna di esse è stata scritta da uno scienziato.[22] Uno dei primi resoconti, che si trova sul diario di van Warwijck del 1598, descrive l'uccello come segue:

Una testa di dodo dipinta da Cornelis Saftleven nel 1638, probabilmente l'ultima raffigurazione originale della specie.

«I pappagalli blu sono molto numerosi lì, così come altri uccelli, tra i quali una specie, cospicua per la mole, più grande dei nostri cigni, con enormi teste coperte solo per metà di pelle come se fossero rivestite di un cappuccio. Questi uccelli sono privi di ali, al posto delle quali sporgono 3 o 4 piume nerastre. La coda è formata da poche penne ricurve morbide, color cenere. Questi li chiamavamo 'Walghvogel', per il motivo che più a lungo e più spesso venivano cotti, meno morbidi e più insipidi diventavano da mangiare. Tuttavia l'addome e il petto erano di sapore gradevole e facilmente masticabili.[44]»

Una delle descrizioni più dettagliate è quella scritta da Herbert in A Relation of Some Yeares Travaille into Afrique and the Greater Asia del 1634:

«Per la prima volta, solo qui e a Dygarrois [Rodrigues], è stato creato il dodo, che per tipo e unicità si oppone alla fenice d'Arabia: il suo corpo rotondo e grasso – pochi pesano meno di cinquanta libbre – è considerato più per curiosità che per nutrimento; stomaci grassi possono ricercarlo, ma per i più delicati queste bestie sono ripugnanti e di nessun nutrimento. Il suo viso sporge tristemente in avanti, come fosse sensibile all'ingiustizia della Natura di aver concepito un corpo così grande dotato di ali talmente piccole e impotenti, utili unicamente a dimostrarne l'appartenenza alla razza degli uccelli. Metà del suo capo è spoglia e sembra coperta da un velo sottile e il suo becco è piegato verso il basso; al centro di esso vi è la narice, e da qui fino alla fine è color verde chiaro, sfumato di un giallo pallido; gli occhi sono piccoli, simili a diamanti, tondi e roteanti; il suo mantello è costituito da piume soffici e la sua coda è composta da tre piccole piume, corte e sproporzionate, e le zampe si adattano al corpo; avanza con balzo improvviso ed è vorace e goloso. Digerisce sassi e ferro, la cui descrizione sarà meglio concepita nella sua rappresentazione.[45]»

Le raffigurazioni dei contemporanei

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Raccolta degli schizzi del diario della nave Gelderland (1601), di dodi vivi e uccisi di recente, attribuiti a Joris Laerle.

Il diario di bordo della nave olandese Gelderland (1601-1603), riscoperto negli anni '60 del XIX secolo, contiene gli unici schizzi conosciuti di esemplari vivi o appena uccisi realizzati a Mauritius, che sono stati attribuiti all'artista professionista Joris Joostensz Laerle, che raffigurò anche altri uccelli mauriziani ormai scomparsi, e ad un secondo artista meno raffinato.[46] A parte questi schizzi, non sappiamo quante delle circa venti raffigurazioni di dodi del XVII secolo siano state realizzate a partire da esemplari vivi o impagliati, il che ne pregiudica l'attendibilità.[22] Poiché il dodo è noto unicamente da un numero limitato di resti fisici e da altrettanto scarse descrizioni, le opere d'arte realizzate dai contemporanei sono importanti per ricostruire l'aspetto dell'animale in vita. Sebbene dalla metà del XIX secolo sia stato fatto un gran lavoro per catalogare tutte le raffigurazioni storiche del dodo, di tanto in tanto continuano ad essere scoperte rappresentazioni del quale non si sospettava l'esistenza.[47]

L'immagine tradizionale del dodo è quella di un uccello molto grasso e goffo, ma è probabile che questa visione sia esagerata. Oggi gli scienziati sono dell'opinione generale che molte antiche rappresentazioni europee fossero basate su individui in cattività sovralimentati o su esemplari malamente impagliati.[48] È stato anche ipotizzato che le immagini raffigurassero solamente dodo con le piume arruffate, forse un comportamento messo in atto da questi animali per apparire più grossi.[39] Il pittore olandese Roelant Savery fu di gran lunga l'illustratore più prolifico e influente tra quanti ritrassero il dodo, avendone realizzato almeno dodici raffigurazioni, spesso negli angoli inferiori dei suoi quadri. Da allora un suo famoso dipinto del 1626, ora chiamato Dodo di Edwards poiché un tempo era di proprietà dell'ornitologo George Edwards, è divenuto l'immagine standard del dodo. Oggi è conservato al Natural History Museum di Londra. L'immagine mostra un uccello particolarmente grasso ed è servita da ispirazione per molte altre illustrazioni del dodo.[49][50]

Il famoso Dodo di Edwards, dipinto da Roelant Savery nel 1626.

Un dipinto indiano di epoca moghul riscoperto nel 1955 nel Museo dell'Ermitage, a San Pietroburgo, mostra un dodo insieme ad alcuni uccelli originari dell'India.[51] Raffigura un animale più magro e brunastro, e il suo scopritore Aleksander Iwanow e il paleontologo britannico Julian Hume lo considerarono una della raffigurazioni più accurate di un dodo in vita: gli uccelli che lo contornano, infatti, sono chiaramente identificabili e raffigurati con i colori appropriati.[52] Si ritiene che risalga al XVII secolo ed è stato attribuito al pittore Ustad Mansur. L'esemplare raffigurato viveva probabilmente nel serraglio dell'imperatore Jahangir, situato a Surat, dove anche il viaggiatore inglese Peter Mundy affermò di aver visto due dodo tra il 1628 e il 1633.[22][53] Nel 2014 è stata segnalata un'altra illustrazione indiana di un dodo, ma si è scoperto che era basata su un'illustrazione tedesca del 1836.[54]

Tutte le raffigurazioni successive al 1638 – periodo in cui i rapporti che menzionano i dodi sono diventati più rari – sembrano essere basate su immagini precedenti. Le differenze nelle raffigurazioni hanno spinto ornitologi come Anthonie Cornelis Oudemans e Masauji Hachisuka a speculare sul dimorfismo sessuale, su possibili tratti ontogenici o variazioni stagionali e persino sull'esistenza di specie diverse, ma tali teorie oggi non vengono accettate. Poiché dettagli come i disegni del becco, la forma delle penne della coda e la colorazione variano da una testimonianza all'altra, è impossibile determinare l'esatto aspetto di queste caratteristiche, se esse cambiassero con l'età o con il sesso, o addirittura se riflettessero davvero la realtà.[55] Hume ha sostenuto che le narici degli esemplari in vita sarebbero state delle semplici fessure, come si vede negli schizzi della Gelderland e nei dipinti di Cornelis Saftleven, Ustad Masur e in quello di Savery conservato alla Crocker Art Gallery. Secondo questa ipotesi, le narici spalancate spesso visibili nei dipinti indicherebbero che furono usati come modello degli esemplari impagliati.[22] La maggior parte delle raffigurazioni mostra che le ali venivano tenute in posizione distesa, a differenza dei colombi volatori, ma in maniera simile a come fanno ratiti come lo struzzo e il kiwi.[20]

Dipinti di Savery raffiguranti dodi in varie pose negli angoli, realizzati più o meno tra il 1625 e il 1629.

