Utente:Lupo rosso/Sandbox/antefatti delle foibe riveduto

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ringraziamento[modifica | modifica wikitesto]

ringrazio Pietro Ramella per la completa revisione del lavoro che ho fatto restano da aggiungere i riferimenti internet e biblografici sui numeri indicatimi e mettere links interni


ANTEFATTI FOIBE[modifica | modifica wikitesto]

http://it.wikipedia.org/wiki/Utente:Lupo_rosso/Sandbox/antefatti_delle_foibe

[Riduci] Wikipedia c'è sempre quando ne hai bisogno -- ora lei ha bisogno di te. Dona » Utente:Lupo rosso/Sandbox/antefatti delle foibe Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. < Utente:Lupo rosso | Sandbox « "Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani" » .Benito Mussolini , 1920[1]

« Vengono minuziosamente elencate le colpIl fascismo, accusato di aver cercato di "snazionalizzare" le minoranze slovene e croate nella Venezia Giulia "con una politica repressiva assai brutale", il cui intento finale era quello "di arrivare alla bonifica etnica" della regione » [2] « Il regime d'occupazione fece leva sulla violenza che simanifestò con ogni genere di proibizioni, con le misure di confino, con le deportazioni e l'internamento nei campi istituiti in Italia (Gonars e Renicci)ed in Dalmazia (Arbe/Rab, Melada/Molat, Mamula, Prevlaka, Zlarino/Zlarin), con iprocessi sommari dinanzi alle corti marziali militari, con il sequestro e la distruzione di beni, con l'incendio di case e villaggi. Migliaia furono i morti, fra caduti in combattimento, condannati a morte, ostaggi fucilati e civili uccisi. I deportati furono approssimativamente 30 mila, per lo più civili, donne e bambini, e molti morirono di stenti. Furono concepiti pure disegni di deportazione in massa degli sloveni residenti nella provincia. La violenza raggiunse il suo apice nel corso dell'offensiva italiana del 1942, durata quattro mesi, che siera prefissa di ristabilire il controllo italiano su tutta la Provincia di Lubiana » [3] Indice [nascondi]. 1 Cenni cronologici. 1.1 Prima della seconda guerra mondiale. 1.2 periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale. 1.3 Inizio organizzazione della Resistenza Armata. 1.4 si consolida la Resistenza Armata. 1.5 La Resistenza continua ad organizzarsi. 2 specifico sulla fascistizzazione di Fiume. 3 occupazione Slovenia. 3.1 La Guerriglia partigiana varca i confini della Slovenia. 4 Il proclama di Mario Roatta. 4.1 la "fuga" di Roatta. 4.2 Dal proclama del criminale di guerra Mario Roatta. 4.3 dalle comunicazioni fra generali:. 5 epilogo. 5.1 i campi di concentramento. 5.2 Voci correlate. 6 Collegamenti esterni. 7 Bibliografia. 8 Note

CAPITOLI


Periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale (1919/aprile 1941) [modifica]

Occupazione della Jugoslavia[modifica]

Inizio organizzazione della Resistenza Armata [modifica]

Repressione

Deportazione

Tra la caduta del fascismo e l’armistizio

La Resistenza organizzata all’attacco









Periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale (1919/aprile 1941) [modifica]


Il trattato di Londra del 26 aprile 1915 prevede che se l'Italia entrerà in guerra al fianco dell'Intesa otterrà, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo meridionale, la Venezia Giulia, l'intera penisola istriana con l'esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia, numerose isole dell'Adriatico, Valona e Saseno in Albania e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, oltre alla conferma della sovranità su Libia e Dodecaneso. Ma, con il Trattato di pace di Saint-Germaine-en-Laye del 10 settembre 1919, che pone fine alla prima guerra mondiale tra l’Italia e l’Austria, l’Italia ottiene il Trentino, il Tirolo meridionale, la Venezia Giulia e l’Istria, nasce così il mito della cosiddetta “Vittoria mutilata” che diverrà uno dei temi della propaganda prima nazionalista poi fascista. La pur ridotta acquisizione di territori pone sotto la sovranità italiana 500.000 sloveni e croati e 200.000 tedeschi. L’annessone italiana comporta per i territori orientali la perdita dei mercati austriaci per gli agricoltori e del commercio navale per i porti di Trieste e Fiume verso la Mittelreuropa, il che determina una grave situazione generale d’instabilità economica dando vita ad un vasto malcontento sociale che sfocia nel 1919 in scioperi e manifestazioni. L’amministrazione italiana, incapace di comprendere la specificità della situazione triestina e giuliana, risponde duramente deportando, come prima misura, in Sardegna un migliaio d’intellettuali, religiosi, tra cui il vescovo di Veglia, e funzionari statali considerati filoaustriaci e/o filoslavi. A cinquanta ferrovieri triestini colpevoli di aver scioperato vengonro inflitte condanne per complessivi 120 anni, mentre a Pola a metalmeccanici in sciopero sono comminate condanne anche fino a 25 anni di detenzione con la pesantissima accusa di "cospirazione contro lo Stato e incitamento alla guerra civile". I giornali nazionali giustificano tali nefandezze accusando i dimostranti di essere anti-italiani e/o agenti jugoslavi; nello stesso periodo è in corso l'Impresa di Fiume mentre Benito Musolini passa dal fascismo "rivoluzionario" sansepolcrista al fascismo reazionario. Il 13 luglio 1920 nazionalisti e fascisti radunatisi in piazza Unità di Trieste iniziano la "caccia allo slavo" invadendo il consolato jugoslavo ed incendiando l’hotel Balkan, sede delle istituzioni economico culturali degli sloveni giuliani; in seguito sono distrutte la tipografia "Edinost" e altri locali dove hanno la sede organizzazioni slave : il Piccolo cosi' commenta « le fiamme del Balkan purificano finalmente Trieste, purificano l'anima di tutti noi  »

