Ladin! 2011/2

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Simonetta Cini

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Millo Bortoluzzi, il pittore di Misurina
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Simonetta Cini

Millo Bortoluzzi, il pittore di Misurina


Millo Bortoluzzi: «Scena di caccia nelle valli», tempera. (Foto Stefano Zardini Foloin)

  • Millo Bortoluzzi: «Vele al tramonto

con la Chiesa della Salute», tempera. (Foto Stefano Zardini Foloin)

  • Millo Bortoluzzi: «Festa notturna

alla Salute», tempera. (Foto Stefano Zardini Foloin)

  • Millo Bortoluzzi: «Il cacciatore

e il suo cane», tempera. (Foto Stefano Zardini Foloin)

  • Millo Bortoluzzi: «Trofeo di uccelli

di palude» tempera. (Foto Stefano Zardini Foloin)

dopo aver vinto un concorso ministeriale, viene nominato professore di paesaggio insieme con Guglielmo Ciardi nella stessa Accademia. Esordisce con successo nel 1887 alla Promotrice di Venezia. Per Millo, uomo elegante e raffinato musicista che suonava con maestria il violino, inizia subito una carriera piena di successi con mostre ed esposizioni in Italia e all’estero, ottenendo importanti riconoscimenti e numerosi premi, tra cui quello, inusuale, di un cavallo da corsa. Il carattere alquanto ribelle, unito ad un forte nazionalismo, portano Bortoluzzi, quando è ancora ragazzo, a dipingere di bianco-rosso-verde gli angeli di una chiesa di Serravalle (Vittorio Veneto), per fare dispetto al prete che era filo austriaco. Espone alle Triennali di Milano nel 1891, 1894 e 1897, vincendo con il trittico «Campagna bellunese» il premio Fumagalli nell’edizione del ’91. La Reale Accademia di Brera lo nomina Socio onorario. Partecipa alle Quadriennali di Torino: nel 1896 vince la medaglia d’oro del Cai per il miglior soggetto alpestre con «Inverno» e nel 1900 con «Alta Montagna» vince la medaglia d’oro. Nel 1899 la Reale Accademia di Venezia lo nomina Accademico di merito corrispondente.

Partecipa alla Biennale di Venezia, dalla prima edizione del 1895 fino a quella del 1905, nella quale espone «Partenza per la caccia» , attualmente a Ca’ Pesaro, riscuotendo sempre grande successo di pubblico. Nel 1903 la Regina Margherita acquista il dipinto «In laguna d’estate», esposto alla quinta edizione. È presente ininterrottamente alla Biennale dal 1910 al 1924; l’opera «Veliero lucente nel porto di Venezia», esposta nell’edizione del 1914, viene acquistata da Re Vittorio Emanuele III che successivamente, nel 1926, la donerà alla nascente Galleria d’Arte Moderna di Napoli. Nel 1911 e nel 1919 è invitato a partecipare all’Esposizione Internazionale di Roma e successivamente prende parte alla II Exposición de Arte di Buenos Aires.

Nel 1908 si trasferisce da Venezia a Mira sulla Riviera del Brenta con la moglie Adriana Carrara Nani Mocenigo, donna non bella e claudicante a causa di un incidente equestre, ma molto ricca, dalla quale avrà tre figli.

Nel 1917, subito dopo Caporetto, ricercato dalla polizia austriaca per avere più volte falsificato passaporti, deve fuggire profugo e si rifugia a Napoli presso il fratello. Qui organizza una Esposizione degli artisti napoletani e una mostra di profughi. Terminata la guerra torna a Padova, al suo studio in via Giotto, e organizza varie mostre in Veneto, divenendo uno degli esponenti più importanti della locale sezione del Sindacato Fascista degli Artisti. All’Esposizione Nazionale di Padova del 1922 allestisce una personale, nel ’27 alla Mostra del Sindacato Fascista espone «Le vele - Venezia», attualmente al Museo Civico di Padova, nel ’29 è invitato all’Esposizione d’Arte Triveneta. Espone anche a Parigi, Vienna, Praga, Amburgo.

Rimasto vedovo nel 1926, Bortoluzzi va a vivere con Egle, la sua giovanissima e bella modella, che gli sarà fedele e amorevole compagna fino alla morte, avvenuta a Dolo il 10 febbraio 1933.