Il comportamento del dodo è poco conosciuto, poiché i contemporanei hanno rilasciato a riguardo solo descrizioni molto brevi. In base alle stime del peso, è stato ipotizzato che il maschio potesse raggiungere l'età di 21 anni e la femmina di 17.[37] Gli studi sulla resistenza delle leve delle ossa delle zampe indicano che potrebbe essere stato in grado di correre abbastanza velocemente.[38] Le zampe, robuste e forti per sostenere la mole dell'animale, lo rendevano anche in grado di muoversi con agilità nella fitta foresta che ricopriva l'isola prima della colonizzazione umana. Sebbene le ali fossero piccole, le ossa presentano ampie aree per l'attacco di muscoli ben sviluppati ed è probabile che esse non fossero del tutto vestigiali, ma potessero essere state utilizzate nel comportamento di display e per tenersi in equilibrio: anche i colombi ordinari usano le ali per tali scopi.[20] A differenza del solitario di Rodrigues, non ci sono prove che il dodo impiegasse le ali nei combattimenti intraspecifici: anche se sono state trovate ossa che mostrano i segni di fratture guarite, al confronto aveva muscoli pettorali deboli e ali più brevi. Nelle dispute territoriali, invece, potrebbe aver usato il suo grande becco adunco. Poiché Mauritius riceve una maggiore quantità di precipitazioni ed è sottoposta a minori variazioni stagionali rispetto a Rodrigues – che avrebbero potuto influire sulla disponibilità di risorse sull'isola –, il dodo avrebbe avuto meno motivi per sviluppare attitudini particolarmente territoriali. Il solitario di Rodrigues, pertanto, era probabilmente più aggressivo.[56] Nel 2016 è stato realizzato il primo endocast 3D del cervello del dodo: il rapporto tra cervello e dimensioni corporee è risultato simile a quello degli altri colombi, il che lascia supporre che probabilmente fosse dotato di un livello di intelligenza simile.[57]

Una mappa di una baia di Mauritius del 1601: la piccola D all'estrema destra indica il luogo dove furono trovati i dodi.

Non sappiamo quale fosse l'habitat preferito del dodo, ma le vecchie descrizioni suggeriscono che abitasse i boschi delle più secche zone costiere meridionali e occidentali di Mauritius. Tale opinione è supportata dal fatto che la palude Mare-aux-Songes, dov'è stata rinvenuta la maggior parte dei resti di dodo, è situata vicino al mare nel sud-est dell'isola.[58] Una distribuzione limitata a così poche zone dell'isola potrebbe aver contribuito alla sua estinzione.[59] Una mappa del 1601 del diario di bordo della Gelderland mostra una piccola isola al largo della costa di Mauritius dove vennero catturati dei dodi. Julian Hume ha ipotizzato che questa fosse l'île aux Benitiers nella baia di Tamarin, sulla costa occidentale.[46][60] In passato il dodo viveva anche sulle montagne dell'isola, dal momento che le sue ossa subfossili sono state trovate anche all'interno di grotte poste in quest'area. Gli scavi a Mare-aux-Songes hanno dimostrato che il suo habitat era dominato da alberi di tambalacoque, Pandanus e palme endemiche.[43] La vicinanza alla costa e l'umidità fecero sì che Mare-aux-Songes fosse popolata da un'elevata varietà di specie vegetali, mentre le aree circostanti erano più secche.[61]

Dopo l'arrivo dell'uomo molte specie endemiche di Mauritius si sono estinte, quindi l'ecosistema originario dell'isola è seriamente degradato, tanto che è difficile stabilire quale fosse il suo aspetto originario. Mauritius era interamente ricoperta di foreste, delle quali oggi rimane ben poco a causa della deforestazione.[62] La fauna endemica sopravvissuta è ancora oggi criticamente minacciata.[63] Il dodo condivideva l'isola con altri uccelli scomparsi recentemente, come il rallo rosso incapace di volare, il pappagallo dal becco largo, il parrocchetto grigio delle Mascarene, il colombo blu di Mauritius, l'assiolo di Mauritius, la folaga delle Mascarene, la casarca di Mauritius, l'alzavola delle Mascarene e la nitticora di Mauritius. L'estinzione non ha risparmiato neanche rettili come la testuggine gigante dal dorso a sella, la testuggine gigante dal dorso a cupola, lo scinco gigante di Mauritius e il boa fossorio di Round Island. La piccola volpe volante di Mauritius e la chiocciola Tropidophora carinata, oltre che a Mauritius, erano presenti anche a Réunion, ma sono oggi scomparse da entrambe le isole. Sono scomparse anche alcune specie di piante, come la Casearia tinifolia e l'orchidea palma.[64]

Alimentazione

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Una lettera olandese del 1631 (a lungo ritenuta perduta, ma riscoperta nel 2017) contiene l'unico riferimento alla dieta del dodo e afferma anche che l'animale usava il becco per difendersi. Il documento fa uso di giochi di parole per riferirsi agli animali descritti e i dodi sono a quanto pare un'allegoria per prendere di mira facoltosi sindaci:[65]

Tre dodo in uno schizzo di Savery del 1626 ca. (Crocker Art Museum).

«I sindaci sono superbi e orgogliosi. Si presentavano con un volto severo e inflessibile e la bocca spalancata, molto sbarazzini e audaci nell'andatura. Non volevano muoversi davanti a noi; la loro arma da guerra era la bocca, con la quale potevano mordere ferocemente. Si nutrivano di frutta cruda; non erano ben vestiti, ma erano ricchi e grassi, perciò ne portammo a bordo molti, per la contentezza di tutti.[65]»

Oltre che di frutti caduti, il dodo probabilmente si nutriva di noci, semi, bulbi e radici.[66] È stato anche ipotizzato che potesse aver mangiato granchi e frutti di mare, così come i colombi coronati loro parenti. Le sue abitudini alimentari dovevano essere versatili, dal momento che gli esemplari in cattività venivano probabilmente alimentati con cibi di ogni sorta durante i lunghi viaggi per mare.[67] Poiché Mauritius è caratterizzata da un netto alternarsi tra stagione secca e stagione delle piogge, Oudemans ha ipotizzato che il dodo probabilmente ingrassava rimpinzandosi di frutti maturi alla fine della stagione delle piogge per poter sopravvivere alla stagione secca, quando il cibo scarseggiava: i resoconti dei contemporanei sono concordi nel descrivere la «golosità» dell'animale. L'ornitologo mauriziano France Staub ipotizzò nel 1996 che il dodo si nutrisse principalmente di frutti di palma, e cercò di far correlare il ciclo di accumulo e perdita di peso del dodo con il regime di fruttificazione delle palme.[30]

Sembra che gli elementi scheletrici della mascella superiore siano stati rincocinetici (cioè mobili l'uno rispetto all'altro), e questo deve aver influito sulle abitudini alimentari. Negli uccelli odierni, come i colombi frugivori (mangiatori di frutta), la motilità del premascellare consente loro di consumare cibi di grandi dimensioni. Sembra inoltre che il becco sia stato in grado di resistere a carichi di forza elevati, il che indicherebbe una dieta a base di sostanze dure.[20] L'esame del calco del cervello ha rilevato che sebbene questo fosse simile a quello di altri colombi sotto molti aspetti, era dotato di un bulbo olfattivo relativamente grande. Ciò conferiva al dodo un buon senso dell'olfatto, che potrebbe averlo aiutato a localizzare frutti e piccole prede.[57]

Un dodo e il suo gastrolite in un disegno di Carolus Clusius del 1605 copiato dal diario di bordo di Jacob van Neck.