Poco tempo dopo viene incendiata la casa del popolo a Pola, il comando militare, con l’attiva partecipazione dei fascisti, invece di perseguire questi ultimi, inizia una serie di azioni repressive a danno della popolazione con arresti ingiustificati, la sostituzione di impiegati istriani con funzionari italiani nelle amministrazioni comunali, la chiusura di scuole croate (in Venezia Giulia esistevano 541 scuole slovene e croate frequentate da 80.000 studenti) sopprimendo altresì il giornale Hrvatski List, sempre n lingua locale infine vieta le telefonate oltre la linea d’armistizio bloccando di fatto i contatti fra membri delle stesse famiglie sia a livello economico che affettivo. Sul Popolo d'Italia del 24 settembre 1920 si legge «  in altre plaghe d'Italia i Fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia Giulia sono l'elemento preponderante e dominante della situazione politica  » Con il Natale di sangue e la conseguente sconfitta dei Legionari di Gabriele D'annunzio negli ultimi giorni del 1920 ha fine l’esperienza della cosiddetta Reggenza italiana del Carnaro. Subito dopo inizia la fagocitazione da parte del fascismo dell'Impresa_di_Fiume. « Emilio Lussu scriveva che gli ex combattenti erano tutti dei socialisti potenziali: avevano maturato una concezione internazionalista in trincea… Per capire la contraddittorietà, ma anche la sincerità di quelle tensioni ideali, pensa alle simpatie che la rivoluzione Russa riscuote tra molti legionari Fiumani!… Si tratta di una pagina di storia che poi è stata “accomodata” enascosta, ma fa pensare… Perché per il fascismo era importante appropriarsi anche dell’esperienza Fiumana? E’ semplice: perché il fascismo non aveva la storia del partito socialista, non aveva dietro di sé la cultura cattolica del partito popolare, non aveva neppure le vecchie tradizioni risorgimentali dei liberali; si trattava di un movimento nuovo, che si muoveva solo nella logica della presa del potere, privo di solide radici ideologiche o simboliche, che cercava di “mettere il cappello” ad un’ampia fetta di popolazione in cui era percepibile un disagio istintivo… Il fascismo aveva, insomma, l’esigenza di appropriarsi di una “storia” altrui, non avendone una propria… » da intervista di Ivan Tagiaferri autore di morte alla morte, libro sulla storia degli Arditi del Popolo. d Con Regio Decreto del 29 marzo 1923 n. 800 viene stabilita l’italianizzazione dei toponimi, operazione che aveva avuto inizio subito dopol a fine della guerra e vengono italianizzati i nomi di paesi e città e delle località sulle carte geografiche, sono vietate scritte in lingua slava persino sulle tombe e corone di fiori. Alcuni notabili appartenenti alla classe dirigente di Fiume sollecitano i gerarchi fascisti a prendere provvedimenti affinché si possano svolgere pacificamente le normali attività sociali: nella pratica l'intendimento è quello di reprimere il dannunzianesimo considerato non consono all'abito del regime che si stava consolidando. Il 29 agosto 1924 nasce così il secondo fascio fiumano di combattimento, strutturato in uno schema rigido simile a quello del fascio di Trieste:;il fascismo dannunziano dei legionari si trasforma in squadrismo di cittadini volontari, dediti, secondo le finalità del movimento, alla repressione anticomunista e razzista, inizia il periodo della cosiddetta fascistizzazione di Fiume. Per conseguenza iniziano violenze, uccisioni (si parla di infoibamenti) e vessazioni a danno delle minoranze croate e slave, manifestazioni non conosciute nel periodo del fascio dannunziano,. Con R. D. Legislativo n. 1796 del 15 ottobre 1925 viene proibito l’uso di lingue diverse dall’italiano nelle sedi giudiziarie «sia negli atti che nei procedimenti orali », provvedimento già messo in atto dai tribunali Trieste e Gorizia fin dal 1922. L'uso di lingua locale in esercizi pubblici comporta il ritiro della licenza d’esercizio.