Temi ricorrenti della sua pittura, oltre alle vedute di Venezia, sono le montagne e i paesi del Bellunese dove con il suo inseparabile amico veneziano, il pittore Italico Brass, amava spesso soggiornare.

Molti furono gli illustri ospiti che soggiornarono al Grand Hotel di Misurina, prima fra tutti la Regina Margherita, che vi si recò per «cercare un po’ di pace al suo animo angosciato » subito dopo l’attentato e la morte del marito Re Umberto e vi rimase da agosto a metà settembre 1900. Le tempere di Bortoluzzi decorano sia la Sala del Trono che quelle dove si svolgevano feste e balli e «dove risuonavano musiche alla moda» in un’atmosfera elegante e raffinata, ed evidenziano una pittura di evasione, priva di intenti esaltatori, in cui il pittore trevigiano si rivela decoratore di gusto e grande colorista, alle volte non privo di una certa ironia legata al «capriccio».

Nelle ampie prospettive, nella veduta che si allarga e si distende cercando di captare sempre più lo spazio e di fissare nuovi raccordi prospettici, traspare la mai dimenticata lezione del vedutismo veneziano, filtrato attraverso la pittura luministica e romantica, forse anche un po’ teatrale, del bellunese Ippolito Caffi.

Ma, con le magnifiche scene di caccia nelle valli che decorano il salone più grande, Bortoluzzi dimostra di essere con Brass, Ciardi, Milesi, Castagnaro, Tito, Fragiacomo uno dei migliori interpreti dell’importante pittura di paesaggio della tradizione veneta. Il taglio degli orizzonti, spesso lagunari, è largo e spaziato e si fonda sui temi dominanti della sua pittura: l’acqua e il cielo in un colore che, non attardandosi a descrivere, si impreziosisce di toni chiari, determinati dalla luce e dai suoi riflessi sull’acqua. Con immediatezza di tocco il colore è modulato in tutte le sue gamme; il cielo è reso limpido dalla luce diafana che prolunga le ombre dando immoto senso di solitudine astratta ai paesaggi.

La natura di Bortoluzzi deriva da una osservazione diretta della realtà, in una ampia prospettiva che si fonde nel trascolorare delle luci del cielo, con accordi sfumati e leggeri e si anima con i riflessi, studiati tono su tono, così da acquistare un senso nuovo dello spazio. Alle volte, invece, alla visione reale si unisce anche una atmosfera romantica, si avverte la solitudine di certi luoghi, che conservano il fascino di un tempo passato. Pittura di soggetti tenui, quasi insignificanti: un cielo di nubi, un intrico di bosco, casoni di cacciatori, il greto di un torrente, barche e vele, un paesaggio solitario di montagna o di pianura questo il mondo poetico e intimista di Millo Bortoluzzi. In primo piano erba, fiori dipinti a macchie e pennellate veloci e, in alto, particolarmente belle, le nuvole gonfie, importanti, che si uniscono all’acqua e, sull’acqua, riflessi e nebbie. Sempre tanto cielo, tanto spazio e, soprattutto, solitudine, silenzio, meditazione. «Si vede un silenzio solenne» scriveva Ugo Ojetti di un’opera esposta alla Biennale nel 1897. Otto splendidi trofei con uccelli di palude legati con eleganti fiocchi liberty, separano le varie scene di caccia.

In quell’importante periodo di transizione tra ’800 e ’900 Millo, pur inserendosi nel clima artistico che raccoglieva l’eredità degli Impressionisti, soprattutto di Monet, che ospitò quando l’ormai anziano e famoso pittore francese si recò a Venezia, lo supera con la sua pittura nella quale sono presenti accenti simbolisti oltre ad elementi «art nouveau».

Opere di Bortoluzzi sono presenti in Musei italiani e stranieri: oltre a Padova e Venezia anche al Museo Civico di Udine e al Museo d’Arte Italiana di Lima in Perù, dove è custodita una bellissima tela «Le zattere», e in numerose collezioni private. Ulteriore testimonianza del suo successo in ambienti eleganti e colti è data dai dipinti ad affresco e a tempera che decorano molte ville della Riviera del Brenta, tra le quali la preziosa decorazione di Villa Brusoni-Scalpella, datata 1914.