Diverse fonti contemporanee affermano che il dodo aiutasse la digestione ingerendo gastroliti. Lo scrittore inglese Hamon L'Estrange vide uno di questi uccelli in vita a Londra e lo descrisse come segue:

«Circa nel 1638, mentre passeggiavo per le strade di Londra, vidi l'immagine di un uccello selvatico dall'aspetto strano stampata su un panno, e, assieme a una o due persone, entrai per vederlo. Era tenuto in una camera ed era un po' più grande di un maschio di tacchino, dotato di zampe identiche, ma più robusto e grosso e con il portamento più eretto e il petto colorato sul davanti, come quello di un giovane maschio di fagiano, e il dorso di un colore scuro. Il suo custode lo chiamava dodo e ci mostrò come l'animale ingerisse ciottoli grandi quanto una noce moscata, e disse che servivano per la digestione; anche se non ricordo se al proprietario vennero chiesti maggiori dettagli, sono sicuro che glieli dette da ingoiare tutti.[68]»

Non sappiamo come venissero alimentati i nidiacei, ma i colombi suoi parenti forniscono loro il cosiddetto «latte di piccione». Le raffigurazioni contemporanee mostrano il dodo munito di un grande gozzo, che veniva probabilmente utilizzato per conservare il cibo ingerito e produrre latte di piccione. È stato ipotizzato che le dimensioni massime raggiunte dal dodo e dal solitario fossero limitate dalla quantità di latte del gozzo che potevano produrre per i loro piccoli durante il loro sviluppo iniziale.[69]

Nel 1973, giunse la notizia che il tambalacoque, noto anche come albero del dodo, endemico di Mauritius, si stesse estinguendo. A quanto pare ne rimanevano solo 13 esemplari, tutti dell'età stimata di circa 300 anni. L'ornitologo Stanley Temple ipotizzò che l'albero dipendesse dal dodo per la propagazione dei suoi semi, che sarebbero germogliati solo dopo essere passati attraverso il tratto digestivo dell'uccello. Lo studioso affermò anche che il tambalacoque era ormai quasi estinto a causa della scomparsa del dodo.[70] Tuttavia, sembra che Temple abbia trascurato alcune fonti degli anni '40 in cui si affermava che i semi di tambalacoque potevano germogliare, anche se molto raramente, senza che il loro rivestimento venisse abraso durante la digestione.[71] Altri autori hanno messo in discussione la sua ipotesi, sostenendo che la situazione dell'albero non sia stata così drammatica o che i semi fossero stati dispersi anche da altri animali estinti come le testuggini del genere Cylindraspis, i pipistrelli frugivori o il pappagallo dal becco largo.[72] Secondo Wendy Strahm e Anthony Cheke, due esperti dell'ecologia delle isole Mascarene, l'albero, seppur raro, sarebbe germogliato anche in seguito alla scomparsa del dodo e conterebbe diverse centinaia di esemplari, non 13 come affermato da Temple: i due, pertanto, hanno del tutto screditato l'opinione di Temple riguardo allo stretto rapporto di coesistenza che si sarebbe stabilito tra il dodo e l'albero.[73]

L'ornitologo brasiliano Carlos Yamashita ipotizzò nel 1997 che il pappagallo dal becco largo avrebbe potuto dipendere strettamente dal dodo e dalle testuggini del genere Cylindraspis, che mangiavano i frutti delle palme e ne espellevano i semi, che sarebbero a loro volta diventati cibo per i pappagalli. Allo stesso modo le ara del genere Anodorhynchus dipendevano originariamente dalla megafauna sudamericana ormai estinta, mentre ora a tale scopo fanno affidamento sul bestiame domestico.[74]

Riproduzione e sviluppo

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Replica di un presunto uovo di dodo in un nido ricostruito, museo di East London.

Dal momento che era una creatura terricola incapace di volare, e data l'assenza di mammiferi predatori o altri nemici naturali a Mauritius, il dodo probabilmente nidificava sul terreno.[75] La testimonianza di François Cauche del 1651 contiene l'unica descrizione dell'uovo e del richiamo della specie:

«Ho visto a Mauritius uccelli più grandi di un cigno, senza penne sul corpo, che è ricoperto da un piumino nero; la parte posteriore è tonda, il didietro ornato da penne arricciate tante quanti sono gli anni dell'uccello. Al posto delle ali hanno penne come queste, nere e ricurve, prive di trama. Non hanno lingua, il becco è grande e leggermente curvato verso il basso; le zampe sono lunghe, squamose, e dotate solo di tre dita per piede. Emettono un richiamo simile a quello di un papero e non sono affatto così buoni da mangiare come i fenicotteri e le anatre di cui abbiamo appena parlato. Depongono un solo uovo bianco, della grandezza di un cilindro di monete da mezzo penny, accanto al quale mettono una pietra bianca della grandezza di un uovo di gallina. Si accomodano sull'erba che raccolgono e fanno il nido nella foresta; uccidendone un esemplare giovane, nel ventriglio troviamo una pietra grigia. Li chiamiamo Oiseaux de Nazaret. Il loro grasso è ottimo per dare sollievo ai muscoli e ai nervi.[5]»

Sezioni delle ossa degli arti posteriori che mostrano differenti stadi di sviluppo.
Schema del ciclo vitale del dodo sulla base dell'istologia e delle testimonianze scritte.

Il racconto di Cauche, però, è problematico, soprattutto quando afferma che l'uccello descritto aveva tre dita ed era privo di lingua, a differenza del «vero» dodo. Questo ha portato alcuni studiosi a credere che Cauche stesse descrivendo una nuova specie di dodo (ribattezzata Didus nazarenus). Sembra più probabile, tuttavia, che a tale descrizione siano state aggiunte caratteristiche proprie del casuario: del resto, anche altri scritti di Cauche presentano varie incongruenze.[76] Il «giovane struzzo» preso a bordo di una nave nel 1617 citato in una fonte dell'epoca è l'unico altro riferimento a quello che forse era un dodo in giovane età.[77] Un presunto uovo di dodo è conservato al museo di East London, in Sudafrica. Venne donato al museo da una sua ex curatrice, la sudafricana Marjorie Courtenay-Latimer, la cui prozia l'aveva ricevuto da un capitano che sosteneva di averlo trovato in una palude a Mauritius. Nel 2010, il curatore del museo ha proposto di utilizzare le moderne analisi genetiche per determinarne l'autenticità,[78] dal momento che potrebbe trattarsi semplicemente di un uovo di struzzo dalla forma aberrante.[32]

Tenendo conto del fatto che probabilmente deponeva covate composte da un singolo uovo ed era di dimensioni così grandi, alcuni studiosi hanno proposto che il dodo avesse optato per una strategia K, producendo una scarsa prole inetta che richiedeva cure parentali fino al raggiungimento della maturità. Alcune prove, come le grandi dimensioni e il fatto che gli uccelli tropicali e frugivori presentano tassi di crescita più lenti, indicano che la specie potrebbe aver avuto un periodo di sviluppo prolungato.[37] Il fatto che a Mare-aux-Songes non siano stati trovati resti di giovani dodi può indicare che la prole prodotta fosse scarsa, che i nidiacei si sviluppavano rapidamente, che i siti di nidificazione erano lontani dalla palude o che il rischio di rimanere intrappolati nel fango era solo stagionale.[79]

Nel 2017 alcuni studiosi, correlando i dati ricavati dall'istologia delle sezioni sottili di ossa di dodo e le testimonianze dei contemporanei ai dati conosciuti sugli odierni uccelli mauriziani e l'ecologia locale, hanno cercato di recuperare informazioni sul ciclo vitale del dodo. Lo studio ha suggerito che i dodi si riproducessero verso agosto, dopo aver accumulato un consistente strato di grasso, in corrispondenza con i cicli di perdita e accumulo di peso propri di molti vertebrati di Mauritius. I nidiacei crescevano rapidamente, raggiungendo dimensioni simili a quelle degli adulti e la maturità sessuale prima dell'estate australe o della stagione dei cicloni. Gli esemplari adulti che si erano appena riprodotti effettuavano la muta dopo l'estate australe, intorno a marzo. Le penne delle ali e della coda venivano sostituite per prime e la muta sarebbe stata completa alla fine di luglio, in tempo per la successiva stagione riproduttiva. Le diverse fasi della muta potrebbero anche spiegare le incongruenze nelle descrizioni dei contemporanei riguardo al piumaggio.[80]

Rapporti con l'uomo

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Incisione del 1648 raffigurante l'uccisione di dodi (al centro a sinistra, erroneamente raffigurati simili a pinguini) e di altri animali ora estinti di Mauritius.