Vi è ancora un ostacolo per vietare tout court l'insegnamento di sloveno e croato impartito dai sacerdoti ma a questo rimedia Horst Venturi durante il congresso dei fascisti italiani del 23 maggio 1925 «  ... ci sono in questa regione sacerdoti che non sono italiani e non comprendono cosa significhi essere italiano e cocciutamente insistono nel celebrare le funzioni religiose in lingua slovena. Noi invece affermiamo che in Italia si può pregare solo in italiano  ». Nel 1926 il Provveditore agli studi della Venezia Giulia e di Zara con specifico riferimento ai sacerdati invia "ordinanza" ai prefetti in cui compare  : «  "traendo profitto della circostanza che hanno l'incarico d'impartire l'insegnamento della religione nelle classi elementari del luogo, aprono scuole clandestine per l'insegnamento della lingua slovena , con l'evidente proposito di eludere le disposizioni del Governo Nazionale sulla riforma linguistica" » Lo stesso anno, con la legge 29 novembre 1926 n. 2008 (Provvedimenti per la difesa dello Stato) è ripristinata la pena di morte per attentati contro la persona del Re e del Capo del fascismo e viene formalizzato il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato con sede giudicante a Roma. Non sono magistrati a giudicare in tale tribunale bensì ufficiali della milizia fascista e membri della polizia politica. Il tribunale resterà attivo fino al 23 luglio 1943, due giorni prima della caduta di Mussolini in quanto di tale data e' l’ultima sentenza emessa dal tribunale. Nel periodo che va dal 1926 al 1943 Mussolini introduce le leggi eccezionali che contemplarono l'eliminazione della libertà di stampa e ogni attività dei partiti, l’epurazione dall’amministrazione dai funzionari non asserviti al regime vedi Guido Jurgens, Federico Fusco, Vincenzo Trani,essi uno stretto controllo centralizzato delle amministrazioni locali, la riforma dei codici, l'esautorazione dei diritti parlamentari e politici per gli aventiniani, le leggi razziali contro i cittadini ebrei, ecc. L’esame delle condanne comminate dal Tribunale Speciale evidenzia a carico di cittadini della Venezia Giulia le seguenti percentuali: - il 18% dei 4.595 condannati, - il 24% dei 27.752 anni di carcere o confino inflitti, - il 81% delle 42 pene capitali, - il 74% delle condanne a morte eseguite. Infatti presso il Tribunale Speciale di Trieste, sede creata appositamente per "giudicare" antifascisti sloveni e italiani, dal 1927 alla caduta del regime nel 1943 sono sottoposti ad indagine 615 antifascisti di cui 34 condannati a morte, ai restanti vengono inflitti 5418 anni di carcere. Il Tribunale Speciale, trasferitosi a Pola, nel 1929 condanna a morte Vladimir Gortan, a cui verrà intitolata una brigata partigiana e che diverrà uno dei simboli della resistenza croata in Istria, e l'italiano Antonio Sema, L’anno seguente lo stesso tribunale a Trieste condanna a morte quattro sloveni, fucilati al poligono militare di Basovizza. La persecuzione riavvicina gli antifascisti dei due popoli che riprendono i contatti al confino e nella Guerra di Spagna, questa inizia il 18 luglio 1936 dove si ritrovarono insieme a combattere i fascisti di Franco, far questi i fiuliani fratelli Marvin Romano, Albino e Giuseppe. Quest’ultimo come molti reduci dalla Spagna si arruolerà nella Legione Straniera francese, combatterà a Narvick in Norvegia, dove guadagnò una medaglia, raggiungerà i maquis in Francia e cadrà fucilato dai tedeschi a St. Germain du Corbeis; Albino, gravemente ferito in Spagna sarà curato in URSS quindi paracadutato in Slovenia dove diverrà capo di stato maggiore dellla Divisione Garibaldi Natisone; Romano si unirà alle Brigate garibaldine della zona di Gorizia e restera' con queste fino alla Liberazione.

Tra il 1927 e il 1929 viene impressa un’accelerazione all’opera di italianizzazione: sono sciolte le organizzazioni culturali, ricreative ed economiche slovene e croate, le Casse rurali e le cooperative, quindi si passa al sistematico esproprio delle proprietà terriere degli slavi con pignoramenti ed altri sistemi "legali", quali l’impossibile rientro immediato da prestiti bancari. Le proprietà espropriate sono messe all'asta ed acquistate da un ente fascista appositamente costituito, denominato "Per la rinascita agraria delle Tre Venezie" in quanto in teoria avrebbe dovuto occuparsi della rinascita del territorio. In seguito il "Tre Venezie" assegna gli appezzamenti a coloni italiani importati da regioni limitrofe di chiara fede fascista o in stato di povertà. L’operazione dal punto di vista della produttività non ha successo, tanto che gli ex proprietari slavi sono chiamati a fornire la mano d'opera come salariati sulle terre loro espropriate. Elio Apih, uno fra i massimi storici triestini (1922-2005) ha descritto in Italia, fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia 1918-1943, due episodi indicativi per i livelli esasperati di nazionalfascismo a cui si pervenne: - Il 12 aprile 1931 giovani fascisti di Trieste incontrano un gruppetto di ragazzi slavi, li identificano come sovversivi e li aggrediscono: uno muore, successivamente il gruppo si rivela essere composto di ottimi fascisti[34], - il questore di Fiume, con documento del giugno 1931, chiede l'internamento in una casa di correzione per un quattordicenne che, a detta di un insegnante, aveva dimostrato in un componimento tendenze anti-italiane Sono italianizzati anche i nomi di coloro che, pur portando un nome slavo, hanno identità italiana, distruggendo in tal modo una cultura multietnica di convivenza pacifica quale era allora quella della zona fiumana.

Occupazione della Jugoslavia[modifica]

È in corso la seconda guerra mondiale. L’Italia alla fine dell’ottobre del 1940 ha attaccato la Grecia, a cui secondo lo slogan di Mussolini si sarebbero “spezzate le ossa”, ma i greci prima resistono poi contrattaccano penetrando in territorio albanese, la situazione diviene drammatica per gli italiani. In loro aiuto interviene l’alleato tedesco infatti, il 6 aprile 1941 Hitler senza preavviso, con la complicità dell’'Ungheria, bombarda Belgrado ed invade la Jugoslavia, immediatamente il II Corpo d’Armata italiano, agli ordini del generale Vittorio Ambrosio, valica la frontiera giuliana. Gli jugoslavi sorpresi dalla rapidità e violenza dell’attacco non riescono ad organizzare la difesa, pochi giorni dopo i tedeschi occupano Belgrado, l'esercito jugoslavo si arrende, mentre Pietro II e il governo fuggono a Londra aviotrasportati dagli inglesi. L’Italia si annette la Slovenia meridionale con capoluogo Lubiana, la parte centrale della Dalmazia, gran parte delle isole adriatiche e la regione delle Bocche di Cattaro ed ingrandisce a spese della Croazia la provincia di Fiume e quella di Zara. Il 21 Aprile 1941 il Fronte di Liberazione della Slovenia chiama alla Resistenza antifascista mentre sempre nella stessa zona nasce il Movimento di Ribellione formato da ufficiali d’indirizzo nazionalista e contadini di indirizzo politico centrista. Il 5 maggio il partito comunista jugoslavo inizia la lotta armata in tutto il territorio nazionale contro i nazifascisti sotto la guida di Josip Broz Tito, in seguito conosciuto come il Maresciallo Tito. I tedeschi, occupata Zagabria, creano la cosidetta Croazia indipendente affidandone il governo ai nazifascisti ustascia comandati dal cosidetto führer dei Croati Ante Pavelic. Inizia un periodo di durissima repressione contro ortodossi e comunisti in primis e antifascisti in generale. Il giuramento degli ustascia fatto ai piedi di un crocifisso con la sciabola a baionetta, bomba "Sipe" e rivoltella VIS 9 m/m dum-dum, recitava: «  "giuro, nel nome di Cristo, di sterminare con ogni mezzo e senza pietà , i partigiani e i contadini che li appoggiano, anche se fossero mio padre o mia madre"  » [10](tradotto da Giorgio Visintin). Nel 1934 a Marsiglia, gli Ustascia avevano assassinato re Alessandro I, di Jugoslavia. Sempre in maggio viene creato, sotto controllo italiano, il regno di Croazia e ne diventa re il duca di Spoleto Ajmone di Savoia-Aosta denominato Tomislavo II ma lo stermino e la sistematica tortura applicata dagli Ustascia a danno di Serbi, Ebrei, Musulmani ed Ortodossi portano il duca a non accettare il trono. Il 25 maggio 1942 Il cardinale Eugène Tisserant, alto prelato con incarico di segretario per la Santa Congregazione della Chiesa Orientale, accusa il rappresentante di Ante Pavelic, convocato espressamente in Vaticano, del fatto che gli ustascia croati hanno trucidato in un solo anno circa 350000 [ortodossi]serbi con donne e bambini oltre ad un numero non quantificabile per mancanza di precise informazioni, di ebrei di zingari e di musulmani, non essi facendo parte delle comunità di cui il cardinale Tisserant si occupa. Alla fine della guerra sarà spaventosa la vendetta dei partigiani jugoslavi contro i compatrioti che collaborarono con l’invasore italo-tedesco, si calcola che non meno di 200.000 ustascia e cetnici compresi i loro famigliari (civili, donne e bambini) siano stati massacrati alla fine del conflitto, in Slovenia si contano circa 1.000 fosse comuni.

QUESTO CAPOVERSO MI LASCIA UN PO’ SCETTICCO IN QUANTO COME E’ POSSIBILE CHE UN RAGAZZO DI 12 ANNI SI INTERESSI AL MARXISMO E E A PENSARE A COME STRUTTURARE LA RESISTENZA.

Nel luglio 1941 il futuro scrittore e uomo politico Giorgio Visintin scrive nel suo "Diario di Guerra", [12] da cui e' tratta buona parte della cronologia qui riportata, e' in villeggiatura presso la famiglia Furlan e diviene amico di Stojan Furlan, comunista e cattolico , che studia nel seminario di Trieste, dove essendo in contatto con studenti albanesi viene a conoscenza di quanto subiscono gli albanesi dall'invasione fascista. Visentin ha 12 anni e Stojan Furlan 17 anni fra i due amici vi e' un interscambio culturale sui problemi del marxismo oltre al pensare come strutturare organizzazione armata antifascista nella Jugoslavia. Giorgio accompagna l'amico piu' grande a visitare diversi villaggi del Carso, qui il seminarista incontra altri giovani che si vogliono opporre al nazifascismoed in seguito Stojan Furlan diverrà il comandante della prima formazione partigiana nella zona giuliana. Nel 1944 Visintin non ha ancora compiuto 15 anni quando abbandona studi e famiglia, entra nella Resistenza e compie numerose azioni contro i nazifascisti, assumendo come nome di battaglia "tempesta" e "lupo" , viene catturato 5 volte e 5 volte riesce la fuggire [11].


Lotta contro l’organizzazione della Resistenza Armata [modifica]

Il Comando italiano nei Balcani, a capo di 650.000 uomini suddivisi in dieci Corpi d’Armata, ha giurisdizione sull’Albania, il Kossovo, la provincia slovena di Lubiana, la Dalmazia, il Montenegro, la Grecia, parte della Bosnia e della Croazia. La prima azione dei partigiani sloveni è la distruzione del ponte di Verd nei pressi di Vrhnika 19 ottobre 1941, a cui seguono altri attentati tutti tesi ad interrompere le vie di comunicazione degli occupanti. Le autorità militari italiane prese alla sprovvista reagiscono attuando tre pesanti rastrellamenti contro il fronte partigiano sloveno: ottobre 1941/ febbraio 1942, aprile/ giugno 1942 e luglio/novembre 1942, con l’uccisione di partigiani combattenti, la fucilazione di ostaggi, l’incendio e la spogliazione di paesi e la deportazione degli abitanti scampati alla morte. Nel corso dell’ultimo vengono uccisi in combattimento 1.807 partigiani, fucilati dopo la cattura 847, assassinati 167 civili, tra cui 11 donne e deportati…. La deportazione degli abitanti dei villaggi è una delle disposizioni contenute nella circolare 3C del 1 marzo 1942 del generale Mario Roatta, divenuto comandante della II Armata, insieme all’eliminazione dei partigiani catturati, anche se feriti, alla distruzione dei villaggi ed alla requisizione del bestiame. Da ricordare: - 16 giugno 1942 nei villaggi di Castua, Marcagli, Rubessi, Spinici: 12 fucilati, case bruciate dopo il saccheggio, bestiame requisito, 34 famigle per un totale di 131 persone deportate, - 13 luglio per la fucilazione nel villaggio di Pothum di due spie dell'OVRA da parte dei partigiani, il prefetto di Fiume Temistocle Testa sollecita dall’esercito una pronta rappresaglia. Lo stesso giorno il generale Alberto Ferrero dà ordine ai suoi uomini di bruciare il villaggio, dove vengono fucilati 108 uomini e deportati in campo di concentramento 800 abitanti. Altri quattro uomini del villaggio di Zavrh di Cerknica sono fucilati dopo aver fatto scavare loro le fosse prima della fucilazione (fatti comprovanti da foto dell’archivio privato di Giorgio Visintin) [19]. Il 31 luglio passati per le armi cinque contadini di Dane nella Loska Dolina e Krizna Gora: Franc Znidarsic, Janez Krajk, Franc Skerbec, Feliks Znidarsic ed Edward Skerbec. Alcuni brani di lettere di militari italiani danno idea del periodo e delle repressioni cruentissime scatenate: «  4 Luglio 1942Lorenzo Tamburini di Tuscania scrive:"...Cara Tota... non ti spiego che stragge abbiamo fatto..."6 Luglio 1942Il soldato Luigi Fioravanti di Palombara Sabina scrive : "... Carissimi Genitori ...avemo fatto un macielo...tutte le case bruciate..." ;8 Luglio 1942Antonio Modica scrive a Bice Modica di Genova:"... mi sento un boia, a furia di vedere barbarie incattivisco, non ho pietà nemmeno io adesso..."  » [18] e' ovvio che tali lettere non arriveranno mai ai destinatari perchè fermate dalla censura militare. Nell’autunno 1941 la sezione staccata del Tribunale Speciale di Trieste cessa di funzionare, e a Roma sono "giudicati" una sessantina di imputati di terrorismo e comunismo di cui nove sono condannati a morte : Pinko Tomazic[13], Viktor Bobek, Ivan Ivancic, Simon Kos, Ivan Vadnal, cinque dei quali passati per le armi il 15 dicembre nel poligono di tiro di Opicina .[14]