Mauritius era già stata visitata da imbarcazioni arabe durante il Medioevo e da navi portoghesi tra il 1507 e il 1513, ma nessuno la aveva ancora colonizzata. A quanto pare, né gli arabi né i portoghesi hanno lasciato riferimenti ai dodo nei loro scritti, anche se è possibile che il nome portoghese di Mauritius, ilha do Cerné («isola dei Cigni»), si riferisca proprio a questi animali.[81] Gli olandesi si impossessarono di Mauritius nel 1598, ribattezzandola così in onore di Maurizio di Nassau, e da allora l'isola divenne uno scalo di rifornimento per le navi mercantili della Compagnia olandese delle Indie orientali.[82] I primi a lasciare testimonianze scritte sul dodo furono alcuni viaggiatori olandesi durante la seconda spedizione olandese in Indonesia, guidata dall'ammiraglio Jacob van Neck nel 1598. Tali resoconti apparvero nei diari di viaggio pubblicati nel 1601, che contengono anche la prima raffigurazione conosciuta dell'uccello.[83] Poiché i primi marinai che visitarono Mauritius si trovavano in mare da molto tempo, il loro interesse per questi grandi uccelli fu principalmente di tipo culinario. Il diario del 1602 di Willem Van West-Zanen della nave Bruin-Vis riferisce che 24-25 dodo vennero uccisi a scopo alimentare, e che erano così grandi che durante un pasto ne potevano a malapena essere consumati un paio: il resto veniva conservato sotto sale.[84] Un'illustrazione realizzata per l'edizione pubblicata nel 1648, raffigurante l'uccisione di dodi, di un dugongo e, forse, di parrocchetti grigi delle Mascarene, era accompagnata da una poesia in olandese:[85]

«Per nutrirsi i marinai cercano la carne degli uccelli piumati,
colpiscono le palme e distruggono i dodi dal posteriore rotondo,
risparmiano la vita al pappagallo perché possa osservare e gridare,
in modo da fare da esca per i suoi compagni.[86]»

Alcuni dei primi viaggiatori trovarono la carne del dodo sgradevole e preferirono mangiare pappagalli e colombi; altri invece la descrissero come coriacea, ma buona. Alcuni cacciavano il dodo solo per il suo ventriglio, che veniva considerato la parte più deliziosa dell'uccello. I dodi erano facili da catturare, ma i cacciatori dovevano stare attenti a non essere morsi dai loro potenti becchi.[87]

L'aspetto del dodo e del rallo rosso portò Peter Mundy a speculare, 230 anni prima di Charles Darwin, la teoria dell'evoluzione:

«Due di queste specie di uccelli che ho citato, a quanto ne sappiamo, si trovano solamente su quest'isola, che dista 100 leghe da St. Lawrence. Potremmo domandarci perché si trovino qui e non altrove, essendo così lontani da qualsiasi altra terra e non sapendo volare o nuotare; fino a che punto un miscuglio di specie possa produrre forme strane e mostruose, o se la natura del clima, dell'aria e della terra alterino con il tempo le prime forme di vita e come.[27]»

I dodi trasportati all'estero

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Un probabile esemplare impagliato della collezione dell'imperatore Rodolfo II a Praga in un dipinto di Jacob Hoefnagel (inizio XVII secolo).
Il dodo che Adriaen van de Venne affermava di aver visto (1626).

Il dodo venne considerato una creatura abbastanza interessante da giustificarne l'invio di un certo numero di esemplari viventi in Europa e in Oriente. Il numero degli esemplari che giunsero vivi a destinazione è incerto e non sappiamo se siano correlati con le raffigurazioni contemporanee e i pochi resti non fossili presenti nei musei europei. Sulla base delle testimonianze dei contemporanei, dei dipinti e degli esemplari museali, Julian Hume ha dedotto che almeno undici dodi raggiunsero vivi le loro destinazioni.[88]

La descrizione di Hamon L'Estrange di un dodo che vide a Londra nel 1638 è l'unica testimonianza che cita specificamente un esemplare vivo in Europa. Nel 1626 Adriaen van de Venne disegnò un dodo che sosteneva di aver visto ad Amsterdam, ma non specificò se fosse in vita, e la sua rappresentazione ricorda alquanto il dodo di Edwards di Savery. Due esemplari vivi furono visti da Peter Mundy a Surat, in India, tra il 1628 e il 1634, uno dei quali potrebbe essere stato l'individuo dipinto da Ustad Mansur intorno al 1625.[22] Nel 1628, Emmanuel Altham visitò Mauritius e inviò una lettera a suo fratello in Inghilterra:

«Amato fratello, abbiamo ricevuto l'ordine di andare su un'isola chiamata Mauritius, che si trova a 20 gradi di latitudine sud, dove siamo arrivati il 28 maggio; quest'isola ha molte capre, maiali e mucche, e uccelli molto strani, chiamati dodi, che sono molto rari: in tutto il mondo si trovano solo qui. Ne ho inviato uno tramite il signor Perce, che è arrivato con la nave William su quest'isola il 10 giugno. [A margine della lettera] Dal signor Perce riceverai un contenitore di zenzero per mia sorella, alcune perle per i miei cugini e le loro figlie, e un uccello chiamato dodo, se mai arriverà vivo.[89]»

Nelle Tentazioni di sant'Antonio di Savery (1611-1616 ca.) vi è un'aragosta dalla testa di dodo in basso a sinistra, probabilmente basata su un campione essiccato.

Non sappiamo se il dodo sia sopravvissuto al viaggio, e la lettera andò distrutta in un incendio nel XIX secolo.[90] La più antica raffigurazione conosciuta di un esemplare di dodo in Europa risale al 1610 ca. e appartiene a una collezione di dipinti che raffigura gli animali presenti nel serraglio reale dell'imperatore Rodolfo II a Praga. Questa collezione comprende anche dipinti di altri animali originari di Mauritius, compreso il rallo rosso. L'esemplare raffigurato, che potrebbe essere un giovane, sembra essere stato essiccato o impagliato, e probabilmente aveva vissuto per un po' di tempo nello zoo dell'imperatore insieme agli altri animali. Il fatto che dodo interamente impagliati fossero presenti in Europa indica che vi erano stati portati da vivi ed erano morti là: è improbabile che vi fossero dei tassidermisti sulle navi di passaggio e all'epoca non vi era ancora l'abitudine di utilizzare l'alcool per preservare i campioni biologici. Della maggior parte dei campioni provenienti da zone tropicali sono stati conservati solo la testa e i piedi essiccati.[88]

A quanto si riferisce, un dodo venne inviato addirittura fino a Nagasaki, in Giappone, nel 1647, ma per molto tempo non sapevamo se fosse giunto a destinazione.[74] Testimonianze contemporanee pubblicate per la prima volta nel 2014 hanno confermato il fatto e dimostrato che l'esemplare era arrivato vivo. Venne considerato come un dono e, nonostante la sua rarità, il suo valore era paragonabile a quello di un cervo bianco e di un bezoario. È l'ultimo dodo vivo in cattività di cui siamo conoscenza.[91]

Marinai olandesi inseguono dei dodi in un'illustrazione di Walter Paget del 1914. Si ritiene che la caccia da parte dell'uomo non sia stata la causa principale dell'estinzione della specie.