Pesanti operazioni di polizia colpiscono Lubiana, ritenuta a ragione il centro operativo della guerriglia slovena. La città viene cinta da un reticolato di filo spinato lungo 41 Km con sessanta posti di guardia e quattro entrate. In due riprese vengono controllati tutti gli uomini tra i 15 e i 50 anni, migliaia sono arrestati e altre migliaia sono arruolati in battaglioni speciali, disarmati in zone lontane dai teatri di guerra come mano d’opera militarizzata, come avveniva per i giovani di leva. I rastrellamenti se non riescono a distruggere, malgrado le pesanti perdite le forze partigiane, le obbligano a spostare le loro basi in zone più interne, Alcune bande partigiane, grazie alla loro estrema mobilità, attraversano i vecchi confini italiani, ed estendono la guerriglia nelle zone di di Trieste e Gorizia cercando di insediarsi anche nella zona di Udine. L’Italia ha la resistenza armata in casa, si apre così un fronte interno assai prima dello sbarco alleato in Sicilia che dato il metodo di lotta usato dalla guerriglia impegna forti contigenti militari. Nel febbraio 1942 il gruppo sotto il comando di Stojan Furlan inizia la guerriglia facendo saltare i binari nella piu' lunga galleria che attraversa il Carso nella zona di San Daniele del Friuli. Le autorità decidono di non divulgare la notizia per non mettere in luce che l'antifascismo diffuso fra la popolazione incomincia a passare all'azione militare. Il giorno del Corpus Domini del 1942 , Giovanni Premoli, ex ufficiale dell'esercito italiano, e Stojan Furlan attaccano il presidio della milizia fascista sempre a San Daniele, procurandosi le armi con cui viene costituita la prima Squadra d'Assalto partigiana. L'evento è clamoroso e la compattezza antifascista della popolazione rende vane le indagini per la cattura dei responsabili dell'ardita azione malgrado sull'accaduto indaghino sia la questura di Trieste che i carabinieri. Nel Marzo 1942 il Ministero degli Interni istituisce l' “Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia", l'incarico di dirigerlo viene affidato al commissario Giuseppe Gueli, coadiuvato da Gaetano Collotti e Remigio Rebez. Questi aguzzini applicheranno sistematicamente la tortura tanto che il gruppo prenderà il nome di "banda Collotti" [17] dal dirigente più "bravo" nell'applicare tale metodo. Verrà torturato dal Colotti Ercole Miani che nel proseguo rifiuterà la medaglia d'oro al valor militare proprio a causa di una medaglia d’argento alla memoria data allo stesso Collotti, giustiziato immediatamente dopo la Liberazione dai partigiani. Di fronte all’intensificarsi della guerriglia che le rappresaglie non frenano, Benito Mussolini il 31 luglio 1942 si reca a Gorizia e convocati i piu' alti gradi dell'esercito impone di mettere in atto nell'immediato un ordine impartito in precedenza: « "…fucilare ai minimi sospetti, bruciare le case ed i villaggi dei contadini".  » [20] ed istituisce un bando, con taglie da L. 50.000 per la cattura di ogni "ribelle", vivo o morto In lettere di servizio tra militari, che non sono bloccate dalla censura, si trovano frasi di questo tono: Lettera N° 5024/31 del maggiore Silvio Santucci che sovrintende al presidio di Lubiana al responsabile del comando centralizzato generale Montagna) : “esecuzione “ribekki” del 17 orrente… il plotonre d’esecuzione non ha eseguito il fuoco a comando.Conseguentemente uno dei condannati è rimastoincolume ed altri feriti solo leggermente. Per quantosi sia provveduto a dare dei colpi di grazia individuali,tale fatto può aver dato agio a maggiormente impressionaregli spettatori.” [21][22] A Gorizia nello stesso periodo vengono assassinati 130 antifascisti. L'incrudimento dell'indiscriminata repressione per fermare le nascenti Brigate Partigiane provoca, come sarebbe stato prevedibile da accorti " strateghi", un’espansione a macchia d'olio della Resistenza antitaliana.

Deportazione

Promotori del disposto della succitata circolare 3C i generali Mario Robotti ed Angelo Bergonzi, incaricato dell’organizzazione dei campi di deportazioni il generale Taddeo Orlando (tutti e tre inseriti nella lista dei criminali di guerra presentata dalla Jugoslavia alla fine del conflitto). Gli italiani, agli ordini del generale Mario Roatta, (n. 105 della lista), riuscirono a superare come percentuale di deportati le stesse SS deportando circa 35 mila persone (pari al 10% degli abitanti dell’intera Slovenia) tra cui molti donne e bambini. La vita nei campi fu oltremodo dura, in certi casi peggiore di quella dei lager nazisti di Polonia e Germania, dove se non era programmata l’eliminazione fisica dei prigionieri, lo scarso cibo, la sistemazione inumana in tende e le violenze dei carcerieri procurarono la morte di migliaia di deportati. Ad Arbe vengono deportati circa 25000 persone fra fine '42 ed inizio 1943 e si ebbero 1.345 decessi, 500 a Macula e Prevlaka, 954 a Melada, (quest’ultimo campo fu definito dal vescovo di Selenico “un sepolcro di viventi”). Tra i morti non si conosce se sono compresi anche quanti, internati come ostaggi, venivano di volta in volta prelevati per essere fucilati per rappresaglia ad azioni dei partigiani contro le truppe occupanti. Nella fattispecie nel campo di concentramento di Gonars n. 89 si e' riusciti nel dopoguerra a ridare il nome a 453 dei 7000 morti per mancanza di cibo e infezioni con un gran numero di donne e bambini : i piu' deboli, gli altri sono spariti nel "nulla" Con riferimento ai decessi a causa della deportazione di civili un’informativa privata del dicembre 1942 fra i colonnelli Annibale Gallo e Bruno Lucini, , recita: «  "... i decessi avvenuti sono dovuti al quantitativo rilevante di vecchi ed agli spaventi provati dai bambini e dalle madri all'atto dell'avvenuto rastrellamento ed ai disagi del viaggio..."  » Sempre sui campi di concentramento del periodo : Emilio Grazioli che ricopre l'incarico di alto commissario in riferimento alla zona di Lubiana, invia al Comando del Corpo d'Armata la nota riservata N° 1642/2 « " ... il medico provinciale ha visitato un gruppo di internati riscontrando che presentavano, nell'assoluta totalità, i segni più gravi dell'assoluta inanizione da fame ... e cioè: dimagramento patologico con assoluta scomparsa dell'adipe anche orbitario, ipotonia e ipotrofia grave dei muscoli , edemi da fame degli arti inferiori, emeralopia, intolleranza alimentare (vomito, diarrea o grave stipsi) lieve atassia, auto-intossicazione febbrile ..."  » [23] ma il generale Gastone Gambara con una dimostrazione di raro cinismo[24] aggunge in calce « "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento... Individuo malato, equivale a individuo che sta tranquillo"  ». Il cappellano militare Cristiano Cociani chiedendo il congedo manda una letterera alla Curia Vescovile di Lubiana con queste raccomandazioni: « " Vi prego di volervi interessare degli internati…dato il numero dei malati e il numero di mortalità… ” » [25] L'accorata lettera e' ovviamente censurata ed il famigerato generale Mario Robotti noto per il detto "se n’ammazzano troppo pochi" aggiunge il calce « "Molto bene, non era adatto per la carica che ricopriva"  »


Tra la caduta del fascismo e l’armistizio

Nel marzo 1943 in Italia iniziano gli scioperi operai che saranno una delle cause fondamentali della rimozione di Benito Mussolini dal governo: il regime fascista inizia la sua rapidissima parabola discendente. Il 10 luglio dello stesso anno gli alleati sbarcano in Sicila, Mussolini si dimette il 25, Vittorio Emanuele III nomina capo del governo italiano il maresciallo d'Italia, Pietro Badoglio, che ancora una volta cambia "casacca". A dimostrazione della scarsa accortezza del Maresciallo, [27] Badoglio affida la custodia di Benito Mussolini a Giuseppe Gueli che nel '42 era responsabile del famigerato "ispettorato Speciale di Polizia" per la Venezia Giulia.[28]. Non essendovi prove certe di complicità con il fascismo, o piuttosto non se ne vollero trovare, è escluso che Badoglio non conoscesse Giuseppe Gueli e se non lo conosceva il suo gesto d’affido fu di una trascuratezza che non si addice alla sua "carriera" infatti l'episodio e' così "singolare"da far nascere dubbi. Gueli dichiarerà: dei « fra milioni d'ltaliani restati fedeli al Duce, dava a me l'occasione favorevole, dovevo fare di tutto per salvarlo » Fu Gueli che decide il trasferimento del Duce al Gran Sasso, da dove viene liberato dai paracadutisti guidati nell'operazione dal futuro terrorista/mercenario internazionale Otto Skorzeny mentre il Gueli sta tranquillamente a Trieste a riprendere il comando della sua banda di torturatori. A guerra finita sarà pure decorato alla memoria comeil suo stretto collaboratore Gaetano Collotti. Con la caduta del fascismo, la popolazione slava si aspetta un rapido ritorno a condizioni di vita più accettabili ma gli invasori italiani non modificano il loro atteggiamento, anzi si avrà un inasprimento del livelli di barbarie [26] della repressione e questo contribuirà ad ulteriormente a rinforzare fra la gente slava il concetto che italiano e' uguale a nazifascista, considerazione che genererà in seguito tragiche conseguenze.