Come molti animali evolutisi in pressoché totale assenza di predatori, il dodo non aveva la benché minima paura dell'uomo. Questa impavidità e l'incapacità di volare resero l'animale una facile preda per i marinai.[92] Sebbene alcune testimonianze sparse descrivano uccisioni in massa di dodi per rifornire le scorte delle navi, le indagini archeologiche hanno trovato solo scarse prove di catture da parte dell'uomo. Le ossa di almeno due esemplari sono state trovate nelle grotte della Baie du Cap in cui nel XVII si rifugiavano detenuti e schiavi fuggitivi, una zona che sarebbe stata difficilmente accessibile per questi animali a causa del terreno elevato e accidentato.[10] La popolazione umana a Mauritius (che copre un'area di 1860 km²) non superò mai le 50 unità nel XVII secolo, ma sull'isola furono introdotte diverse specie animali aliene, tra cui cani, maiali, gatti, ratti e macachi cancrivori, che fecero razzia dei nidi di dodo ed entrarono in competizione con esso per le limitate risorse alimentari.[43] Contemporaneamente, gli uomini distrussero l'habitat forestale della specie. Oggi si ritiene che l'impatto sulla popolazione di dodi degli animali introdotti, in particolare maiali e macachi, sia stato ben più grave di quello della caccia.[93] I ratti forse non rappresentarono una grande minaccia per i nidi, dal momento che i dodi sapevano già come confrontarsi con i granchi di terra.[94]

È stato ipotizzato che il dodo fosse una specie già rara o localizzata prima dell'arrivo dell'uomo a Mauritius, dal momento che difficilmente si sarebbe estinto così rapidamente se avesse occupato tutte le aree remote dell'isola.[59] Una spedizione del 2005 trovò resti subfossili di dodo e altri animali uccisi da un'alluvione improvvisa. Tali eventi di mortalità di massa avrebbero ulteriormente messo a repentaglio una specie già in pericolo di estinzione.[95] Eppure il fatto che il dodo sia sopravvissuto a centinaia di anni di attività vulcanica e cambiamenti climatici dimostra che la specie era piuttosto resistente all'interno del suo ecosistema.[61]

Vi è ancora disaccordo riguardo alla data dell'estinzione. L'ultima testimonianza accettata dalla maggior parte degli studiosi in cui si parla di un avvistamento di dodi è il rapporto stilato nel 1662 da Volkert Evertsz, un marinaio naufragato dalla nave olandese Arnhem, che descrisse gli uccelli che vennero catturati su un piccolo isolotto al largo di Mauritius, che oggi si ritiene corrisponda all'Île d'Ambre:

«Questi animali, quando ci avvicinavamo a loro, fissavano il nostro sguardo e restavano immobili sul posto, come non sapessero se avevano ali per volare o zampe per fuggire, permettendoci di avvicinarci quanto volevamo. Tra questi uccelli c'erano quelli che in India chiamano Dod-aersen (essendo una specie di grande oca); questi uccelli non sono in grado di volare, e al posto delle ali hanno solo alcuni piccoli «spilli», ma possono correre molto velocemente. Li spingemmo in un punto dove era più facile afferrarli con le mani e, quando ne tenemmo uno per una zampa e questo fece un gran baccano, gli altri all'improvviso accorsero il più velocemente possibile in suo aiuto e, così, anch'essi furono catturati e fatti prigionieri.[96]»

I dodi di questo isolotto potrebbero non essere stati necessariamente gli ultimi rappresentanti della specie.[97] L'ultimo avvistamento dichiarato di un dodo venne riportato nei registri di caccia di Isaac Johannes Lamotius nel 1688. Un'analisi statistica di questi registri effettuata nel 2003 dai biologi David L. Roberts e Andrew R. Solow fornì una nuova data di estinzione stimata al 1693, con un intervallo di confidenza al 95% compreso tra il 1688 e il 1715. Secondo questi autori, poiché l'ultimo avvistamento prima del 1662 risaliva al 1638, il dodo era probabilmente già piuttosto raro negli anni '60 del XVII secolo, e pertanto un avvistamento da parte di uno schiavo fuggito nel 1674, ma contestato da molti autori, non può essere ignorato.[98]

Il disegno di Pieter van den Broecke di un dodo, una pecora con un corno solo e un rallo rosso (1617); dopo la scomparsa del dodo, i visitatori potrebbero averlo confuso con il rallo rosso.

L'ornitologo britannico Alfred Newton ipotizzò nel 1868 che, dopo la sua scomparsa, i visitatori abbiano iniziato a chiamare «dodo» il rallo rosso.[99] Anche Cheke sottolineò che alcune descrizioni successive al 1662 usano i nomi «Dodo» e «Dodaers» per riferirsi al rallo rosso, indicando che tali nomi erano stati trasferiti da una specie all'altra.[100] Secondo questo studioso, l'ultima osservazione credibile è pertanto quella registrata nel 1662. Una testimonianza del 1668 del viaggiatore inglese John Marshall, che usava in modo intercambiabile i nomi «Dodo» e «Red Hen» per indicare il rallo rosso, afferma che la sua carne era «dura», il che combacia con la descrizione della carne nella testimonianza del 1681.[101] Perfino il resoconto del 1662 è stato messo in discussione dallo scrittore Errol Fuller, poiché la reazione ai richiami di allarme corrisponde a quanto era stato riportato per il rallo rosso.[102] Fino a quando non venne proposta questa spiegazione, si riteneva che gli ultimi esemplari noti fossero stati i «dodos» di cui parla una testimonianza del 1681, ipotesi che ha tuttora i suoi sostenitori.[103]

Cheke ha affermato nel 2014 che i manoscritti olandesi studiati finora indicano che non venne visto nessun dodo nel periodo 1664-1674.[104] Nel 2020, Cheke e il ricercatore britannico Jolyon C. Parish hanno ipotizzato che tutti i riferimenti al dodo successivi alla metà del XVII secolo siano riconducibili al rallo rosso e che il dodo fosse scomparso in seguito alla predazione da parte dei maiali durante un periodo di pausa nella colonizzazione di Mauritius (1658-1664). All'epoca quindi nessuno realizzò che il dodo si fosse estinto, poiché i nuovi coloni non avevano mai visto dei veri dodi, ma poiché si aspettavano di vedere uccelli incapaci di volare, credettero che il dodo fosse il rallo rosso, e chiamarono quest'ultimo con lo stesso nome. Poiché i ralli rossi, a differenza del dodo, deponevano probabilmente un numero maggiore di uova per covata che si schiudevano dopo un periodo di tempo più breve, e forse costruivano nidi in luoghi più nascosti, è possibile che si riproducessero in maniera più efficiente ed erano meno vulnerabili alle razzie dei maiali.[105]

È improbabile che la questione venga risolta, a meno che non vengano scoperti rapporti posteriori che menzionano il nome insieme alla descrizione fisica.[94] La lista rossa della IUCN accetta la motivazione di Cheke che indica il 1662 come data dell'estinzione, ritenendo che tutti i rapporti successivi si riferiscano al rallo rosso. In ogni caso, il dodo era probabilmente già estinto nel 1700, circa un secolo dopo la sua scoperta nel 1598.[1][101] Gli olandesi lasciarono Mauritius nel 1710, ma a quel punto il dodo e la maggior parte dei grandi vertebrati terrestri si erano ormai estinti.[43]

Nonostante la rarità del dodo fosse già stata segnalata nel XVII secolo, la sua estinzione fu riconosciuta come tale solo nel XIX secolo. Ciò era in parte dovuto al fatto che, per motivi religiosi, l'estinzione non era ritenuta possibile fino a quando Georges Cuvier non dimostrò il contrario, e in parte perché molti scienziati dubitavano addirittura che il dodo fosse mai esistito: sembrava una creatura troppo strana e molti lo credevano un mito. Il dodo venne indicato per la prima volta come esempio di estinzione causata dall'uomo su Penny Magazine nel 1833[106] e da allora è divenuto una vera «icona» dell'estinzione.[107]

Esemplari del XVII secolo

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Mascella superiore di dodo nel Museo nazionale di Praga.