Testimonianze sugli italiani di F.W.D. Deakin capo missione alleata in Jugoslavia

Il Brigadiere F.W.D. Deakin, ufficiale dell’Esercito inglese, fu durante la guerra capo della Missione Alleata “Typical” dal 25 maggio al 2 dicembre 1943 presso il quartier generale dell’Esercito di Liberazione della Jugoslavia. Per sei mesi egli condivise la dura vita dei partigiani comunisti, visse in prima persona gli scontri dell’operazione “Schwarz” (conosciuta anche come la Sesta Offensiva) lanciata dai tedeschi dal 10 maggio al 16 giugno 1943 per distruggere le forze partigiane ed eliminare il loro capo Josip Broz, Tito. Paracadutato in Montenegro nel settore del monte Durmitor fu testimone del tentativo di sottrarsi all’accerchiamento da parte di forze, tedesche, italiane e bulgare, coadiuvate da elementi cetnici. L’operazione di sganciamento riuscì e i partigiani raggiunsero la Bosnia centrale dopo una marcia di 500 Km che si concluse con l’attraversamento del fiume Sutjerka, che diede nome alla battaglia nel corso della quale morirono 5.697 partigiani, compresi i feriti uccisi dal nemico, 1.437 civili e nel corso della quale furono bruciati 50 villaggi. Nel suo libro “La montagna più alta” (Giulio Einaudi editore, Torino, 1971) Deakin racconta le sue esperienze in Jugoslavia ed ha modo di segnalare fatti riguardanti gli italiani. - Vi erano in mezzo a noi dei prigionieri italiani, miseri e storditi, commoventi nella loro muta ansia di rendersi utili. Molti di loro trasportavano le barelle dei feriti, altri con naturale abilità spingevano i muli carichi… (pag. 29). - Tedeschi, italiani e bulgari, avanzando da oriente s’impadronirono di Zabljak e scalarono il Durmitor, … Ebbero inizio le operazioni di rastrellamento, affidate in particolare alle truppe italiane che cominciarono la ricerca dei feriti rimasti vivi nella battaglia. Con l’aiuto di cani poliziotti e di informatori locali che guidarono il nemico sugli altipiani e i valloni privi di sentiero, quasi tutti i gruppi nascosti furono scoperti e trucidati. pag. 50 - Il bollettino 26 giugno 1943 del XIV Corpo d’Armata italiano.:“Uccisi centocinquanta partigiani feriti (o malati) che non era possibile trasportare”. pag. 63 - L’ospedale centrale partigiano ebbe l’ordine di seguire la stessa strada… Gli unici mezzi di trasporto per circa duemila feriti erano un centinaio di muli e due o tremila prigionieri italiani come portabarella. pag. 7 - Nelle ultime fasi dei combattimenti bande di cetnici provenienti dall’Erzegovina si mossero verso nord come pattuglie di esploratori agli ordini degli italiani, uccidendo i partigiani feriti e gli sbandati. pag. 106 Parla di 1.140 civili uccisi e gettati in burroni o fosse comuni (i partigiani denunceranno 1.437 civili massacrati). - Incontra a Spalato il generale Becuzzi comandante della Divisione Bergamo dell’VIII Corpo d’Armata italiano l’11 settembre 1943 per convincerlo a cedere le armi dei 14.000 soldati ai suoi ordini ed eventualmente seguire i partigiani. Ma la pretesa dei partigiani di fucilare undici italiani qualificati come criminali di guerra (saranno in effetti quarantuno), creò un impasse nelle trattative. Alla fine concesse le armi e lasciò liberi i militari di decidere, egli si imbarcò con 3.000 soldati per l’Italia, 9.000 furono catturati e deportati dai tedeschi, che fucilarono due generali e cinquantacinque ufficiali.


La Resistenza organizzata all’attacco

Subito dopo l’armistizio l’operaio Mario Fantin partigiano, con il nome di battaglia "Sasso", organizza la Resistenza nella regione Giulia, radunando sul Collio 120 prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento di Gonars, San Giorgio e Palazzolo. Fantin assumera' nel prosieguo il comando della divisione Garibaldi Natisone. Il 9 settembre del 1943 1000 operai di Monfalcone vanno a Gorizia e formano la Brigata Proletaria al comando di Camillo Donda e di Ferdinando Marega, (Ondina Peteani[29] sara' una loro staffetta), e confluiscono nella brigata di Stojan Furlan. La Brigata Proletaria partecipa alla Battaglia_di_Gorizia_(11/26 settembre 1943), primo importante scontro tra resistenti italiani e tedeschi). Al comando del 1° battaglione della Brigata Proletaria e' Giordano Tomasig, che diverra' commissario politico della 24a brigata d'assalto Garibaldi intitolata ai "Fratelli Fontanot". Durante la battaglia nasce la Brigata/battaglione Carlo Pisacane, al comando di Arturo Bullo e Attilio Planassi, che occupa l'autocentro di Sant'Andrea mentre Antonio Zalateo e Bruno Pettarin tengono San Pietro. Il 10 settembre 1943, ai partigiani sloveni già operanti dal mese di febbraio si unisce un gruppo d’antifascisti scarcerati ed insieme costituiscono la Brigata Triestina – Istriana, formazione di 450 uomini, della quale diventa comandante Giovanni Zoll, e commissario politico Luigi Fransin, nome di battaglia "Franz". Due giorni dopo sul Collio, nella zona del villaggio di Cobaler , sotto il Monte Corada, si uniscono ai partigiani guidati da Mario Modotti, nome di battaglia "Tribuno", quelli di Fantin e di Giuseppe Gargano , nome di battaglia "Boris". Dopo l'uccisione di Tribuno, fucilato con Mario Foschiatti[30] le Brigate partigiane operanti nella zona di Pordenone formano la Divisione Garibaldi “Mario Modotti”. Su Tribuno, ben conosciuto per il suo valore Luigi Cominesi Raimondi ha raccontato la biografia e le vicende partigiane nel libro intitolato Mario Modotti “Tribuno”: Storia di un comandante partigiano, Udine gli ha intitolato una via[31]. Al gruppo così' formato si uniscono gli uomini del sottotenente di complemento Giannino Bosi , nome di battaglia "Battisti", che prendera' il comando delle brigate sud Garibaldi Friuli nella zona di Pordenone , cadrà, armi in pugno nelle Prealpi Carniche l'8 dicembre 1944, medaglia d'oro al valor militare.[32]

Con la firma dell’armistizio,l’8 settembre 1943, tra l’Italia e gli Alleati si ha la disintegrazione dell’Esercito Italiano. La mancanza di precise disposizioni da parte dei Comandi Centrali e dei loro stessi ufficiali crea confusione tra le truppe che altro non pensa che rientrare in patria. Ma oltre la metà di loro (390.000 per la precisione) è fatta prigioniera dai tedeschi ed internata in Germania, 50.000 dai partigiani jugoslavi, mentre 40.000 confluiscono nell’esercito di Liberazione di Tito. Con 20.000 caduti gli italiani riscattarono l'onore del loro paese, infangato dal fascismo dall'aggressione dell'aprile 1941 e dalla terribile occupazione protrattasi fino al settembre 1943. La Divisione «Garibaldi», che operò in Montenegro e in Bosnia, non fu l'unica a combattere sotto la bandiera italiana con la stella rossa contro il nazifascismo in quel paese. Italiani formarono compagnie, battaglioni e brigate in tutte le divere zone della Jugoslavia:a Divisione «Italia» operò dalla Bosnia alla Serbia e poi in Croazia fino alla liberazione di Zagabria; la Divisione «Garibaldi-Natisone» operò in Slovenia dove combatterono pure le brigate autonome «Triestina d'Assalto» e «Fratelli Fontanot»; un battaglione «Mameli» operò nel retroterra di Zara; nella II Brigata della Krajina (Croazia) fu costituito il Quinto battaglione italiano al comando del tenente Domenico Flores, siciliano; nella III Brigata dalmata (poi nella IV Brigata di Spalato) operò il battaglione italiano «Ercole Ercoli»; varie compagnie italiane furono inserite nella V e nella IV Brigata della Krajina bosniaca; una compagnia «Garibaldi» divenne il secondo nucleo della Prima Brigata partigiana che combattè in Kossovo e Macedonia. Troviamo poi un gruppo d’artiglieria composto da più di 300 italiani nella XIII Divisione croata del Litorale croato e Gorski Kotar; un altro battaglione italiano fa parte della XIII Brigata d'assalto della XXIX Divisione dell'Erzegovina; un battaglione «Garibaldi» forte di 800 uomini, formato da soldati dei disciolti reparti di Guardie alla Frontiera, combatte per alcuni mesi alle spalle di Fiume prima di venir sbaragliato dai tedeschi ed i superstiti vengono accolti in diverse formazioni slovene e croate.

A fine guerra il governo jugoslavo nel presentare alla Commissione alleata per i crimini di guerra la lista di 729 italiani denunciò che nei campi erano morti 11.606 sloveni e croati. Nella stesse zone si ebbero 1.500 ostaggi civili fucilati, 2.500 partigiani uccisi dopo la cattura, deceduti per sevizie 187. Com’era avvenuto in Libia e in Etiopia i comandi italiani utilizzarono elementi locali, particolarmente feroci con i loro connazionali: ustascia in Croazia, cetnici in Serbia, domobranci o belogardisti in Slovenia. La ferocia di queste formazioni ricadde sugli italiani e generò nel popolo una violenta sete di vendetta, che si espresse già nel breve periodo che intercose tra l’armistizio dell’8 settembre 1943, con la dissoluzione dell’esercito italiano, e l’occupazione da parte dei tedeschi del litorale adriatico, annesso al Reich tedesco, con la denominazione di Adriatisches Küstenland. Qui alla ferocia dei nazisti si unì quella dei fascisti inquadrati nella neonata Repubblica Sociale di Mussolini; efferatezze e massacri si intensificarono. La situazione geopolitica avrebbe influito non poco sulle tragedie del dopoguerra che ebbero come vittime molti italiani, non solo compromessi con i nazifascismo ma anche contro quelli che potevano dissentire dal progetto del nuovo stato socialista voluto da Tito fino a che questi (con azioni violente all'interno del partito comunista jugoslavo stesso) non modificasse la sua politica liberandosi dalla dipendenze di Mosca ed instaurando un lungo periodo di pace per la federazione dell'ex-Jugoslavia. La commissione italo-slovena, nella sua relazione dell'aprile 2001, ha cercato di analizzare il contesto storico che portò a queste efferatezze: «Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e appaiono essere il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse spinte: l’eliminazione di soggetti legati al fascismo e l’epurazione preventiva di oppositori reali». Il tutto nasceva «da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani».



http://www.giuseppemarchese.it (articoli- argomenti vari – art. 153) http://www.anpi.it/patria_2003/02-03/26_29_Clementi.pdf http://anpipianoro.it./foibe.html


BIBLIOGRAFIA

F.W.D. DEAKIN – La montagna più alta – Einaudi Editore Torino, 1971, C. S. CAPOGRECO – I campi del duce - Einaudi Editore Torino, 2006 ANED – Fascismo – Foibe – Esodo, Atti a conclusione Convegno dell’ANED alla Risiera di San Sabba, Trieste 23.92004 A. DEL BOCA – Italiani, brava gente? Neri Pozza Editore, Vicenza - 2005 B. E. GOBETTI – L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941 – 1943) Carocci, Roma, 2007 (cap. 9) Grassetto