Tutto ciò che rimane dei dodi portati in Europa nel XVII secolo sono una testa e un piede essiccati nel Museo di storia naturale dell'università di Oxford, un piede un tempo conservato al British Museum ma andato perduto, un cranio nel Museo di zoologia dell'università di Copenaghen e una mascella superiore nel Museo nazionale di Praga. Gli ultimi due reperti furono riscoperti e identificati come resti di dodo verso la metà del XIX secolo.[108] Nei vecchi inventari museali vengono citati anche diversi esemplari impagliati, ma nessuno di questi è giunto fino a noi.[109] Oltre a questi resti, c'è anche un piede essiccato, appartenuto al professore olandese Pieter Pauw, menzionato da Carolus Clusius nel 1605. La sua provenienza è sconosciuta e oggi è andato perduto, ma potrebbe essere stato raccolto durante il viaggio di Van Neck.[22] I presunti esemplari impagliati che si vedono oggi nei musei di tutto il mondo sono stati pertanto realizzati con piume appartenenti ad altri uccelli: molti dei più antichi vennero realizzati dal gruppo di tassidermisti guidato dal britannico Rowland Ward.[108]

Calco della testa di Oxford prima della dissezione e del piede di Londra, oggi perduto.

Gli unici resti di tessuti molli conosciuti, la testa (reperto OUM 11605) e il piede di Oxford, appartenevano all'ultimo esemplare impagliato conosciuto, menzionato per la prima volta come parte della collezione Tradescant nel 1656 e trasferito nell'Ashmolean Museum nel 1659.[22] È stato ipotizzato che questi potrebbero essere i resti dell'uccello che Hamon L'Estrange vide a Londra, dell'uccello inviato da Emanuel Altham o di un esemplare donato da Thomas Herbert. Poiché i resti non mostrano segni di alterazione dovuti alla mano dei tassidermisti, è possibile che dell'esemplare sia stata semplicemente conservata la spoglia.[110] Nel 2018, è stato riferito che le scansioni della testa del dodo di Oxford mostravano che la pelle e le ossa contenevano pallini di piombo che venivano usati per cacciare gli uccelli nel XVII secolo. Questo indica che il dodo di Oxford venne ucciso prima di essere trasportato in Gran Bretagna o qualche tempo dopo il suo arrivo. Le circostanze della sua uccisione sono sconosciute e i pallini devono ancora essere esaminati per identificare il luogo di provenienza del piombo.[111]

Molte fonti affermano che i curatori dell'Ashmolean Museum abbiano bruciato il dodo impagliato intorno al 1755 a causa delle sue gravi condizioni di deterioramento, salvandone solo la testa e una zampa. Lo Statuto 8 del museo afferma «che quando un reperto invecchia o si deteriora, il custode può riporlo in uno degli armadi o in un altro deposito e sostituirlo con qualcos'altro».[112] Oggi si ritiene che la deliberata distruzione del campione sia solo una leggenda: esso venne rimosso dall'espositore solo per preservare ciò che ne restava. Da allora i tessuti molli rimasti si sono ulteriormente degradati: la testa venne sezionata da Strickland e Melville, separando la pelle dal cranio in due metà. Il piede è in uno stato scheletrico, con solo qualche brandello di pelle e tendini. Sulla testa rimangono pochissime piume. Si tratta probabilmente di una femmina, poiché il piede è più piccolo dell'11% e più gracile del piede di Londra, ma sembra essere completamente sviluppato.[113] Il reperto venne esposto al museo di Oxford almeno dagli anni '60 del XIX secolo fino al 1998, dopodiché è stato tenuto prevalentemente nel deposito per evitare che si danneggiasse.[114] Calchi di questa testa si possono trovare oggi in molti musei di tutto il mondo.[110]

Incisione a colori (1793) del piede di Londra, ormai perduto, (a sinistra) e litografia dello stesso (1848).

Il piede essiccato di Londra, menzionato per la prima volta nel 1665 e trasferito al British Museum nel XVIII secolo, venne esposto accanto al dipinto del Dodo di Edwards di Savery fino agli anni '40 del XIX secolo, e fu dissezionato anch'esso da Strickland e Melville. Non era in posizione eretta, il che suggerisce che fosse stato staccato da un esemplare fresco, non da uno impagliato. Dal 1896 è sempre stato descritto come privo di tegumenti e si ritiene che oggi ne siano rimaste solo le ossa, sebbene la sua attuale ubicazione sia sconosciuta.[22]

Del cranio di Copenaghen (reperto ZMUC 90-806) sappiamo che appartenne alla collezione di Bernardus Paludanus a Enkhuizen fino al 1651, quando venne trasferito nel museo del castello di Gottorf, nello Schleswig.[115] Dopo che il castello fu occupato dalle forze danesi nel 1702, la collezione del museo venne assimilata alla collezione reale danese. Il cranio venne riscoperto da J. T. Reinhardt nel 1840. In base alla sua storia, potrebbe trattarsi del più antico resto conosciuto di un dodo portato in Europa nel XVII secolo.[22] È più corto di 13 mm del cranio di Oxford e potrebbe essere appartenuto a una femmina.[37] Venne mummificato, ma la pelle si è deteriorata.[43]

La parte anteriore di un cranio (reperto NMP P6V-004389) del Museo nazionale di Praga venne ritrovata nel 1850 tra i reperti provenienti dal Museo della Boemia. In letteratura sono state elencate anche altre parti presumibilmente appartenute a questo esemplare, ma sembra essere rimasta solo questa porzione del cranio (la porzione di un arto destro conservata nel museo sembra essere appartenenuta a un solitario di Rodrigues).[22][116][117] Potrebbe trattarsi di quel che rimane di uno dei dodi impagliati che sappiamo essere stati presenti nel serraglio dell'imperatore Rodolfo II, forse addirittura l'esemplare dipinto lì da Hoefnagel o Savery.[118]

Reperti subfossili

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Ricostruzione di Richard Owen dello scheletro di un dodo (1866): esso appare troppo tozzo, essendo basato sul Dodo di Edwards dipinto da Savery.
Scheletro di Mare-aux-Songes assemblato in posizione più eretta da Owen (Natural History Museum di Londra).

Fino al 1860, gli unici resti di dodo conosciuti erano i quattro esemplari incompleti risalenti al XVII secolo. Quell'anno, però, Philip Burnard Ayres rinvenne le prime ossa subfossili, che furono inviate a Richard Owen al British Museum, che però non rese pubblica la scoperta. Nel 1863, Owen chiese al vescovo mauriziano Vincent Ryan di spargere sull'isola la notizia che voleva essere informato riguardo al possibile ritrovamento di ossa di dodo.[2] Nel 1865, George Clark, il maestro di scuola inviato dal governo a Mahébourg, rinvenne finalmente un gran numero di ossa subfossili di dodo nella palude di Mare-aux-Songes nel sud dell'isola, dopo una ricerca trentennale ispirata dalla monografia di Strickland e Melville.[22] Nel 1866, Clark spiegò su Ibis, una rivista di ornitologia, che aveva mandato i suoi coolies a sondare il centro della palude con i piedi, alla ricerca di possibili ossa. Inizialmente furono trovate solo poche ossa, ma dopo aver rimosso la vegetazione che ricopriva la parte più profonda della palude i ritrovamenti aumentarono notevolmente.[119] Harry Pasley Higginson, un ingegnere ferroviario dello Yorkshire, riferì di avere scoperto ossa di dodo a Mare-aux-Songes contemporaneamente a Clark e ancora oggi non è chiaro chi le abbia scoperte per primo. Higginson inviò delle casse contenenti queste ossa ai musei di Liverpool, Leeds e York.[120][121] Nella palude sono stati rinvenuti complessivamente i resti di oltre 300 dodo, ma pochissime ossa del cranio e delle ali, forse perché la parte superiore del corpo era stata dispersa dagli agenti atmosferici o divorata dagli animali spazzini, mentre quella inferiore era rimasta introppolata. Una situazione simile si è riprodotta anche nelle paludi della Nuova Zelanda, dove sono stati rinvenuti molti resti di moa.[122] La maggior parte dei resti di dodo di Mare-aux-Songes presenta una colorazione variabile dal marrone al marrone scuro.[79]

I rapporti stilati da Clark riguardo ai ritrovamenti riaccesero l'interesse per la specie. Sia Richard Owen che Alfred Newton volevano essere i primi a descrivere l'anatomia post-craniale del dodo, e Owen acquistò una spedizione di ossa di dodo originariamente destinata a Newton, facendo nascere un'accesa diatriba tra i due. Owen descrisse queste ossa nel Memoir on the Dodo nell'ottobre 1866, ma basò erroneamente la sua ricostruzione sul Dodo di Edwards dipinto da Savery, e la creatura ricostruita risultò essere troppo tozza e obesa. Nel 1869 ricevette un numero maggiore di ossa, che gli consentirono di correggere la postura dell'animale, rendendola più eretta. Newton invece spostò la sua attenzione sul solitario di Réunion. Le restanti ossa che non vennero acquistate da Owen o Newton furono vendute all'asta o donate ai musei.[2][123] Nel 1889, Théodor Sauzier fu incaricato di esplorare i «souvenir storici» di Mauritius e trovare altri resti di dodo a Mare-aux-Songes. Lo studioso ebbe successo, e rinvenne anche resti di altre specie estinte.[124]

Scheletro assemblato con ossa rinvenute nel 2006 (Naturalis).
Le ossa subfossili riscoperte nel Grant Museum nel 2011.

Nel 2005, dopo essere stata trascurata per cento anni, una parte di Mare-aux-Songes venne scavata da un team internazionale di ricercatori (International Dodo Research Project). Per prevenire epidemie di malaria, i britannici, durante il loro dominio coloniale sull'isola, avevano ricoperto la palude con un substrato roccioso, che dovette essere rimosso. I ricercatori rinvennero molti resti, comprese le ossa di almeno 17 dodo in vari stadi di sviluppo (ma nessun giovane), tra cui uno scheletro quasi completo, che erano state conservate nella loro posizione naturale.[125] I ritrovamenti vennero esposti al pubblico nel dicembre 2005 al museo Naturalis di Leida. Il 63% dei fossili rinvenuti nella palude apparteneva a tartarughe del genere estinto Cylindraspis e il 7,1% apparteneva a dodo: essi si erano depositati sul fondo nell'arco di diversi secoli, 4000 anni fa.[126] Campagne di scavo successive hanno suggerito che i dodi e gli altri animali rimasero impantanati a Mare-aux-Songes mentre cercavano di raggiungere l'acqua durante un lungo periodo di grave siccità circa 4200 anni fa.[125] Inoltre, i cianobatteri avevano trovato un ambiente ottimale tra gli escrementi degli animali radunatisi intorno alla palude, che così morivano per intossicazione, disidratazione, impantanamento o perché venivano calpestati.[127] Nel corso degli scavi effettuati di recente nella palude sono stati rinvenuti anche molti elementi dello scheletro più piccoli, che solo raramente erano stati ritrovati durante il XIX secolo, probabilmente a causa dei metodi di raccolta più grossolani.[79]

Anche Louis Etienne Thirioux, un naturalista dilettante di Port Louis, trovò molti resti di dodo in diverse località intorno al 1900. Tra questi figurava il primo esemplare articolato – era il primo scheletro subfossile di dodo rinvenuto al di fuori di Mare-aux-Songes – e l'unico resto conosciuto appartenente a un esemplare giovane, un tarsometatarso andato perduto.[22][43] Il primo venne rinvenuto nel 1904 in una grotta vicino al monte Le Pouce ed è l'unico scheletro completo conosciuto appartenente ad un singolo dodo. Thirioux donò l'esemplare al Museo Desjardins (l'attuale Museo di storia naturale del Mauritius Institute).[128][129] Gli eredi di Thirioux vendettero un secondo scheletro completo (costituito però da ossa provenienti da almeno due individui, con il cranio prevalentemente ricostruito) al Museo di scienze naturali di Durban, in Sudafrica, nel 1918. Insieme, questi due scheletri rappresentano i resti di dodo più completi conosciuti: comprendono anche elementi ossei che fino ad allora non erano mai stati ritrovati (come le rotule e le ossa delle ali). Sebbene già alcuni autori contemporanei avessero notato l'importanza degli esemplari di Thirioux, essi non furono studiati scientificamente e rimasero per lo più dimenticati fino al 2011, quando sono stati analizzati da un gruppo di ricercatori. Gli scheletri ricostruiti sono stati sottoposti a scansione laser e ne sono stati ricostruiti modelli 3D, che sono serviti per la stesura di una monografia sull'osteologia del dodo.[130][131] Nel 2006, alcuni ricercatori sul campo hanno scoperto uno scheletro completo di dodo in un tunnel di lava: si tratta del secondo scheletro associato ad un singolo esemplare mai trovato, nonché l'unico rinvenuto in tempi recenti.[132]

Ventisei musei in tutto il mondo possiedono importanti reperti di dodo, quasi tutti rinvenuti a Mare-aux-Songes. Il Natural History Museum, l'American Museum of Natural History, il Museo di zoologia dell'università di Cambridge, il Museo Senckenberg e altri conservano scheletri quasi completi, assemblati con resti subfossili provenienti da diversi individui.[133] Nel 2011, una cassa di legno contenente ossa di dodo rinvenute in età edoardiana è stata riscoperta al Grant Museum dell'University College di Londra durante i preparativi per un trasloco. Fino ad allora erano state conservate assieme ad ossa di coccodrillo.[134]

Il dodo bianco

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In Paesaggio con Orfeo e gli animali di Savery (1611 ca.) si vede un dodo bianco in basso a destra.
Uno dei dodi bianchi dipinti da Pieter Holsteyn II alla metà del XVII secolo, forse basato sull'immagine di Savery.

Oggi si ritiene che il presunto «dodo bianco» (o «solitario») di Réunion sia il frutto di una congettura errata basata sia su vecchi resoconti che si riferivano in realtà all'ibis di Réunion ,che sugli uccelli bianchi simili a dodo dipinti nel XVII secolo da Pieter Withoos e Pieter Holsteyn che vennero riscoperti nel XIX secolo. La confusione ebbe inizio quando Willem Ysbrandtszoon Bontekoe, che visitò Réunion intorno al 1619, menzionò nel suo diario uccelli grassi e incapaci di volare che chiamò Dod-eersen, anche se non fece alcun riferimento alla loro colorazione. Quando il diario venne pubblicato, nel 1646, alla descrizione fu accompagnata l'incisione di un dodo tratta dal cosiddetto «schizzo della Crocker Art Gallery» di Savery.[135] Un uccello bianco, tozzo e incapace di volare fu menzionato per la prima volta come membro della fauna di Réunion dall'ufficiale capo J. Tatton nel 1625. Menzioni sporadiche ad esso furono fatte in seguito da Sieur Dubois e da altri scrittori contemporanei.[136]

Il barone Edmond de Sélys Longchamps coniò il nome Raphus solitarius per questa specie nel 1848, poiché riteneva che i resoconti si riferissero a una qualche specie di dodo. Inoltre, quando i naturalisti del XIX secolo scoprirono i dodi bianchi nei dipinti del XVII secolo, credettero che raffigurassero proprio questo animale. Oudemans ipotizzò che la discrepanza tra le creature presenti sui dipinti e quelle descritte nei vecchi resoconti si spiegasse con il fatto che i dipinti mostravano delle femmine e che la specie presentasse pertanto un evidente dimorfismo sessuale.[137] Alcuni autori credevano anche che gli uccelli descritti appartenessero a una specie simile al solitario di Rodrigues, dal momento che veniva chiamato con lo stesso nome, o addirittura che sull'isola fossero esistite specie bianche sia di dodo che di solitario.[138]

Il dipinto di Pieter Withoos, che venne scoperto per primo, sembra essere basato su un precedente dipinto di Pieter Holsteyn, del quale sappiamo che esistevano tre versioni. Secondo Hume, Cheke e Valledor de Lozoya, sembra che tutte le raffigurazioni di dodi bianchi fossero basate sul dipinto di Roelant Savery Paesaggio con Orfeo e gli animali, o su copie di esso. Il dipinto viene generalmente datato al 1611, anche se alcuni autori propongono datazioni successive al 1614 o addirittura al 1626. Il dipinto mostra un esemplare di colore biancastro ed era apparentemente basato su un esemplare impagliato allora presente a Praga; un walghvogel dalla «colorazione biancastra sporca» viene menzionato in un inventario di reperti della collezione di Praga dell'imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II, del quale Savery era all'epoca (1607-1611) pittore di corte. I dipinti successivi di Savery mostrano tutti uccelli grigiastri, forse perché a quel punto aveva visto un altro esemplare museale. Cheke e Hume ritengono che l'esemplare dipinto fosse bianco perché affetto da albinismo.[50][118] Valledor de Lozoya ha ipotizzato invece che il piumaggio chiaro fosse una caratteristica giovanile, il risultato dello sbiancamento cui vanno incontro i vecchi esemplari impagliati o una semplice licenza artistica.[139]

Negli 1987, gli scienziati descrissero i fossili di una specie di ibis di Réunion caratterizzata da un becco relativamente corto, Borbonibis latipes, prima che fosse stabilito qualsiasi tipo di connessione con gli antichi resoconti sul solitario.[140] Cheke suggerì a uno degli autori della descrizione, Francois Moutou, che i fossili potessero appartenere al solitario di Réunion, come è stato documentato in una pubblicazione del 1995. L'ibis venne in seguito assegnato al genere Threskiornis e ricevette l'epiteto specifico solitarius ereditato dal nome binomiale R. solitarius.[141] Tutte le specie appartenenti a questo genere hanno una colorazione bianca e nera e becchi sottili, caratteristiche che corrispondono alle vecchie descrizioni del solitario di Réunion. Sull'isola non sono mai stati trovati resti fossili di uccelli simili al dodo.[118]

Nella cultura di massa

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Alice e il Dodo in due versioni delle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie illustrate da John Tenniel (a sinistra, 1865) e da Arthur Rackham (1907).

Il fatto che il dodo sia uno degli animali estinti più noti e il suo aspetto singolare hanno fatto sì che nella letteratura e nella cultura popolare sia divenuto un simbolo per indicare un concetto o un oggetto obsoleti, come nell'espressione inglese dead as a dodo, «morto come un dodo», usato per qualcosa di indiscutibilmente morto o obsoleto. Allo stesso modo, la frase to go the way of the dodo, «prendere il sentiero del dodo», significa estinguersi o diventare obsoleti, uscire dall'uso o dalla pratica comune o diventare una cosa del passato.[142] «Dodo» è anche un termine gergale per indicare una persona stupida e ottusa, in quanto si diceva che quest'animale fosse stupido e facilmente catturabile.[143][144]

Il dodo compare di frequente nelle opere di narrativa popolare e, ancor prima della sua estinzione, era presente nella letteratura europea come simbolo di terre esotiche e di ghiottoneria, a causa della sua apparente grassezza.[145] Nel 1865, lo stesso anno in cui George Clark iniziò a pubblicare i suoi scritti sui fossili di dodo che aveva rinvenuto, l'animale, appena rivalutato, comparve come personaggio nelle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, che si pensa abbia inserito un dodo nella sua opera perché si identificava con esso e ne aveva adottato il nome come soprannome a causa della sua balbuzie, che lo portava accidentalmente a presentarsi agli altri come «Do-do-dodgson», il suo vero cognome.[107] Carroll e la bambina che aveva ispirato Alice, Alice Liddell, si erano divertiti a visitare il museo di Oxford per andare a vedere i resti di dodo là conservati.[146] La popolarità del libro rese il dodo una vera e propria icona dell'estinzione.[147] In seguito alla fama ricevuta in Alice nel Paese delle Meraviglie, le raffigurazioni popolari del dodo sono divenute più esagerate e fumettistiche, in linea con la convinzione che fosse un animale goffo, tragico e destinato all'estinzione.[148]

Lo stemma di Mauritius è sostenuto da un dodo.
Dodo su una moneta da 10 rupie del 1971.

Il dodo viene usato come mascotte per molti tipi di prodotti, soprattutto a Mauritius.[149] Compare come sostegno sullo stemma di Mauritius, sulle monete e nella filigrana di tutte le banconote della valuta dell'isola, la rupia mauriziana, e sullo sfondo del modulo di immigrazione di Mauritius.[93][150][151] Un dodo sorridente è simbolo anche della Brasseries de Bourbon, una famosa azienda produttrice di birra di Réunion, e rappresenta la presunta specie bianca che un tempo si pensava vivesse sull'isola.[152]

La figura del dodo viene usata per promuovere la protezione delle specie in pericolo da parte di varie organizzazioni ambientaliste, come il Durrell Wildlife Conservation Trust e il Durrell Wildlife Park.[153] Il Center for Biological Diversity assegna un Rubber Dodo Award annuale a «coloro che si sono maggiormente impegnati a distruggere luoghi selvaggi, specie e diversità biologica».[154] Nel 2011, una nuova specie di ragno della sottofamiglia Nephilinae presente nelle stesse aree boschive dove un tempo prosperava il dodo è stata battezzata Nephilengys dodo per sensibilizzare l'urgente necessità di proteggere il bioma di Mauritius.[155] Anche due specie di formiche di Mauritius hanno preso nome dal dodo: Pseudolasius dodo, descritta nel 1946, e Pheidole dodo, descritta nel 2013.[156][157] Una specie di isopode di una barriera corallina al largo di Réunion venne battezzata Hansenium dodo nel 1991.[158]

Il nome del dodo è stato usato dagli scienziati per denominare alcuni elementi genetici, in onore dell'incapacità di volare propria di questo animale. Un gene del moscerino della frutta all'interno di una regione di un cromosoma richiesto per l'abilità di volo è stato chiamato «dodo».[159] Inoltre, una famiglia di trasposoni difettosi di Phytophthora infestans è stata denominata DodoPi poiché presenta mutazioni che le impediscono di saltare verso nuove posizioni in un cromosoma.[160]

Il disegno inedito di un dodo del XVII secolo venduto nel 2009.

Nel 2009, il disegno olandese di un dodo risalente al XVII secolo, ancora inedito, venne messo in vendita da Christie's, prevedendo che sarebbe stato venduto per 6000 sterline.[161] Non è noto se il disegno si basasse su un esemplare in carne e ossa o su un'immagine precedente, né sappiamo chi fosse l'artista. Malgrado le peggiori aspettative, venne venduto per 44450 sterline.[47][162]

Il poeta Hilaire Belloc incluse la seguente poesia sul dodo nel suo Bad Child's Book of Beasts del 1896:[146][163]

(EN)

«The Dodo used to walk around,
And take the sun and air.
The sun yet warms his native ground –
The Dodo is not there!

The voice which used to squawk and squeak
Is now for ever dumb –
Yet may you see his bones and beak
All in the Mu-se-um.»

(IT)

«Il Dodo era solito andare in giro,
E prendere il sole e l'aria.
Il sole brilla ancora sul suo terreno natio -
Il Dodo non c'è più!

La voce che era solita starnazzare e squittire,
È ora per sempre muta -
Ma puoi vedere ancora il suo scheletro ed il suo becco,
Tutti nel mu-se-o.»

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